Utente:Fabio Daziano/Sandbox 8:Altre altre altre varie varie

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Nel 1257, il Comune di Alba sottomise i marchesi di Ceva, costringendoli ad entrare nella sua egemonia territoriale tramite il feudo oblato. Tre anni dopo, il 23 febbraio 1260 questa città ratificò nella chiesa di San Lorenzo la sottomissione a Carlo I d'Angiò per mano dei suoi legati, l'arcivescovo di Aix Vicedomino Vicedomini e il siniscalco di Provenza Gautier d'Aulnay. Assieme alla città si sottomisero i marchesi di Ceva Giorgio e Guglielmo (figlio del deceduto Leone) a nome anche di Manuele (detto Cappuccio) e Baldovino, fratelli di Guglielmo. Essi si fecero investire di alcuni centri del marchesato, tra cui Mombasiglio, Pamparato, Montegrosso, Paroldo, Lichineo (forse identificabile con Lesegno), Monasterolo e San Michele (eccetto per la torre del castello di quest'ultimo paese). Questa fu una ghiotta occasione per i marchesi: Carlo I era di simpatie filo-aristocratiche (vicino alle grandi stirpi comitali di Provenza e combattente contro le aspirazioni autonomistiche di città come Avignone, Arles e Marsiglia, che nella fase tra il 1259-60 in Italia preferiva dialogare con i signori e i milites e non le società di Popolo) e i marchesi ne approfittarono per liberarsi dall'egemonia albese, e ripeterono il feudo oblato con il signore di Provenza, divenendo direttamente loro fedele. Questa sottomissioni diretta a Carlo a discapito di Alba «non doveva sembrar vero» per i marchesi di Ceva, in quanto essi ebbero come nuovo dominatore (tra l'altro benevolo e compiacente) in grado di difenderli da Genova ma al tempo stesso, negli anni seguenti, virtualmente lontano (di fatto negli anni seguenti, invece, Carlo intervenne pesantemente sui domini a lui sottomessi)[1].

Dopo la battaglia di Benevento, in cui Manfredi morì, i ghibellini sostennero Corradino di Svevia. Questo, dopo essere stato nel gennaio 1268 a Pavia, cercò di raggiungere la costa tirrenica, ove lo attendevano dieci galere pisane, e decise di passare, nel marzo di quell'anno, nei territori di Manfredo del Carretto dopo essersi visto negare il lasciapassare da Tommaso I di Saluzzo, all'epoca alleato di Carlo d'Angiò. Tale occasione permise a Carlo di entrare in confidenza con il controllo dei valichi della zona, importanti dal punto di vista militare ma anche per le gabelle del sale, facendo sì che egli intervenisse politicamente nella zona, divisa tra i vari rami aleramici e in disputa tra loro: i Del Carretto si erano infatti allontanati dal fronte angioino a causa delle dispute con i marchesi di Ceva per il controllo di Ormea, in quanto i primi rifiutarono di divenire vassalli dei secondi per quella località. La lotta per Ormea si inseriva nella disputa tra diversi rami aleramici (Ceva, Del Carretto, Clavesana , Saluzzo) per i diritti signorili e per il controllo dell'alta Val Tanaro, lotta in cui entrarono in gioco anche i milites di Garessio (nello specifico la stirpe degli Scarella) e Ormea (nello specifico la stirpe de Ormea).

Sconfitto e ucciso Corradino, il 6 giugno 1270 l'Angiò fece sottomettere, con un accordo favorevole a lui e con il benestare dei marchesi di Ceva Nano, Cappuccio, Baldovino e Guglielmo, i Del Carretto al suo fedele Roberto de Laveno, procuratore e familiare regio, a fine anni quaranta al servizio di Beatrice di Provenza, professore di diritto e giustiziere di Terra del Lavoro nel 1267, che già nel 1259 aveva guidato la conquista degli Angiò nell'area e che era sposato con Sofia, figlia del fu Guglielmo, marchese di Ceva, sposata in "tempi non sospetti" decenni prima, prima dell'espansione angioina in Piemonte, e di elevata età (essendo il padre Guglielmo morto decenni prima). L'8 settembre Manuele, marchese di Clavesana, cedette tutti i diritti di signoria e di dominio feudale dell'area a Roberto e a suo figlio Filippo (figlio di Roberto e Sofia, balivo di Digne nel 1269 e 1272, Giustiziere di Terra del Lavoro come il padre tra il 1279 e 1280, vicario di Roma nel 1281-82 e siniscalco di Provenza tra il 1285 e il 1288) a scopo di scioglierò da ogni obbligo di fedeltà: questi, assieme ai territori ottenuti da Del Carretto, costituirono la base di dominio territoriale dei de Laveno, che costruirono un principato autonomo tra le Alpi e il mare con il benestare il finanziamento del re di Provenza. Ciò però ruppe gli equilibri della val Tanaro e incorse nella reazione dei marchesi di Ceva: essi quindi scesero a patti, e nel nel settembre 1270 a Mondovì venne stilato una carta: in tale documento, i Ceva rivendicano i possessi acquisiti dai de Laveno, chiedendo di divenire loro vassallo, mentre Filippo rivendicava di essere feudatario diretto del re, rilanciando l'accusa chiedendo che i Ceva si ritirassero da Ormea, Massimino, Bagasco e Bardineto (località acquisite poco prima, come da sopra esposto) e per giunta rivendicando la quota di eredità dei marchesi che spettava a Sofia, comprendente un terzo dei diritti sulla stessa Ceva. In tale documento si raggiunse ad un accordo grazie all'arbitrato di alcuni amici communes, che riconobbero la dominazione di Roberto ma ridimensionarono le pretese contro i marchesi di Ceva. La dominazione dei de Laveno, però «attraversò una "crisi di rigetto" da parte dei poteri locali» nonostante le reti diplomatiche intessute da Roberto: Ormea risulta riottosa al nuovo signore e già nel 1272 Carlo d'Angiò entrò in trattativa per assegnare Garessio e Cosio D'Arroscia a Pietro de Brayda e l'anno seguente scoppiò la guerra tra Genova e il sovrano che si estese fino in Val Tanaro, frangente sfruttato dai marchesi di Ceva per cessare la loro fedeltà con esso.

La perenne intromissione di Carlo d'Angiò testimonierebbe, per Riccardo Rao, come l'area non fu mai veramente dei de Laveno, ceduta in feudo come ricompensa per i suoi servigi, ma «piuttosto una copertura politica» legittimata dai suoi legami parentali con i marchesi di Ceva a scopo di tenere i gestione diretta l'area, come testimonia, appunto, alla perenne azione diretta del sovrano angioino e la presenza di una magistratura militare come quella di capitano della Val Tanaro.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Riccardo Rao, Ceva, i suoi marchesi e gli Angiò, in Ceva e il suo marchesato. Nascita e primi sviluppi di una signoria territoriale, vol. 146, Bollettino della società per gli studi storici archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, 1° semestre 2012, pp. 57-70.