Utente:IlSistemone/Sandbox3

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La collezione Odescalchi è una collezione d'arte privata di Roma, nata nel XVI secolo e appartenente all'omonima famiglia di origini comasche.

Lo sviluppo della raccolta si deve essenzialmente al principe Livio Odescalchi, nipote di papa Innocenzo XI, con cui si raggiunge il massimo sviluppo collezionistico. Il ramo familiare diretto si estingue tuttavia immediatamente con il nobile stesso, pertanto la linea di discendenza che eredita la raccolta, i possedimenti e i titoli familiari proviene da quelli di Lucrezia, sorella del pontefice, sposata con un esponente della famiglia Erba di Como.

La collezione viene alienata in prima istanza da Baldassarre Erba Odescalchi a partire dal XVIII secolo, dove diverse opere trovano la strada del mercato estero, e poi successivamente nel corso della seconda metà del XIX secolo, dove un corposo numero di opere viene ceduto dagli eredi in favore dello Stato italiano, confluendo nelle Gallerie nazionali d'arte antica, nel Museo nazionale di Palazzo Venezia di Roma. Un'altra parte della collezione rimane oggi di proprietà privata della famiglia, divisa tra il castello di Bracciano e il palazzo romano di piazza Santi Apostoli, tra cui il pezzo più celebre della raccolta, ossia la prima versione della Conversione di san Paolo del Caravaggio, entrata nelle collezioni Odescalchi solo nel Novecento grazie alla dote della marchesa genovese Maria Roberta Balbi Senarega.

L'ascesa della famiglia nella Curia romana

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La famiglia Odescalchi ha origini nobiliari già ab antiquo nella città di Como, dove aveva particolare prestigio ed influenza sia sociale che economica.[1] L'ascesa tra gli ambienti cardinalizi di Roma sono invece avvenuti a partire dal 1658, quando Benedetto Odescalchi arrivò in città dopo una breve parentesi vescovile a Novara.[1] Inizialmente questi dimorava in piazza di Campitelli assieme alla schiera di collaboratori e familiari giunti al suo seguito da Como, nel palazzo poi divenuto Patrizi-Clementi, che raggiunse il massimo di presenze nell'edificio nel 1669, con ben ventiquattro persone attive al servizio del cardinale.[1] Tra questi vi era anche Marco Antonio Odescalchi, sacerdote cugino di Benedetto, già di stanza a Roma a partire dagli anni '30, confratello dell'oratorio di San Filippo Neri presso la chiesa di Santa Maria in Vallicella e che fece da apriporta della Curia romana al più giovane cugino.[1]

Carlo Odescalchi, fratello di Benedetto, rimase invece a Como a gestire gli affari di famiglia in terra d'origine. L'uomo morì nel 1673 e per volontà testamentaria lasciò i suoi beni al figlio Livio, allora ancora adolescente, i quali furono tenuti sotto la tutela giuridica di Benedetto, presso cui il ragazzo si sarebbe dovuto recare da lì a breve per intraprendere la sua carriera professionale, fino al compimento della maggiore età.[1]

Livio Odescalchi erede universale dei beni di famiglia (1674)

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Nel 1674 Benedetto stila anch'egli testamento, lasciando anche in questo caso tutti i suoi beni a Livio, ponendo a questo punto in maniera più pressante la richiesta di un suo trasferimento a Roma, mentre per agli altri nipoti erano elargiti generosi vitalizi che consentono loro di conservare lo status acquisito.[2] L'atto risulta essere una sostanziale conferma di un altro già declarato dallo stesso porporato nel 1658, compreso l'istituto del fidecommesso con vincolo di primogenitura maschile perpetua voluto allora.[2] Pertanto, premesso che la discendenza familiare non potesse che provenire dalla linea di Carlo Odescalchi, qualora fosse venuto a mancare il maschio erede si sarebbe dovuto dare seguito alla discendenza attraverso la primogenita femmina, i cui eredi però avrebbero dovuto portare il cognome e i titoli del casato, senza neanche doverlo unire a quello paterno, mentre se fosse venuta a mancare anche la discendenza femminile, caso che poi effettivamente si verificherà, si sarebbe dovuti passare alla linea della sorella Lucrezia, sposata con un esponente della famiglia Erba, sempre con l'obbligo che la sua discendenza conservasse il solo cognome e titoli Odescalchi.[2]

I beni ereditati sarebbero dovuti essere inalienabili e indivisibili nella loro integrità, anche a scapito di eventuali doti o vendite per fronteggiare posizioni debitorie urgenti, pena la decadenza immediata del diritto di successione acquisito.[2] Nel testamento del 1674 di Benedetto gli edifici religiosi interessati da donazioni furono sostanzialmente due, quelli gesuiti di Roma e la chiesa di Santa Maria in Campitelli, mentre a Como e Novara un cospicuo fondo fu destinato ai due ospedali maggiori delle città.[3] Particolare attenzione meritò anche Antonio Maria Erba, il quale oltre ad essere nominato esecutore testamentario universale, fu investito di una rendita di 1.000 scudi milanesi annui e la curatela dell'eredità di Livio Odescalchi, qualora fosse stato ancora minorenne al momento del decesso di Benedetto.[3]

Tra il 1674 e il 1675, dietro anche incessanti pressioni da parte di Benedetto, Livio si trasferisce a Roma, dove vive sotto il diretto controllo dello zio, incline a comandare e decidere per i nipoti le loro sorti e gli stili di vita.[4] Ciò avvenne infatti anche per le sorelle di Livio, Giovanna e Paola Beatrice, entrambe destinate alla vita monastica (da cui Giovanna poi si allontanerà successivamente trovando nozze con Carlo Borromeo Arese).[4] Livio intraprende invece gli studi filosofici-giuridici presso i gesuiti del Collegio Romano e si dimostra sin da subito incline all'arte, all'alchimia e all'astrologia.[4]

Livio, unico maschio del casato della discendenza diretta, divenuto erede universale di tutte le ricchezze accumulate fino a quel momento dalla famiglia, segna dunque con determinatezza le sorti del casato, incluse quelle in campo artistico, di cui si mostrerà grande collezionista accumulando opere per la raccolta familiare, ma anche quello patrimoniale, acquisendo immobili di particolare prestigio, che culmineranno con la definitiva ascesa nell'élite romana grazie alla salita al soglio pontificio dello zio avvenuta nel 1676.[5] In questo scenario si registrano nel frattempo anche le prime committenze artistiche avanzate a Lazzaro Baldi, Gian Lorenzo Bernini, Carlo Fontana e Carlo Buratti.[4]

L'elezione pontificia di Innocenzo XI (1676)

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Una volta che Benedetto divenne papa col nome di Innocenzo XI nel 1676, la famiglia Odescalchi occupò stabilmente tutti i più alti incarichi della società romana. Il suo pontificato fu rigido e severo, all'insegna dell’austerità, tanto che impose molte limitazioni agli spettacoli teatrali, alle manifestazioni popolari e soprattutto, a differenza dei suoi predecessori, non furono nominati cardinal-nipoti.

Innocenzo XI applicò una politica antinepotista dove se è vero che tutte le personalità a lui vicine beneficiarono dei privilegi ottenibili con l'elezione pontificia, è anche vero che nessuno fu incaricato di amministrare le finanze vaticane.[6] Il cardinale di famiglia, Benedetto Erba Odescalchi, non fu mai investito del ruolo di cardinal nipote, ma rimase sempre ad operare nel nord,[6] mentre Livio viveva riverso nelle agiatezze familiari, derivanti dagli investimenti su varie piazze europee (in particolare a Vienna e ad Amsterdam oltre che pressol e altre proprietà tra Milano e Como), sui banchi di cambio (a Genova e a Venezia), sulle dogane (ancora a Venezia), oltre ad una ingente liquidità, potendo disporre di una rendita annua pari a circa 40.000 scudi.[7]

La collezione di Livio Odescalchi

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Livio Odescalchi nonostante facesse una vita riservata e in disparte dalla mondanità romana, causa soprattutto pressioni e ristrettezze impostate dal papa, fu comunque una persona che riuscì a instaurare relazioni con l'ambiente artistico locale.[8] Egli era in rapporti stretti con Lazzaro Baldi, Carlo Fontana, Gian Lorenzo Bernini, Carlo Buratti (architetto di casa Odescalchi, pagato con pensione annua pari a 36 scudi e 80 baiocchi), Andrea Pozzo (chiamato per il progetto della cappella gentilizia a Como), Gaspar van Wittel (registrato al servizio di Livio nei primi del 1680 fino a raggiungere nella collezione 13 vedute originali dell'artista e 34 sue copie), Jacob Ferdinand Voet (di cui il suo ritratto databile al 1677 oggi a Baltimora, che andò a costituire una sorta di Galleria di ritratti che Livio custodiva nella sua collezione), Salvator Rosa, Enrico Merengo, Ercole Ferrata, Domenico Guidi e altri.[8]

Gran parte delle opere che entravano nella costituenda collezione artistica provenivano o dalla committenza diretta di Livio o grazie ad acquisti sul mercato nazionale, soprattutto quello veneziano, dove l'uomo svolgeva ingenti affari economici in società con la famiglia Rezzonico, di cui Quintiliano assumeva il ruolo il ruolo di consulente artistico a Roma di Livio e grazie al quale confluirono nella collezione svariate opere di provenienza veneta, come le sculture di Juste Le Court della Diana e del puttino seduto, ma anche opere di Tiziano, Tintoretto, Paolo Veronese, Jacopo Bassano, Luca Giordano e del ritrattista Sebastiano Bombelli.[8]

A distanza di un anno dall'elezione di suo zio a pontefice, Livio avviò nel 1677 i negoziati per l’acquisto del ducato di Ceri, presso Cerveteri.[9] Era il tentativo d’inserirsi a pieno titolo tra i più alti ranghi della nobiltà romana, uscendo dall'oppressione dello zio che tendeva a tenere il giovane nobile rinchiuso in casa a Roma ancorato a una vita modesta e riservata, cosa che successe almeno fino al soglio pontificio di Benedetto, quando paradossalmente si determinò un lieve allentamento delle briglie sui nipoti.[9] Livio fu per tutta la vita accostato alternativamente alla carriera curiale cardinalizia, a cui lui stesso ambiva, e a quella matrimoniale con esponenti della nobiltà romana, verso cui si proponeva la sorella Giovanna e lo zio.[10] La prima soluzione veniva sempre rigettata da Innocenzo XI per via della sua politica antinepotistica ma anche per via del fatto che Livio era l'ultimo maschio della linea papale che potesse dare seguito al casato.[10] La seconda invece, nonostante sia stato accostato (in maniera più o meno veritiera) a svariati matrimoni, su tutti quello con Lavinia Ludovisi, ma anche a una esponente del casato Altieri piuttosto che con Anna Camilla Borghese o con donne della famiglia Pamphilj o Barberini, il nobile non vide mai il loro concretizzarsi.[10] Ciò avvenne ancora una volta per intromissione del papa, che fece saltare ad esempio le soluzioni più vicine alla Spagna (Ludovisi, Altieri, Pamphilj), di cui gli stessi Odescalchi erano affiliati, poiché avrebbe rischiato di palesare un eccessivo sentimento antifrancese della famiglia, il che avrebbe poi minato la situazione politica generale.[10]

Nel frattempo l'Odescalchi finanziò la costruzione della cappella di famiglia nella chiesa di San Giovanni in Pedemonte a Como, per la quale fu chiamato al disegno Andrea Pozzo, che riutilizzò il modello che fu adottato per la cappella Spada in Santa Maria in Vallicella.[8][11] Nel 1682 vennero conclusi invece altri due acquisti di feudi, a distanza di un solo mese uno dall'altro: il primo nei pressi di Albano, comperato dal marchese Marzio Ginetti per 20.000 scudi, il secondo presso Roma lungo la via Salaria, per 24.000 scudi.[12] Nel 1683 Livio compera la villa Montalto di Grottaferrata (poi divenuta Grazioli) da Giulio Savelli, a cui seguirono altri due acquisti feudali nel 1684, ossia il marchesato di Roncofreddo e la contea di Montiano in Romagna.[13] Tra il 1683 ed il 1685 Livio procedette all'acquisto di altri due terreni posti fuori Porta del Popolo a Roma, uno è il cosiddetto giardino del Popolo, comperato per 3.500 scudi dal conte Fulvio Roberti, l'altro è la vigna che fu del cardinale Girolamo Boncompagni, comperata per 6.500 scudi.[14][15] Tutti gli acquisti terrieri avvennero grazie alle rendite provenienti dalle proprietà nel nord Italia, poiché lo zio pontefice, comunque non propenso al mecenatismo artistico né tantomeno a quello immobiliare, vietava ai familiari l'utilizzo dei soldi provenienti dal Vaticano.[10]

Nel 1689 Innocenzo XI muore, pertanto le sorti rimangono tutte in mano a Livio, che tuttavia non perde il vigore dei tempi d'oro, anzi, libero da qualsiasi soggezione papale, fa incetta di opere artistiche e immobili che arricchiscono ancor di più lo status economico familiare.[10] Ad impreziosire il suo ruolo ci pensa poi anche l’imperatore Leopoldo I, che gli concede il titolo di principe del Sacro Romano Impero appena nove giorni dopo la morte dello zio.[10]

Nello stesso anno il principe compra dalla collezione Ludovisi la statua del Galata morente (oggi ai Capitolini di Roma), per la cifra di 1.650 scudi, e una preziosa medaglia commissionata a Giovanni Martino Hamerani, uno dei più illustri maestri medaglisti, già presente nella collezione di Livio con altre sue opere precedentemente realizzate.[8]

Palazzo Odescalchi ai Santi Apostoli, Roma

Nel 1692 Livio Odescalchi compie una delle più importanti operazioni collezionistiche: acquista infatti per 23.000 scudi il blocco di opere che furono della collezione di Cristina di Svezia, confluita dapprima nella raccolta del cardinale Decio Azzolino e poi messa in vendita dal marchese Pompeo che la ereditò nel 1689.[16] Figuravano nell'elenco dei beni acquistati 275 quadri, tra cui capolavori assoluti della pittura, come la Danae (oggi alla Galleria Borghese di Roma), il Giove e Io (oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna) e la Leda (oggi alla Gemäldegalerie di Berlino) del Correggio, un'altra Danae di Annibale Carracci (perduta ma nota attraverso incisioni), una prima versione della Fuga di Enea da Troia di Federico Barocci (non rintracciata).[17] Le opere furono a questo punto ricollocate nel 1694 nel palazzo che fu di Flavio Chigi a piazza Santi Apostoli di Roma, che il principe Odescalchi prese in fitto un anno prima a seguito della morte del cardinale senese. La trattativa costò a Livio una somma pari a 123.000 scudi, che però sarebbero state incassate dall'Azzolini tramite le rendite di alcune tenute Odescalchi.[18]

Castello di Bracciano

Il successo del principe si concretizza poi con gli acquisti del ducato del Sirmio (in Serbia), dietro placito assenso dell'impero asburgico viennese, per 336.000 fiorini,[19] e del castello di Palo, nel 1693, per 120.000 scudi, e del ducato di Bracciano, nel 1696, per 386.300 scudi entrambi dalla famiglia Orsini .[20] Quest'ultimo in particolare si poneva come pietra definitiva sul casato Orsini, in procinto di estinguersi, poiché nella trattativa originaria tra Livio Odescalchi e Flavio Orsini, era previsto che avvenisse anche il passaggio di proprietà del palazzo di Roma a Pasquino, del castello e territorio di Galera, del ducato di San Gemini, del palazzo in piazza di Campo de' Fiori e di altre proprietà, il tutto al prezzo di 450.000 scudi.[21] Inoltre era previsto che Livio subentrasse all'Orsini prendendone anche il cognome e le armi, divenendo unico erede universale di tutto il suo patrimonio.[21] La trattativa tuttavia non si concretizzò, eccezione fatta per il ducato e il castello di Bracciano, per svariati motivi, anche diplomatici, come l'intromissione del Governo francese, il quale bloccò in precedenza, nel 1697, anche un'altra trattativa quasi conclusa, ossia l'acquisto dai Savelli del feudo di Albano Laziale, per il quale il principe Odescalchi sarebbe stato disposto a pagare la somma di 440.000 scudi.[21] Nel 1697 Livio si impegna inoltre a dare degno omaggio allo zio Innocenzo XI, finanziando il suo monumento funebre in Vaticano. Inizialmente fu chiamato Domenico Guidi alla realizzazione, tuttavia successivamente fu coinvolto Pierre-Étienne Monnot al progetto mentre altri pagamenti avvennero in favore dello scultore Francesco Maratta, il quale collaborò con opere disegnate da Carlo Maratta.[22]

La morte di Livio Odescalchi e l'estinzione del ramo diretto della famiglia

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Nel 1701 viene completato e inaugurato il monumento funebre di Innocenzo XI nella basilica di San Pietro in Vaticano.[22]

Nel 1709 il principe fa ritorno nelle terre d'origine tra Milano e Como per rivedere la questione ereditaria dell'asse papale Odescalchi di cui sarebbero stati interessati il nipote Giovanni Benedetto Borromeo Arese e il cugino Baldassarre Erba Odescalchi.[8] Nel 1710 Livio rientra a Roma, dove riuscì a comperare da Marie Anne de La Trémoille, moglie ed erede di Flavio Orsini, il marchesato di Galera. Tre anni dopo, nel 1713, Livio muore nel palazzo di Santi Apostoli a Roma, chiedendo la sepoltura nella cappella familiare della dirimpettaia chiesa omonima.[23][24]

Senza eredi, la famiglia Odescalchi si estingue con la sua morte, pertanto la continuazione dei titoli e del cognome furono garantiti grazie al vincolo fidecommissario stilato qualche anno prima da Benedetto, che assicurò l'integrità ereditaria tramite la famiglia Erba, nella figura di Baldassarre che diviene erede universale di tutti i beni Odescalchi, compreso la collezione artistica.

La collezione sotto Baldassarre e l'acquisto del palazzo ai Santi Apostoli

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Nel 1721 avviene la vendita in blocco di una buona parte dei pezzi che furono nella collezione di Cristina di Svezia: tra queste vi erano la Danae di Correggio, l'altra Danae di Annibale Carracci e la prima versione della Fuga di Enea da Troia di Federico Barocci, vendute a Pierre Crozat per la collezione Orleans.[25][26] Nel 1724 si registrano ulteriori lotti di vendita che interessarono altre opere della collezione, che includevano ancora una volta quelle già appartenute a Cristina di Svezia, ma che questa volta furono acquistate per conto di Filippo V di Spagna.

Nel 1737 principe Baldassare Odescalchi finanzia le decorazioni ad affresco della villa di Grottaferrata, commissionate a Giovanni Paolo Pannini, e nel 1745 acquista dalla famiglia Chigi il palazzo nobiliare di piazza Santi Apostoli, dove la famiglia Odescalchi già viveva in fitto dal 1692. L'edificio fu immediatamente ampliato sotto la direzione dei lavori di Nicola Salvi e Luigi Vanvitelli. Si tratterà della principale residenza familiare cittadina, dove viene disposta gran parte della collezione artistica di Livio.

Nel frattempo il castello di Palo viene ceduto ai duchi Grillo di Genova, che tuttavia, dopo un ulteriore passaggio di proprietà in favore del marchese Carlo Loffredo di Trevico, viene ricomperato dal Livio II Odescalchi nel 1780.

Nel 1833 viene venduta la villa di Grottaferrata; di contro nel 1854 il principe Livio V Odescalchi acquista dalla famiglia Giustiniani la villa di Bassano Romano.

Nel 1887 Baldassarre VI Odescalchi compra dalla famiglia Barberini il castello di Santa Marinella.

Novecento e Duemila

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L'acquisizione della Conversione di san Paolo di Caravaggio

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Intorno alla metà del Novecento Innocenzo, VII principe Odescalchi, acquisisce per la collezione d'arte, grazie alla dote della moglie, il pezzo più importante dell'intera raccolta, ossia la prima versione della Conversione di san Paolo del Caravaggio. Il dipinto viene realizzato in origine per la cappella Cerasi della basilica di Santa Maria del Popolo di Roma, poi dapprima sostituita con un'altra versione e dopo varie vicissitudini confluita nelle raccolte spagnole e poi in quelle genovesi della famiglia Balbi, quindi da loro a Maria Roberta Balbi Senarega, marchesa di Piovera, nonché moglie di Innocenzo VII. La collezione della donna confluita in quella Odescalchi di Roma constava anche di altre opere di provenienza genovese, tra cui tele di Lucio Massari.

Il dipinto costituisce una delle opere facenti parte tutt'oggi della collezione di famiglia custodita nel loro palazzo privato di piazza Santi Apostoli a Roma, dove vive attualmente una parte della loro famiglia.

Il declino nella seconda metà del XX secolo e le presunte alienazioni di opere della collezione

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Oltre al palazzo sito in piazza Santi Apostoli a Roma, rimangono oggi di proprietà della famiglia anche il castello di Bracciano, che custodisce una parte della collezione (tra cui alcuni pezzi provenienti da quella della famiglia Orsini), il quale viene aperto stabilmente al pubblico nel 1952 per volere di Livio VIII Odescalchi. Il castello di Santa Marinella così come quello di Palo restano anche loro alla disponibilità privata della famiglia, di cui il primo è adibito in parte ad attività cerimoniali.[27]

Gli Odescalchi, dopo la metà del XX secolo, iniziarono a disinteressarsi della villa di Bassano Romano e del parco annesso, ponendolo così in uno stato di degrado e abbandono, finché tutto il complesso non viene acquistato dallo Stato italiano nel 2003. La collezione rimasta nel palazzo di piazza Santi Apostoli a partire dall'ultimo quarto del secolo è stata oggetto di interrogazioni parlamentari poiché tacciata di dismettere illegalmente pezzi della propria raccolta.[28][29]

Elenco parziale delle opere

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Disegni, dipinti e sculture[30]

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Albero genealogico degli eredi della collezione

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Segue un sommario albero genealogico degli eredi della collezione Odescalchi, dove sono evidenziati in grassetto gli esponenti della famiglia che hanno ereditato, custodito, o che comunque sono risultati influenti nelle dinamiche inerenti la collezione d'arte. Per semplicità, il cognome Odescalchi viene abbreviato a "O.".

 Livio O.
(?-?)
(nobile di Como)
 
     
 Carlo O.
(?-1673)
(nobile di Como)
Nicolò O.
(?-1655)
(cardinale)
Innocenzo XI
(1611-1689)
(nato Benedetto O., istiutì con i testamenti del 1658 e del 1676 il fidecommisso con vincolo di primogenitura)
Lucrezia O.
(?-?)
(sposata con Alessandro Erba, da cui ebbe seguito il ramo Erba Odescalchi)
Giulio Maria O.
(1612-1666)
(vescovo)...e altri fratelli/sorelle
  
   
 Livio O.
(1652 o 1658-1713)
(principe, erede universale delle ricchezze familiari fautore della collezione artistica; morì senza eredi, pertanto la collezione fu trasferita a Baldassarre del ramo Erba-O. il quale, in virtù del vincolo di primogenitura istituito dal fidecommisso di Innocenzo XI, diede seguito al cognome e ai titoli O.)
 Antonio Maria Erba-O.
(I marchese di Mondonico)
Benedetto Erba O.
(1679-1740)
(cardinale)
 
  
 Baldassarre O.
(1683-1746)
(principe secondogenito, fu investito del vincolo fidecommissario istituito da Innocenzo XI)
Alessandro Erba-O.
(?-?)
(II marchese di Mondonico; uno dei figli fu Antonio Maria Erba O. (1712-1762) fu cardinale, mentre un altro Alessandro (1677-1757) fu II marchese di Mondonico, da cui ebbe seguito la linea Erba O. marchesi di Mondonico, da cui vi furono Luigi (1716-1788), III marchese, ex uxore I principe di Monteleone dal 1749, Antonio Maria (1750-1832) IV marchese e II principe di Monteleone, Luigi (1790-1871) V marchese e III principe di Monteleone, Alessandro (1791-1872) VI marchese di Mondonico e IV principe di Monteleone, Innocenzo (1821-1903) VII marchese di Mondonico e V principe di Monteleone e infine Hugo Janos (1842-1919) VIII marchese di Mondonico e VI principe di Monteleone, da cui si estingue la linea)
 
     
 Anna Paola Flaminia O.
(1722-1742)
(sposò nel 1738 don Domenico Orsini, XV duca di Gravina)
Teresa O.
(1722-1746)
(sposò Gregorio Caracciolo, VII principe di Santobuono)
Marianna O.
(1723-1779)
(sposò a Roma nel 1743 Renato III Borromeo Arese, VII marchese di Angera e conte di Arona)
Livio O.
(1725-1805)
(II principe, sposato con Maria Vittoria Corsini, vendette nel 1803 il feudo di Bracciano a Giovanni Raimondo Torlonia per fronteggiare la crisi economica)

...e altri tre fratelli/sorelle
 
    
 Baldassarre O.
(1748-1810)
(III principe, sposò Caterina Valeria Giustiniani)
Flaminia O.
(1752-1772)
(sposò Sigismondo Chigi, IV principe di Farnese)
Maria Ottavia O.
(1757-1829)
(sposò il principe Giuseppe Rospigliosi, IV duca di Zagarolo)
Antonio Maria O.
(1763-1812)
(vescovo di Jesi)
 
         
 Innocenzo O.
(1778-1833)
(IV principe Odescalchi, sposò la contessa Anna Luisa Keglevich de Buzin)
Maddalena
(1782-1846)
(sposò nel 1796 il principe Luigi Boncompagni Ludovisi, principe di Piombino)
Antonietta Teresa
(1783-1842)
(sposò nel 1803 Gerolamo Theodoli, marchese di San Vito e Pisoniano)
Carlo O.
(1785-1841)
(cardinale, arcivescovo di Ferrara)
Girolamo
(1787-1852)
Pietro
(1789-1856)
Cecilia
(1791-1856)
(sposò nel 1820 il marchese Francesco Longhi)
Flaminia
(1795-1855)
(sposò nel 1811 il marchese Bartolomeo Capranica)
Vittoria
(1798-1861)
(sposò nel 1818 il marchese Francesco Connestabile della Staffa)
 
         
Giuseppe Maria
(1801-morto infante)
Innocenzo
(1803-morto infante)
Leopoldina
(1804-morta infante)
Livio
(1805-1885)
(V principe Odescalchi, sposò la contessa polacca Zofia Katarzyna Branicki)
Cecilia
(1809-1847)
(sposò a Vienna nel 1827 il conte Károly Keglevich de Buzin, suo cugino)
Paola
(1810-1866)
(sposò nel 1832 il conte Ödön Zichy de Zich et Vásonkeö)
Vittoria
(1811-1889)
(sposò nel 1836 il conte Heinrich von Redern)

si risposò in seconde nozze il 13 marzo 1831 con la contessa Henriette Zichy-Ferraris de Zich et Vásonkeö (1800 - 1852), dalla quale ebbe un figlio, Vittorio (1833 - 1880)

Ebbe inoltre un figlio illegittimo, poi legittimato, da una donna sconosciuta: Augusto (1808 - 1848), sposò la contessa Anna Zichy de Zich et Vásonkeö
 
   
 Baldassarre O.
(1844-1909)
(VI principe Odescalchi, sposò la contessa Emilia Rucellai)
Ladislao
(1846-1922)
Maria
(1851-1917)
(sposò a Roma il 30 novembre 1872 il conte Franz von Kuefstein)
 
 
 
ebbe quattro figli dalla cui discendenza, di cui Innocenzo (1883-1953) VII principe, sposato con Vittoria Maria Roberta Balbi Senarega, Marchesa di Piovera, da cui ebbe in dote il quadro di Caravaggio rimasto da quel momento a Roma, Livio (1913-1981) VIII principe Odescalchi, Ladislao (1920-2000) IX principe e Carlo (n. 1954) X principe, restano proprietari del castello di Santa Marinella e del palazzo di Roma a largo Santi Apostoli)
  1. ^ a b c d e Roberto Fiorentini, pp. 9-13
  2. ^ a b c d Roberto Fiorentini, pp. 15-20
  3. ^ a b Roberto Fiorentini, pp. 28-34
  4. ^ a b c d Roberto Fiorentini, pp. 35-57
  5. ^ Roberto Fiorentini, pp. 21-28
  6. ^ a b Roberto Fiorentini, p. 107
  7. ^ Roberto Fiorentini, p. 124
  8. ^ a b c d e f Roberto Fiorentini, pp. 186-194
  9. ^ a b Roberto Fiorentini, p. 128
  10. ^ a b c d e f g Roberto Fiorentini, p. 148
  11. ^ Marco Pizzo, Andrea Pozzo e la cappella Odescalchi in San Giovanni Pedemonte a Como: documenti inediti, in Arte Lombarda, 124 (3), 1998, pp. 71–75. URL consultato il 4 giugno 2024.
  12. ^ Roberto Fiorentini, p. 131
  13. ^ Roberto Fiorentini, p. 132
  14. ^ Roberto Fiorentini, p. 133
  15. ^ Roberto Fiorentini, p. 134
  16. ^ Roberto Fiorentini, p. 198
  17. ^ Galleria Borghese, Barocci Federico - La fuga di Enea da Troia, su collezionegalleriaborghese.it. URL consultato il 3 giugno 2024.
  18. ^ Roberto Fiorentini, p. 200
  19. ^ Roberto Fiorentini, p. 225
  20. ^ Roberto Fiorentini, p. 171
  21. ^ a b c Roberto Fiorentini, pp. 209-216
  22. ^ a b Roberto Fiorentini, p. 206
  23. ^ Roberto Fiorentini, p. 218
  24. ^ Roberto Fiorentini, p. 267
  25. ^ Galleria Borghese, Barocci Federico - La fuga di Enea da Troia, su collezionegalleriaborghese.it. URL consultato il 3 giugno 2024.
  26. ^ Galleria Borghese, Allegri Antonio detto Correggio - Danae, su collezionegalleriaborghese.it. URL consultato il 3 giugno 2024.
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  • Francis Haskell e Tomaso Montanari, Mecenati e pittori. L'arte e la società italiana nell'epoca barocca, Einaudi, Torino, 2019, ISBN 978-88-062-4215-2.

Voci correlate

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