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Reggia di Caserta
Il palazzo
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione  Campania
LocalitàCaserta
IndirizzoViale Douhet, 2/A
Coordinate41°04′22.83″N 14°19′37.14″E / 41.073008°N 14.326982°E41.073008; 14.326982
Informazioni generali
CondizioniIn uso
Costruzione1752-1774
Inaugurazione1774
StileBarocco e neoclassico
UsoMuseo
Altezza42 metri
Piani5
Realizzazione
ArchitettoLuigi Vanvitelli, Carlo Vanvitelli
ProprietarioCittà di Caserta
CommittenteBorbone delle Due Sicilie
Reggia di Caserta
Ubicazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
LocalitàCaserta
IndirizzoViale Douhet, 2/A
Caratteristiche
TipoArte
ProprietàMuseo statale
GestioneMIBACT
DirettoreMauro Felicori
Visitatori838 654 (2017)[1]

La Reggia di Caserta è un'antica residenza reale dei Borbone di Napoli ubicata a Caserta. Costruita a partire dalla metà del Settecento, sotto il regno Carlo di Borbone, e terminata a metà Ottocento, sotto il regno di Ferdinando II delle due Sicilie, si tratta di una delle residenze reali più grandi al mondo ed è stata progettata dall'architetto Luigi Vanvitelli.

Nel 1997 è stata dichiarata dall'UNESCO, insieme con l'acquedotto di Vanvitelli e il complesso di San Leucio, patrimonio dell'umanità[2].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Luigi Vanvitelli, l'architetto della reggia

Origini[modifica | modifica wikitesto]

 Bene protetto dall'UNESCO
Palazzo Reale di Caserta con il Parco, l'Acquedotto di Vanvitelli e il complesso di San Leucio
 Patrimonio dell'umanità
Il parco e la reggia
TipoArchitettonico, paesaggistico
CriterioC (I) (II) (III) (IV)
PericoloNessuna indicazione
Riconosciuto dal1997
Scheda UNESCO(EN) 18th-Century Royal Palace at Caserta with the Park, the Aqueduct of Vanvitelli, and the San Leucio Complex
(FR) Scheda

La Reggia di Caserta fu voluta dal Re di Napoli Carlo di Borbone, il quale, colpito dalla bellezza del paesaggio casertano e desideroso di dare una degna sede di rappresentanza al governo della capitale Napoli e al suo reame, volle che venisse costruita una reggia tale da poter reggere il confronto con quella di Versailles. Si diede inizialmente per scontato che sarebbe stata costruita a Napoli, ma Carlo di Borbone, cosciente della considerevole vulnerabilità della capitale a eventuali attacchi (specie da mare), pensò di costruirla verso l'entroterra, nell'area casertana: un luogo più sicuro e tuttavia non troppo distante da Napoli[3].

Dopo il rifiuto di Nicola Salvi, afflitto da gravi problemi di salute, il sovrano si rivolse all'architetto Luigi Vanvitelli, a quel tempo impegnato nei lavori di restauro della basilica di Loreto per conto dello Stato Pontificio. Carlo di Borbone ottenne dal Papa di poter incaricare l'artista e nel frattempo acquistò l'area necessaria, dove sorgeva il palazzo cinquecentesco degli Acquaviva, dal loro erede duca Michelangelo Caetani, pagandola 489.343 ducati, una somma che seppur enorme fu certamente oggetto di un forte sconto: Gaetani, infatti, aveva già subìto la confisca di una parte del patrimonio per i suoi trascorsi antiborbonici.

Il re chiese che il progetto comprendesse, oltre al palazzo, il parco e la sistemazione dell'area urbana circostante, con l'approvvigionamento da un nuovo acquedotto (Acquedotto Carolino) che attraversasse l'annesso complesso di San Leucio. La nuova reggia doveva essere simbolo del nuovo stato borbonico e manifestare potenza e grandiosità, ma anche essere efficiente e razionale.

Il progetto si inseriva nel più ampio piano politico di re Carlo di Borbone, che probabilmente voleva anche spostare alcune strutture amministrative dello Stato nella nuova Reggia, collegandola alla capitale Napoli con un vialone monumentale di oltre 20 km. Questo piano fu però realizzato solo in parte; anche lo stesso palazzo reale non fu completato della cupola e delle torri angolari previste inizialmente.

Vanvitelli giunse a Caserta nel 1751 e diede inizio subito alla progettazione del palazzo, commissionatogli con l'obbligo di farne uno dei più belli d'Europa. Il 22 novembre di quell'anno l'architetto sottopose al re di Napoli il progetto definitivo per l'approvazione. Due mesi dopo, il 20 gennaio 1752, genetliaco del re, nel corso di una solenne cerimonia alla presenza della famiglia reale con squadroni di cavalleggeri e di dragoni che segnavano il perimetro dell'edificio, fu posta la prima pietra. Tale momento viene ricordato dall'affresco di Gennaro Maldarelli che campeggia nella volta della Sala del Trono.

L'opera faraonica che il re di Napoli gli aveva richiesto spinse Vanvitelli a circondarsi di validi collaboratori: Marcello Fronton lo affiancò nei lavori del palazzo, Francesco Collecini in quelli del parco e dell'acquedotto, mentre Martin Biancour, di Parigi, venne nominato capo-giardiniere. L'anno dopo, quando i lavori della reggia erano già a buon punto, venne cominciata la costruzione del parco. I lavori durarono complessivamente diversi anni e alcuni dettagli rimasero incompiuti. Nel 1759, infatti, Carlo di Borbone di Napoli era salito al trono di Spagna (con il nome di Carlo III) e aveva lasciato Napoli per Madrid.

I sovrani che gli succedettero, Gioacchino Murat, che all'abbellimento della reggia diede un certo contributo, Ferdinando IV (divenuto poi dopo il congresso di Vienna Ferdinando I delle Due Sicilie), Francesco I, Ferdinando II e Francesco II, col quale ebbe termine in Italia la dinastia dei Borbone, non condivisero lo stesso entusiasmo di Carlo di Borbone per la realizzazione della Reggia. Inoltre, mentre ancora nel XVIII secolo non era difficile reperire manodopera economica grazie ai cosiddetti barbareschi catturati dalle navi napoletane nelle operazioni di repressione della pirateria praticata dalle popolazioni rivierasche del Nordafrica, tale fonte di manodopera si azzerò nel secolo successivo con il controllo francese dell'Algeria.

Infine, il 1º marzo 1773 morì Vanvitelli al quale successe il figlio Carlo: questi, anch'egli valido architetto, era però meno estroso e caparbio del padre, al punto che trovò notevoli difficoltà a compiere l'opera secondo il progetto paterno.

Palazzo[modifica | modifica wikitesto]

La reggia, definita l'ultima grande realizzazione del Barocco italiano[4], fu terminata nel 1845 (sebbene fosse già abitata nel 1780), risultando un grandioso complesso di 1 200 stanze e 1 742 finestre, per una spesa complessiva di 8 711 000 ducati. Nel lato meridionale, il palazzo è lungo 249 metri, alto 37,83, decorato con dodici colonne. La facciata principale presenta un avancorpo centrale sormontato da un frontone; ai lati del prospetto, dove il corpo di fabbrica longitudinale si interseca con quello trasversale, si innestano altri due avancorpi. La facciata sul giardino è uguale alla precedente, ma presenta finestre inquadrate da lesene scanalate.

Il palazzo ricopre un'area di circa 47.000 m²;[5] dispone di 1 026 fumaroli e 34 scale[6]. Oltre alla costruzione perimetrale rettangolare, il palazzo ha, all'interno del rettangolo, due corpi di fabbricato che s'intersecano a croce e formano quattro vasti cortili interni di oltre 3.800 m² ciascuno.

Oltre la soglia dell'entrata principale alla reggia si apre un vasto vestibolo ottagonale del diametro di 15,22 metri, adorno di venti colonne doriche. A destra e a sinistra si inseriscono i passaggi che portano ai cortili interni, mentre frontalmente un triplice porticato immette al centro topografico della reggia.

Cappella Palatina

In fondo, un terzo vestibolo dà adito al parco. Su un lato del vestibolo ottagonale si apre il magnifico scalone reale a doppia rampa, un autentico capolavoro di architettura tardo barocca, largo 18,50 metri alto 14,50 metri e dotato di 117 gradini, immortalato in numerose pellicole cinematografiche. Ai margini del primo pianerottolo della scalinata si trovano due leoni in marmo di Pietro Solari e Paolo Persico, mentre il soffitto, caratterizzato da una doppia volta ellittica, fu affrescato da Girolamo Starace-Franchis con Le quattro Stagioni e La reggia di Apollo; sulla parete centrale è addossata una statua di Carlo di Borbone, opera di Tommaso Solari, affiancata da La verità e Il merito, realizzate rispettivamente da Andrea Violani e Gaetano Salomone.

La doppia rampa si conclude in un vestibolo posto al centro dell'intera costruzione. Di fronte si trova l'accesso alla grande Cappella Palatina, ispirata a quella della Reggia di Versailles; questo spazio, definito da un'elegante teoria di colonne binate che sostengono una volta a botte, è stato danneggiato durante la seconda guerra mondiale, quando andarono perduti gli organi e tutti gli arredi sacri, e quindi restaurato. Sul retro della cappella, ancora inglobato all'interno del palazzo, è posto il Teatro di Corte, caratterizzato da una pianta a ferro di cavallo, con una capienza di 450 posti: fu inaugurato nel 1769 alla presenza di Ferdinando I delle Due Sicilie.

Invece, alla sinistra del vestibolo si accede agli appartamenti veri e propri. La prima sala è quella degli Alabardieri, con dipinti di Domenico Mondo (1785), alla quale segue quella delle guardie del corpo, arredata in stile Impero e impreziosita da dodici bassorilievi di Gaetano Salomone, Paolo Persico e Tommaso Bucciano. La successiva sala, intitolata ad Alessandro il Grande e detta del "baciamano", è affrescata da Mariano Rossi, che vi rappresentò il matrimonio tra Alessandro e Rossane (1787). Si trova al centro della facciata principale e funge da disimpegno tra l'Appartamento Vecchio e l'Appartamento Nuovo.

Sala del trono

L'Appartamento Vecchio, posto sulla sinistra, fu il primo a essere abitato da Ferdinando IV e dalla consorte Maria Carolina ed è composto da una serie di stanze con pareti rivestite in seta della fabbrica di San Leucio. Le prime quattro stanze, di conversazione, sono dedicate alle quattro stagioni e affrescate da artisti come Antonio Dominici e Fedele Fischetti. Segue lo studio di Ferdinando II, con dipinti a tempera di Jakob Philipp Hackert che rappresentano vedute di Capri, Persano, Ischia, la Vacchieria di San Leucio, Cava de' Tirreni e il giardino inglese della reggia stessa. Dallo studio si accede, mediante un disimpegno, alla camera da letto di Ferdinando II, i cui mobili però furono distrutti e rifatti in stile Impero dopo la morte del sovrano a causa di una malattia contagiosa. Oltre la camera è la sala dei ricevimenti, che, mediante una serie di anticamere, è collegata direttamente alla Biblioteca Palatina e quindi alla cosiddetta Sala Ellittica, che ospita un fulgido esempio di presepe napoletano.

L'Appartamento Nuovo, posto sulla destra della sala di Alessandro il Grande, fu costruito tra il 1806 e il 1845. Vi si accede tramite la Sala di Marte, progettata da Antonio de Simone in stile neoclassico e affrescata da Antonio Galliano. Proseguendo oltre l'adiacente Sala di Astrea, con rilievi e stucchi dorati di Valerio Villareale e Domenico Masucci, si giunge quindi all'imponente Sala del Trono, che rappresenta l'ambiente più ricco e suggestivo degli appartamenti reali. Questo era il luogo dove il re riceveva ambasciatori e delegazioni ufficiali, in cui si amministrava la giustizia del sovrano e si tenevano i fastosi balli di corte. Una sala lunga 36 metri e larga 13,50, ricchissima di dorature e pitture, che fu terminata nel 1845 su progetto dell'architetto Gaetano Genovese. Intorno alle pareti corre una serie di medaglioni dorati con l'effigie di tutti i sovrani di Napoli, da Ruggero d'Altavilla a Ferdinando II di Borbone (tranne Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat), poi un'altra serie con gli stemmi di tutte le province del regno, mentre nella volta domina l'affresco di Gennaro Maldarelli (1844) che ricorda la cerimonia della posa della prima pietra. Le successive stanze rappresentano il cuore dell'Appartamento Nuovo e furono ultimate dopo il 1816. Tra queste si ricorda la camera di Gioacchino Murat, in stile Impero, con mobili in mogano e sedie con le iniziali dello stesso Murat.

Quadreria[modifica | modifica wikitesto]

  • Sala I. Conserva i dipinti orientalisti di Michele Scaroina, che attestano l'interesse sempre vivo da parte della corte borbonica per la civiltà orientale.
  • Sala II. Raccoglie le opere dei migliori allievi dell'Accademia di belle arti di Napoli; si segnala il dipinto del pittore foggiano Giuseppe De Nigris Paesaggio con Ossian e giovinetta che suona la cetra che indica quanto fosse viva l'opera dello scrittore James Macpherson autore de I canti di Ossian.
  • Sala III. Da segnalare l'opera dell'anconetano Francesco Podesti Leonardo che presenta il pensiero del Cenacolo al Duca di Milano Ludovico il Moro che si caratterizza per la raffinata esecuzione e la puntuale ambientazione storica.
  • Sala IV. La sala contiene una collezione di nature morte.
  • Sala V. Sono qui esposti dipinti della scuola di Salvator Rosa.
  • Sala VI. Vi si ammirano le opere legate al tema "I Santi: la Passione ed il Martirio".
  • Sala VII e sala VIII. Vi ha sede la collezione di ritratti della Corte Borbonica e delle corti europee a essa legate con vincoli matrimoniali.
  • Sala IX. È dominata dalla tela del pittore Salvatore Fergola Inaugurazione della Ferrovia Napoli-Portici[7].

Il Presepe Reale[modifica | modifica wikitesto]

Presepe Reale, Sala Ellittica

Il Presepe Reale è allestito nella Sala Ellittica della reggia. La tradizione del presepe natalizio venne inaugurata da Carlo di Borbone e poi ripresa dai suoi successori: è soprattutto Francesco I, vero appassionato delle figure presepiali, che si rivelerà un grande collezionista di pastori. Nell'archivio storico della reggia si ha testimonianza di come la realizzazione del presepio ogni Natale coinvolgesse non solo artisti e artigiani di corte, tra i quali i due pittori e scenografi Salvatore Fergola e Giovanni Cobianchi, ma anche le principesse e le dame di Corte, abilissime nel confezionamento degli abiti delle figure.[8] La struttura di base, detta “Lo scoglio”, è realizzata in sughero ed occupa una superficie di 40 metri quadri; su questa sono collocate le 1200 figure secondo rigide regole e nel rispetto delle scene canoniche. Le più importanti sono realizzate interamente in terracotta, mentre quelle minori sono composte di un'anima di stoppa, sorretta da un fil di ferro, con solo la testa, le mani e i piedi in terracotta. Quello che si può vedere oggi esposto nella Sala Ellittica è una ricostruzione del 1988 del maestoso presepe del 1844 voluto da Ferdinando II: l'originale andò tragicamente perduto a seguito del furto subito nel 1985.[9] Oltre alle scene tradizionali della Natività con l'Adorazione dei Magi si possono vedere altre scene, come il Pascolo delle bufale, la Sosta alla fontana, il Mercato e la Taverna Napoletana con figure di musici e avventori, utili ai fini della ricostruzione della vita quotidiana dell'epoca. Notevole è l'utilizzo di minuterie, tipiche del presepe napoletano settecentesco.

Terrae Motus[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta di una collezione di arte contemporanea, voluta da Lucio Amelio, donata alla reggia nel 1994: comprende circa una settantina di opere di autori come Joseph Beuys, Keith Haring, Anselm Kiefer, Andy Warhol e artisti italiani[10].

Il Parco[modifica | modifica wikitesto]

Veduta del parco

Il Parco della Reggia, che si trova alle spalle del Palazzo Reale, si estende per 3,3 km di lunghezza ed ha una superficie di 122 ettari. Così come la Reggia, venne progettato da Luigi Vanvitelli, che cominciò a lavoravi nel 1753. Tuttavia la struttura del Parco sembra rispettare solo in parte i progetti originali dell’architetto: in seguito alla sua morte (nel 1773) i lavori di costruzione vennero affidati al figlio Carlo Vanvitelli, che, pur rimanendo fedele alle volontà del padre, dovette applicare delle semplificazioni al progetto originale per ridurne le spese.

Il Parco è attraversato longitudinalmente (sull’asse sud-nord) da un ampio viale che collega il Palazzo al Giardino Inglese. La struttura prevede un vasto parterre iniziale, progettato secondo il modello dei giardini francesi, dal quale si dipartono le strade laterali che conducono al Bosco Vecchio (Peschiera e Castelluccia) e ai boschi di lecci circostanti. Lungo il viale si incontra una serie di 6 fontane (Fontana Margherita, Fontana dei delfini, Fontana di Eolo, Fontana di Cerere, Fontana di Venere e Adone, Fontana di Venere e Atteone) che termina alle pendici del monte Briano. Da questo scende una cascata alta 78 mt, la cui acqua proviene dall’Acquedotto Carolino, realizzato appositamente dal Vanvitelli per l’alimentazione dell’intero Parco.

Il Bosco vecchio[modifica | modifica wikitesto]

Alla sinistra del parterre si trova il Bosco vecchio, preesistente alla realizzazione del Parco. Questo infatti era stato realizzato tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento dai principi Giulio Antonio (1578-1589) e Andrea Matteo Acquaviva (1594-1634) e costituiva il giardino adiacente alla residenza della nobile famiglia casertana. In seguito divenne proprietà dei Catani di Sermoneta, dai quali Carlo di Borbone acquistò il terreno necessario all’edificazione della Reggia. Vanvitelli, nel rispetto del contesto naturalistico esistente, decise di non stravolgere la struttura del bosco, limitandosi a rinfoltire la vegetazione costituita da lecci, edera e ruscus. All’interno del Bosco Vecchio si trovano due strutture concepite in seguito per lo svago del re Ferdinando IV: la Castelluccia e la Peschiera.

La Castelluccia è una piccola torretta a pianta ottagonale circondata da un fossato. Costruita sopra ad un casino preesistente appartenuto agli Acquaviva (detto Prenesta), la piccola fortezza, con fossato, bastioni, ponti levatoi e caserme, fu realizzata nel 1769 dall’architetto Francesco Collecini, per lo svago del giovane Ferdinando IV: qui infatti venivano inscenate finte battaglie terrestri per permettere al re di esercitarsi nell’arte della guerra. Tuttavia la struttura che si può vedere oggi non presenta queste caratteristiche militari. L’edificio cadde infatti in disuso e fu fatto restaurare nel 1818 dallo stesso Ferdinando, ma con uno stile architettonico nettamente diverso, più simile all’elegante casino progettato dal Vanvitelli.

Anche la Peschiera, così come la Castelluccia, è stata realizzata nel 1769 dall’architetto Francesco Collecini per “i giochi del re e della pesca”. Si tratta di una vasca ellittica di 270 mt di lunghezza per 150 di larghezza, con una profondità di 3,50 mt, destinata alle esercitazioni militari del sovrano. Ferdinando IV era infatti un grande appassionato di naumachie e il bacino artificiale gli permetteva di inscenare finte battaglie navali: il re, a bordo di “piccoli legni da guerra”, fabbricati appositamente per questo scopo, assaltava il cosiddetto “pagliaro” (un casino con il tetto di paglia) che sorgeva sull’isolotto centrale. Secondo i progetti del Vanvitelli sull’isolotto sarebbe dovuto sorgere un padiglione aperto da ogni lato, ma il re ordinò che venisse realizzata una sala da ballo per le feste; tuttavia il progetto rimase incompiuto.

La fontane e la “Via d'acqua”[modifica | modifica wikitesto]

Peschiera

Alla fine del parterre si trova la fontana Margherita, che segna l’inizio della seconda zona del Parco, la cosiddetta “Via d’Acqua”: estesa in lunghezza, appositamente progettata per creare uno scenografico effetto prospettico, si estende dalla fontana dei Delfini a quella di Diana e Atteone.

La fontana Margherita è la più modesta tra le fontane, nonché la prima ad essere stata costruita. È detta anche “del canestro” per la sua forma circolare e per le decorazioni che ricordano l’intreccio di un canestro.

Di seguito si incontra la prima fontana della “Via d’acqua”, la fontana dei Delfini, realizzata dello scultore Gaetano Salomone tra il 1776 e il 1779. Prende il suo nome dai tre monumentali delfini in travertino di Bellona, dalle cui gole escono i getti d’acqua che alimentano la vasca sottostante, lunga 470 mt larga 27 e con una profondità di 3 metri. Il grande mostro marino centrale, con la testa e il corpo di delfino ma con braccia e artigli terrestri, è appoggiato ad una scogliera, il cui fondo è costituito da una parete semicircolare sormontata da una balaustra in ferro battuto.

La fontana di Eolo è la più spettacolare e la più ricca di gruppi marmorei, fu eseguita infatti da una squadra di artisti: Salomone, Brunelli, Violani, Persico e Solari e ultimata nel 1785. È composta da un emiciclo a porticato, le cui arcate riproducono delle “caverne”, figurativamente dimora dei venti, qui rappresentati come figure alate dalla cui bocca sgorga l’acqua. Le 28 statue dei venti inscenano l’episodio di Eolo che, sollecitato da Giunone, scatena la loro furia contro Enea. Il progetto originale prevedeva un grande gruppo scultoreo di Eolo e Giunone su un carro trainato da pavoni, circondato da nuvole e ninfe, che però non fu mai realizzato. Le sculture di Giunone e dei pavoni sono state recentemente situate all’ingresso degli uffici nel secondo cortile del PalazzoReale.

La terza fontana della “Via d’acqua” è la fontana di Cerere, realizzata in marmo di Carrara da Gaetano Salomone tra il 1783 e il 1785. Cerere, dea contadina della fertilità, sostiene la medaglia della Trinarchia (la Sicilia) circondata da coppie di tritoni, delfini e Nereidi. Ai lati sono rappresentati i due fiumi siciliani, l’Anapo e l’Arethusa, sotto forma di divinità maschili, che reggono anfore dalle quali escono getti d’acqua.

La penultima fontana è quella di Venere e Adone, anche questa realizzata da Gaetano Salomone tra il 1784 e il 1789. La composizione statuaria in marmo di Carrara raffigura il mito dell’amore dei due dei: Venere inginocchiata che prende la mano di Adone e lo supplica di non recarsi alla caccia, perché lì incontrerebbe la morte; Adone, ignaro, la guarda sorridente, mentre poco più in là si vede un cinghiale (nel quale nel mito si cela Marte, il dio della guerra) posto sulla roccia, in atteggiamento predatorio. L’interpretazione del mito è spiccatamente rococò, e testimonia come l’influenza della tradizione barocca napoletana fosse imprescindibile per gli artisti casertani.

’ultima, alle pendici del monte Briano, è la fontana di Diana e Atteone, che segna i confini del giardino all’italiana. A questa lavorarono Tommaso e Pietro Solari, Paolo Persico e Angelo Brunelli e venne completata nel 1785 e il 1787. Nella fontana si distinguono due gruppi di statue: da una parte Diana circondata dalle sue Ninfe e dall’altra Atteone con la testa in cervo. Come racconta il mito Atteone aveva spiato Diana mentre faceva il bagno con la sue ninfe; di conseguenza la dea, per punirlo, lo aveva trasformato in cervo, causandogli la morte sbranato dai suoi stessi cani. Il tema della caccia è presente in tutta la simbologia del parco, come riporta Vanvitelli nei suoi scritti, essendo il culto di Diana molto diffuso nel casertano, ricco di boschi e selvaggina.

Il Giardino inglese[modifica | modifica wikitesto]

Scorcio del giardino inglese

All'interno del parco fu realizzato da John Andrea Graefer un giardino voluto dalla regina Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, moglie di Ferdinando IV, secondo i dettami dell'epoca che videro prevalere il giardino detto "di paesaggio" o "all'inglese", sottolineatura dell'origine britannica di spazi il più possibile fedeli alla natura (o almeno alla sua interpretazione secondo i canoni del Romanticismo).

La regina fu convinta da sir William Hamilton, inviato straordinario di sua maestà britannica presso il Regno delle Due Sicilie il quale, per individuare l'esperto progettista del giardino, si rivolse a sir Joseph Banks, noto per gli studi botanico-naturalisti e per aver partecipato con il capitano James Cook alla leggendaria spedizione dell'Endeavour. La scelta cadde su John Andrew Graefer, figura di spicco tra i botanici anglosassoni, allievo di Philip Miller. Graefer era noto nell'ambiente botanico internazionale anche per aver introdotto in Inghilterra numerose piante esotiche, alcune delle quali dal remoto Giappone.

L'opera di John Andrea Graefer cominciò nel 1786 e consentì al giardino di formarsi, di anno in anno, con piante e sementi individuate a Capri, Maiori, Vietri, Salerno, Cava de' Tirreni, Agnano, Solfatara, Gaeta. Nel 1789, mentre proseguiva il suo lavoro al Giardino Inglese, Graefer pubblicò in Inghilterra il Catalogo descrittivo di oltre millecento Specie e Varietà di Piante Erbacee e Perenni.

Il giardino è caratterizzato dall'apparente disordine "naturale" di piante (molte le essenze rare e, comunque, non autoctone), corsi d'acqua, laghetti, "rovine" secondo la moda nascente derivata dai recenti scavi pompeiani. Di spicco, il bagno di Venere, il Criptoportico, i ruderi del Tempio dorico.

Le fontane del parco sono alimentate dall'acquedotto Carolino, che fu inaugurato nel 1762 da re Ferdinando IV. Quest'opera che attinge l'acqua a 41 km di distanza è, per la maggior parte, costruita in gallerie, che attraversano 6 rilievi, e 3 viadotti (molto noto quello denominato "I ponti della Valle" sito in Valle di Maddaloni, di 60 metri di altezza e 528 metri di lunghezza, ispirato agli acquedotti di epoca romana).

Il suo autore, John Andrea Graefer, lasciò la Reggia di Caserta il 23 dicembre 1798 imbarcandosi sulla nave dell'ammiraglio Horatio Nelson insieme con la famiglia reale in fuga dall'arrivo dei francesi. Il giardino fu curato negli anni successivi dai tre figli di Graefer che presero in fitto il giardino dal Direttorio francese di Napoli e lo curarono salvandolo dalla rovina.

Cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

Il regista cinematografico George Lucas ha girato diverse scene dei film La minaccia fantasma e L'attacco dei cloni, ovvero il primo e il secondo episodio della serie Guerre stellari, all'interno della Reggia di Caserta (i cui interni sono stati riproposti come la reggia del pianeta Naboo). Inoltre, nella Reggia sono state ambientate alcune parti dei film Donne e briganti, Ferdinando I° re di Napoli, Il pap'occhio, Sing Sing, Li chiamarono... briganti!, Ferdinando e Carolina, Mission: Impossible III e Io speriamo che me la cavo; alcune scene della seconda serie televisiva di Elisa di Rivombrosa sono ambientate nella Reggia, anche se in realtà sono state girate all'interno di una località romana.

Va segnalata anche la pellicola I tre aquilotti del 1942, per la regia di Mario Mattoli, che vede un giovanissimo Alberto Sordi impersonante la parte di un allievo ufficiale dell'Accademia della Regia Aeronautica, all'epoca dislocata presso la Reggia di Caserta.

Gli interni del palazzo sono anche presenti nelle fiction RAI Giovanni Paolo II, dove ricreano gli interni dei Palazzi Vaticani, e Luisa Sanfelice.

Dal 17 al 20 giugno 2008 la Reggia è stata utilizzata per alcune riprese della troupe cinematografica del film Angeli e Demoni, ispirato all'omonimo romanzo di Dan Brown, autore anche del best seller Il codice da Vinci[11].

Curiosità[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1861, con la nascita del Regno d'Italia, funzionari sabaudi censirono quanto contenuto nella Reggia. Il bidet fu così inventariato: "strano oggetto a forma di chitarra"[12].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ 2017. Tutti i numeri dei musei italiani, su beniculturali.it. URL consultato l'8 gennaio 2018..
  2. ^ (EN) Lista dei patrimoni dell'umanità, su Whc.unesco.org. URL consultato il 5 gennaio 2016.
  3. ^ La storia della Reggia di Caserta
  4. ^ N. Pevsner, J. Fleming, H. Honour, Dizionario di architettura, Torino 1981, voce Vanvitelli, Luigi.
  5. ^ CampaniaBeniCulturali - Reggia di Caserta, su reggiadicaserta.beniculturali.it. URL consultato il 29 marzo 2012.
  6. ^ Royal Palace of Caserta guide, page 6, box: "I numeri della Reggia di Caserta", su issuu.com.
  7. ^ Le notizie sulla Quadreria sono tratte da: Carmine Negro La Reggia di Caserta riapre al pubblico con un nuovo allestimento “Maestà Regia - Arte a Palazzo sul sito [1] (PDF)
  8. ^ La sala del presepe, su reggiadicaserta.beniculturali.it. URL consultato il 4 ottobre 2017.
  9. ^ Rubato dalla Reggia l'intero presepe settecentesco, in Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 3 ottobre 2017.
  10. ^ Collezione "Terrae Motus", su arte.it. URL consultato il 24 giugno 2016.
  11. ^ In origine la Reggia di Caserta non doveva essere inserita nella lista delle location destinate alle riprese del film, ma vi è entrata dopo che la Diocesi di Roma ha negato al cast il permesso di filmare all'interno delle chiese romane di Santa Maria del Popolo e di Santa Maria della Vittoria.
  12. ^ Erminio De Biase, L'Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie: vivi e lascia morire, 2002, p. 159.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Template:Bibliografia
  • Rosanna Cioffi (a cura di), Casa di Re - Un secolo di storia alla Reggia di Caserta 1752 - 1860, Milano-Firenze, Skira, 2004, ISBN 88-7624-207-4.
  • Gian Marco Jacobitti e Anna Maria Romano (a cura di), Il Palazzo Reale di Caserta, Napoli, Electa, 2003, ISBN 88-510-0185-5.
  • Felice Defilippis Il Palazzo reale di Caserta e i Borboni di Napoli - Di Mauro Editore, 1968, Cava dei Tirreni.
  • Carlo Knight (con introduzione di Harold Hacton), Il Giardino Inglese di Caserta, Un'avventura settecentesca, Sergio Civita Editore, 1986.
  • Norberto Hadrava, Ragguagli di vari scavi e scoverte di antichità fatte nell'isola di Capri, Napoli 1793, Ristampa Napoli 1984
  • Touring Club Italiano-La Biblioteca di Repubblica, L'Italia: La Campania, Touring editore, 2004.
  • Hersey, George. Architecture, Poetry, and Number in the Royal Palace at Caserta, (Cambridge: MIT Press) 1983. Caserta interpreted through the Neapolitan philosopher Giambattista Vico
  • Flavia Belardelli,Salvatore Bonomo, Anna Maria Romano, Reggia e parco, Caserta, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1996, ISBN 8824038352
  • Lucia Bellofatto, Giovanna Petrenga, Anna Maria Romano, La Reggia di Caserta, Milano, Skira, 1999, ISBN 8881186268
  • Italo Bonardi, Il Parco della Reggia di Caserta, Milano, Le vie d'Italia, 1926.

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Categoria:Reggia di Caserta Categoria:Architetture del Vanvitelli