Utente:Black Shadow/Sandbox1

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Cygnus X-1 (abbreviato in Cyg X-1)[1] è una sorgente di raggi x[2] visibile nella costellazione del Cigno. È stata scoperta nel 1964 durante un volo suborbitale ed è una delle più forti sorgenti di raggi X visibili dalla Terra, producendo un picco di densità di flusso di 2,3 × 10-23 Wm−2Hz−1 (2,3 × 103 Jansky).[3][4] Cygnus X-1 è stata la prima sorgente di raggi X ampiamente accettata come candidato buco nero e rimane uno dei più studiati oggetti astronomici del suo tipo. E' stimata avere una massa 8,7 volte quella del Sole[5] ed è stato mostrato essere più compatta di qualsiasi stella o oggetto astronomico conosciuto che non sia un buco nero. Se fosse così, il raggio del suo orizzonte degli eventi sarebbe probabilmente di circa 26 Km.[6]

Cygnus X-1 fa parte di un sistema binario a raggi X distante circa 6.000 anni luce dal Sole che include una stella variabile supergigante blu designata come HDE 226868 cui orbita a circa 0,2 UA (circa il 20% della distanza media della Terra dal Sole). Il vento stellare proveniente dalla stella fornisce il materiale per un disco di accrescimento intorno alla sorgente di raggi X.[7] La materia all'interno del disco è riscaldata a milioni di kelvin (K), generando i raggi X osservati.[8][9] Una coppia di getti relativistici, perpendicolari al disco, portano parte della materia nello spazio interstellare.[10]

Il sistema potrebbe appartenere ad un'associazione stellare chiamata Cygnus OB3, che significherebbe che Cygnus X-1 ha circa cinque milioni di anni e che la stella progenitrice aveva almeno 40 masse solari. La maggior parte della massa stellare è stata dispersa, probabilmente come vento stellare. Se questa stella fosse esplosa come supernova la forza risultante avrebbe probabilmente espulso i resti dal sistema. Quindi probabilmente la stella potrebbe essere direttamente collassata in un buco nero.[11]

Cygnus X-1 era l'oggetto di un amichevole scommessa scientifica tra i fisici Stephen Hawking e Kip Thorne nel 1974, dove Stephen Hawking scommetteva che non fosse un buco nero. Quest'ultimo ha concesso la scommessa nel 1990, dopo che i dati osservativi hanno aumentato notevolmente le possibilità che ci sia una singolarità gravitazionale nel sistema.[12]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) S. Bowyer, Byram, E. T.; Chubb, T. A.; Friedman, H., Cosmic X-ray Sources, in Science, vol. 147, n. 3656, 1965, pp. 394–398, DOI:10.1126/science.147.3656.394. URL consultato il 10 marzo 2008.
  2. ^ Staff, Observations: Seeing in X-ray wavelengths, ESA, 5 novembre 2004. URL consultato il 12 agosto 2008.
  3. ^ Walter Lewin, Van Der Klis, Michiel, Compact Stellar X-ray Sources, Cambridge University Press, 2006, p. 159, ISBN 0-521-82659-4.
  4. ^ La seguente fonte:
    2010 X-Ray Sources, su The Astronomical Almanac, U.S. Naval Observatory. URL consultato il 4 agosto 2009.
    dà un range di 235–1320 μJy a energie di 2–10 kEv, dove un Jansky (Jy) è 10-26 Wm-2 Hz-1.
  5. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore iorio
  6. ^ (EN) T. Harko, Black Holes, su physics.hku.hk, University of Hong Kong, 28 giugno 2006. URL consultato il 28 marzo 2008.
  7. ^ (EN) D. R. Gies, Bolton, C. T., The optical spectrum of HDE 226868 = Cygnus X-1. II — Spectrophotometry and mass estimates, in The Astrophysical Journal, Part 1, vol. 304, 1986, pp. 371–393, DOI:10.1086/164171. URL consultato il 18 marzo 2008.
  8. ^ (EN) Sergei Nayakshin, James B. Dove, X-rays From Magnetic Flares In Cygnus X-1: The Role Of A Transition Layer, su adsabs.harvard.edu, Cornell University, 3 novembre 1998. URL consultato il 29 marzo 2008.
  9. ^ A. J. Young, Fabian, A. C.; Ross, R. R.; Tanaka, Y., A Complete Relativistic Ionized Accretion Disc in Cygnus X-1, in Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, vol. 325, 2001, pp. 1045–1052, DOI:10.1046/j.1365-8711.2001.04498.x. URL consultato il 13 marzo 2008.
  10. ^ (EN) Elena Gallo, Fender, Rob, Accretion modes and jet production in black hole X-ray binaries, in Memorie della Società Astronomica Italiana, vol. 75, 2005, pp. 282–290. URL consultato il 29 marzo 2008.
  11. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore science300
  12. ^ (EN) Staff, Galaxy Entree or Main Course? (XML), Swinburne University, 27 febbraio 2004. URL consultato il 31 marzo 2008.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Libri[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Martin Schwarzschild, Structure and Evolution of the Stars, Princeton University Press, 1958, ISBN 0-691-08044-5.
  • AA.VV, L'Universo - Grande enciclopedia dell'astronomia, Novara, De Agostini, 2002.
  • J. Gribbin, Enciclopedia di astronomia e cosmologia, Milano, Garzanti, 2005, ISBN 88-11-50517-8.
  • W. Owen, et al, Atlante illustrato dell'Universo, Milano, Il Viaggiatore, 2006, ISBN 88-365-3679-4.
  • J. Lindstrom, Stelle, galassie e misteri cosmici, Trieste, Editoriale Scienza, 2006, ISBN 88-7307-326-3.
  • C. Abbondi, Universo in evoluzione dalla nascita alla morte delle stelle, Sandit, 2007, ISBN 88-89150-32-7.

Carte celesti[modifica | modifica wikitesto]

  • Tirion, Rappaport, Lovi, Uranometria 2000.0 - Volume II - The Southern Hemisphere to +6°, Richmond, Virginia, USA, Willmann-Bell, inc., 1987, ISBN 0-943396-15-8.
  • Tirion, Sinnott, Sky Atlas 2000.0 - Second Edition, Cambridge, USA, Cambridge University Press, 1998, ISBN 0-933346-90-5.
  • Tirion, The Cambridge Star Atlas 2000.0, 3ª ed., Cambridge, USA, Cambridge University Press, 2001, ISBN 0-521-80084-6.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

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