Utente:BlackPanther2013/Sandbox/kakapo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
La Corasmia, a sud del lago d'Aral, in un'immagine satellitare del 2009.

La Corasmia o Khwārizm (persiano/arabo خوارزم, vārazm o Ḫwārizm; uzbeko Xorazm; inglese Khwãrezm) è una regione storica dell'Asia centro-occidentale, corrispondente attualmente a parti dell'Uzbekistan e del Turkmenistan. Comprendeva le oasi situate lungo il corso inferiore dell'Amu Darya (l'antico Oxus) e attorno al suo delta, ed era compresa tra il lago d'Aral (a nord), i deserti del Karakum e del Kyzylkum e l'altopiano di Ustyurt, che la limitavano sugli altri lati. In epoca islamica, confinava con le regioni del Khorasan e della Transoxiana.

Città principale della regione (assieme a Kath e a Khiva) è stata per lungo tempo Gurgānj, l'odierna Konye-Urgench («Vecchia Urgench»), nell'estremo nord del Turkmenistan. La città non deve essere confusa con la città di Urgench, fondata in Uzbekistan nella seconda metà del XIX secolo.

Fino alla sua completa turchizzazione etnica e linguistica, completatasi nel tardo Medioevo, i Corasmi di lingua iranica costituivano il principale gruppo etnico della regione.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Preistoria[modifica | modifica wikitesto]

Reperti risalenti al Neolitico, all'età del Bronzo e alla prima età del Ferro indicano che nell'area ferveva già una certa attività.

Antichità[modifica | modifica wikitesto]

La storia antica di questa regione non è ben conosciuta; oltre alle notizie di carattere mitico che si trovano nelle fonti persiane circa la partecipazione di essa alle favolose guerre tra Irani e Turani, abbiamo in Erodoto notizia di un regno corasmio precedente alla conquista persiana. Dopo essere appartenuta all'impero persiano (Erodoto assegna i Corasmi con i Parti, gli Arii e i Sogdiani al sedicesimo distretto fiscale di Dario), la regione era divenuta autonoma quando vi giunse Alessandro Magno; Arriano (IV, 5) narra che nel 328 a.C. il suo re, Farasmane, offrì spontaneamente la sua sottomissione al Macedone. Fino alla conquista araba che vi introdusse l'Islam e la sua cultura, non si hanno notizie sicure sul paese; quando il famoso condottiero musulmano Qutayba ibn Muslim si impadronì della regione nel 712 d.C., vi trovò regnante una dinastia residente nella città di Kāth, sul cui passato al-Bīrūnī dà molte notizie in gran parte leggendarie, insieme con altre di molto valore sulle religioni e sul calendario, che indicano che il paese conservava elementi antichi di cultura iranica, così come iranica era la sua lingua, il corasmio. Questi sovrani di Kāth portavano già il nome di Khwārizm Shāh, rimasto poi proprio di tutti i dominatori della regione; essi continuarono a governare sotto la supremazia del governatore arabo del Khorāsān residente a Merv, così come avvenne per Bukhara. Il potere centrale arabo cedette poi man mano, come altrove, all'affermarsi delle dinastie nazionali. Così nel 995 d.C. il principe di Gurgānj (al-Giurgiāniyyah) Maḥmūd ibn Muḥammed, che era rimasto indipendente, fondò una dinastia di Khwārizm Shāh già autonoma, che estese il suo potere su tutto il paese, e presso la quale vissero per qualche tempo al-Bīrūnī, nato presso Khiva, e anche Avicenna. Sotto questi sovrani, la Corasmia si affermò come importante centro di cultura araba e persiana.

Nel 1017 Mahmud di Ghazna si impadronì della regione, che fu da lui affidata al governo di Altun Tash, dalla cui famiglia fu governata finché cadde sotto la supremazia selgiuchide; questa si protrasse, con qualche interruzione e con varie vicende, complicate dalle lotte con le stirpi turche, fino alla morte del sultano Ahmed Sanjar (1157). Durante la dominazione selgiuchide si era affermata sempre più l'influenza della famiglia di Anushtigin, che Malik Shah aveva fatto governatore della Corasmia, e di cui il figlio Qutb ad-Din Muhammad assunse già il titolo di Khwārizm Shāh; accanita fu la lotta tra Atsiz, figlio di Qutb ad-Din e Sanjar, che subì da lui una memoranda sconfitta. Alla morte di Sanjar il paese era saldamente in mano alla nuova dinastia di Khwārizm Shāh, che lo portò al suo massimo splendore e lo liberò anche dal tributo dovuto ai Kara Khitay, sconfitti definitivamente nel 1210. Tra i più famosi sovrani di questa dinastia ricordiamo Ala ad-Din Tekish, suo figlio Ala ad-Din Muhammad e il figlio di quest'ultimo Jalal al-Din Mankubirni, che difese eroicamente, ma inutilmente, il suo regno contro Gengis Khan, che nel 1221 prese Gurganj. Nel più glorioso periodo di questa dinastia, il regno dei Khwārizm Shāh, elemento assai importante nell'equilibrio politico di allora, giungeva dagli Urali al Golfo Persico, e dall'Indo quasi all'Eufrate, con gran parte della Persia. Anche Bukhara era sotto il loro dominio. Alla floridezza economica promossa dalla posizione cosi favorevole nella valle dell'Amu Darya, corrispondeva una brillante fioritura di scienza e letteratura; Gurgānj fu un centro assai importante di cultura araba e persiana.

Età moderna[modifica | modifica wikitesto]

In seguito alla disgregazione dell'impero mongolo, la regione della Corasmia si ritrovò suddivisa tra il Khanato dell'Orda d'Oro e il Khanato di Chagatai, e la sua capitale Gurganj (oggi Konye-Urgench, «Vecchia Gurganj», da non confondere con la moderna città di Urgench, situata a vari chilometri di distanza), nuovamente ricostruita, divenne nuovamente uno dei più grandi e importanti centri commerciali dell'Asia centrale. A metà del XIV secolo, la Corasmia ottenne l'indipendenza dal Khanato dell'Orda d'Oro sotto la dinastia Sufide. Tuttavia, Tamerlano riteneva la Corasmia una potenziale rivale per Samarcanda e, nel corso di cinque campagne, distrusse completamente Gurganj nel 1388. A seguito di questo evento, nonché ad uno spostamento del corso dell'Amu Darya, il centro principale della Corasmia si spostò a Khiva, che divenne, nel XVI secolo, la capitale del Khanato di Khiva, retto dalla dinastia degli Arabshanidi.

Durante il regno di Pietro il Grande di Russia, le presunte voci della presenza di oro sulle sponde dell'Amu Darya, assieme al desiderio di garantire all'Impero russo una rotta commerciale verso l'Indo (nell'attuale Pakistan), una spedizione commerciale armata, guidata dal principe Alexander Bekovich-Cherkassky, venne inviata nella regione, ma fu respinta da Khiva.

Fu solamente sotto gli zar Alessandro II e Alessandro III che ebbero inizio i primi seri tentativi di annettere la regione. Uno dei pretesti principali per condurre spedizioni militari russe contro Khiva fu quello di liberare gli schiavi russi detenuti nel khanato e impedire la futura cattura e vendita di altri schiavi.

Nei primi anni di quello che in seguito verrà definito il «Grande gioco», gli interessi russi nella regione entrarono in collisione con quelli dell'Impero britannico, occupato, nel 1839, nella prima guerra anglo-afghana.

Il Khanato di Khiva si ridusse gradualmente di dimensioni a seguito dell'avanzata russa nel Turkestan (la regione comprendente anche la Corasmia) e, nel 1873, venne siglato un trattato di pace che faceva di Khiva un protettorato russo quasi indipendente.

Dopo che la presa di potere da parte dei bolscevichi a seguito della rivoluzione d'ottobre, nel territorio dell'antico Khanato di Khiva venne istituita la Repubblica Sovietica Popolare Corasmia (successivamente Repubblica Socialista Sovietica Corasmia), che però ebbe breve durata, in quanto nel 1924 venne infine incorporata nell'Unione Sovietica e l'antico Khanato si ritrovò suddiviso nelle nuove Repubblica Socialista Sovietica Turkmena, Uzbeka e Karakalpaka (inizialmente parte della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Kazaka come Oblast' del Karakalpakstan).

La più vasta regione storica della Corasmia subì un'ulteriore divisione. La parte settentrionale divenne la Repubblica Socialista Sovietica Uzbeka e nel 1925 quella occidentale divenne la Repubblica Socialista Sovietica Turkmena. Inoltre, nel 1936, la parte nord-occidentale divenne la Repubblica Socialista Sovietica Kazaka. A seguito del collasso dell'Unione Sovietica nel 1991, queste divennero rispettivamente Uzbekistan, Turkmenistan e Kazakistan. Molte delle antiche città corasme sono situate al giuorno d'oggi nella Provincia di Khorezm, in Uzbekistan.

Oggi, l'area in passato occupata dalla Corasmia è abitata da una popolazione mista di uzbeki, caracalpachi, turkmeni, tagiki, tatari e kazaki.

Come leggere il tassoboxProgetto:Forme di vita/Come leggere il tassobox
Come leggere il tassobox
Folidoti

Pangolino di Giava (Manis javanica)
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
SottoclasseTheria
InfraclasseEutheria
SuperordineLaurasiatheria
(clade)Ferae
OrdinePholidota
Weber, 1904

I Folidoti (Pholidota Weber, 1904, 1904) sono un ordine di mammiferi comprendente attualmente una sola famiglia, quella dei pangolini (Manidi). Questi sono animali insettivori specializzati nella cattura di formiche e termiti, come indica chiaramente la presenza di forti artigli e di una bocca di forma tubulare munita di una mascella priva di denti e di una lunga lingua. Si differenziano da tutti gli altri mammiferi per la presenza di un rivestimento corporeo formato da grandi scaglie cornee sovrapposte. In caso di minaccia, possono arrotolarsi su sé stessi formando una palla. I pangolini possono vivere sul terreno o sugli alberi, a seconda della specie, e conducono di solito una vita notturna, anche se le notizie riguardanti la loro biologia sono piuttosto scarse. La famiglia comprende tre generi e otto specie, di cui quattro diffuse in Asia orientale, meridionale e sud-orientale e quattro nell'Africa a sud del Sahara. I pangolini prediligono sia le foreste che le distese aperte e si incontrano in pianura e sulle montagne fino a medie altitudini.

L'attuale nome con cui viene indicata la famiglia dei pangolini, Manidae, venne introdotto nel 1821. In passato, nel XIX secolo e agli inizi del XX secolo, i pangolini erano considerati parenti stretti dei formichieri e degli armadilli. Con i primi condividono la bocca priva di denti e dotata di una lunga lingua. L'assenza dei denti portò alla creazione di un taxon chiamato Edentata, in cui tutti e tre i gruppi di animali furono classificati a lungo. Solamente a partire dalla metà degli anni '80 i moderni studi di genetica molecolare hanno dimostrato che i pangolini sono più strettamente imparentati con l'ordine dei Carnivori. Le somiglianze con i formichieri e gli armadilli, quindi, sono solamente frutto di una convergenza evolutiva. A causa della mancanza dei denti, ma anche dello stile di vita specializzato, i pangolini del passato hanno lasciato pochi resti fossili. I primi rappresentanti della famiglia dei Manidi risalgono al Pliocene, circa 5 milioni di anni fa, ma forme imparentate con essi erano presenti già nell'Eocene medio, circa 47 milioni di anni fa.

Tutte e otto le specie di pangolino sono oggi considerate più o meno minacciate e protette a livello internazionale. Le principali cause che ne minacciano la sopravvivenza sono il consumo della carne, che viene venduta come una specialità alimentare esotica, da un lato, e l'utilizzo delle scaglie e di altre parti del corpo in rituali locali, nonché nella medicina tradizionale cinese, dall'altro. Di conseguenza, i pangolini non vengono solo cacciati intensamente, ma sono anche tra i mammiferi più contrabbandati del mondo.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Aspetto esterno[modifica | modifica wikitesto]

Pangolino cinese (Manis pentadactyla) imbalsamato: si possono notare i grandi artigli delle zampe anteriori e la coda muscolosa, in grado di sostenere il peso dell'animale.
Pangolino indiano (Manis crassicaudata).

I pangolini hanno un corpo allungato con arti corti, testa piccola e appuntita e coda lunga. La lunghezza testa-tronco varia a seconda della specie, dai 25-43 cm dei più piccoli pangolino tricuspide (Phataginus tricuspis) e pangolino dalla coda lunga (Phataginus tetradactyla) ai 67-81 cm del rappresentante più grande della famiglia, il pangolino gigante (Smutsia gigantea). La coda misura a sua volta dai 25 ai 70 cm. Nei pangolini che vivono sugli alberi la lunghezza della coda supera quella del resto del corpo, mentre nelle altre specie essa presenta lunghezza uguale o inferiore. Il peso varia tra 1,6 e 33 kg, con i maschi generalmente più grandi delle femmine. Una specie fossile, Manis palaeojavanica, vissuta nel Sud-est asiatico durante il Pleistocene, raggiungeva una lunghezza totale di circa 2,5 m, rappresentando così la più grande specie di pangolino finora conosciuta[1][2][3].

La testa del pangolino è piccola e di forma conica. Anche gli occhi sono piccoli, protetti da palpebre sporgenti e prive di ghiandole. Le specie africane sono prive di padiglione auricolare, mentre in quelle asiatiche spesso è presente solo una cresta ispessita. Il naso è chiuso da una piega cutanea (Plica alaris), di particolare utilità quando gli animali aderiscono con i loro musi alle strutture costruite dagli insetti per assumere il cibo[2][3].

La principale caratteristica di questi animali, tuttavia, è il rivestimento costituito da grandi scaglie cornee che ricopre la parte superiore della testa, il tronco, la parte esterna degli arti (in alcune specie non gli avambracci) e la parte superiore e inferiore della coda. Solo il muso, il ventre e l'interno degli arti sono privi di scaglie, ma sono ricoperti da una pelle grigia e ruvida ricoperta da peli bianchi, marroni o neri. Nei pangolini africani, la serie mediana delle scaglie, a due terzi circa della lunghezza del corpo, si biforca verso la coda in due serie distinte, mentre in quelli asiatici la stessa serie di scaglie prosegue ininterrotta fino alla punta della coda. Sul lato inferiore della coda, inoltre, i pangolini arboricoli presentano una superficie libera ricoperta di pelle ispessita. Nelle specie asiatiche, tra le scaglie della parte posteriore del corpo crescono singoli peli[2][3].

Gli arti sono corti e forti e terminano con cinque dita (pentadattili). Le zampe anteriori mostrano adattamenti a uno stile di vita fossorio, in quanto le tre dita centrali sono dotate di lunghi artigli ricurvi, di cui quello centrale è significativamente più grande. Gli artigli del primo e del quinto dito, tuttavia, sono di dimensioni ridotte e non vengono utilizzati durante lo scavo. Le zampe posteriori sono più forti e leggermente più lunghe, e dotate anch'esse di cinque dita munite di artigli. Generalmente, gli artigli delle zampe anteriori dei pangolini che vivono sul terreno sono più lunghi e meno ricurvi di quelli che vivono sugli alberi; questi ultimi, a loro volta, possiedono gli artigli delle zampe posteriori notevolmente più lunghi, in modo da consentire la locomozione sugli alberi[4][2][5].

Cranio[modifica | modifica wikitesto]

Cranio di pangolino tricuspide (Phataginus tricuspis).

Il cranio raggiunge un lunghezza compresa tra 6 e 16 cm. Ha generalmente una forma conica, con un rostro di forma tubolare un po' più stretto del resto della testa e leggermente accorciato verso la parte anteriore. Poiché il cibo non viene masticato, i muscoli masticatori sono notevolmente regrediti, tanto che come siti per la connessione rimangono solo poche prominenze ossee. Ciò fa sì che il cranio sia molto liscio, nonché uno tra quelli dalla struttura più semplice all'interno della classe dei mammiferi[6].

Una particolarità del cranio degna di nota è lo sviluppo incompleto dell'arcata zigomatica, una caratteristica che i pangolini condividono con i formichieri sudamericani, anch'essi animali specializzati in una dieta a base di formiche e termiti, e si ritiene pertanto che sia un aspetto correlato a questo tipo di alimentazione. Tuttavia, in alcuni pangolini, come il pangolino cinese, si incontrano talvolta esemplari con l'arcata zigomatica fusa[7]. Altre caratteristiche generali del cranio sono la lunghezza dell'osso nasale e la grandezza dell'osso parietale rispetto all'osso frontale[8][9].

I denti mancano completamente e la mascella inferiore è concepita solo come un semplice osso a forma di lama, con articolazioni alla sua estremità debolmente sviluppate, posteriori e sferiche, che lasciano poco spazio per il movimento della stessa. La sinfisi della mascella inferiore forma una superficie piatta su cui può scorrere la lingua[10][2]. Tuttavia, all'estremità posteriore della sinfisi, si trova una coppia di protuberanze ossee, appuntite e di forma conica, somiglianti a dei canini, segno distintivo di tutti i pangolini[8][9].

Rivestimento dermico[modifica | modifica wikitesto]

Primo piano dell'armatura di scaglie.

L'armatura di scaglie, assieme al resto della pelle, costituisce da un quarto a un terzo circa del peso corporeo totale. È formata da 160-290 scaglie singole, di cui poco meno della metà sulla coda. Sono mobili e si sovrappongono tra loro come delle tegole. Sono disposte in file, il cui numero varia, sul dorso, da 13 a 25. Il colore delle scaglie varia dal marrone scuro al verde oliva fino al giallastro. Hanno forma triangolare a «V»; le più grandi possono essere larghe e lunghe da 7 a 8 cm. Sulla loro superficie sono presenti delle ondulazioni nel senso della lunghezza, mentre gli spigoli sono appuntiti. Le scaglie più grandi sono situate di solito sul dorso, con la punta rivolta all'indietro. Quando l'animale si appallottola su sé stesso, le estremità affilate delle scaglie lo fanno assomigliare ad una pigna semiaperta. Tale armatura protegge i pangolini sia dai morsi delle formiche e delle termiti che dai parassiti della pelle, nonché dagli attacchi dei grandi predatori o dalle ferite provocate dal passaggio in tane sotterranee[2][11].

Le scaglie sono formazioni cheratinizzate dell'epidermide, appoggiate su piegature rivolte all'indietro del derma sottostante. Nella sezione trasversale si possono distinguere tre strati: lo strato dorsale superiore occupa circa un sesto dello spessore e consiste di cellule appiattite fortemente cheratinizzate. Lo strato intermedio, che occupa lo spazio più grande, è formato da cellule meno cheratinizzate e appiattite. Lo strato ventrale (o inferiore) forma la parte inferiore della scaglia e ha uno spessore di appena poche cellule. Tutti e tre gli strati si formano a partire da diverse aree germinali dell'epidermide. L'assenza di filamenti indica che le squame non corrispondono a peli appiccicati tra loro come si pensava in precedenza. La loro struttura è paragonabile a quella delle unghie dei primati e, come queste, le scaglie crescono costantemente, compensando l'usura. Di conseguenza, differiscono anche dalle squame che ricoprono il corpo dei rettili squamati, che a volte devono essere cambiate ogni anno[12].

Si ritiene che l'armatura di scaglie sia una caratteristica comparsa già nelle prime fasi evolutive dei pangolini, come Eomanis, vissuto nell'Eocene medio, circa 47 milioni di anni fa, i cui resti fossili sono stati rinvenuti a Messel, in Assia[13]. Forse questi animali svilupparono originariamente solo una coda squamosa, in maniera omologa a quanto si riscontra oggi in alcuni rappresentanti dell'ordine dei roditori, come il topolino domestico o la nutria, o delle tupaie, e solo successivamente le scaglie andarono a formare un'armatura completa del corpo[14].

Scheletro[modifica | modifica wikitesto]

Scheletro di pangolino dalla coda lunga (Phataginus tetradactyla).

Il numero di vertebre varia da specie a specie, e va dalle 48 del pangolino di Temminck (Smutsia temminckii) alle oltre 70 del pangolino dalla coda lunga[15]. A seconda delle specie, la colonna vertebrale è formata in tutto da 7 vertebre cervicali, da 12 a 15 vertebre toraciche, da 5 o 6 vertebre lombari, da 2 a 4 vertebre sacrali e da 21 a 50 vertebre caudali[16][2]. I pangolini riescono a raggomitolarsi perfettamente su sé stessi, in quanto il bacino è molto corto, l'ileo è piegato verso l'esterno e le vertebre lombari sono allungate. Le vertebre caudali presentano una serie di chevron sul lato inferiore, che fungono da base per i forti muscoli della coda, grazie ai quali essa può essere avvolta intorno al corpo quando l'animale si arrotola[17]. Il processo xifoideo all'estremità posteriore dello sterno giunge fino alla regione pelvica e funge da punto di inserzione per i complessi muscoli della lingua[18].

In tutte le specie di pangolino, sia in quelle scavatrici che in quelle arboricole, l'omero è particolarmente forte. Presenta un'articolazione del gomito molto ampia e - caratteristica tipica di questi animali - una sviluppata crista deltoidea, una cresta ossea che funge da punto di inserzione per i muscoli della spalla. Nel femore, la terza sporgenza (Trocanther tertius), un altro punto di inserzione muscolare, è situato verso il basso, in prossimità dell'articolazione del ginocchio, ed è quindi appena visibile. Nei Folidoti più primitivi questa era situata molto più alto ed era più sviluppata[19][20]. Un'altra caratteristica particolare del pangolino sono le estremità delle dita (vale a dire le falangi distali), sia delle zampe anteriori che posteriori, che hanno una forma allungata e presentano in cima profonde rientranze in cui si inseriscono gli artigli[9].

Organi interni[modifica | modifica wikitesto]

Una particolarità dei pangolini è la lunga lingua vermiforme ricoperta di saliva appiccicosa, grazie alla quale assumono il cibo. Nel pangolino gigante essa può essere lunga fino a 70 cm ed essere estroflessa fuori per 25 cm, mentre nel pangolino cinese essa può crescere fino a 41 cm di lunghezza e avere un diametro di 1,1 cm[21]. La sua complessa muscolatura è costituita da fibre muscolari estendentisi longitudinalmente e radialmente. A riposo, la sua parte anteriore viene tenuta arrotolata in bocca. La superficie della lingua è irruvidita nella parte anteriore da una serie di papille coniche, mentre sulla sua parte superiore si trovano papille gustative fungiformi. La lingua non è collegata con l'osso ioide, come in altri mammiferi, ma con la parte posteriore dello sterno attraverso un sistema muscolare esterno, corrispondente in parte all'osso ioide. L'osso ioide, invece, ha una funzione diversa: viene utilizzato infatti per frantumare all'ingresso dell'esofago gli insetti rimasti attaccati alla lingua. Le ghiandole salivari sono molto grandi e si estendono fin nella regione toracica e ascellare[18][22][23].

Lo stomaco, molto muscoloso, è deputato alla frantumazione meccanica degli insetti. È dotato di un epitelio squamoso corneo e stratificato, che lo protegge dai morsi e dal veleno delle formiche e delle termiti. La muscolatura del piloro, notevolmente sviluppata, macina il cibo ingerito e garantisce un'ulteriore frantumazione grazie ad una serie di spine ossificate (spine piloriche); in aggiunta, per favorire tale processo, i pangolini ingeriscono piccoli sassolini. Le ghiandole piloriche sono molto lunghe e di forma tubolare, e sono riunite in ammassi ghiandolari che si svuotano attraverso un passaggio centrale verso il piloro[24][25]. Nel pangolino cinese l'intero tratto intestinale raggiunge una lunghezza di 5,2 m e circa 1 cm di diametro. È di forma tubolare e non presenta alcuna differenza tra l'intestino tenue e l'intestino crasso: solo pochi esemplari presentano un leggero ispessimento o formazione a spirale che potrebbero indicare la transizione da intestino tenue a crasso. Il cieco non è presente[21]. I pangolini sono dotati di ghiandole anali, le cui secrezioni odorose vengono utilizzate come mezzo di comunicazione e, forse, di difesa. Le femmine hanno un utero bicorne (Uter bicornis). I maschi hanno un pene piccolo, ma non hanno scroto: i testicoli sono situati infatti sotto la pelle[2][26].

Il cervello è molto semplice e di piccole dimensioni - nel pangolino di Giava ha un peso che costituisce appena lo 0,2-0,5% del peso corporeo[27]. Solo il bulbo olfattivo è ben sviluppato, e si ritiene pertanto che l'olfatto giochi un ruolo importante nella ricerca del cibo e nella comunicazione con i conspecifici. Secondo quanto indicherebbe la struttura del cervello, e principalmente del cervelletto, le specie asiatiche sarebbero più primitive di quelle africane[28].

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

Distribuzione dei pangolini.
Specie asiatiche

     Pangolino indiano

     Pangolino cinese

     Pangolino di Giava

     Pangolino delle Filippine


Specie africane

     Pangolino di Temminck

     Pangolino tricuspide

     Pangolino gigante

     Pangolino dalla coda lunga

I pangolini vivono nell'Africa a sud del Sahara e nell'Asia meridionale, sud-orientale e nelle regioni meridionali di quella orientale. In Africa, la loro area di distribuzione si estende dal Senegal e dal Sudan fino al Sudafrica. In Asia, sono diffusi dal Pakistan e dal Nepal, attraverso l'India, la penisola indocinese, la Cina meridionale e la penisola malese, fino al Borneo e alle Filippine. I pangolini vivono quindi principalmente in regioni tropicali[2].

Il loro habitat comprende un'intera varietà di ambienti diversi, come foreste rivierasche e paludose, foreste pluviali, savane aperte e savane arbustive, oltre a formazioni vegetative a mosaico. Inoltre, si adattano bene anche ad ambienti secondari creati dall'uomo, come piantagioni, giardini urbani e terreni agricoli, che devono tuttavia fornire abbastanza ripari sotto forma di alberi o rocce e tane. Questi animali, tuttavia, evitano gli insediamenti umani e i campi coltivati e sono sensibili ai pesticidi. Sui monti Nilgiri, in India, il pangolino indiano (Manis crassicaudata) viene segnalato fino ad un'altitudine di circa 2300 m. Requisito fondamentale per la presenza dei pangolini è, oltre a una fitta vegetazione di sottobosco, la presenza di fonti alimentari sufficienti di formiche e termiti e di acqua[2].

A causa dei diversi habitat frequentati e in alcuni casi alla specializzazione su diversi tipi di fonti alimentari, le specie simpatriche raramente tendono ad occupare le stesse nicchie ecologiche. In alcuni casi, tuttavia, si incontra un maggior grado di specializzazione. Per esempio, nelle regioni in cui coabita con il pangolino tricuspide, il pangolino dalla coda lunga tende a prediligere regioni più acquitrinose. Il pangolino cinese (Manis pentadactyla), invece, vive anche nelle regioni settentrionali del Vietnam, dove condivide l'areale con il pangolino di Giava (Manis javanica): quest'ultimo, tuttavia, si incontra quasi sempre ad altitudini superiori ai 600 m. Anche con gli altri insettivori altamente specializzati, come l'oritteropo africano (Orycteropus), non c'è quasi nessuna competizione nelle stesse aree occupate, grazie alla particolare specializzazione di nicchia dei pangolini[2].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Dubois 1926
  2. ^ a b c d e f g h i j k Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Gaubert 2011
  3. ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Heath 2013
  4. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Pocock 1924
  5. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore PSG
  6. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Walker
  7. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Emry 2004
  8. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Gaudin et al. 1999
  9. ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Rose et al. 2005
  10. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Heath 1992
  11. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Irshad et al. 2015
  12. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Spearman 1967
  13. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Königswald et al. 1981
  14. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Meyer et al. 2013
  15. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Heath 1995
  16. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Jentink 1882
  17. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Storch 2004
  18. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Doran et al. 1973
  19. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Emry 1970
  20. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Botha et al. 2007
  21. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Lin et al. 2015
  22. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Chan 1995
  23. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Prapong et al. 2009
  24. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Nisa et al. 2010
  25. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Beal et al. 2009
  26. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Heath 2013a
  27. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Weber 1892
  28. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Hackethal 1976
Come leggere il tassoboxProgetto:Forme di vita/Come leggere il tassobox
Come leggere il tassobox
Canguro rosso

Maschio allo zoo di Melbourne

Femmina allo zoo di Nashville
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa
SuperphylumDeuterostomia
PhylumChordata
SubphylumVertebrata
InfraphylumGnathostomata
SuperclasseTetrapoda
ClasseMammalia
SottoclasseTheria
InfraclasseMetatheria
SuperordineAustralidelphia
OrdineDiprotodontia
SottordineMacropodiformes
FamigliaMacropodidae
GenereMacropus
SottogenereOsphranter
SpecieM. rufus
Nomenclatura binomiale
Macropus rufus
(Desmarest, 1822)
Sinonimi

Kangurus rufus
Desmarest, 1822

Areale

Il canguro rosso (Macropus rufus (Desmarest, 1822)) è il più grande tra tutti i canguri, oltre ad essere il più grosso mammifero terrestre originario dell'Australia e il più grande marsupiale vivente. È diffuso in gran parte dell'Australia continentale: evita solamente le più fertili aree del sud, la costa orientale e le foreste pluviali del nord.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Il cranio (museo di Wiesbaden, Germania).
Una femmina al Botanic Garden Zoo di Wagga Wagga, Australia.

È un canguro molto grande, con lunghe orecchie appuntite e muso squadrato. I maschi sono ricoperti da una corta pelliccia bruno-rossastra, che sbiadisce fino a divenire di un beige chiaro sulle parti inferiori e sugli arti. Le femmine sono più piccole dei maschi e presentano un manto di colore grigio-azzurro con sfumature marroni, grigio chiaro sul ventre, anche se le femmine che vivono nelle regioni aride mostrano una colorazione più simile a quella dei maschi. Possiede arti anteriori dotati di piccole unghie, arti posteriori muscolosi usati per saltare e una coda robusta che viene spesso utilizzata come un treppiede quando l'animale è in posizione di riposo. Le zampe del canguro rosso funzionano un po' come una fascia elastica, con il tendine di Achille che si allunga quando l'animale scende e rilascia la sua energia per spingerlo in alto e in avanti, consentendogli la sua caratteristica andatura a balzi. Così facendo, i maschi possono coprire anche 8-9 m di lunghezza e 1,8-3 m di altezza con un unico salto, anche se l'andatura media è di 1,2-1,9 m[2][3].

I maschi possono raggiungere una lunghezza di 1,3-1,6 m, ai quali vanno aggiunti altri 1,2 m di coda. Le femmine sono notevolmente più piccole, con una lunghezza del corpo di 85-105 cm e una coda di 65-85 cm[3][4]. Le femmine pesano tra i 18 e i 40 kg, mentre i maschi generalmente pesano circa il doppio, potendo raggiungere tra i 55 e i 90 kg[4][5]. In posizione eretta, un canguro rosso misura circa 1,5 m di altezza alla sommità della testa[6]. I maschi più grandi, comunque, possono superare gli 1,8 m di altezza: l'esemplare più grande di cui sono state confermate le dimensioni era alto circa 2,1 m e pesava 91 kg[5].

Il canguro rosso mantiene la temperatura interna in un punto di omeostasi di circa 36 °C grazie a tutta una serie di adattamenti fisici, fisiologici e comportamentali. Tra questi ricordiamo uno strato di pelliccia isolante, l'abitudine di essere meno attivo e rimanere all'ombra quando le temperature sono più elevate, nonché il rinfrescarsi ansimando, sudando e leccandosi gli arti anteriori.

Grazie alla posizione dei suoi occhi, il canguro rosso ha un campo visivo di circa 300° (precisamente di 324° con circa 25° di sovrapposizione)[7].

Biologia[modifica | modifica wikitesto]

Canguro rosso in un ambiente arido.
Canguro rosso al Desert Park di Alice Springs.

Mentre il record mondiale di salto in alto per l'uomo è di 2,45 m e quello di salto in lungo è di 8,96 m, il canguro può elevarsi fino a 3,3 m in altezza e spingersi oltre 9 m in lunghezza. Questo marsupiale, tuttavia, si esibisce in tali prestazioni solo in caso di estrema necessità, per esempio quando deve fuggire, in campo aperto, da un predatore. Di solito, invece, se si deve spostare per andare ad abbeverarsi o soltanto per avvicinarsi a un suo simile, si limita a compiere salti inferiori ai 2 m di lunghezza. Quando procede con la sua andatura prettamente bipede (zampe posteriori), il canguro sembra rimbalzare sul suolo e scattare in alto come una molla. Tale tipo di spostamento può raggiungere i 20 km orari, ma, in caso di pericolo, questo animale è in grado di lanciarsi anche a velocità superiori. Quando bruca, il canguro si tiene di solito proteso in avanti e si sposta molto lentamente servendosi di tutti e quattro gli arti, un po' come si muove il coniglio. Esso poggia le zampe anteriori sul suolo e attira la coda a sé, lasciando che le zampe posteriori basculino liberamente. In questa posizione, il peso si sposta sulla parte posteriore del corpo e sulla coda, che funge per così dire da «quinta zampa». Questo tipo di locomozione quadrupede, basato sulla successione di quattro movimenti distinti, sembra esiga un quantitativo di energia di gran lunga superiore a quello necessario per il salto. Studi effettuati per calcolare il consumo energetico di un canguro in movimento hanno dimostrato che, quando il grande marsupiale si sposta a una velocità inferiore ai 18 km orari, impiega più energia di un animale dello stesso peso che corra a quattro zampe. Al contrario, quando accelera, il canguro consuma meno ossigeno grazie a un meccanismo fisiologico favorito dalle fasce muscolari molto elastiche.

Di indole piuttosto placida, il canguro rosso sa tuttavia difendersi con estremo accanimento in caso di necessità. Se un esemplare isolato viene attaccato da una muta di dingo (Canis familiaris dingo) o cani selvatici, esso cerca preferibilmente di rifugiarsi nel primo specchio d'acqua disponibile, immergendosi fino al petto. Qui, in posizione eretta, il canguro attende che i cani nuotino verso di lui per poi cercare di afferrarli con le zampe anteriori e di tenerli sott'acqua fino a farli annegare. Se questa tattica fallisce, per esempio per la scarsa profondità dell'acqua, o più facilmente per l'assoluta mancanza d'acqua, l'animale si mette allora con la schiena contro un albero e respinge gli assalitori sferrando potenti calci, che si rivelano spesso mortali se colpiscono con precisione il bersaglio. Allo stesso modo, quando due maschi si battono per una femmina, talvolta si afferrano e si prendono a pugni; se il combattimento diventa più violento, i contendenti saltano in avanti l'uno verso l'altro e si sferrano reciprocamente potenti calci, cercando di procurarsi profonde ferite nel ventre.

Alimentazione[modifica | modifica wikitesto]

Quando manca circa un'ora al calare del sole, i canguri iniziano a mettersi alla ricerca del cibo e a dirigersi verso le più vicine sorgenti d'acqua. Il canguro rosso, come la maggior parte degli altri canguri, si nutre essenzialmente di erbe (dal 60% al 90% del suo regime alimentare) e di piante erbacee a fiori come l'erba medica o il trifoglio; inoltre, è particolarmente ghiotto di Triodia spinifex, o «erba porcospino», una graminacea le cui foglie, rigide e appuntite come spilli, assomigliano ad aculei. Questa pianta, che cresce nelle regioni aride e semiaride, si presenta in forma di cespugli che talvolta ricoprono la savana per centinaia di chilometri. Anche i chenopodi, piccole piante erbacee molto ricche di sali, rientrano nel regime alimentare del canguro, in una porzione non superiore al 10% della sua dieta complessiva. Il canguro rosso invece, al contrario dei suoi cugini prossimi, i wallaroo, non consuma praticamente mai foglie di acacia o di eucalipto. Le ricerche non hanno chiarito per quale motivo il canguro prediliga alcune piante e ne trascuri altre. L'équipe del biologo australiano P. T. Bailey ha ipotizzato che un possibile criterio di selezione possa essere costituito dalla percentuale di zuccheri (carboidrati solubili) presente in alcune piante. I maschi mangiano in media un'ora in più delle femmine, forse perché queste attingono a nutrimenti più ricchi di proteine, soprattutto durante i periodi di siccità, e perché concentrano le loro ricerche di cibo in pascoli più favorevoli, probabilmente per migliorare la qualità del loro latte. In tale direzione si sono mosse le ricerche del biologo australiano A. E. Newsome, che ha studiato le differenze nei regimi alimentari dei canguri maschi e dei canguri femmine dell'Australia centrale. Questi marsupiali impiegano parecchie ore per nutrirsi. Nel 1986, l'australiano D. Priddel ha stabilito che, in qualsiasi stagione, i canguri dedicano dalle 7,1 alle 10,5 ore al giorno per cibarsi. Altri studi hanno dimostrato che il 78% del tempo riservato alla brucatura era notturno: durante le 6 ore successive al tramonto e poco prima dell'alba. Oltre che di notte, i canguri si dedicano alla propria alimentazione durante le prime due ore del giorno (80% della brucatura diurna) e poco prima del calare del sole. Questi animali, infatti, nonostante un buon adattamento al clima arido del loro areale di diffusione, temono comunque il caldo eccessivo: per questo, durante le giornate più torride nelle savane del Nuovo Galles del Sud, essi cercano l'ombra.

Allo stato selvatico, il canguro rosso vive generalmente in piccoli gruppi piuttosto liberi, forse senza una stretta gerarchia. Il gruppo raramente supera gli 8-10 individui e in tal caso comprende un maschio, una o più femmine e i piccoli di entrambi i sessi. I maschi sono organizzati in base a una sommaria gerarchia, sovente basata sulle dimensioni, che si manifesta in particolare durante il corteggiamento della femmina. Spesso si incontrano piccoli gruppi di giovani animali o isolati esemplari anziani; sono frequenti anche gruppi ristretti di 2-3 animali. In genere, il comportamento sociale dei canguri è legato alle condizioni meteorologiche e ambientali. Pertanto, quando le piogge abbondanti fanno spuntare nuova vegetazione nella savana, essi hanno comportamento piuttosto individualistico, mentre diventano gregari quando la siccità inaridisce i pascoli. In tali circostanze, questi marsupiali sono capaci di percorrere da 10 a 20 km per ritrovarsi a brucare, in gruppi di diverse decine di animali, su pascoli abbondanti, dove i primi canguri arrivati non respingono mai gli esemplari che giungono in seguito.

Riproduzione[modifica | modifica wikitesto]

Il canguro rosso si accoppia per tutto l'anno, in quanto il ciclo riproduttivo è influenzato dalle condizioni ambientali e non è legato a una stagione definita. La femmina raggiunge la maturità sessuale fra i 14 e i 22 mesi di vita, il maschio dopo i 2 anni di età. Il ciclo della femmina dura 35 giorni. L'ovulo si sviluppa nell'utero fino a diventare, nel giro di circa 33 giorni, un embrione larvale con un peso che va da 0,8 a 1 g, e lungo da 2,5 a 5 cm. Nudo, però con le zampette anteriori già dotate di unghie, l'embrione comincia la sua ascesa - della durata di 5 minuti - verso il marsupio, aggrappandosi ai peli della madre. Una volta raggiunta la meta si attacca con la bocca a uno dei 4 capezzoli e resta in questa posizione per tutto il periodo dello sviluppo embrionale (190 giorni). Dopo 110 giorni, il piccolo immaturo è ricoperto di peli ed entro 150 giorni inizia a fare capolino con la testa dalla tasca; dopo 200 giorni esso comincia a uscirne, ma vi rientra immediatamente al minimo pericolo. Fra i 235 e i 250 giorni circa, il piccolo canguro abbandona definitivamente la tasca materna. A questo stadio del suo sviluppo pesa fra i 2 e i 4 kg e succhia ancora il latte della madre, pur dimostrandosi molto più indipendente. Per un po' di tempo, il cucciolo continuerà ancora a seguire la madre. Solo dopo un anno, quando peserà circa 10 kg, lo svezzamento sarà completato.

Il clima, caratterizzato dall'alternanza di periodi secchi e piovosi, influisce sulla riproduzione dei canguri. Una volta che una femmina ha dato alla luce un piccolo, ha luogo un estro venereo post partum (viene liberato un ovulo), mentre il piccolo precedente si trova ancora nella tasca marsupiale in fase di sviluppo poco avanzata. Questo nuovo ovulo viene fecondato, ma resta nell'utero allo stadio di blastocito (sviluppo precoce) fino al successivo periodo delle piogge. Solo allora il suo sviluppo riprende, quando la femmina porta ancora nel marsupio, che tuttavia ben presto lascerà, un piccolo di qualche mese. A questo punto il ciclo ricomincia. Una femmina, dunque, può simultaneamente custodire, nel proprio marsupio, un piccolo già grande che prende ancora il latte a una prima mammella, un embrione in via di sviluppo che succhia il latte a una seconda mammella, oltre a un ovulo nell'utero, in attesa che il primogenito lasci la tasca.

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

L'Australia è caratterizzata dalla presenza di varie fasce climatiche. La costa settentrionale da Capo York a Brisbane presenta temperature uniformi ed elevate con abbondanti piogge, soprattutto in estate (clima equatoriale con monsone). Qui predomina la foresta equatoriale, ricca di liane e felci arborescenti. Le coste sud-orientali e sud-occidentali godono di un clima marittimo, pressoché mediterraneo, con precipitazioni poco abbondanti, soprattutto in inverno. Nelle regioni orientali si estendono foreste di eucalipto, di araucaria e di felci arborescenti. Il canguro rosso è diffuso in un'area piuttosto vasta, che coincide con i territori più aridi dell'Australia. La specie è insediata nelle steppe semiaride delle regioni meridionali - coperte di sterpaglie, di acacie e di piante alofite, cioè che vivono in ambienti salini - e nell'entroterra. Quest'ultimo è costituito da una regione orientale secca, dove dominano la steppa e la savana tropicale, coperte da arbusti desolati di acacie e da eucalipti nani, e da una regione centrale dal clima molto più secco, pressoché desertico, dove risalta una vegetazione rada di cespugli compatti e di arbusti particolarmente carichi di spine chiamati scrubs, fra i quali Triodia spinifex, una graminacea detta «erba porcospino».

Il ciclo vitale del canguro rosso è strettamente correlato con le condizioni climatiche. Nelle regioni più aride, dove le precipitazioni non superano mai i 250 mm l'anno, i frequenti periodi di siccità limitano le dispinibilità alimentari e la qualità del cibo, con inevitabili ripercussioni sulla riproduzione e sulle possibilità di sopravvivenza del canguro. Fra il 1975-1976 e il 1982, per esempio, la popolazione di canguri rossi è raddoppiata nelle regioni occidentali del Nuovo Galles del Sud grazie a condizioni climatiche favorevoli, mentre la siccità del 1982 ha portato a un decremento degli esemplari di questa specie pari, in media, al 43%. Osservazioni a lungo termine hanno potuto accertare che un incremento di 100 mm delle precipitazioni medie annue nelle regioni orientali del Paese (480 mm) è accompagnato da un parallelo aumento del 30% degli esemplari di canguri. Nelle regioni occidentali, si registra un identico incremento di canguri, anche se le precipitazioni medie annue (205 mm) aumentano di soli 50 mm. D'altra parte, quando in queste aree si verificano, rispettivamente, tassi di piovosità media annua inferiori di 100 mm e di 60 mm alle medie abituali, le popolazioni di canguri restano stabili, diminuendo solo qualora le piogge divengano ancora più scarse.

Behaviour[modifica | modifica wikitesto]

Mob of red kangaroos at the Wagga Wagga Botanic Gardens

Red kangaroos live in groups of 2–4 members. The most common groups are females and their young.[8] Larger groups can be found in densely populated areas and females are usually with a male.[9] Membership of these groups is very flexible, and males (boomers) are not territorial, fighting only over females (flyers) that come into heat. Males develop proportionately much larger shoulders and arms than females.[10] Most agonistic interactions occur between young males, which engage in ritualised fighting known as boxing. They usually stand up on their hind limbs and attempt to push their opponent off balance by jabbing him or locking forearms. If the fight escalates, they will begin to kick each other. Using their tail to support their weight, they deliver kicks with their powerful hind legs. Compared to other kangaroo species, fights between red kangaroo males tend to involve more wrestling.[11] Fights establish dominance relationships among males, and determine who gets access to estrous females.[8] Alpha males make agonistic behaviours and more sexual behaviours until they are overthrown. Displaced males live alone and avoid close contact with others.[8]

Fighting red kangaroos

Reproduction[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Kangaroo § Reproduction and life cycle.

The red kangaroo breeds all year round. The females have the unusual ability to delay birth of their baby until their previous Joey has left the pouch. This is called embryonic diapause. Copulation may last 25 minutes.[11] The red kangaroo has the typical reproductive system of a kangaroo. The neonate emerges after only 33 days. Usually only one young is born at a time. It is blind, hairless, and only a few centimetres long. Its hind legs are mere stumps; it instead uses its more developed forelegs to climb its way through the thick fur on its mother's abdomen into the pouch, which takes about three to five minutes. Once in the pouch, it fastens onto one of the two teats and starts to feed. Almost immediately, the mother's sexual cycle starts again. Another egg descends into the uterus and she becomes sexually receptive. Then, if she mates and a second egg is fertilised, its development is temporarily halted. Meanwhile, the neonate in the pouch grows rapidly. After approximately 190 days, the baby (called a joey) is sufficiently large and developed to make its full emergence out of the pouch, after sticking its head out for a few weeks until it eventually feels safe enough to fully emerge. From then on, it spends increasing time in the outside world and eventually, after around 235 days, it leaves the pouch for the last time.[12] While the young joey will permanently leave the pouch at around 235 days old, it will continue to suckle until it reaches about 12 months of age. A doe may first reproduce as early as 18 months of age and as late as five years during drought, but normally she is two and a half years old before she begins to breed.[13]

The female kangaroo is usually permanently pregnant, except on the day she gives birth; however, she has the ability to freeze the development of an embryo until the previous joey is able to leave the pouch. This is known as diapause, and will occur in times of drought and in areas with poor food sources. The composition of the milk produced by the mother varies according to the needs of the joey. In addition, red kangaroo mothers may "have up to three generations of offspring simultaneously; a young-at-foot suckling from an elongated teat, a young in the pouch attached to a second teat and a blastula in arrested development in the uterus".[11]

The kangaroo has also been observed to engage in alloparental care, a behaviour in which a female may adopt another female's joey. This is a common parenting behaviour seen in many other animal species like wolves, elephants and fathead minnows.[14]

Relationship with humans[modifica | modifica wikitesto]

A red kangaroo crossing a highway

The red kangaroo is an abundant species and has even benefited from the spread of agriculture and creation of man-made waterholes. However competition with livestock and rabbits poses a threat. It is also sometimes shot by farmers as a pest although a "destruction permit" is required from the relevant state government.

Kangaroos dazzled by headlights or startled by engine noise often leap in front of vehicles, severely damaging or destroying smaller or unprotected vehicles. The risk of harm to vehicle occupants is greatly increased if the windscreen is the point of impact. As a result, "kangaroo crossing" signs are commonplace in Australia.

Commercial use[modifica | modifica wikitesto]

Like all Australian wildlife, the red kangaroo is protected by legislation, but it is so numerous that there is regulated harvest of its hide and meat. Hunting permits and commercial harvesting are controlled under nationally approved management plans, which aim to maintain red kangaroo populations and manage them as a renewable resource. Harvesting of kangaroos is controversial, particularly due to the animal's popularity.[13]

In the year 2000, 1,173,242 animals were killed.[15] In 2009 the government put a limit of 1,611,216 for the number of red kangaroos available for commercial use. The kangaroo industry is worth about A$270 million each year, and employs over 4000 people.[16] The kangaroos provide meat for both humans and pet food. Kangaroo meat is very lean with only about 2% fat. Their skins are used for leather.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Ellis, M., van Weenen, J., Copley, P., Dickman, C., Mawson, P. & Woinarski, J. 2016, BlackPanther2013/Sandbox/kakapo, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ Red Kangaroo – Zoos Victoria, su zoo.org.au, www.zoo.org.au. URL consultato il 16 aprile 2009 (archiviato dall'url originale il 14 luglio 2008).
  3. ^ a b M. Yue, Macropus rufus, su Animaldiversity.ummz.umich.edu, 2001. URL consultato il 25 settembre 2015.
  4. ^ a b Red kangaroo videos, photos and facts – Macropus rufus, su ARKive. URL consultato il 25 settembre 2015.
  5. ^ a b Gerald Wood, The Guinness Book of Animal Facts and Feats, 1983, ISBN 978-0-85112-235-9.
  6. ^ P. Menkhorst e F. Knight, A Field Guide to the Mammals of Australia, Melbourne, Offord University Press, 2001, ISBN 0-19-555037-4.
  7. ^ Red Kangaroo Fact Sheet, su library.sandiegozoo.org. URL consultato il 4 ottobre 2015.
  8. ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Tyndale 2005
  9. ^ Johnson, C. N., Variations in Group Size and Composition in Red and Western Grey Kangaroos, Macropus rufus (Desmarest) and M. fulignosus (Desmarest), in Australian Wildlife Research, vol. 10, 1983, pp. 25–31, DOI:10.1071/WR9830025.
  10. ^ Jarman, P., Mating system and sexual dimorphism in large, terrestrial, mammalian herbivores, in Biological Reviews, vol. 58, n. 4, 1983, pp. 485–520, DOI:10.1111/j.1469-185X.1983.tb00398.x.
  11. ^ a b c McCullough, Dale R. and McCullough, Yvette (2000) Kangaroos in Outback Australia, Columbia University Press. ISBN 0-231-11916-X.
  12. ^ Evolution of Biodiversity, BCB705 Biodiversity, University of the Western Cape
  13. ^ a b Vincent Serventy, Wildlife of Australia, South Melbourne, Sun Books, 1985, pp. 38–39, ISBN 0-7251-0480-5.
  14. ^ Riedman, Marianne L., The Evolution of Alloparental Care in Mammals and Birds, in The Quarterly Review of Biology, vol. 57, n. 4, 1982, pp. 405–435, DOI:10.1086/412936.
  15. ^ National commercial Kangaroo harvest quotas, su environment.gov.au, www.environment.gov.au. URL consultato il 16 aprile 2009 (archiviato dall'url originale il 6 June 2011).
  16. ^ Kangaroo Industry Assocn of Australia – Background Info, su kangaroo-industry.asn.au, www.kangaroo-industry.asn.au. URL consultato il 16 aprile 2009.