Utente:Filos96/Sandbox

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Dalle lontane origini quale città-stato nell'Italia antica del IX secolo a.C., al sorgere e all'estendersi dell'impero su buona parte dell'Europa, dell'Asia mediterranea e del Nord Africa, fino al declino del V secolo, la storia di Roma antica fu spesso inscindibilmente legata alle sue vicende militari. Il nucleo della storia delle campagne dell'esercito romano è costituito da un complesso di diversi resoconti delle battaglie sostenute dall'esercito romano, dall'iniziale difesa dell'originario colle dai vicini italici, con la conseguente annessione, fino all'estrema difesa del declinante Impero romano contro le tribù di invasori Unni, Vandali e Germani, dopo la sua separazione in Impero d'Occidente e Impero d'Oriente. Questi resoconti sono tramandati da varie fonti contemporanee e successive alla storia dell'Impero.

Nonostante la dimensione circum-mediterranea raggiunta dalla sua potenza politica, nella storia militare di Roma le battaglie navali furono in genere meno rilevanti di quelle terrestri: una conseguenza, questa, dell'incontrastato dominio sui mari assicurato dalle vittorie conseguite nei violenti scontri navali sostenuti durante la prima guerra punica.

L'esercito di Roma antica si misurò dapprima con le tribù confinanti e con le città etrusche d'Italia, per estendere in seguito il suo dominio a buona parte dell'area mediterranea. La vocazione continentale di Roma spinse ben più oltre l'ascesa militare: questa, all'apice della sua potenza, giunse fino alle province della Britannia e dell'Anatolia. Come per molte civiltà antiche, l'esercito romano assolse un triplice compito: difesa dei confini; sfruttamento delle aree periferiche con misure di imposizione tributaria sui popoli sottomessi; mantenimento dell'ordine interno.[1] Fin dall'inizio, l'esercito romano rese tipico questo schema e la maggior parte delle campagne militari di Roma furono caratterizzate da uno dei due tipi: il primo è quello della campagna di espansione territoriale, normalmente concepita come una controffensiva,[2] in cui ogni vittoria conduceva alla sottomissione di vaste aree territoriali permettendo a Roma di liberarsi dalla sua dimensione di piccola città fino a divenire uno dei più grandi imperi del mondo antico, che racchiudeva in sé circa un quarto della popolazione mondiale;[3] il secondo tipo è quello della guerra civile, i cui esempi afflissero la vita di Roma dalla sua fondazione fino al crollo finale.

Gli eserciti di Roma non erano invincibili, nonostante la loro formidabile reputazione, e la lunga serie di vittorie:[4] lungo i secoli, anche i Romani «seppero produrre la loro quota di incompetenti»[5], condottieri in grado di trascinare gli eserciti romani verso catastrofiche debacle. Tuttavia, fu questo perfino il destino dei più grandi nemici di Roma, come Pirro e Annibale,[6] saper vincere le battaglie ma non la guerra. La storia delle campagne militari di Roma è, se non altro, anche quella di un'ostinata perseveranza, in grado di superare perfino le più spaventose perdite.[7][8] Indice [nascondi]

   * 1 Età regia (756 – 459 a.C.)
   * 2 Epoca repubblicana
         o 2.1 La prima fase di difesa ed espansione (508 – 274 a.C.)
               + 2.1.1 Le prime campagne italiane (fino al 396 a.C.)
               + 2.1.2 Invasioni celtiche dell'Italia (390–387 a.C.)
               + 2.1.3 Espansione in Italia (343–282 a.C.)
               + 2.1.4 Guerra contro Pirro (280–275 a.C.)
         o 2.2 Espansione nel Mediterraneo (274 – 148 a.C.)
               + 2.2.1 Guerre puniche (264–146 a.C.)
               + 2.2.2 Conquista della penisola iberica (218–19 a.C)
               + 2.2.3 Macedonia, le poleis greche e l'Illirico (215–148 a.C.)
         o 2.3 Tarda repubblica (147 – 30 a.C.)
               + 2.3.1 Guerra giugurtina (111 – 104 a.C.)
               + 2.3.2 Il risorgere della minaccia celtica (121 a.C.)
               + 2.3.3 Nuove minacce dai germani: le guerre cimbriche (113–101 a.C.)
               + 2.3.4 Malcontenti interni: rivolte servili, guerre sociali e guerre civili (135–71 a.C.)
                     # 2.3.4.1 Rivolte servili e guerra contro i socii
                     # 2.3.4.2 Guerra civile tra Mario e Silla
               + 2.3.5 Conflitti con Mitridate (89–63 a.C.)
               + 2.3.6 Campagna contro i pirati cilici (67 a.C.)
               + 2.3.7 Prime campagne di Cesare (59–50 a.C.)
               + 2.3.8 Il primo triumvirato, l'ascesa di Cesare, e la guerra civile (53–44 a.C.)
               + 2.3.9 Il secondo triumvirato, Ottaviano in Occidente, Antonio in Oriente, la guerra civile (44–31 a.C.)
   * 3 Età imperiale
         o 3.1 Principato e dominato: dai Giulio-Claudi ai Severi (30 a.C. – 235 d.C.)
               + 3.1.1 Espansione dell'impero (40 a.C – 117 d.C.)
               + 3.1.2 L'anno dei quattro imperatori (69 d.C.)
               + 3.1.3 Guerre giudaiche (66–135)
               + 3.1.4 Conflitti con la Partia (161–217)
               + 3.1.5 Conflitti con le genti germano-sarmatiche in Europa (161–189)
         o 3.2 Tardo impero (180 – 476 d.C.)
               + 3.2.1 Il periodo delle invasioni (163–378 d.C.)
                     # 3.2.1.1 Invasioni barbariche del III-IV secolo
               + 3.2.2 Usurpatori (193–394 d.C.)
               + 3.2.3 Lotta con l'impero Sasanide (230–363)
               + 3.2.4 Il Crollo dell'impero romano d'Occidente (402–476)
                     # 3.2.4.1 Invasioni del V secolo
   * 4 Note
   * 5 Bibliografia
         o 5.1 Fonti antiche
         o 5.2 Letteratura storiografica moderna
   * 6 Voci correlate

Età regia (756 – 459 a.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Età regia di Roma.

Ratto delle Sabine, di Nicolas Poussin, Roma 1637–38 (Museo del Louvre)

Il caso di Roma è pressoché unico nel mondo antico: la sua storia, non solo militare, è documentata spesso in gran dettaglio quasi dalla fondazione iniziale della città e fino all'epoca del declino finale. Nonostante alcuni resoconti siano andati perduti, come quello di Traiano sulle sue campagne daciche, mentre altri, come le prime storie su Roma, sono come minimo semi-apocrifi, i resoconti sopravvissuti sulle vicende militari di Roma sono di considerevole dimensione.

La storia più antica, dalla fondazione di Roma quale piccolo villaggio tribale,[9] fino alla fine dell'Età regia con la caduta dei re di Roma, è quella meno conservata. Questo perché, sebbene i primi Romani possedessero un certo livello di alfabetizzazione,[10] dovette mancargli il desiderio di registrare le loro vicende storiche o, in alternativa, le storie da loro registrate dovettero andare perdute.[11]

Sebbene Livio, storico romano tradizionalmente collocato tra il 59 a.C. e il 17 d.C.[12], nella sua opera Ab Urbe condita, elenchi, dal primo insediamento fino ai primi anni, una serie di sette re della Roma arcaica, i primi quattro 're' (Romolo,[13] Numa Pompilio,[14][15] Tullo Ostilio[16][15] e Anco Marzio[17][15]) sono quasi certamente interamente apocrifi. Michael Grant e altri ipotizzano che, prima dell'instaurarsi del dominio etrusco su Roma sotto Tarquinio Prisco, quinto re della tradizione,[18] Roma fosse stata guidata da qualche sorta di autorità religiosa.[19] Pochissimo si conosce della storia militare di Roma durante questa epoca, e quello che la storia ci ha tramandato ha più della natura leggendaria che di una consistenza fattuale. Secondo la tradizione, Romolo fortificò uno dei sette colli di Roma, il colle Palatino, dopo aver fondato la città, e Livio afferma che, poco dopo la sua fondazione, Roma era «pari a qualsiasi delle città circostanti per valore militare».[20] Rappresentazione delle reciproche sfere di influenza delle tre principali potenze del Mediterraneo occidentale alla fine del VI secolo a.C., in coincidenza con il declino del'età regia di Roma. Gli equilibri tra Greci, Etruschi e Cartaginesi si delinearono negli anni che seguirono la battaglia di Alalia, nell'ambito di una più estesa conflittualità greco-punica.

La prima leggendaria campagna, se così la si può chiamare, fu quella nota come Ratto delle Sabine, un'azione offensiva contro molti vicini villaggi abitati dai Sabini, finalizzata al rapimento delle donne necessarie ai romani per assicurarsi prole e discendenza.[21] Secondo Livio, il villaggio sabino di Caenina reagì per primo invadendo il territorio di Roma, ma gli invasori furono respinti e la loro città conquistata. I Sabini di Antemnae furono anch'essi sconfitti in circostanze simili, e così pure i Sabini di Crustumerium. Il grosso dei superstiti attaccò la cittadella, ma i Sabini furono respinti e messi in rotta.[22]

Vi furono ancora guerre contro gli abitanti di Fidenae,[23] Veio,[24] Alba Longa,[25] Medullum, Apiolae,[26] e Collatia.[27]

Sotto i re etruschi Tarquinio Prisco,[28] Servio Tullio[29][22] e Tarquinio il Superbo,[30][22] Roma si espanse in direzione nord-ovest, venendo in conflitto contro i Veientani dopo la scadenza del trattato che aveva concluso la precedente guerra.[31] Vi fu un'altra offensiva contro gli abitanti di Gabii,[32][33] e più tardi contro i Rutuli.[34] I re etruschi furono rovesciati[35] nel contesto di una più ampia esautorazione del potere etrusco nella regione nello stesso periodo, e Roma si diede un assetto repubblicano,[36][37] una forma di governo basata sulla rappresentatività popolare e in contrasto con la precedente autocrazia monarchica.

Epoca repubblicana [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Repubblica romana.

La prima fase di difesa ed espansione (508 – 274 a.C.) [modifica]

Le prime campagne italiane (fino al 396 a.C.) [modifica] Roma e i vicini popoli etrusco-italici.

Le prime guerre storiche furono al tempo stesso azioni di espansione e di difesa, tendenti a proteggere la stessa Roma da città e nazioni circostanti e a consolidarne il radicamento territoriale nella regione.[38] Floro scrive che, a quel tempo,

« [...] i loro vicini, da ogni dove, li infastidivano continuamente [...] e, da qualunque porta uscissero, erano sicuri di incontrare un nemico."[35] »

Nonostante le fonti non siano concordi, è possibile che, in quel periodo, la stessa Roma fosse invasa due volte da eserciti etruschi: la prima nel 509 a.C. circa, sotto lo stesso re Tarquinio il Superbo appena esautorato,[39][40] e la seconda nel 508 a.C. sotto l'etrusco Porsenna.[41][39][42][35]

Inizialmente, gli immediati vicini di Roma erano città o villaggi dei Latini,[43] con un assetto tribale simile a quello di Roma, o anche tribù sabine delle vicine alture appenniniche.[44] Poco alla volta Roma sconfisse sia i pervicaci sabini sia le città locali che erano o egemonizzate dagli Etruschi o città latine che, al pari di Roma, si erano liberate dei loro dominatori etruschi.[44] Roma sconfisse i Lavinii e i Tusculi nella battaglia del lago Regillo , del 496 a.C.,[45][46][43] e i Sabini in una battaglia sconosciuta nel 449 a.C.,[45] gli Equi nella battaglia del Monte Algido nel 458 a.C. e nella battaglia di Corbione nel 446 a.C.[47], i Volsci[48] nella battaglia di Corbione[49] e nella conquista di Anzio del 377 a.C.[50], gli Aurunci nella battaglia di Ariccia,[51] e i Veientani nella battaglia del Cremera nel 477 a.C.,[52][53] nella conquista di Fidenedel 435 a.C.[54][53] e nelle guerre veienti che portarono alla conquista di Veio del 396 a.C.[49][54][53][55] Una volta sconfitti i Veientani, i Romani ebbero effettivamente completato la conquista dei loro immediati vicini etruschi,[56] e, allo stesso tempo, resa sicura la loro posizione contro la minaccia immediata costituita dai popoli tribali delle alture appenniniche.

Per approfondire, vedi le voci Roma e le guerre con Veio e Caduta di Veio.

Roma, tuttavia, controllava ancora solo una ristrettissima area e i suoi affari rivestivano un ruolo minore nell'intero contesto della penisola italica: i resti di Veio, ad esempio, ricadono oggi interamente nei suburbi della Roma moderna[49] e gli interessi di Roma erano da poco venuti all'attenzione dei Greci, portatori della cultura trainante dell'epoca.[57] Il grosso dell'Italia rimaneva ancora in mano ai Latini, ai Sabini, ai Sanniti e ad altri popoli dell'Italia centrale, ai coloni greci delle poleis magnogreche, e, in particolare, ai popoli celtici dell'Italia settentrionale, inclusi i Galli. All'epoca, la civiltà celtica era vibrante e in fase di espansione militare e territoriale, con una diffusione che, sebbene priva di coesione, arrivò a coprire gran parte dell'Europa continentale. Fu proprio per mano dei Celti della Gallia che Roma soffrì una sconfitta umiliante, a cui seguì una battuta d'arresto imposta alla sua espansione: il ricordo di quella sconfitta era destinato ad imprimersi profondamente nella coscienza e nella futura memoria di Roma.

Invasioni celtiche dell'Italia (390–387 a.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Conflitti tra Celti e Romani.

Dal 390 a.C., molte tribù galliche avevano iniziato ad invadere l'Italia dal nord, in un'epoca in cui la civiltà celtica si espandeva attraverso l'Europa, all'insaputa dei Romani i cui interessi si rivolgevano ancora alla sicurezza su uno scenario essenzialmente locale. Ad allertare Roma fu una tribù particolarmente bellicosa,[57][58] i Senoni,[58] che invasero la provincia etrusca di Siena dal nord e attaccarono la città di Clusium (Chiusi),[59] non molto distante dalla sfera d'influenza di Roma. Gli abitanti di Chiusi, sopraffatti dalla forza dei nemici, superiori in numero e per ferocia, chiesero aiuto a Roma. Quasi senza volerlo[57] i Romani non solo si ritrovarono in conflitto con i Senoni, ma ne divennero il principale obiettivo.[59] I Romani li fronteggiarono in una battaglia campale presso il fiume Allia[57][58] intorno agli anni 390–387 a.C.. I Galli, guidati dal condottiero Brenno, sconfissero un'armata romana di circa 15.000 soldati[57] e incalzarono i fuggitivi fin dentro la stessa città, che fu sottoposta ad un parziale ma umiliante sacco[60][61] prima di essere scacciati[58][60][62] o convinti ad andarsene dietro pagamento di un riscatto.[57][59]

Ora che tra Galli e Romani era corso il sangue, altri conflitti intermittenti, per oltre due secoli, continuarono a sorgere tra i due contendenti: la battaglia dell'Anio [58] (presso l'Aniene, circa nel 360 a.C.),[63] la battaglia del lago Vadimone (283 a.C.) contro una coalizione celto-etrusca,[58] la battaglia di Fiesole nel 225 a.C., la battaglia di Talamone nel 224 a.C., la battaglia di Clastidio nel 222 a.C., la battaglia di Cremona nel 200 a.C., la battaglia di Mutina (Modena) nel 194 a.C., la battaglia di Arausio nel 105 a.C., e la battaglia di Vercelli nel 101 a.C.. Ma il problema celtico non si sarebbe risolto se non con la completa sottomissione della Gallia, ad opera di Giulio Cesare, dopo la battaglia di Alesia del 52 a.C.

Espansione in Italia (343–282 a.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Guerre sannitiche, Prima guerra sannitica, Seconda guerra sannitica e Terza guerra sannitica.

Dopo essersi ripresi in maniera sorprendentemente rapida dal sacco di Roma,[64] i Romani rpresero immediatamente la loro espansione in Italia. Nonostante i successi fino ad allora ottenuti, il controllo sull'intera penisola non era, a quel punto, in alcun modo assicurato: i Sanniti erano altrettanto bellicosi[65] e ricchi[66] dei Romani; inoltre, dal canto loro, si prefiggevano di espandersi dall'originario Sannio per assicurarsi nuove terre in quelle fertili pianure italiane[66] su cui insisteva la stessa Roma.[67] La prima guerra sannitica, tra il 343 e il 341 a.C., fece seguito a diffuse incursioni sannitiche nel territorio di Roma[68] e fu una faccenda che si risolse relativamente in fretta: i Romani sconfissero i Sanniti sia nella battaglia del Monte Gauro, nel 342 a.C., che nella battaglia di Suessola, nell'anno successivo, ma furono costretti a ritirarsi dalla guerra senza poter sfruttare il successo fino in fondo, a causa della rivolta di molti degli alleati latini nel conflitto noto come Guerra latina.[69][70] Guerre sannitiche Monte Gauro – Suessula – Forche Caudine – Lautulae – Boviano – Camerino - Sentino – Aquilonia

In questo modo Roma, intorno al 340 a.C., si trovò a dover contendere sia con le incursioni sannite nel suo territorio, sia con le città latine ribelli, in passato sue alleate, con le quali ingagggiò un aspro conflitto. Roma sconfisse i Latini nella battaglia del Vesuvio e di nuovo nella battaglia di Trifano,[70] dopo la quale le città latine furono obbligate a sottomettersi al potere romano.[71][72] Si deve forse al trattamento indulgente che Roma riservò agli sconfitti,[69] la docile sottomissione dei Latini per i 200 anni che seguirono.

La seconda guerra sannitica, dal 327 al 304 a.C., fu un affare più serio e più lungo, sia per i Romani che per i Sanniti,[73] la cui conclusione richiese più di vent'anni di conflitto, e 24 battaglie,[66] a prezzo di gravissime perdite per entrambi gli schieramenti. Le alterne fortune del conflitto arrisero tanto ai Sanniti che ai Romani: i primi si impossessarono di Neapolis nel 327 a.C.,[73] che i Romani si ripresero prima di essere sconfitti nella battaglia delle Forche Caudine[73][74][66] e nella battaglia di Lautulae. I Romani uscirono infine vittoriosi dalla battaglia di Boviano (305 a.C.), quando ormai, già dal 314 a.C., le sorti della guerra stavano volgendo decisamente in favore di Roma, inducendo i Sanniti a trattare la resa a condizioni via via sempre più sfavorevoli. Nel 304 a.C. i Romani giunsero a una massiccia annessione di territori sanniti, su cui fondarono perfino numerose loro colonie. Questo schema militare, con reazioni in forze alle aggressioni e quasi inavvertibili progressi territoriali in contrattacchi strategici, sarebbe diventato un tratto caratteristico della storia militare di Roma antica.

Sette anni dopo la loro sconfitta, mentre il dominio di Roma sull'area sembrava garantito, i Sanniti insorsero di nuovo e sconfissero i Romani nella battaglia di Camerino, nel 298 a.C., che diede inizio alla terza guerra sannitica. Forti di questo successo, cercarono di mettere assieme una coalizione di molti dei popoli che un tempo furono ostili a Roma, tutti quelli che avrebbero potuto desiderare di scongiurare il dominio dell'intera regione da parte di una sola fazione. L'esercito che nel 295 a.C. affrontò i Romani nella battaglia di Sentino[74] includeva una eterogenea coalizione di Sanniti, Galli, Etruschi e Umbri.[75] Quando l'esercito romano ottenne una convincente vittoria anche su queste forze combinate, divenne chiaro che nulla più avrebbe potuto impedire a Roma il dominio sull'Italia. Con la battaglia di Populonia, nel 282 a.C., Roma pose fine alle ultime vestigia dell'egemonia etrusca sulla regione.

Guerra contro Pirro (280–275 a.C.) [modifica] Spostamenti dell'esercito di Pirro durante le guerre pirriche (280 - 275 a.C.).

Per approfondire, vedi la voce Guerre pirriche.

Con l'inizio del terzo secolo, Roma si trovava ad essere una grande potenza dello scacchiere peninsulare, ma non era ancora entrata in attrito con le dominanti potenze mediterranee dell'epoca, Cartagine e i regni della Grecia. Roma aveva sconfitto pienamente i Sanniti, dominava le città latine alleate, e aveva pesantemente ridotto l'influenza etrusca nella regione. Tuttavia, il sud dell'Italia rimaneva ancora in mano alle colonie della Magna Grecia[76] che erano state alleate dei Sanniti e con le quali sarebbe inevitabilmente venuta in urto quale effetto della sua continua espansione.[77][78] Guerra di Pirro Heraclea – Ascoli Satriano – Benevento

Quando una disputa diplomatica tra Roma e la colonia dorica di Tarentum[79] sfociò in aperto conflitto navale con la battaglia di Thurii,[78] Taranto invocò l'aiuto militare di Pirro, re dei Molossi dell'Epiro.[80][78] Spinto dai suoi vincoli diplomatici con Tarentum, e dall'ambizione di mostrare i suoi talenti militari,[81] Pirro sbarcò sul suolo italiano nel 280 a.C.,[82] con un esercito di 25,000 soldati greci[78] e un contingente di elefanti da guerra,[78][83] a cui si unirono alcuni dalle colonie greche e con quella parte dei Sanniti che si erano rivoltati contro il controllo romano. Equilibri politici sanciti dal quarto trattato con Cartagine (279 a.C.): Roma controlla quasi tutta l'Italia centro meridionale. Nel pieno delle guerre con Pirro la zona dello stretto si propone come nuovo punto di attrito tra Roma e Cartagine, preludendo alla prima guerra punica di qualche anno dopo.

L'esercito romano non aveva mai fronteggiato elefanti in battaglia,[83] e una simile inesperienza volse le sorti dello scontro in favore di Pirro, nella battaglia di Heraclea del 280 a.C.,[78][84][83] e ancora una volta nella battaglia di Ausculum del 279 a.C.[85][84][86][83] Nonostante questi successi, Pirro si rese conto che la sua dislocazione in Italia era insostenibile. Roma, durante la permanenza dell'esercito di Pirro in Italia, rifiutò sempre e con intransigenza ogni negoziato.[87] Inoltre, Roma concluse un nuovo trattato con Cartagine, e Pirro, contro ogni sua aspettativa, trovò che nessuno degli altri popoli italici avrebbe defezionato per votarsi alla causa di Greci e Sanniti.[88] Di fronte a una vittoria con perdite inaccettabili, per cui sarà coniato il termine di vittoria di Pirro, in ciascuno degli scontri con lesercito romano, e nell'impossibilità di allargare il fronte delle alleanze in Italia, Pirro ripegò dalla penisola italiana e si rivolse alla Sicilia contro Cartagine,[89] lasciando i suoi alleati a fronteggiare l'esercito romano.[77]

Quando la campagna di Sicilia si rivelò anch'essa un fallimento Pirro, anche su richiesta dei suoi alleati italici, ritornò sul continente per misurarsi ancora una volta con Roma. Nel 275 a.C., Pirro incontrò ancora una volta l'esercito romano nella battaglia di Benevento.[85] Ma Roma aveva ideato nuove tattiche per fronteggiare gli elefanti da guerra, incluso l'uso del giavellotto,[85] del fuoco[89] o, come afferma una fonte, semplicemente colpendo con violenza la testa dei pachidermi.[83] L'esito dello scontro, per quanto non decisivo,[89] rese Pirro consapevole di quanto il suo esercito fosse depauperato e provato da anni di campagne in terra straniera: allontanatasi ai suoi occhi la speranza di future vittorie, il re epirota abbandonò completamente l'Italia.

Le guerre pirriche, avrebbero sortito un grande effetto su Roma, dimostratasi ora capace di misurare la propria potenza militare con quella delle potenze egemoni del Mediterraneo; il conflitto aveva anche dimostrato come i regni greci fossero incapaci di difendere le loro colonie sulle coste dell'Italia e in altro luogo. Roma mosse rapidamente verso il sud dell'Italia, soggiogando e dividendo la Magna Grecia.[90] Affermato un dominio efficace sulla penisola italiana,[91] e forte della sua internazionamente provata reputazione militare,[92] Roma poteva iniziare a guardare oltre, per puntare ad espandersi al di fuori della terraferma italiana. Considerata la barriera naturale delle Alpi a nord, e non volendo ancora misurarsi in battaglia con i fieri popoli gallici, la città lo sguardo si rivolse altrove, alla Sicilia e alle isole del Mediterraneo, una linea politica che l'avrebbe portata in conflitto aperto con la sua alleata di un tempo, la città di Cartagine.[93][92]

Espansione nel Mediterraneo (274 – 148 a.C.) [modifica]

Le prima sortita bellica di Roma al infuori dell'Italia, si ebbe con le guerre puniche, condotte contro Cartagine, una ex colonia fenicia[94] della costa settentrionale dell'Africa, emancipatasi fino a svilupparsi in un potente stato. Queste guerre, iniziate nel 264 a.C.,[95] furono probabilmente i più estesi conflitti mai conosciuti dal mondo antico[96] e segnarono l'ascesa di Roma al ruolo di potenza egemone del Mediterraneo occidentale, con territori che si estendevano fino alla Sicilia, al Nord Africa, alla penisola iberica e, al termine delle guerre macedoniche, svoltesi in contemporanea con quelle puniche, anche in Grecia. Dopo la sconfitta dell imperatore seleucida Antioco III il Grande nella guerra siriaca (Trattato di Apamea del 188 a.C.) che interessò il bacino orientale, Roma emerse come la potenza egemone dell'intero Mediterraneo e la più potente città del mondo classico.

Guerre puniche (264–146 a.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Guerre puniche.

Teatro delle guerre puniche (264–146 a.C.).

La prima guerra punica iniziò nel 264 a.C. quando gli insediamenti in Sicilia fecero appello alle due potenze confinanti, Roma e Cartagine - per la soluzione dei loro conflitti interni.[95] La disponibilità di entrambe le potenze ad venire coinvolte su un territorio terzo potrebbe indicare la volontà di mettere alla prova le reciproche forze senza voler apertamente scatenare una guerra di annientamento; di sicuro, all'interno di Roma, vi era un considerevole disaccordo perfino sull'opportunità di intraprendere la guerra.[97] La guerra si profilò solo inizialmente come un confronto terrestri, in scontri come l'assedio di Agrigento, ma il teatro delle operazioni si spostò presto sul tratto di mare tra Sicilia e Africa. Si trattava di un campo ancora relativamente inesplorato per la tecnica navale dell'esercito romano.[98] In epoca anteriore allo scoppio della prima guerra punica nel 264 a.C., non si poteva nemmeno parlare ancora di una marina militare romana, visto che tutte le precedenti guerre si erano combattute sul suolo italiano. La nuova guerra in Sicilia contro Cartagine, una grande potenza navale,[99] costrinse Roma a costruire velocemente una flotta e ad addestrare i marinai.[100] Guerre puniche Prima – Mercenaria – Seconda – Terza Prima guerra punica Messina – Agrigento – Isole Lipari – Milazzo – Sulci – Tindari – Capo Ecnomo – Adys – Tunisi – 1a Palermo – 2a Palermo – Assedio di Lilibeo – Trapani - Erice – Isole Egadi Seconda guerra punica Ticino – Trebbia – Lago Trasimeno – Canne – Selva Litana - 1a Nola – 2a Nola – 3a Nola – 1a Capua – Silaro – 1a Herdonia – Siracusa – Baetis superiore – 2a Capua – 2a Herdonia – Numistro – Ascoli – Baecula – Grumento – Metauro – Ilipa – Crotone – Campi Magni – Zama Terza guerra punica Battaglia di Cartagine

Il primo approccio di Roma alla guerra navale si risolse inizialmente in vero e proprio "buco nell'acqua"[93] e i primi scontri marittimi della prima guerra punica, come la battaglia delle Isole Lipari, si rivelarono delle vere e proprie catastrofi per Roma, come era da attendersi del resto da una città che, prima d'allora, era praticamente priva di esperienza di marineria militare. Tuttavia, avendo addestrato più marinai ed escogitato il corvo, un congegno per l'abbordaggio delle navi,[101] una forza navale romana sotto il comando di Caio Duilio fu in grado di infliggere una severa sconfitta alla flotta cartaginese nella battaglia di Milazzo. In soli 4 anni, uno stato privo di qualsiasi esperienza di marina, era riuscito in battaglia a far meglio di una grande potenza marittima regionale. La guerra proseguì con successive vittorie navali romane nella battaglia di Tindari e in quella di capo Ecnomo.[102]

Ottenuto il controllo sui mari, Roma sbarcò in armi in Nord Africa, una spedizione, guidata da Atilio Regolo, che ottenne una prima vittoria nella battaglia di Adys[103] che costrinse Cartagine a trattare la resa.[104] Tuttavia i termini imposti da Roma erano così pesanti che i negoziati fallirono[104] e i cartaginesi, in tutta riposta, assoldarono Santippo, un mercenario spartano, cui affidarono il compito di riorganizzare e guidare il loro esercito.[105] Santippo riuscì a tagliar fuori l'esercito romano dalla base, ristabilendo la supremazia navale cartaginese, quindi sconfisse e catturò Atilio Regolo[106] nella battaglia di Tunisi.[107]

La sconfitta subita sul suolo africano non fermò i Romani: grazie alle abilità navali recentemente acquisite, Roma poté ancora una volta battere nettamente i cartaginesi sui mari, nella battaglia delle Isole Egadi, in buon parte grazie alle innovazioni tattiche della flotta romana[95]: Cartagine rimase priva della flotta e dei mezzi finanziari sufficienti ad armarne una nuova. Per una potenza marittima, la perdita dell'accesso al Mediterraneo era una bruciante umiliazione economica e psicologica, così pesante da indurre i cartaginesi a trattare nuovamente la resa.[108]

Nel periodo di pace che fece seguito alla guerra, Roma fu impegnata a regolare i propri conti con la tribù dei Liguri[109] e il popolo dei Celti insubri.[110]

La continua diffidenza tra le parti portò al risorgere delle ostilità nella seconda guerra punica quando Annibale, un esponente della aristocratica famiglia cartaginese dei Barca, attaccò Sagunto,[111][112] una città legata a Roma da vincoli diplomatici.[113] Annibale radunò un esercito in Iberia e irruppe in Italia grazie alla famosa traversata delle Alpi con gli elefanti da guerra al seguito.[114][115] Nella battaglia del Ticino del 218 a.C., primo episodio sul suolo italiano, Annibale sconfisse i Romani di Scipione il Vecchio in un piccolo scontro di cavalleria.[116][117] Ilsuccesso di Annibale continuò con le vittorie nella battaglia del fiume Trebbia,[116][118] nella battaglia del Lago Trasimeno, dove tese un'imboscata all'ignaro esercito romano di Gaio Flaminio,[119][120] e nella battaglia di Canne,[121][122] destinata a diventare uno dei grandi capolavori dell'arte tattica militare, che gli diede la fama di un "Annibale dall'aspetto invincibile",[114] in grado di sconfiggere i Romani a suo piacimento.[123]

Nelle tre battaglie di Nola, il generale romano Marco Claudio Marcello riuscì in un'opera di contenimento, ma Annibale sgominò una serie di eserciti consolari armati nella prima battaglia di Capua, nella battaglia del fiume Silarus (attuale fiume Sele), nella prima e seconda battaglia di Erdonia, nella battaglia di Numistro e in quella di Ausculum del 209 a.C. Fu allora che Asdrubale, fratello di Annibale, cercò di attraversare le Alpi per giungere in Italia e unirsi al fratello con un secondo esercito. Nonostante la sconfitta subita in Iberia nella battaglia di Baecula, Asdrubale riuscì comunque ad aprirsi un varco verso l'Italia, dove però l'attendeva la morte, nella sconfitta definitivamente inflittagli dai consoli Gaio Claudio Nerone e Marco Livio Salinatore nella Battaglia del fiume Metauro del 207 a.C.[114]

Annibale, riluttante o impreparato ad un attacco diretto alla città di Roma, si diede a devastare le contrade italiane. Intanto i Romani, incapaci di sconfiggerlo direttamente, concepirono un'audace manovra diversiva: lo sbarco di un esercito in Africa allo scopo di aprire un nuovo fronte e minacciare la capitale cartaginese.[124] Nel 203 a.C., nella battaglia dei Campi Magni presso il fiume Bagradas, l'esercito degli invasori romani, guidato da Scipione Africano, sconfisse i cartaginesi di Asdrubale Giscone e Syphax, determinando il richiamo in patria di Annibale per fronteggiare la situazione.[114] Lo scontro finale fu in favore dei Romani di Scipione, che nella celebre battaglia di Zama inflissero ad Annibale una severissima sconfitta,[125] forse addirittura un vero annientamento[114], in ogni modo decisivo nel decretare la fine della seconda guerra punica.

Cartagine non riuscì mai a riaversi dalla sconfitta[126] e la terza guerra punica che seguì fu in realtà solo una spedizione punitiva per radere al suolo la città punica.[127] Cartagine era quasi indifesa e, una volta sotto assedio, offì immediatamente la resa, acconsentendo a una serie di oltraggiose richieste di Roma.[128] I Romani rifiutarono la resa, chiedendo, come condizione ulteriore, la completa distruzione della città;[129] i Cartaginesi, avendo ormai ben poco da perdere,[129] si prepararono a combattere.[128] Nella battaglia di Cartagine (146 a.C.) la città fu presa d'assalto dopo un breve assedio e completamente distrutta.[130] La sua cultura ne risultò "cancellata in maniera pressoché totale".[131]

Conquista della penisola iberica (218–19 a.C) [modifica] Conquista romana dell'Iberia Seconda guerra punica - Prima guerra celtiberiana – Terza guerra punica – Guerra lusitana - Guerra numantina – Guerra sertoriana – Guerre cantabriche

Il conflitto tra Roma e Cartagine nelle Guerre puniche portò le due città ad espandersi nell'odierna penisola iberica.[132] L'impero punico della famiglia cartaginese dei famiglia Barca consisteva di territori in Iberia, su molti dei quali Roma acquisì il controllo durante le guerre puniche. L'Italia rimase il teatro principale della guerra per buona parte della seconda guerra punica, ma i Romani aspiravano anche a distruggere l'impero barcide in Iberia per prevenire che importanti alleati punici si associassero in forze in Italia.

Nel corso degli anni Roma aveva gradualmente allargato la sua influenza lungo la costa meridionale dell'Iberia, fino a giungere, nel 211 a.C., alla presa della città di Sagunto. Grazie a di due ulteriori spedizioni militari in Iberia, i Romani riuscirono infine a stroncare il controllo cartaginese sulla penisola nel 206 a.C., con la battaglia di Ilipa: la penisola divenne così provincia romana con il nome di Hispania. Dal 206 a.C. in poi l'unica opposizione al controllo romano della penisola venne dalle locali tribù celtiberiche, la cui disunità dava insicurezza all'espansione romana.[132]

A seguito di due ribellioni su piccola scala del 197 a.C.,[133] e del 195–194 a.C., tra i Romani e il popolo dei Lusitani, dell'odierno Portogallo, deflagrò la cosiddetta Guerra lusitana.[134] Nel 179 a.C., i Romani erano essenzialmente riusciti nel pacificare e nel portare sotto il loro controllo la regione.[133]

Circa nel 154 a.C.,[133] una recrudescenza diede vita ad un'importante rivolta in Numanzia, la cosiddetta prima guerra numantina:[132] una lunga guerra di resistenza si combatté tra le forze avanzanti della Repubblica romana e le tribù lusitane dell'Hispania. Il pretore Servio Sulpicio Galba e il proconsole Lucio Licinio Lucullo arrivarono nel 151 a.C. e misero in moto il processo di sottomissione della popolazione locale.[135] Galba, tradendo i leader lusitani da lui invitati ai colloqui di pace, li fece uccidere nel 150 a.C., ponendo termine, ingloriosamente, alla prima fase della guerra.[135]

I Lusitani si rivoltarono ancora nel 146 a.C., sotto la guida di un nuovo leader di nome Viriato,[133] e invasero la Turdetania, nell'Iberia meridionale, dando inizio a una tattica di guerriglia.[136] I Lusitani riscossero un uniziale successo, affrontando e sconfiggendo sul campo l'esercito romano nella battaglia di Tribola, dandosi poi a depredare la Carpetania[137] e avendo la meglio su un secondo contingente romano nella prima battaglia del monte Venus (146 a.C.), per passare al sacco di Segobriga.[137] Nel 144 a.C., il generale Quinto Fabio Massimo Emiliano riscosse successo in una campagna contro i Lusitani, ma fallì il suo tentativo di catturare Viriato.

In quello stesso anno, Viriato raccolse una lega ostile a Roma, comprendente molte tribù celtiberiche,[138] da lui convinte alla sollevazione, nella seconda guerra numantina.[139] La nuova coalizione di Viriato prevalse sulle forze romane nella seconda battaglia del monte Venus del 144 a.C. e nuovamente nel fallito assedio di Erisone.[139] Nel 139 a.C., infine, Viriato fu ucciso nel sonno da tre subalterni corrotti da Roma.[140] Nel 136 e 135 a.C., furono portati avanti nuovi ma fallimentari tentativi per avere il totale controllo della regione di Numantia. Nel 134 a.C., il console Scipione Emiliano riuscì definitivamente a soffocare la ribellione grazie al vittorioso assedio di Numanzia.[141]

Poiché l'invasione romana della penisola iberica era iniziata nelle aree meridionali circum-mediterranee controllate dai Barcidi, tra le regioni peninsulari da sottomettere rimanevano solo i territori all'estremo nord. Le guerre cantabriche, dal 29 al 19 a.C., occorsero durante la conquista romana delle province dell'Asturia e della Cantabria. L'Iberia fu interamente conquistata nel 25 a.C. è l'ultima rivolta si ebbe nel 19 a.C.[142]

Macedonia, le poleis greche e l'Illirico (215–148 a.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Guerre macedoniche, Prima guerra macedonica, Seconda guerra macedonica e Terza guerra macedonica.

Mappa dei Balcani meridionali e dell'Anatolia occidentale.

L'impegno di Roma nella guerra contro Cartagine porse a Filippo V, re di Macedonia, l'occasione per cercare di estendere il suo potere ad occidente. Filippo, per negoziare con Annibale un'alleanza che li avrebbe visti comuni nemici di Roma,[143][144] (si veda alla voce: Trattato fra Annibale e Filippo V), mandò degli ambasciatori in Italia che, facendosi letteralmente beffe di Roma, giunsero presso l'accampamento di Annibale. Roma, tuttavia, venne comunque a conoscenza dell'intesa raggiunta, appropriandosi perfino delle copie dei trattati, quando gli emissari di Annibale, di ritorno in Grecia, furono intercettati e imprigionati da una flotta romana.[143] Volendo impedire a Filippo V ogni possibilità di appoggio a Cartagine, in Italia o altrove, Roma cercò in Grecia alleati a cui far condurre, in proprio favore, una guerra per procura contro il regno macedone: i partner furono trovati tra le poleis greche raccolte nella Lega etolica,[144] tra gli Illirici a nord dell'area macedone, nel regno di Pergamo[145] e nella città-stato di Rodi,[145] collocata, rispetto alla Macedonia, dall'altro capo del mar Egeo.[146]

La prima guerra macedonica vide il coinvolgimento diretto di Roma nelle sole operazioni di terra; quando gli Etoli, ancora una volta, trattarono la pace con Filippo V, la piccola forza di spedizione romana, rimasta in Grecia senza alleati e avendo ormai raggiunto lo scopo di impegnare Filippo per impedirgli di portare soccorso ad Annibale, fu ben disposta alla pace.[146] A Fenice, nel 205 a.C., fu stipulato un trattato di pace che riconobbe a Roma un piccolo indennizzo[130] e pose formalmente fine alla prima guerra macedonica.[147]

Pochi anni più tardi, intorno 200 a.C., nell'ambito di un'aggressiva politica egea, il regno di Macedonia si diede ad usurpare anche alcuni territori rivendicati da varie poleis greche, che risposero alla minaccia ricorrendo in cerca di aiuto al nuovo alleato romano.[148] Roma intimò a Filippo V un ultimatum che prevedeva la completa sottomissione della Macedonia fin quasi allo status politico di provincia romana. Filippo, com'era prevedibile, non accettò, e il Senato romano, superate le iniziali riluttanze nei confronti di coscrizioni e nuove ostilità,[149] si decise a dichiarare guerra contro Filippo V, nella seconda guerra macedonica.[148] Nella battaglia del fiume Aous (presso l'attuale Tepelenë, in Albania) le forze comandate da Tito Quinzio Flaminio sconfissero i macedoni.[150] Gli stessi comandanti, nel 197 a.C., si fronteggiarono nella più importante battaglia di Cinoscefale,[151] che ancora una volta vide Flaminio vincitore, stavolta in maniera decisiva, sugli avversari Macedoni.[150][152] Il regno di Macedonia fu costretto a siglare il Trattato di Tempea, con il quale veniva privato di tutte le rivendicazioni territoriali in Grecia e Asia, e obbligato a corrispondere a Roma un indennizzo di guerra.[153]

Tra la seconda e la terza guerra macedonica, Roma si trovò ancora a fronteggiare altri conflitti nell'area, scaturiti da un intricato gioco di mutevoli e reciproche rivalità, alleanze e leghe, in cui ciascun attore cercava di aumentare la propria influenza. Poco dopo la seconda sconfitta macedone del 197 a.C., la polis di Sparta si inserì nel parziale vuoto di potere creatosi in Grecia. Temendo che gli spartani volessero appropriarsi di poteri crescenti nella regione, i Romani ricorsero all'aiuto degli alleati nel condurre una guerra contro Sparta, sconfiggendo un esercito spartano nella battaglia di Gythium nel 195 a.C.[153]

Roma si trovò anche a dover affrontare la Lega etolica, un tempo sua alleata,[154] gli Istriani nella guerra istrica,[155] gli Illiri nella guerra illirica,[156] e l'Acaia, con la risorta Lega achea, nella guerra acaica.[157]

Roma rivolgeva ora le sue attenzioni ad oriente, verso l'impero seleucide di verso Antioco III il Grande. Antioco, dopo remote campagne militari nelle regioni della Battriana, dell'India, Persia e Giudea, si era spostato in Asia Minore e Tracia[158] per proteggere varie città costiere, con una mossa che lo fece entrare in attrito con gli interessi Romani, che diedero inizio alla Guerra siriaca. Forze romane guidate da Manio Acilio Glabrione sconfissero Antioco nella battaglia delle Termopili del 191 a.C.[152] e lo costrinsero ad abbandonare la Grecia:[159] i Romani, allora, incalzarono i Seleucidi fuori dai confini della Grecia, battendoli sul mare nella battaglia dell'Eurimedonte, in quella di Myonessus, e, infine, nel decisivo confronto della battaglia di Magnesia.[159][160]

Nel 179 a.C. Filippo V di Macedonia morì[161] e il suo ambizioso e talentuoso figlio, Perseo, salì al trono mostrando un rinnovato interesse per la Grecia.[162] Si alleo perfino con i bellicosi Bastarni,[162] e, probabilmente, la condotta di entrambi violò il trattato di pace precedentemente stipulato da suo padre o dovette quantomeno apparire come un "atteggiamento non consono a quello atteso da un alleato subordinato".[162] Roma dichiarò nuovamente guerra al Regno di Macedonia, dando inizio alla terza guerra macedonica. Inizialmente, Perseo riscosse maggior successo di suo padre nel condurre la guerra contro Roma, vincendo la battaglia di Callicino contro un esercito consolare. Roma, tuttavia, reagì come nelle altre iniziative militari di quel periodo, semplicemente inviando un nuovo contingente. Il secondo esercito consolare puntualmente vinse i Macedoni nella battaglia di Pidna del 168 a.C..[163][161] I Macedoni, privi delle riserve tattiche di cui disponevano Romani e con il loro re Perseo caduto nelle mani dei nemici,[164] altrettanto puntualmente capitolarono, ponendo fine alla terza guerra macedonica,[165] con la dissoluzione del regno macedone.

La quarta guerra macedonica, combattuta tra il 150 e il 148 a.C., fu l'atto finale dei conflitti tra Roma e la Macedonia ed ebbe inizio quando Andrisco usurpò il trono macedone. I romani radunarono un esercito consolare sotto il comando di Quinto Cecilio Metello, che rapidamente sconfisse Andrisco nella seconda battaglia di Pidna del 148 a.C.

Sotto Lucio Mummio, nel 146 a.C., si ebbe la distruzione della florida Corinto, a conclusione di un assedio della città che portò alla sua resa e alla conseguente capitolazione della Lega acaica.

Tarda repubblica (147 – 30 a.C.) [modifica]

Guerra giugurtina (111 – 104 a.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Guerre contro Giugurta.

Roma, nelle precedenti guerre puniche, aveva ottenuto larghe estensioni territoriali in Africa, che furono consolidati nei secoli successivi.[166] Molti di questi erano stati concessi al regno di Numidia, un regno costiero nordafricano corrispondente alla moderna Algeria, in cambio dell'assistenza militare offerta in passato a Roma.[167] La guerra giugurtina del 101–104 a.C. fu combattuta tra Roma e Giugurta di Numidia e, dal punto di vista romano, rappresentò la conclusione della pacificazione del Nordafrica:[168] al termine della guerra, Roma, sostanzialmente, arrestò la sua espansione nel continente, avendo raggiunto le barriere naturali offerte dal deserto e dalle montagne. Dopo l'usurpazione del trono numida da parte di Giugurta,[169] fedele alleato di Roma fin dalle guerre puniche,[170] Roma si sentì costretta ad intervenire. Giugurta, sfacciatamente, corruppe i Romani affinché accettassero la compiuta usurpazione[171][172][173] riuscendo a farsi assegnare la metà occidentale del regno. Dopo ulteriori aggressioni, e nuovi tentativi di corruzione, Roma inviò un esercito ad affrontarlo. I Romani furono sconfitti nella battaglia di Suthul[174] ma si comportarono meglio nella battaglia del fiume Muthul[175] e sconfissero infine Giugurta nella battaglia di Thala,[176][177] nella battaglia di Mulucha,[178] e nella battaglia di Cirta del 104 a.C.[179] Giugurta fu infine preso dai Romani, non in battaglia ma grazie a un tradimento,[180][181] e la sua cattura segnò la fine della guerra.[182]

Il risorgere della minaccia celtica (121 a.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Conflitti tra Celti e Romani.

Nel 121 a.C., nonostante la distanza storica e i molti anni trascorsi, era ancora viva a Roma la memoria di quell'umiliante sacco del 390 a.C. subìto ad opera delle tribù celtiche provenienti dalla Gallia, un evento storico ormai trasfuso in una tradizione leggendaria, da trasmettere di generazione in generazione. Ma nessuno poteva immaginare che Roma, nel giro di un anno, si sarebbe trovata a fronteggiare di nuovo la risorgente minaccia celtica. Nel 121 a.C., Roma venne infatti in attrito con i popoli celtici degli Allobrogi e degli Arverni, entrambi sconfitti con apparente facilità, in quello stesso anno, nella prima battaglia di Avignone presso il Rodano e nella seconda battaglia di Avignone.[183]

Nuove minacce dai germani: le guerre cimbriche (113–101 a.C.) [modifica] Guerre cimbriche Noreia - Arausio - Aquae Sextiae – Campi Raudii

Le guerre cimbriche (113–101 a.C.) furono un affare ben più serio che il recente conflitto celtico del 121 a.C. Le tribù germaniche dei Cimbri[184] e dei Teutoni[184] dal Nordeuropa migrarono fin dentro i territori settentrionali di Roma,[185] ed entrarono in conflitto con Roma e i suoi alleati.[186] Le guerre cimbriche e generarono un grande timore e furono la prima occasione, dopo la seconda guerra punica, in cui l'Italia e la stessa Roma si sentirono seriamente minacciate.[186] La battaglia di Noreia, nel 112 a.C., fu l'esordio delle operazioni belliche tra la Repubblica romana e le tribù protogermaniche dei Cimbri e dei Teutoni. Finì con una sconfitta dei Romani, e in un quasi disastro. Nel 105 a.C. i Romani patirono una delle loro peggiori disfatte nella battaglia di Arausio, presso Orange: era la sconfitta più costosa dai tempi della battaglia di Canne. Dopo che i Cimbri ebbero involontariamente concesso una tregua agli avversari per dedicarsi al saccheggio dell'Iberia,[187] Roma ebbe in mano l'opportunità di prepararsi con cura allo scontro con Cimbri e Teutoni[185] dalla qual uscirà vincente con la battaglia di Aquae Sextiae[187] (Aix-en-Provence) e con la battaglia di Vercelli[187] entrambe le tribù furono virtualmente annichilate e la loro minaccia allontanata.

Malcontenti interni: rivolte servili, guerre sociali e guerre civili (135–71 a.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Guerre servili, Guerra sociale e Guerra civile tra Mario e Silla.

L'ampio utilizzo dell'esercito in campagne militari all'estero, e l'uso di remunerare i soldati con il bottino ricavato dalle guerre, favorirono la tendenza ad accrescere la fedeltà dei soldati ai loro generali piuttosto che allo stato, e la disponibilità a seguire i comandanti anche in battaglie contro lo stato.[188] Roma, in questo periodo, era peraltro flagellata da numerose sollevazioni servili, in parte dovute all'affidamento, nei secoli passati, di vaste estensioni di proprietà fondiarie a fattorie servili in cui gli schiavi superavano di gran numero i loro proprietari romani. Nell'ultimo secolo a.C. si ebbero almeno dodici tra ribellioni e guerre civili. Questo schema non si interruppe se non quando Ottaviano, il futuro Augusto, non vi pose fine, porponendosi come antagonista di successo dell'autorità senatoria e facendosi poi nominare princeps.

Rivolte servili e guerra contro i socii [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Prima guerra servile, Seconda guerra servile, Terza guerra servile e Guerra sociale.

Negli anni tra il 135 e il 71 a.C. si ebbero delle sollevazioni servili che opposero gli schiavi allo stato romano. La terza sollevazione fu la più grave:[189] le stime sul numero dei rivoltosi parlano del coinvolgimento di un numero di 120.000[190] o 150,000[191] schiavi. Inoltre, nel 91 a.C., tra Roma e i municipia italiani, già suoi alleati (sŏcĭi), scoppiò la cosiddetta guerra sociale,[192][193], scaturita dal dissenso diffuso tra gli alleati a cui toccava condividere il rischio delle campagne militari romane senza però beneficiare della remunerazione.[194][195][185] Nonostante alcune sconfitte, come nella battaglia del lago del Fucino, le truppe romane superarono le militia italiane in scontri decisivi, in particolare nella battaglia di Asculum (89 a.C.). Nonostante la sconfitta militare, i socii di Roma raggiunsero i loro obiettivi, ottnenedo la promulgazione della Lex Julia e della Lex Plautia Papiria, che conferirono la cittadinanza romana a più di 500.000 italiani.[194]

Guerra civile tra Mario e Silla [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Guerra civile tra Mario e Silla.

Il malcontento interno raggiunse comunque la sua acme con il console Lucio Cornelio Silla e la prima marcia su Roma dell'87 a.C. e la successiva guerra civile tra Silla e i mariani all'inizio dell'anno 82 a.C.. Nella battaglia di Porta Collina, proprio alle porte della città di Roma, un esercito romano guidato da Silla ebbe la meglio su un esercito senatorio appoggiato da alcuni alleati sanniti.[196] Al di là di quali fossero i torti e le ragioni del suo antagonismo al potere militare statale, la sua azione segnò comunque uno spartiacque nella disponibilità dimostrata delle truppe romane a ingaggiare reciprocamente guerra: la strada era adesso spianata alle lotte intestine del primo e secondo triumvirato, all'esautorazione del Senato quale guida de facto dello stato romano, e alle future endemiche usurpazioni di potere del tardo impero.

Conflitti con Mitridate (89–63 a.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Guerre mitridatiche.

Mitridate il Grande fu re del Ponto,[197] un vasto regno dellAsia Minore, dal 120 al 63 a.C.. È ricordato come uno dei più formidabili, e di maggior successo, tra gli avversari di Roma: si scontrò con tre dei più importanti generali della tarda repubblica romana, Silla, Lucullo, e Pompeo. Seguendo uno schema familiar fin dalle guerre puniche, i Romani entrarono in attrito con Mitridate non appena le sfere d'influenza dei due stati iniziarono a sovrapporsi. Mitridate entrò in antagonismo con Roma nel tentativo di espandere il suo regno,[198] e Roma, da parte sua, sembrava tanto desiderosa della guerra quanto delle prestigio e delle spoglie che ne avrebbe potuto ricevere.[199][197] Fonti romane riferivano come Mitridate, dopo aver conquistato l'Anatolia occidentale nell'88 a.C., avesse orchestrato il massacro della maggioranza degli 80.000 romani che vi risiedevano,[200] in quell'episodio altrimenti noto come vespri asiatici. La notizia del massacro potrebbe essser stata notevolmente ingigantita dai Romani, ma costituì comunque la ragione ufficiale che giustificò l'inizio dele ostilità nella Prima guerra mitridatica[senza fonte]. Il generale romano Lucio Cornelio Silla costrinse Mitridate fuori dalla Grecia proprio dopo la battaglia di Cheronea e la successiva battaglia di Orcomeno, ma si trovò a dover far ritorno in Italia, per fronteggiare le avvisaglie di una minaccia interna posta dalla fazione dei suoi rivali mariani: Mitridate era stato sconfitto in battaglia, ma non ancora piegato. Fu stipulata una pace, tra Roma e il regno pontico, che non si rivelò altro che una tregua effimera.

La seconda guerra mitridatica iniziò quando Roma cercò di annettersi la Bitinia come provincia. Nella terza guerra mitridatica, furono inviati contro Mitridate dapprima Lucullo e quindi Pompeo.[201] Mitridate fu definitivamente sconfitto da Pompeo nella notturna battaglia del Lycus.[202]

Campagna contro i pirati cilici (67 a.C.) [modifica]

In quest'epoca, il Mediterraneo era in balia dei pirati,[202] provenienti soprattutto dalla Cilicia.[203] Roma aveva annientato molti di quegli stessi stati che, con le loro flotte, contribuivano a mantenere sicuro il Mediterraneo, senza che i Romani riuscissero, tuttavia, ad inserirsi negli spazi lasciati liberi.[204] I pirati avevano colto al volo le opportunità che si aprivano in una situazione di relativo vuoto di potere: non si limitavano ad ostacolare le rotte navali, ma si erano dedicati al saccheggio di molte città costiere della Grecia e dell'Asia,[203] con scorribande dirette anche alla stessa Italia.[205] Dopo che l'ammiraglio romano Marco Antonio Cretico, padre del triumviro Marco Antonio, aveva fallito il compito di liberare, secondo i voleri dell'autorità romana, il mar Mediterraneo dai pirati, fu Pompeo a succedergli come comandante di una speciale task force incaricata di condurre una campagna decisiva.[202][201] Sembra che a Pompeo occorsero solo una quarantina di giorni per aver ragione dei pirati che infestavano il settore occidentale del mare,[206][203] e per ristabilire così la regolarità delle rotte tra Iberia, Africa e Italia. Plutarco ci descrive il modo in cui Pompeo ripulì il Mediterraneo dalle loro imbarcazioni, grazie a una una serie di piccole azioni militari e con la promessa di rispettare la capitolazione e la resa di città o imbarcazioni. Quindi inseguì il grosso dei pirati fin nelle loro roccaforti della costa della Cilicia: li distrusse affrontandoli sul mare nella battaglia di Korakesion.[202]

Prime campagne di Cesare (59–50 a.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Conquista della Gallia, Vercingetorige, Spedizioni cesariane in Britannia e Spedizioni germaniche di Cesare.

La campagna decisiva di Cesare del 52 a.C. contro le forze alleate dei Galli di Vercingetorige, nell'ambito delle campagne galliche.

Durante un suo mandato come pretore in Iberia, il contemporaneo di Pompeo, Giulio Cesare , appartenente alla gens Iulia, sconfisse in battaglia i Calaici e i Lusitani.[207] Grazie a un mandato consolare, egli ottenne un incarico quinquennale di governatore proconsolare della Gallia Cisalpina e dell'Illirico (la provincia costiera della Dalmazia) cui un senatoconsulto aggiunse anche la Gallia Transalpina (nell'attuale Francia meridionale).[208][207] Insoddisfatto di un governatorato di routine, Cesare si diede da fare per trovare un pretesto per giustificare l'invasione della Gallia, che gli avrebbe dato lo spettacolare successo a cui egli aspirava.[209] Per raggiungere il suo scopo egli agitò i vecchi fantasmi popolari del primo sacco celtico di Roma e il più recente spettro dei Cimbri e dei Teutoni.[209] Quando le tribù di Elvezi e Tigurini[207] iniziarono una migrazione lungo una rotta che li avrebbe portati a sfiorare appena, senza attraversare,[210] la provincia transalpina, Cesare ebbe un pretesto appena sufficiente per dare inizio alle sue campagne galliche, tenutesi tra il 58 e 49 a.C..[211] Dopo aver massacrato la tribù elvetica,[212] Cesare mise in atto una "lunga, aspra e costosa"[213] campagna contro altre tribù da un capo all'altro della Gallia, molti dei quali avevano combattuto al fianco di Roma contro i comuni nemici elvetici,[210] e il cui territorio egli annesse a quello di Roma. Plutarco sostiene che la campagna sarebbe costata ai Galli un milione di perdite.[214] Per quanto "fieri e abili"[213] i Galli si portavano dietro il peso delle loro storiche divisioni interne: uscirono sconfitti in una serie di battaglie svoltesi lungo l'arco di una decade.[213][215]

Cesare sconfisse gli Helvetii nel 58 a.C., durante la battaglia del fiume Arar e nella battaglia di Bibracte[216] (presso l'omonima città gallica); dalla battaglia del fiume Axona uscì invece sconfitta la confederazione celto-germanica dei Belgi,[212][207] mentre i Nervii furono battuti nel 57 a.C. nella battaglia del fiume Sabis.[217][207] Aquitani, Treviri, Tencteri, Edui ed Eburoni subirono la stessa sorte in battaglie sconosciute,[212] mentre i Veneti furono sconfitti in battaglia navale nel 56 a.C.[212] Sempre nello stesso contesto bellico Cesare mise in atto le sue due spedizioni in Britannia degli anni 55 e 54 a.C..[218][212] Nel 52 a.C., dopo il vittorioso assedio di Avarico e un seguito di battaglie non decisive,[219] Cesare sconfisse un'alleanza di galli ribelli guidata da Vercingetorige[220] nella battaglia di Alesia,[221][222] portando a conclusione la conquista della Gallia Transalpina.

Negli anni 52-51 a.C., sconfitto definitivamente Vercingetorige, Cesare si trovò a domare le ultime sacche di ribellione che ancora covavano in Gallia: con il sopraggiungere dell'anno 50 a.C. la Gallia era interamente pacificata e saldamente nelle mani di Roma.[221] Già in quegli stessi anni, durante il suo soggiorno invernale nell'oppidum celtico di Bibracte, Cesare poteva mettere mano alla stesura dei suoi commentarii de Bello Gallico.

La Gallia non riacquistò mai più la sua identità celtica, né mai fu scossa da altre ribellioni nazionalistiche, e rimase fedele a Roma fino alla caduta dell'impero romano d'Occidente e nel 476. Tuttavia, sebbene la Gallia fosse destinata a rimanere per sempre fedele, alcune crepe si andavano aprendo nella coesione politica delle figure dei governanti romani, in parte anche dovute alle preoccupazioni sulla fedeltà delle legioni di Cesare alla persona del loro comandante piuttosto che allo stato romano.[213] Queste contraddizioni sarebbero presto venute a galla, quando condurranno Roma in una lunga e tormentata sequenza di guerre civili.

Il primo triumvirato, l'ascesa di Cesare, e la guerra civile (53–44 a.C.) [modifica] Busto di Cesare (a sinistra) e Pompeo

Per approfondire, vedi la voce Primo triumvirato.

Nel 59 a.C., tra Cesare, Crasso, e Pompeo, era nata un'alleanza politica ufficiosa, e inizialmente segreta, conosciuta come Primo triumvirato, grazie alla quale i tre triumviri potevano spartirsi potere e influenza.[223] Si trattò sempre di un'alleanza scomoda dato che Crasso e Pompeo si detestavano cordialmente l'uno l'altro. Nel 53 a.C., Crasso sferrò un attacco contro l'impero partico. Dopo alcuni successi iniziali,[224] decise di inoltrarsi nel deserto siriano,[225] così in profondità da ritrovarsi tagliato fuori e bersagliato in pieno territorio nemico: nel 53 a.C. il suo esercito, isolato e circondato, affronto i Parti in uno scontro frontale ma finì massacrato[212] nella battaglia di Carre[226][227] la "più grande sconfitta di Roma dai tempi di Annibale",[228] in cui lo stesso Crasso rimase ucciso.[229] La partenza di Crasso per l'Oriente, e la sua successiva morte in battaglia, modificarono gli equilibri garantiti dal patto triumvirale e, di fatto, ne sancirono la fine, con i due rimanenti colleghi che iniziarono a muoversi in autonomamente. Mentre Cesare combatteva contro Vercingetorige in Gallia, Pompeo portava a segno un'agenda legislativa che lo rivelava, nel migliore dei casi, come ambivalente nei confronti di Cesare[230] e, forse, anche segretamente alleato con i suoi nemici politici. Nel 51 a.C., alcuni senatori romani chiesero che a Cesare fosse interdetto l'accesso al consolato finché non avesse restituito allo Repubblica il controllo delle sue legioni, mentre analoga richiesta per Pompeo fu formulata da altre fazioni.[231][232] La rinuncia al suo esercito avrebbe significato per Cesare l'esporsi ai suoi nemici senza difese. Cesare, di fronte alla prospettiva di perdere il comando e dover fronteggiare un processo, scelse la guerra civile.[231] Il triumvirato era ormai infranto e il confitto, a questo punto, inevitabile.


Guerra civile tra Cesare e Pompeo Assedio di Marsiglia – Ilerda – Battaglia navale di Marsiglia – Utica – Fiume Bagradas – Dyrrhachium – Farsalo – Ruspina - Tapso – Munda

Inizialmente, Pompeo rassicurò Roma e il Senato promettendo che avrebbe sconfitto Cesare in battaglia se solo egli avesse tentato di marciare su Roma.[233][234] Ma invece, quando Cesare, all'inizio del 49 a.C., attraversò il Rubicone con le sue forze di invasione e dilagò nella penisola puntando su Roma, Pompeo ordinò di abbandonare la città.[233][234] L'esercito di Cesare non era ancora al completo, con alcune legioni ancora in Gallia[233] e con la sola tredicesima al seguito, ma d'altro canto lo stesso Pompeo poteva disporre, ai suoi ordini, di una piccola forza, sulla cui fedeltà non poteva essere certo visto che si trattava di gente che aveva combattuto in Gallia sotto Cesare.[234] Tom Holland attribuisce la sollecitudine di Pompeo nell'abbandonare Roma ad ondate di rifugiati in preda al panico che agitavano paure ancestrali di invasioni dal nord.[235] Le forze di Pompeo ripiegarono a sud verso Brundisium[236] dove presero la via della Grecia.[234][237] Per prima cosa, Cesare volse la sua attenzione alle roccaforti dei pompeiani in Iberia[238] ma, dopo aver cinto d'assedio Marsiglia e aver combattuto la battaglia di Ilerda, decise di affrontare direttamente Pompeo in Grecia.[239][240] Pompeo ottenne un primo successo nella battaglia di Dyrrhachium nel 48 a.C.[241] ma, non diede seguito alla vittoria e fu definitivamente sconfitto da Cesare nella battaglia di Farsalo del 48 a.C..[242][243] nonostante l'inferiorità delle forze di Cesare, in rapporto 1 a 2 con quelle dell'avversario.[244] Pompeo fuggì ancora, questa volta in Egitto dove finirà ucciso[245][202] in un tentativo di ingraziare al paese il favore di Cesare ed evitare una guerra con Roma.[228][242]

La morte di Pompeo non determinò la fine delle guerre civili visto che molteplici erano ancora i nemici di Cesare e che i seguaci di Pompeo continuarono la lotta anche dopo la morte del loro capo fazione. Nel 46 a.C. Cesare perse probabilmente almeno un terzo del suo esercito nella battaglia di Ruspina, in cui fu battuto da Tito Labieno, già al suo fianco come luogotenente in Gallia, ma transitato, molti anni addietro, nelle file dei pompeiani. Tuttavia Cesare, dopo aver toccato nuovamente il fondo, seppe ancora una volta risollevarsi e sconfiggere i pompeiani di Metello Scipione nella battaglia di Thapsus, costringendoli a retrocedere nuovamente in Iberia. Cesare sconfisse poi in Iberia le forze combinate di Tito Labieno e Pompeo il Giovane nella battaglia di Munda: Labieno morì in battaglia mentre Pompeo il Giovane fu catturato e mandato a morte.

Nonostante il successo militare, o probabilmente proprio a causa di esso, era diffusa la paura che il potere Cesare, divenuta ormai la figura primaria dello stato romano, potesse evolvere in senso autocratico, decretando la fine della Repubblica romana. Questa paura spinse un gruppo di senatori, autoproclamatisi Liberatores, ad assassinarlo alle Idi di Marzo dell'anno 44 a.C..[246]

Il secondo triumvirato, Ottaviano in Occidente, Antonio in Oriente, la guerra civile (44–31 a.C.) [modifica] Busto di Marco Antonio.

Per approfondire, vedi le voci Secondo triumvirato e Guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio.
Per approfondire, vedi le voci campagne partiche di Marco Antonio e Campagne militari di Ottaviano in Illirico (35-33 a.C.).

Ne scaturirono ancora guerre civili tra quelli fedeli a Cesare e i seguaci dei Liberatores. Marco Antonio, sostenitore di Cesare, condannò i cesaricidi e tra le due fazioni esplose la guerra. Antonio fu denunciato come pubblico nemico, e Ottaviano, il futuro Augusto, ebbe l'incarico di condurre la lotta contro di lui. Nella battaglia di Forum Gallorum (l'odierna Castelfranco Emilia) Antonio, assediando il congiurato Decimo Bruto a Mutina (Modena), sconfisse le forze del console Pansa, che fu ucciso, ma Antonio fu poi immediatamente sconfitto dall'esercito dell'altro console, Irzio. Nella battaglia di Mutina, Antonio fu ancora una volta sconfitto da Irzio, che rimase però ucciso. Decimo Bruto, nonostante Antonio non fosse riuscito a prendere Mutina, morirà anch'egli, poco dopo, mentre faceva rotta sulla Macedonia, assassinato da un capo dei Galli fedele ad Antonio.

Ottaviano tradì il suo partito, scendendo a patti con i cesariani Antonio e Lepido: il 26 novembre del 43 a.C., loro tre diedero vita al Secondo triumvirato,[247] questa volta in una forma ufficiale.[246] Nel 42 a.C. i Triumviri Marco Antonio e Ottaviano (Lepido rimase a Roma) si misurarono contro i proscritti Bruto e Cassio, negli scontri della battaglia di Filippi, il cui esito non fu però netto: Bruto sconfisse infatti Ottaviano mentre Antonio riuscì a battere Cassio. Questi però, inconsapevole della vittoria di Bruto, decise di togliersi la vita. Poco tempo dopo, anche Bruto, sconfitto da Antonio, seguirà la stessa sorte del compagno, sfuggendo alla cattura. Ritratto di Ottaviano ai tempi della battaglia di Azio

Tuttavia, la guerra civile divampò ancora quando, non appena gli avversari furono eliminati, anche il Secondo triumvirato di Ottaviano, Antonio e Lepido venne meno. L'ambizioso Ottaviano si mise a costruire le basi del suo potere per poi lanciare una campagna contro Marco Antonio.[246] Nel 40 a.C., mentre Antonio era con Cleopatra quando, forse a sua insaputa, la moglie Fulvia e il fratello Lucio Antonio, radunarono in Italia un esercito per combattere contro Ottaviano, ma furono sconfitti nella battaglia di Perugia. La morte di lei, avvenuta quello stesso anno a Sicione, portò ad una parziale riconciliazione tra Ottaviano e Antonio, che si occupò di Sesto Pompeo, ultimo centro di opposizione al secondo triumvirato: nella battaglia navale di Naulochus le forze di Sesto Pompeo furono annientate e il blocco navale da lui imposto presso lo Stretto di Sicilia fu spezzato.

Ancora una volta, annientata l'opposizione, il triumvirato cadde in pezzi. L'ultimo dell'anno del 33 a.C. il triumvirato era in scadenza, ma la legge che lo istituzionalizzava non fu rinnovata: nel 31 a.C. riprese la guerra. Nella battaglia di Azio,[248] lungo le coste della Grecia, Ottaviano sconfisse definitivamente Antonio e Cleopatra in una battaglia navale in cui usò il fuoco per distruggere la flotta nemica.[249]

Ottaviano divenne quindi imperatore con il nome di Augusto:[248] in assenza di oppositori o usurpatori, fu in grado di imprimere una svolta decisiva alla storia di Roma, estendendo enormemente i confini dell'impero.

Età imperiale [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Impero romano e Imperatori romani.

Principato e dominato: dai Giulio-Claudi ai Severi (30 a.C. – 235 d.C.) [modifica]

Espansione dell'impero (40 a.C – 117 d.C.) [modifica] L'impero romano nel 117 d.C., all'epoca di sua massima estensione sotto Traiano. Conquista romana della Britannia Medway – Caer Caradock – Strada Watling – Monte Graupio Guerre romano-germaniche Guerre cimbriche (113-101 a.C.), Battaglia in Alsazia (58 a.C.), Cesare in Germania (55-53 a.C.), Occupazione romana della Germania (12 a.C.-9 d.C.), Foresta di Teutoburgo (9), Spedizione germanica di Germanico (14-16), Idistaviso (16), Rivolta batava (69-70), Campagne germaniche di Domiziano (83-85), Campagne suebo-sarmatiche di Domiziano (89-97), Guerre marcomanniche (166/167-188), Invasioni barbariche del III secolo, Invasioni barbariche del IV secolo, Guerra gotica (376-382), Invasioni barbariche del V e VI secolo.

Sotto imperatori liberi da nemici interni, quali furono Augusto e Traiano, la potenza militare di Roma poté mettere a segno grandi espansioni territoriale sia a est che ad ovest. In occidente, dopo umilianti sconfitte subite nel 16 a.C. ad opera delle tribù dei Sigambri, Tencteri e Usipeti,[250] gli eserciti romani spinsero a nord e ad est della Gallia arrivando sottomettere una larga parte della Germania, la cosiddetta Germania romana, frutto dell'occupazione augustea dal 12 a.C. al 9. d.C.. La rivolta Pannonica del 6 d.C.[250] costrinse Roma, almeno per il momento[251][142], a rinunciare all'idea di consolidare le proprie conquiste mediante l'invasione della Boemia,[252] Nonostante la perdita, fin quasi all'ultimo uomo, di un grosso esercito nella sconfitta subita nel 9 d.C. da Varo, per mano di Arminio, nella celebre battaglia della foresta di Teutoburgo,[253][254][255] Roma si riebbe dalla disfatta e continuò la sua espansione dentro e oltre i confini del mondo conosciuto. Eserciti romani, al comando di Germanico, si spinsero in molte altre campagne contro le tribù germaniche di Marcomanni, Hermunduri, Chatti,[256] Cherusci,[257] Bructeri,[257] e Marsi.[258] Superando numerosi ammutinamenti degli eserciti dislocati lungo il Limes renano,[259] Germanico sconfisse le tribù germaniche di Arminio in una serie di occasioni, culminate nella Battaglia di Idistaviso,[260] l'attuale Weser (si veda alla voce: Spedizione di Germanico)

Dopo oltre un secolo dalle prime invasioni della Britannia,[261][262] condotte su piccola scala da Cesare, nel 43 d.C. i Romani invasero in forze la Britannia,[263] aprendosi la strada verso l'interno grazie a numerose battaglie contro le tribù britanniche, tra cui la battaglia del Medway,[263] la battaglia del Tamigi, la battaglia di Caer Caradoc e la battaglia di Mona.[264] Dopo una sollevazione generale[265][266] in cui i Britanni] saccheggiarono Camulodunum (Colchester),[267] Verulamium (St Albans)[268] e Londinium (Londra),[269][268] i Romani soffocarono la ribellione della battaglia di Watling Street[270][271] e iniziarono a premere a nord fino alla Scozia centrale nella battaglia del monte Graupius.[272][273] Le tribù delle attuali Scozia e Inghilterra settentrionale si ribellarono ripetutamente contro il dominio romano tanto da indurre Roma, per proteggere la provincia britannica da ribellioni e incursioni dal nord, a realizzarvi due basi militari, dalle quali le truppe romane costruirono e presidiarono il Vallo di Adriano.[274]

Sul continente, l'estensione dei confini dell'impero oltre il Reno rimase in bilico per un po', con l'imperatore Caligola che sembrava sul punto di invadere la Germania nel 39 d.C. e con Gneo Domizio Corbulo che attraversò effettivamente il Reno nel 47, per marciare nel territorio di Frisoni e Cauci[275] prima che Claudio, successore di Caligola, ordinasse la sospensione di nuove azioni offensive oltre il Reno,[275] fissando così quello che sarebbe sarebbe diventato il limite permanente all'espansione imperiale in quella direzione:[2] il Limes Germanicus. "Mai vi fu massacro più crudele di quello che si consumò lì, fra le paludi e le foreste, mai vi furono offese più intollerabili inflitte dai barbari, specie quelle dirette contro i patrocinatori. Ad alcuni cavarono gli occhi, ad altri mozzarono le mani; ad uno fu cucita la bocca dopo avergli mozzata la lingua, che uno dei barbari teneva in mano esclamando: Finalmente, vipera, hai finito di sibilare!." Floro sulla sconfitta dell'esercito di Varo[276]

Più a est, Traiano volse la sua attenzione verso la Dacia, un'area posta a nord di Macedonia e Grecia e ad est del Danubio. La Dacia era nell'agenda militare di Roma già fin dai tempi di Cesare[277][278] quando, intorno al 74-72 a.C., durante la terza guerra mitridatica, i Daci di Burebista sconfissero un esercito romano nella battaglia di Istria.[279]

Un secolo e mezzo dopo, nell'anno 85 d.C., i Daci dilagarono oltre il Danubio, depredando la provincia di Moesia,[280][281] e sconfiggendo anche un esercito che l'imperatore Domiziano gli aveva mandato incontro.[282] Ma i Romani riuscirono vincitori nella prima battaglia di Tapae dell'88, che portò alla stipula di una tregua.[282] (per approfondimenti, si veda alla voce Campagne daciche di Domiziano)

L'imperatore Traiano, successore di Domiziano, riprese le ostilità nei confronti della Dacia e, dopo un incerto numero di battaglie,[283] sconfisse il condottiero Decebalo nella seconda battaglia di Tapae del 101.[284] Con le truppe di Traiano a premere sulla capitale Sarmizegetusa Regia, Decebalo accettò nuovamente la resa.[285] Decebalo utilizzo gli anni seguenti alla tregua per ricostruire le basi del suo potere per poi attaccare nuovamente le guarnigioni romane nel 105. In risposta, Traiano penetrò ancora in Dacia,[286] assediò Sarmizegetusa e la rase al suolo.[287]

Piegata la Dacia, Traiano pose mano all'invasione dell'impero dei Parti in oriente, portando l'impero romano alla sua massima estensione. Le frontiere orientali furono governate indirettamente per qualche tempo, attraverso un sistema di stati cliente che permetteva un impegno militare a più bassa intensità rispetto a quello richiesto all'ovest nello stesso periodo.[288]

Le terre del Regno d'Armenia, tra il Mar Nero e il Mar Caspio, erano da tempo motivo di contesa tra Roma e l'impero dei Parti, con il controllo della regione che passava ripetutamente di mano tra i due contendenti. I Parti costrinsero l'Armenia a sottomettersi dal 37 d.C.[289] ma nel 47 i Romani riebbero già il controllo del regno, a cui offrirono lo status di cliente. Sotto Nerone, tra il 55 e il 63, i Romani intrapresero una campagna contro l'impero dei Parti, che aveva nuovamente invaso l'Armenia. Dopo essersi ripresi il regno nel 60, e averlo di nuovo perso nel 62, i Romani inviarono nel 63 Gneo Domizio Corbulo nei territori di Vologase I di Parthia. Corbulo riuscì a ricondurre allo status di cliente l'Armenia, che vi rimase fino al secolo seguente quando appunto, sotto Traiano, nel 117, venne eretta a provincia romana.

L'anno dei quattro imperatori (69 d.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Anno dei quattro imperatori.

Nel 69 d.C., Otone aveva assassinato Galba[290][291] e rivendicò a sé il trono.[292][293] Tuttavia anche Vitellio, governatore della provincia di Germania Inferior, mirava ad ottenere il trono[294][295] e marciò su Roma con le sue truppe.[292][293] Dopo una battaglia non decisiva presso Antipoli,[296] le truppe di Vitellio attaccarono la città di Placentia (Piacenza) nell'omonima battaglia, ma furono respinte dalle guarnigioni di Otone.[297][295]

Otone lasciò Roma nel marzo del 14, e marciò in direzione nord su Placentia per incontrare il suo sfidante. Nella battaglia di Locus Castrorum gli otoniani ebbero la meglio sugli avversari,[298] e le truppe di Vitellio si ritirarono a Cremona. I due eserciti si incontrarono ancora sulla Via Postumia, nella prima battaglia di Bedriaco,[299] a seguito della quale le truppe otoniane fuggirono al loro accampamento di Bedriacum,[300] per arrendersi il giorno dopo alle forze di Vitellio. Otone accettò il verdetto della battaglia: pur potendo ancora disporre di formidabili forze, accettò il verdetto della battaglia, e scelse di suicidarsi piuttosto che continuare a combattere.[301]

Intanto, le forze dislocate nelle province mediorientali della Giudea e della Siria, avevano acclamato Vespasiano imperatore di Roma[299] seguite dagli eserciti dislocati sulle provincie danubiane di Raetia e Moesia. Gli eserciti di Vespasiano e Vitellio si scontrarono nella seconda battaglia di Bedriaco,[299][302] dopo la quale le truppe di Vitellio furono ricacciate negli accampamenti fuori Cremona, che furono presi.[303] Quindi, le truppe di Vespasiano attaccarono la stessa Cremona,[304] che capitolò.

Fingendo di volersi schierare al fianco di Vespasiano, Gaio Giulio Civile, un principe romanizzato della Batavia, aveva preso le armi e indotto gli abitanti del suo paese nativo a ribellarsi.[299][305] Ai Batavi ribelli si affiancarono immediatamente numerose tribù germaniche confinanti, inclusi i Frisoni. Queste forze sospinsero le guarnigioni romane dislocate presso il Reno e sconfissero un esercito romano nella battaglia di Castra Vetera (dall'omonimo castrumlegionario), a seguito della quale vi fu la defezione, in favore della rivolta batava, di molte delle truppe romane stanziate lungo il Reno e in Gallia. Sorsero tuttavia, ben presto, dei contrasti fra le differenti tribù, che resero impossibile la cooperazione; Vespasiano, che aveva concluso con successo la guerra civile del 69, invitò Civile a deporre il comando del suo esercito e, avendone ricevuto un rifiuto, lo attaccò in forze con le sue legioni, sconfiggendolo nella battaglia di Augusta Treverorum.[281]

Guerre giudaiche (66–135) [modifica] Guerre giudaiche Prima guerra giudaica – Guerra di Kitos – Rivolta di Bar Kokheba - Rivolta ebraica contro Gallo - Rivolta ebraica contro Eraclio

La prima guerra giudaica, fu la prima delle tre importanti ribellioni degli Ebrei della provincia Giudea contro il potere imperiale.[306] La provincia era da tempo una regione turbolenta con aspre violenze tra varie sette giudaiche in competizione[306] e con una lunga storia di ribellioni.[307] La collera degli Ebrei verso Roma era alimentata dai furti nei loro templi e dall'insensibilità romana – Tacito parla di disgusto e repulsione[308] – verso la loro religione. Gli ebrei iniziarono i preparativi per la rivolta armata. I primi successi, compreso il respinto primo assedio di Gerusalemme,[309] e la battaglia di Beth Horon[309] non fecero che sollecitare maggiore attenzione da Roma, dove Nerone incaricò il generale Vespasiano di spegnere la rivolta. Vespasiano guidò le sue forze in una metodica ripulitura delle aree in rivolta. Con l'anno 68, la resistenza ebraica nel nord era stata soffocata. Alcuni centri e città opposero resistenza ancora per qualche anno prima di cadere nelle mani dei Romani, portando all'assedio di Masada del 73[310][311] e al secondo assedio di Gerusalemme.[312]

Nel 115, nella provincia divampò ancora la rivolta, sfociando nella seconda guerra giudaica, nota anche come guerra di Kitos, e, ancora nel 132, in quella che è nota come rivolta di Bar Kokhba. Entrambe vennero soffocate in maniera brutale.

Conflitti con la Partia (161–217) [modifica]

Nel secondo secolo d.C. i territori della Persia erano controllati dalla dinastia Arsacide e conosciuti sotto il nome di Impero partico. Grazie, in larga parte, all'impiego di una potente cavalleria pesante e di mobili arcieri a cavallo, la Partia si rivelò il più formidabile nemico orientale dell'impero romano. Già nel 53 a.C., il triumviro Crasso aveva pensato di invadere la Partia, ma perse la vita nella disastrosa battaglia di Carre. Negli anni che seguirono la disfatta, Roma fu dilaniata da guerre civili e quindi incapace di azioni militari contro la Parti. Anche Traiano compì alcune spedizioni contro i Parti negli anni 114-117: ne conquistò per poco la capitale Ctesifonte, mettendo sul trono un re fantoccio. Ma le ribellioni in provincia e le rivolte in Giudea ne resero difficoltoso il mantenimento, spingendo all'abbandono del territorio.

Nel 161, un rivitalizzato impero partico rinnovò il suo assalto, sconfiggendo due eserciti romani e invadendo l'Armenia e la Siria. Lucio Vero, fratello e coimperatore di Marco Aurelio, e il generale Gaio Avidio Cassio, furono inviati nel 162 a contrastare la reviviscente Partia. In questa campagna la città di Seleucia sul Tigri fu distrutta e la capitale Ctesifonte fu data alle fiamme e rasa al suolo nel 164, insieme al suo palazzo, da Avidio Cassio. I Parti accondiscesero alla pace ma furono costretti a cedere la Mesopotamia occidentale ai Romani.[313]

Per approfondire, vedi la voce Campagne partiche di Lucio Vero.

Nel 197, Settimio Severo intraprese una breve e vittoriosa guerra contro l'impero partico quale ritorsione per l'appoggio dato al suo rivale al trono imperiale Pescennio Nigro. La capitale Ctesifonte fu saccheggiata dall'esercito romano, e la metà settentrionale della Mesopotamia fu restituita a Roma.

L'imperatore Caracalla, figlio di Severo, marciò nel 217 da Edessa in direzione della Partia, per intraprendervi una guerra, ma fu assassinato lungo il cammino.[314] Nel 224, l'impero dei Parti fu piegato non dai Romani ma dal ribelle re-vassallo Persiano Ardashir, che si ribellò, fondatore in Persia dell'impero sassanide, sostituitosi alla Partia nel ruolo di maggior rivale di Roma ad Oriente.

Conflitti con le genti germano-sarmatiche in Europa (161–189) [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Guerre marcomanniche.

Il culmine delle guerre marcomanniche negli anni 178-179.

Durante le guerre partiche, gruppi tribali lungo il Reno e il Danubio approfittarono dei problemi di Roma sul limes orientale (compreso l'imperversare della pestilenza che i Romani avevano portato con sé al ritorno in patria) per lanciare una serie di raid e incursioni nei territori dell'impero: queste azioni, alla conclusione delle campagne orientali di Lucio Vero, sfociarono nelle guerre marcomanniche. Nel 166/167, avvenne il primo scontro lungo le frontiere della Pannonia, ad opera di poche bande di predoni longobardi e osii, che, grazie al pronto intervento delle truppe di confine, furono prontamente respinte. La pace stipulata con le limitrofe popolazioni germaniche a nord del Danubio fu gestite direttamente dagli stessi imperatori, Marco Aurelio e Lucio Vero, ormai diffidenti nei confronti dei barbari aggressori e recatisi per questi motivi fino nella lontana Carnuntum (nel 168).[315] La morte prematura del fratello Lucio (nel 169 poco distante da Aquileia), ed il venir meno ai patti da parte dei barbari, portò una massa mai vista prima d'allora, a riversarsi in modo devastante nell'Italia settentrionale fin sotto le mura di Aquileia, il cuore della Venetia. Enorme fu l'impressione provocata: era dai tempi di Mario che una popolazione barbara non assediava dei centri del nord Italia.[316]

Si racconta che Marco Aurelio combatté una lunga ed estenuante guerra contro le popolazioni barbariche, prima respingendole e "ripulendo" i territori della Gallia cisalpina, Norico e Rezia (170-171), poi contrattaccando con una massiccia offensiva in territorio germanico, che richiese diversi anni di scontri, fino al 175. Questi avvenimenti costrinsero lo stesso imperatore a risiedere per numerosi anni lungo il fronte pannonico, senza mai far ritorno a Roma. La tregua apparentemente sottoscritta con queste popolazioni, in particolare Marcomanni, Quadi e Iazigi, durò però solo un paio d'anni. Alla fine del 178 l'imperatore Marco Aurelio era costretto a fare ritorno nel castrum di Brigetio da dove, nella successiva primavera del 179, fu condotta l'ultima campagna.[317] La morte dell'imperatore romano nel 180 pose presto fine ai piani espansionistici romani e determinò l'abbandono dei territori occupati della Marcomannia.[318]

Tardo impero (180 – 476 d.C.) [modifica]

Il periodo delle invasioni (163–378 d.C.) [modifica] Le invasioni barbariche del III secolo comportarono la perdita di due aree strategiche fondamentali per l'impero romano: gli Agri decumates e la Dacia.

Dopo la disfatta di Varo in Germania, nella battaglia di Teutoburgo del primo secolo, Roma aveva adottato una strategia largamente difensiva lungo il confine germanico, costruendo lungo il Reno una linea difensiva nota come Limes Germanicus.

Nonostante non sia certa l'esatta storicità del nome (dato che i Romani assegnarono uno stesso etnonimo a molti e distinti gruppi tribali, o, al contrario, applicarono nomi diversi, in varie epoche, a uno stesso gruppo etnico), un aggregato di genti germaniche, celtiche, e tribù di etnicità mista celto-germanica, si stabilì nei territori della Germania dal I secolo in poi. I Cherusci, i Bructeri, i Tencteri, gli Usipeti, i Marsi e i Chatti dei tempi di Varo, si erano trasformati o si erano aggregati in una confederazione etnica o in un'alleanza di tribù germaniche nota collettivamente con il nome di Alamanni,[319] menzionati per la prima volta da Dione Cassio nella descrizione della campagna di Caracalla del 213.[320]

Circa nel 166, molte tribù germaniche si spinsero attraverso il Danubio, colpendo la stessa Italia nell'assedio di Aquileia del 166,[313] e il cuore della Grecia, nel sacco di Eleusi.[313]

Invasioni barbariche del III-IV secolo [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Invasioni barbariche del III secolo e Invasioni barbariche del IV secolo.

Area occupata dagli Alamanni, con i siti delle battaglie con i Romani, dal III al VI secolo. Battaglie tra Romani e Alemanni Benaco — Piacenza — Fano — Pavia — Lingones — Vindonissa — Reims — Strasburgo — Solicinium — Argentovaria

Sebbene il problema dei grandi raggruppamenti tribali accalcati alle porte dell'impero non differisse da quanto Roma aveva già conosciuto nei secoli precedenti, le invasioni barbariche del III secolo segnarono una marcata crescita nella minaccia globale,[321][322] anche se è non chiaro se il fenomeno fosse dovuto ad un aumento della pressione esterna,[319] o se dipendesse invece, da una diminuita capacità di Roma nel fronteggiare la minaccia.[323]

I Carpi e i Sarmati, che Roma era riuscita a tenere a bada in più di un'occasione, furono sostituiti una nuova federazione tribale proveniente da est, i Goti. Allo stesso modo, Quadi e Marcomanni, già sconfitti da Roma, furono rimpiazzati dalla grande confederazione degli Alamanni.[324]

La pressione esercitata dai gruppi tribali che premevano sull'impero, fu il risultato finale di una concatenazione di eventi e migrazioni le cui lontane radici si trovavano molto ad est:[325] Gli Unni asiatici dalle steppe russe avevano attaccato i Goti,[326][327][328] che a loro volta attaccarono i Daci, gli Alani e i Sarmati nei pressi o all'interno delle frontiere dell'impero.[329]

I Goti si spinsero oltre il Danubio ingaggiando battaglia a Beroe[330] (Augusta Traiana, l'attuale Stara Zagora), a Filippopoli (presso l'omonima città) nel 250[330] e nella battaglia di Abritto (presso Nicopoli nel 251).[330] Sia i Goti che gli Eruli devastarono dapprima l'Egeo e, in seguito, la Grecia, la Tracia e la Macedonia.[324][331]

I Visigoti si affacciarono per la prima volta sulla storia, come popolo distinto, nella devastante e massiccia invasione del 268, durante la quale dilagarono in Mesia e nella penisola balcanica, invadendo l'Acaia, la Macedonia, la Ponto e la procincia d'Asia, e invasero le province romane della Pannonia e dell'Illiricum arrivando a minacciare la stessa Italia.

Per quanto riguarda invece gli Alamanni, questi erano stati quasi continuamente impegnati in conflitti con l'impero romano, con bande armate che attraversavano di frequente il limes, attaccando la Germania Superior. Ma fu solo nel contesto della massiccia invasione gotica del 268, che si ebbe la prima importante offensiva degli Alamanni in territorio romano. In quell'anno, infatti, i Romani furono costretti a sguarnire di truppe molte delle loro frontiere germaniche sia in risposta all'invasione gotica, sia per l'iniziativa con cui Gallieno volle contrastare il tentativo di usurpazione di Aureolo, arroccatosi a Milano. Gli Alamanni colsero l'opportunità e lanciarono un'importante invasione verso la Gallia e, attraverso il Brennero, verso la stessa Italia settentrionale.

Tuttavia, i Visigoti furono sconfitti in battaglia, nell'estate di quello stesso anno, presso l'attuale frontiera italo-slovena, per poi essere messi in rotta nella battaglia di Naisso[332] (Niš) da Gallieno, Claudio il Gotico e Aureliano; questi, ritornati in Italia, sconfissero anche gli Alemanni nella battaglia del lago Benaco. Dopo le sconfitte subite, i Goti rimasero ancora una minaccia importante per l'impero, ma per molti anni diressero i loro attacchi lontano dall'Italia. Nel 284 d.C., sotto Massimiano, contingenti gotici furono addirittura arruolati come truppe ausiliarie dell'esercito romano.[333]

Gli Alemanni invece, dopo la battaglia del lago Benaco, avevano ripreso quasi immediatamente le loro mire verso l'Italia. Pochi mesi dopo quella sconfitta, riuscirono infatti a battere Aureliano, appena succeduto a Claudio il Gotico, nella battaglia di Placentia del 271, ma furono respinti per un po' di tempo dopo aver perso la battaglia di Fano[332] e la battaglia di Ticinum[332] (Pavia), combattute sempre nello stesso anno. Furono battuti ancora nel 298, nella battaglia di Lingones e in quella di Vindonissa.

Cinquant'anni dopo riapparirono ancora, con nuove incursioni nel 356 con la battaglia di Reims,[334] nel 357 con la battaglia di Strasburgo,[335] nel 367 con la battaglia di Solicinium e nel 378 con la battaglia di Argentovaria. In quello stesso anno i Goti inflissero una disastrosa disfatta all'impero romano d'Oriente nella battaglia di Adrianopoli,[336][337] nella quale Valente, imperatore del ramo orientale, fu massacrato insieme a decine di migliaia dei suoi soldati.[338]

Al contempo, i Franchi compivano raid attraverso il Mare del nord e il Canale della Manica,[339] i Vandali premevano lungo il Reno, gli Iutungi sul Danubio, gli Iazigi, i Carpi e i Taifali tormentavano la Dacia, e i Gepidi si univano a Goti ed Eruli in azioni lungo il Mar Nero.[340] Circa nello stesso periodo, tribù poco conosciute come Bavari, Baquati e Quinquegentiani[333] razziavano la provincia d'Africa.[340]

All'inizio del V secolo, la pressione sui confini occidentali di Roma crebbe d'intensità. Ma non erano quei soli confini ad essere sotto tiro: era la stessa Roma ad essere minacciata, sia sul fronte interno che sui suoi limiti orientali.

Usurpatori (193–394 d.C.) [modifica]

Per approfondire, vedi le voci Usurpatori dell'impero romano, Crisi del terzo secolo e Anarchia militare.

Battaglia di Ponte Milvio di Giulio Romano (1499–1546). Stanze di Raffaello dei Musei Vaticani. Battaglie di Costantino I Torino – Verona – Ponte Milvio – Cibalae – Mardia – Adrianopoli – Ellesponto – Crisopoli


L'esistenza di un esercito spesso incline a sostenere i propri comandanti piuttosto che l'imperatore, implicava anche che quegli comandanti potevano acquisire il controllo esclusivo sugli eserciti loro assegnati e utilizzare questo potere per usurpare il trono imperiale. La cosiddetta "crisi del terzo secolo" comprende tutti quei disordini, omicidi, usurpazioni di potere, lotte intestine, la cui origine viene tradizionalmente associato all'assassinio dell'imperatore Alessandro Severo nel 235.[341] Tuttavia, Dione Cassio indica nell'anno 180 la data di avvio di un più generale declino dell'impero, in conicidenza l'ascesa al potere di Commodo,[342] un giudizio su cui concorda anche Edward Gibbon,[343] mentre Philip Matyszak arriva addirittura ad affermare che "la disgregazione [...] era iniziata ben prima".[342]

Per approfondire, vedi le voci Crisi del terzo secolo e Anarchia militare.

Ma, anche a non voler considerare la crisi del III secolo come l'inizio assoluto del declino di Roma, essa nondimeno segnò una notevole lacerazione per l'impero, in cui i Romani si trovarono a muoversi guerra l'uno con l'altro in un modo di cui non si aveva memoria se non dai convulsi giorni che segnarono la fine della Repubblica. Nello spazio di un solo secolo, ben ventisei ufficiali rivendicarono a sé il potere e regnarono su parti dell'impero per mesi o addirittura per giorni, finendo sempre, salvo che in due casi, di morte violenta.[344][319]

L'epoca fu caratterizzata da eserciti spesso più inclini a combattere se stessi piuttosto che i nemici esterni, fino a toccare il fondo nel 258.[345] Ironia della sorte, mentre furono le usurpazioni a determinare la frammentazione interna dell'impero, fu proprio la potenza di molti generali lungo la frontiera a renderne possibile la riunificazione con la forza delle armi.

La situazione era complessa, spesso con tre o più usurpatori contemporaneamente presenti. Settimio Severo e Pescennio Nigro, entrambi generali ribelli promossi imperatori dalle loro truppe, entrarono in conflitto per la prima volta nel 193 nella battaglia di Cizico, nella quale Nigro fu sconfitto. Ci vollero tuttavia altre due sconfitte nella battaglia di Nicea, quello stesso anno, e nella battaglia di Isso, l'anno dopo, perché Nigro fosse definitivamente battuto. Quasi immediatamente dopo che le aspirazioni di Nigro sulla corona imperiale fossero messe a tacere, Severo si trovò a contendere con un altro rivale al trono nella persona di Clodio Albino, che inizialmente era stato un suo alleato. Albino fu proclamato imperatore dalle sue truppe in Britannia e, giunto in Gallia attraverso la Manica, sconfisse in battaglia il generale di Severo Virio Lupo, prima di essere a sua volta sconfitto e ucciso nella battaglia di Lugdunum (Lione) da Severo in persona.

Dopo questi tumulti, Severo non dovette più fronteggiare minacce interne per tutta la durata del suo regno,[346] e anche il suo successore Caracalla poté regnare per un pezzo ininterrottamente prima che fosse ucciso da Macrino,[346] che si autoproclamò imperatore al suo posto. Nonostante lo status di Macrino venisse ratificato dal Senato, le truppe di Vario Avito proclamarono invece il loro comandante: i due, nel 218, si incontrarono pertanto in battaglia ad Antiochia, da cui Macrino uscì sconfitto.[347] Ma lo stesso Avito – meglio noto come Eliogabalo – fu assassinato poco dopo[347] e anche Alessandro Severo, proclamato imperatore sia dalla Guardia pretoriana che dal senato, fu a sua volta assassinato dopo un breve regno.[347] I suoi assassini avevano agito a beneficio dell'esercito, insofferente della propria condizione sotto il suo comando, che preferì innalzare al suo posto Massimino Trace. Tuttavia, così come fu innalzato agli onori del potere dalle proprie truppe, così da quelle stesse truppe fu rovesciato: pur avendo vinto la battaglia di Cartagine contro un Gordiano II fresco di nomina senatoria, fu ucciso dalle stesse forze che lo avevano sostenenuto[348] no appena a a queste parve non sufficientemente all'altezza da poterla spuntare con il nuovo candidato senatoriale al potere imperiale, Gordiano III.

Il destino di Gordiano III non è conosciuto con certezza, anche se è possibile che sia stato ucciso da Filippo l'Arabo, suo successore, che regnò solo per pochi anni prima che l'esercito elevasse un altro generale a imperatore proclamato, questa volta Decio, che, per impossessarsi del trono, sconfisse Filippo nella battaglia di Verona del 249.[349] Molti generali che seguirono, non poterono battersi come usurpatori del potere, per il semplice motivo che furono uccisi dalle loro stesse truppe prima che la contesa avesse inizio; il che per lo meno serviva ad attenuare momentaneamente le perdite di uomini sacrificati alla causa dei conflitti interni. Il solo a far eccezione a questa regola fu Gallieno che, negli anni in cui regnò da solo, dal 260 al 268, dovette confrontarsi con un notevole dispiegamento di usurpatori, di cui si conserva un'eco nei Tyranni triginta dell'Historia Augusta, molti dei quali furono da lui sconfitti in accanite battaglie. Agli eserciti furono tuttavia risparmiate ulteriori corpo a corpo fino a circa il 273-274, quando Aureliano sconfisse Tetrico, usurpatore gallico secessionista, nella battaglia di Chalons, che segnò la riannessione dell'Impero delle Gallie al corpo dell'impero. La successiva decade vide il succedersi di una serie quasi incredibile di usurpatori, talvolta 3 in contemporanea, tutti a contendere per lo stesso seggio imperiale. Molte delle battaglie non sono documentate, principalmente a causa dei disordini dell'epoca, fino a quando Diocleziano, egli stesso un usurpatore, non sconfisse Carino nella battaglia del fiume Margus per divenire, così, imperatore.

A questo punto, una forma di stabilità si affacciò di nuovo sull'impero, diviso ora, dopo la riforma di Diocleziano, in una Tetrarchia che affiancava due imperatori maggiori e due minori, un sistema che seppe tener lontane le guerre civili per po' di tempo, fino al 312. In quell'anno, le relazioni tra i tetrarchi collassarono per sempre e Costantino I, Licinio, Massenzio e Massimino Daia entrarono in urto tra loro per il controllo dell'impero. Nella battaglia di Torino Costantino sconfisse Massenzio, mentre Licinio superò Massimino nella battaglia di Tzirallum. Dal 314 in poi, Costantino batté Licinio nella battaglia di Cibalae, poi nella battaglia di Mardia, e quindi ancora nella battaglia di Adrianopoli (324), nella battaglia dell'Ellesponto e nella battaglia di Chrysopolis.

Costantino si volse poi contro Massenzio, sconfiggendolo nella battaglia di Verona (312) e nella battaglia di Ponte Milvio dello stesso anno. Suo figlio, Costanzo II ereditò il potere del padre e in seguito sconfisse l'usurpatore Magnenzio, un aprima volta nella battaglia di Mursa Maggiore e quindi nella battaglia del monte Seleuco.

Anche i successivi imperatori Valente e Teodosio dovettero vedersela con degli usurpatori che sconfissero, rispettivamente, nella battaglia di Thyatira, nella battaglia della Sava e in quella del fiume Frigido.

Lotta con l'impero Sasanide (230–363) [modifica]

Dopo aver rovesciato la confederazione dei Parti,[350][319] l'impero Sassanide, che crebbe sulle rovine, perseguì una politica espansionistica più aggressiva dei loro predecessori[351][352] e continuarono con le guerre contro Roma. Nel 230, il primo imperatore Sasanide attaccò dei territori romani, dapprima in Armenia e quindi in Mesopotamia[352] ma le perdite romane vennero in gran parte restaurate da Severo nel giro di pochi anni.[351] Nel 243, l'esercito dell'imperatore Gordiano III riprese le città romane di Hatra, Nisibis e Carre ai Sassanidi dopo aver vinto la battaglia di Resaena[353] anche se quello che accadde dopo non è chiaro: fonti Persiane rivendicano la sconfitta e la morte di Gordiano nella battaglia di Misikhe[354] mentre fonti romane menzionano questa battaglia solo come un'insignificante battuta d'arresto e suggeriscono che Gordiano sia morto altrove.[355]

Di sicuro, I Sassanidi non si lasciarono intimidire dalle precedenti battaglie contro Roma tanto che nel 253, con Sapore I, penetrarono più volte profondamente in territorio romano, sconfissero le forze romane nella battaglia di Barbalisso,[355] presero e saccheggiarono Antiochia nel 252 dopo averla stretta d'assedio.[355][350] I Romani recuperarono Antiochia nel 253,[356] e l'imperatore Valeriano raccolse un esercito con cui marciò ad est verso le frontiere dei Sassanidi. Nel 260 i Sassanidi sconfissero i Romani nella battaglia di Edessa[356] e catturarono l'imperatore Valeriano.[352][350]

Tra Roma e l'impero Sassanide, dal 297 al 337, si stabilì una pace duratura, grazie ad un trattato tra Narseh e Diocleziano. Tuttavia, appena morto Costantino nel 337, Sapore II disattese il trattato e diede inizio a un nuovo conflitto destinato a durare ventisei anni, durante i quali cercò, con scarso successo, di conquistare le fortezze romane della regione. Dopo gli iniziali successi sassanidi, tra cui la battaglia di Amida del 359 e l'assedio di Pirisabora del 363,[357] l'imperatore Giuliano incontrò Sapore quello stesso anno nella battaglia di Ctesifonte, di fronte alle mura della capitale persiana.[357] I Romani vinsero ma non riuscirono a prendere la città: attorniati da territori ostili, in posizione vulnerabile, furono costretti a ripiegare. Giuliano morì in battaglia a Samarra, durante la ritirata, forse ucciso da uno dei suoi stessi uomini.[357]

Per approfondire, vedi la voce Campagna sasanide di Giuliano.

Vi furono ancora molte altre guerre, ma tutte di breve durata e su piccola scala, dal momento che, nel V secolo, sia i Romani che i Sasanidi furono costretti a vedersela con minacce provenienti da ogni dove. Una guerra contro Bahram V, nel 420, fu dovuta a delle persecuzioni di cristiani in Persia: fu un breve conflitto che si concluse ben presto con un trattato così come breve fu anche la successiva guerra del 441 contro Yazdgard II, conclusa in fretta con un accordo quando entrambe le parti si trovarono a dover contrastare minacce altrove.[358]

Il Crollo dell'impero romano d'Occidente (402–476) [modifica] L'Europa nel 476, dal Muir's Historical Atlas (1911). L'impero romano d'Occidente e l'impero d'Oriente nel 476

Sono state avanzate molte ipotesi per spiegare il declino dell'impero romano, e molte date sono state proposte per indicarne l'esatta fine, dall'inizio del suo declino nel terzo secolo[359] alla caduta di Costantinopoli nel 1453.[360] Da un punto di vista militare, tuttavia, l'impero cadde definitivamente dopo che fu dapprima invaso da vari popoli non romani e quindi deprivato del suo nucleo peninsulare per mano delle truppe germaniche in rivolta. Sia la storicità che le esatte date rimangono incerte, e alcuni storici negano che possa parlarsi di caduta dell'Impero. Rimangono perfino divergenti le opinioni sul se si debba considerarla un singolo evento oppure un lungo e graduale processo.

L'impero divenne col tempo sempre meno romanizzato e sempre più imbevuto di una nuova impronta germanica: anche se l'impero cedette di fronte all'invasione dei Visigoti, il rovesciamento dell'ultimo imperatore, Romolo Augustolo, non fu compiuto da truppe straniere ma piuttosto da foederati germanici organici all'esercito romano. In questo senso, non avesse rinunciato Odoacre al titolo di Imperatore, per dichiararsi invece "Rex Italiae", l'impero avrebbe potuto perfino dirsi conservato, perlomeno nel nome, ma non certo nella sua identità, ora profondamente mutata: non più romana, ma sempre più permeata e governata da popolazioni germaniche, ben prima del 476. I popoli di ascendenza romana furono nel quinto secolo "privati del loro ethos militare"[361] e lo stesso esercito romano non divenne altro che un supplemento di truppe federate di Goti, Unni, Franchi e altri ancora che combattevano in suo nome.

Invasioni del V secolo [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Invasioni barbariche del V e VI secolo.

L'estrema agonia di Roma iniziò quando, intorno al 395, i Visigoti si ribellarono.[362] Guidati da Alarico,[363] tentarono di prendere Costantinopoli,[364] ma furono respinti e, in cambio, si diedero a saccheggiare buona parte della Tracia nella Grecia settentrionale.[365][363] Nel 402 assediarono Mediolanum, la capitale dell'imperatore romano Onorio, difesa da truppe gotiche. L'arrivo del romano Stilicone con il suo esercito, costrinse Alarico a togliere l'assedio e a dirigersi verso Hasta (Asti) nel nordovest dell'Italia, dove Stilicone lo attaccò nella battaglia di Pollentia,[366][367] conquistando l'accampamento di Alarico. Stilicone si offrì di restituire i prigionieri in cambio del ritorno dei Visigoti in Illiricum. Ma Alarico, giunto a Verona, arrestò la sua ritirata. Stilicone attaccò di nuovo nella battaglia di Verona (403[368] e sconfisse nuovamente Alarico,[369] costringendolo a ritirarsi dall'Italia.

Nel 405 gli Ostrogoti invasero la stessa Italia, ma furono sconfitti. Tuttavia, nel 406, un numero mai visto prima di tribù approfittò del gelo per attraversare in massa la superficie ghiacciata del Reno: Vandali Svevi, Alani e Burgundi sciamarono attraverso il fiume, incontrando una debole resistenza nel sacco di Moguntiacum (Mainz) e nel Sacco di Treviri,[370] e aprendosi le porte alla completa invasione dell Gallia. Nonostante questo grave pericolo, o forse proprio a causa di esso, l'esercito romano continuò ad essere dilaniato da usurpazioni, in una delle quali, Stilicone, principale difensore di Roma in quel periodo, fu messo a morte.[371]

Fu in un questo clima tormentato che, nonostante i rovesci subiti, Alarico poté ritornare nel 410 riuscendo a mettere a segno il sacco di Roma.[372][373][363] A quella data, già da alcuni anni, la capitale imperiale si era trasferita a Ravenna,[374] ma qualche storico candida il 410 quale possibile data della la vera caduta dell'impero romano.[375] Privato di Roma e di molte delle sue precedenti province, con un impronta germanica sempre più spiccata, l'impero romano degli anni successivi al 410 aveva davvero poco in comune con quello dei secoli passati. Nel 410, la Britannia era ormai stata quasi del tutto sguarnita di truppe romane,[376][377] e già nel 425 non era più parte dell'impero.[363] Molta dell'Europa occidentale fu messa alle strette "da ogni genere di calamità e disastri",[378] finendo in mano a Regni romano-barbarici capeggiati da Vandali, Svevi, Visigoti e Burgundi.[379] "La lotta si trasformò in un corpo a corpo, fiero, selvaggio, confuso e senza il più piccolo respiro... Il sangue dei corpi caduti, da piccolo ruscello, fluiva in pianura in un fiume torrenziale. Quelli tormentati dalla sete per le ferite ricevute, bevevano acqua tanto frammista a sangue da apparir costretti, nella loro sofferenza, a bere di quello stesso sangue sgorgato dalle loro ferite" Giordane sulla Battaglia dei Campi Catalauni[380]

Dopo il 410, la difesa di quel che restava del territorio imperiale, se non dell'impronta romana, fu portata avanti dal magister militum Ezio, che riuscì a fronteggiare efficacemente gli invasori barbarici facendoli combattere l'uno contro l'altro: nel 436 condusse un esercito di Unni a scontrarsi con i Visigoti nella battaglia di Arles, e, sempre nel 436, nella battaglia di Narbona. Nel 451 guidò invece contro gli Unni di Attila un esercito composito, che includeva anche i precedenti nemici visigoti: grazie ad esso, nella battaglia dei Campi Catalaunici,[381][382][383] inflisse agli Unni una sconfitta così sonora che essi in seguito, pur imperversando in razzie contro Concordia, Altinum, Mediolanum,[384] Ticinum,[384] e Patavium, mai più minacciarono direttamente Roma. Pur essendo l'unico vero baluardo dell'impero, Ezio venne assassinato dalla stessa mano dell'imperatore Valentiniano III, in un gesto che indusse Sidonio Apollinare a osservare: "Ignoro, o signore, le ragioni della vostra provocazione; so solo che avete agito come quell'uomo che mozzi la mano destra con la propria sinistra".[385]

Nel 439, fu perduta Cartagine, seconda città dell'impero per grandezza, in favore dei Vandali, insieme a buona parte del Nordafrica,[386][387] e il destino di Roma sembrava segnato. Nel 476, ciò che rimaneva dell'impero era completamente in mano a truppe germaniche federate e quando queste si rivoltarono, guidate da Odoacre, e deposero l'ultimo imperatore Romolo Augustolo[388] non vi era più nessuno che potesse fermarle. A Odoacre toccò la parte dell'Impero che comprendeva l'Italia e le zone confinanti, mentre su altre porzioni regnarono Visigoti, gli Ostrogoti, i Franchi gli Alani, ecc. L'impero romano d'Occidente era caduto,[379][388] e le sue vestigia italiane avevano ormai ben poco della loro originaria natura romana. L'impero bizantino e i Goti continuarono per molti anni a contendersi Roma e le aree circostanti, sebbene l'importanza della città fosse divenuta ormai trascurabile. Dopo anni di guerre laceranti, negli anni intorno al 540 la città fu praticamente abbandonata e avviata alla desolazione, con molti dei suoi dintorni trasformati in paludi insalubri, una fine ingloriosa per la caput mundi che aveva dominato su molta parte del mondo conosciuto.

Si giunse così ad un'epoca in cui rimase in piedi il solo Impero romano d'Oriente. Gli eventi bellici successivi dell'impero si compongono ora a formare un'altra storia militare, quella delle campagne dell'esercito bizantino.