Tulumello
I Tulumello sono un'antica famiglia nobile italiana originatasi in Francia nel XIV secolo.
La famiglia, che si vuole discendere dai Borbone, fu condotta a Roma da un Guglielmo, camerlengo di Santa Romana Chiesa, il quale si distinse per le doti diplomatiche e la propria munificenza.
Alla fine del XVI secolo, la casata si stabilì in Napoli, dove costituì il ramo dei principi di Conca, e nel XVIII secolo si espanse in Sicilia.
«Di grande e vera nobiltà nel comportamento, negli intendimenti, nelle opere.»
Tulumello | |
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Partito: il primo d'azzurro, al giglio d’oro; il secondo palato di rosso e d'oro [1] | |
Stato | Regno di Francia Stato Pontificio Regno di Napoli Regno di Sicilia Regno delle Due Sicilie Regno d'Italia Italia |
Casata di derivazione | Borbone di Francia |
Titoli | |
Fondatore | Louis d'Estouteville |
Data di fondazione | XIV secolo |
Etnia | italiana |
Storia[modifica | modifica wikitesto]
Origini[modifica | modifica wikitesto]
Jean d'Estouteville, detto “il Grande” (1378 - 1436), fu signore di Estouteville-Écalles e figlio del maggiordomo di Palazzo Roberto VII.
Il 28 settembre 1396, Jean contrasse matrimonio con Marguerite d'Harcourt, cognata del sovrano di Francia Carlo V e discendente da una famiglia giunta in Francia nel 911 al seguito di Rollone.
Da questa unione nacque il primogenito Louis, Gran Siniscalco di Normandia, che assunse tale nome in onore del nonno materno Luigi I di Borbone.
Un Guglielmo fu camerlengo del Sacro Collegio e legato pontificio: costui si distinse per le sue doti diplomatiche, compì una revisione ex officio del caso di Giovanna d’Arco e quindi riformò lo statuto dell’università di Parigi.
Già arcivescovo metropolita di Rouen e arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore, si trasferì a Roma in quanto nominato camerlengo di Santa Romana Chiesa, incarico che mantenne dal 1477 fino alla morte, nel 1483.
Fu grande mecenate, occupandosi della costruzione di edifici religiosi nella sua terra natale e nella stessa città di Roma, come la basilica di Sant’Agostino.
Riconobbe i quattro figli naturali avuti dalla relazione con la nobildonna romana Girolama Tosti di Valminuta, contessa palatina.[2][3]
Il ramo napoletano[modifica | modifica wikitesto]
Alla fine del XVI secolo, la famiglia passò a Napoli durante la signoria di Alfonso II e fu iscritta al Seggio di Porto.
Mantenne ottimi rapporti con la corte partenopea, anche dopo la venuta degli Asburgo e, in seguito, dei Borbone.
Un Michele fu barone della Manfredonia attorno al 1520; ad un Orazio fu riconosciuto, con Real Privilegio del 1630, il titolo di duca di Calabritto in Principato Citra, che mantenne anche dopo l’alienazione del feudo[4]; un Corrado fu nobile magistrato nel 1632.
Un Luigi fu riconosciuto duca di San Germano; un Vincenzo divenne principe di Conca e duca di Mignano per successione alla madre, Petronilla di Lignéville.
Il ramo siciliano[modifica | modifica wikitesto]
Nel XVIII secolo, un Pietro Luigi si recò a Girgenti di cui fu valente magistrato; quel ramo si spostò dunque nella cittadina di Racalmuto, la quale allora prosperava per la ricchezza delle miniere di sale e di zolfo.
In Sicilia, la famiglia assunse la baronia di Gibellini, ceduta dal Principe di Ficarazzi, Giulio Giardina Grimaldi, all’alto prelato Nicolò Tulumello, il quale investì del titolo il nipote Giuseppe Saverio in data 7 giugno 1809.
Questi era stato battezzato, nella cappella di famiglia, dal vescovo di Girgenti, don Saverio Granata, da cui trasse appunto il nome. Sposò Maria Grazia Licata di Baucina, zia del principe Biagio, il 29 dicembre 1819.
Costruì, a sue spese, il collegio di Maria del paese affinché vi fossero istruite le educande.
Alla sua morte, la discendenza proseguì con il fratello Luigi, e quindi con il figlio di lui Giuseppe.
In tale periodo, la famiglia si distinse nell’apertura delle miniere di zolfo in territorio siciliano: tra queste, particolarmente munifiche furono la solfara Gibellini e la solfara Pietre Bianche; gran parte delle miniere furono date in gabella alla prestigiosa ditta Florio.
Il figlio di Giuseppe, Nicolò Vincenzo, il 14 gennaio 1878 sposò la nobile messinese Caterina Stratigò di Galassi, di cui assunse i titoli per maritali nomine.
Essendosi estinta con questi la linea maschile, titoli ed onori passarono al di lui cugino Luigi, poeta ed amico dei maggiori intellettuali del tempo.
Egli collaborò a giornali e riviste di prestigio come “Il Momento” di Giuseppe Pipitone Federico, su cui scrivevano anche Verga e Zola; precursore dei vati dell’età fascista, compose diversi poemi di ispirazione nazionalistica e patriottica.
Negli anni ‘30 del Novecento donò al Museo civico agrigentino l’amigdala di Realmonte, un reperto preistorico di grande valore archeologico.
«[Luigi Tulumello] ottave scrisse sulle prime imprese africane e, precursore di qualche vate dell’era fascista, scrisse anche un poema sulle quasi divine origini di Francesco Crispi: per cui la sua fama, oltre che di uomo saggio, di chiaro poeta, viva resta nei regalpetresi.»
Il rapporto con Leonardo Sciascia[modifica | modifica wikitesto]
Costui ebbe figlio Giuseppe, nato nel 1919, intimo amico dello scrittore Leonardo Sciascia, che successivamente ne tratteggiò un ritratto nelle sue “Parrocchie di Regalpetra”.
L’amicizia, consolidata dalla comune frequentazione del teatro “Regina Margherita”, allora adibito a cinematografo, proseguì con un nutrito scambio epistolare anche dopo il trasferimento dello scrittore a Caltanissetta, nel 1935.
Tanto che fu lo stesso Sciascia a volerlo presente, nel 1979, nell’intervista che tenne a Marcelle Padovani e che fu poi pubblicata con il titolo “La Sicilia come metafora”.[5]
Giuseppe sposò Ida Matrona dei conti di Montedoro, famiglia che in precedenza fu rivale ai Tulumello. La coppia ebbe figli Luigi, Clotilde e Pietro.
Arma[modifica | modifica wikitesto]
Stemma della famiglia: Partito: il primo d'azzurro, al giglio d’oro; il secondo palato di rosso e d'oro.
Lo stemma accoglie un giglio d'oro su fondo azzurro, rievocante la discendenza dalla casa di Borbone.
Curiosità[modifica | modifica wikitesto]
- Lo scrittore Leonardo Sciascia parla della famiglia nella quasi totalità delle sue opere, seppure non citandola direttamente poiché ancora influente quando egli operava.[6] Esempi di questo tipo si ritrovano in “Il signor T protegge il paese”[7], “Il mare colore del vino”, “Le parrocchie di Regalpetra”[8], “Il giorno della civetta”[9], “Nero su nero”, “Occhio di capra”[10] e molti altri.
- La famiglia compì molta beneficenza, pagando di proprie spese gli studi di giovani capaci e meritevoli; tra questi, lo storico Nicolò Tinebra Martorana.
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ https://www.aagi.it/araldica/origine-degli-stemmi
- ^ A Roma vigeva allora il diritto di surrogazione, cioè il diritto di poter sostituire totalmente il proprio cognome: fu allora che venne mutato in Tulumello.
- ^ Storie di famiglia: I duchi Tosti di Valminuta, su golfoeventi.it. URL consultato il 20 marzo 2024.
- ^ Venduto alla famiglia Mirelli
- ^ Salvatore Picone, "Fammi sapere che film si proietta questa sera", su Malgradotuttoweb, 12 luglio 2023. URL consultato il 20 marzo 2024.
- ^ Come per la figura dell'Innominato nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
- ^ La famiglia è chiamata "Evaristo"
- ^ La famiglia è detta "Lascuda"
- ^ La famiglia "Alvarez"
- ^ La famiglia è presente nella descrizione dei lemmi che trattano della Sicilia e di Racalmuto in particolare.
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
- Archivio Storico per le Province Napoletane, Nuova serie Anno IX. - XLVIII. dell'intera collezione, 1923;
- Orazio Cancila, I Florio. Storia di una dinastia imprenditoriale, Bompiani, Milano, 2008;
- David M. Cheney, Guglielmo di Estouteville I, in Catholic Hierarchy;
- Gabriel de La Morandière, Histoire de la maison d'Estouteville en Normandie, 1903
- Honoré Fisquet, La France pontificale… : Métropole de Rouen, Parigi, Étienne Repos
- Salvador Miranda, ESTOUTEVILLE, Guillaume d', in The Cardinals of the Holy Roman Church, Florida International University.
- F. Sarindar, Charles V le Sage. Dauphin, duc et régent (1338-1358), Parigi, L'Harmattan, 2019, ISBN 978-2-343-17371-9
- Francesco San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, Palermo, 1924
- Vincenzo Palizzolo Gravina, Il blasone in Sicilia, ossia Raccolta araldica, Visconti & Huber Editore, 1875
- Antonino Mango di Casalgerardo, Il nobiliario di Sicilia, A. Reber Editore, Palermo, 1912-15
- Francesco Paternò Castello di Carcaci, Corpus Historiae Genealogicae Siciliae, in "Rivista del Collegio Araldico", Collegio araldico, 1934
- Vittorio Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana: famiglie nobili e titolate viventi riconosciute dal Regio Governo d'Italia, Forni, 1968
- Francesco Maria Emanuele Gaetani di Villabianca, Della Sicilia nobile, Palermo, Pietro Bentivenga, 1757
- Pompeo Litta Biumi, Famiglie celebri italiane, Napoli, Luciano Basadonna, 1902-1923
- Nicolò Tinebra Martorana, Racalmuto. Memorie e tradizioni, Racalmuto, 1897
- Eugenio Napoleone Messana, Racalmuto nella storia della Sicilia, Canicattì, Atec, 1969