Cyanocorax cristatellus

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Ghiandaia crestariccia
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa
SuperphylumDeuterostomia
PhylumChordata
SubphylumVertebrata
InfraphylumGnathostomata
SuperclasseTetrapoda
ClasseAves
SottoclasseNeornithes
SuperordineNeognathae
OrdinePasseriformes
SottordineOscines
InfraordineCorvida
SuperfamigliaCorvoidea
FamigliaCorvidae
GenereCyanocorax
SpecieC. cristatellus
Nomenclatura binomiale
Cyanocorax cristatellus
(Temminck, 1823)
Sinonimi

Uroleuca cristatella

La ghiandaia crestariccia (Cyanocorax cristatellus (Temminck, 1823)) è un uccello passeriforme della famiglia dei corvidi[2].

Etimologia[modifica | modifica wikitesto]

Il nome scientifico della specie, cristatellus, deriva dal latino crista ("cresta"), col significato di "dalla piccola cresta", in riferimento all'aspetto di questi uccelli.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Esemplare a Pindamonhangaba.
Femmina in natura.

Dimensioni[modifica | modifica wikitesto]

Misura 35 cm di lunghezza, per 178 g di peso[3].

Aspetto[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta di uccelli dall'aspetto tozzo e robusto, con grossa testa ovale e allungata munita di cresta frontale erettile costituita da penne arricciate (alle quali la specie deve il proprio nome comune), becco forte e conico, non molto lungo (impressione data anche dall'area basale attorno alle narici ricoperta di piume) dall'estremità lievemente adunca, grandi occhi, lunghe ali digitate, coda piuttosto allungata e forti zampe artigliate.

Il piumaggio si presenta di colore nero con vaghe sfumature metalliche bruno-violacee su testa, collo e parte superiore del petto: sul dorso, il nero sfuma nel blu-azzurro, che è il colore anche di ali, codione e della metà prossimale della coda, che per il resto è di colore bianco candido. Anche il petto, il ventre, i fianchi ed il sottocoda sono bianchi, così come la superficie inferiore di ali e coda.
Non è presente dimorfismo sessuale apprezzabile: le femmine sono lievemente più piccole dei maschi, oltre a presentare nero cefalico generalmente più opaco.

Il becco e le zampe sono di colore nero, mentre gli occhi sono di colore bruno scuro.

Biologia[modifica | modifica wikitesto]

Esemplare vocalizza in natura.
Esemplare vocalizza a Piraju.

Si tratta di uccelli dalle abitudini di vita essenzialmente diurne e moderatamente gregerie, che vivono in gruppi di 6-12 individui (generalmente costituiti da una coppia riproduttrice e dai figli di una o due nidiate precedenti), passando la maggior parte della giornata alla ricerca di cibo al suolo o fra i rami di alberi e cespugli. Durante queste attività, in genere un paio di esemplari rimangono di vedetta nella canopia mentre gli altri sono intenti alla ricerca del cibo: verso sera, il gruppo cerca rifugio fra i rami degli alberi, dove passa la notte.

I richiami di questi uccelli ricordano molto quelli dell'affine ghiandaia cerulea[3]: acuti e gracchianti, ripetuti 8-10 volte, essi possono essere uditi fino a 200 m di distanza[3].

Alimentazione[modifica | modifica wikitesto]

La ghiandaia crestariccia è un uccello onnivoro e piuttosto generalista: la dieta di questi uccelli, in base a quanto osservato da studi condotti in Brasile, è composta per circa la metà (47%) da insetti, per poco meno della metà (40%) da frutta, bacche e semi, per il 12% di nettare e per una percentuale trascurabile (<1%) di piccoli vertebrati[3].

In genere, questi uccelli verso le prime ore del mattino si dirigono verso gli alberi di pequì, dove possono cibarsi del nettare e degli insetti impollinatori[4]: fra gli altri cibi di origine vegetale graditi a questi animali vi sono anche le noci di Inga laurina ed i frutti dell'introdotta Schefflera actinophylla.

Riproduzione[modifica | modifica wikitesto]

Giovane a Rio Pardo de Minas.

Si tratta di uccelli rigidamente monogami: la loro stagione riproduttiva va da settembre a marzo, periodo durante il quale pare che venga portata avanti più di una covata[3].

I due partner collaborano nella costruzione del nido (una coppa di rametti intrecciati, foderati internamente di fibre vegetali) e nella cova (col maschio che fa la guardia ai dintorni ed imbecca la femmina intenta alla cova): l'allevamento della prole, invece, viene condiviso con gli altri membri dello stormo di appartenenza.

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

Esemplare a Entre Rios de Minas.
Esemplare a Barra Mansa.

La ghiandaia crestariccia è diffusa in Sudamerica centro-occidentale, occupando una buona fetta del Brasile centrale (sud di Pará, Piauí e Maranhão, Bahia occidentale, a sud fino al Mato Grosso do Sul e al nord del Paraná), ad ovest fino alle estremità nord-orientale e centro-orientale del Paraguay (dipartimenti di Concepción e Canindeyú) e nell'estremo est della Bolivia (nord-est del dipartimento di Santa Cruz). L'areale di questa specie sembra in espansione in direttrice nord-ovest[5].

L'habitat di questi uccelli è rappresentato dalla foresta secca e dal cerrado, con predilezione per le aree boschive con presenza di radure erbose o cespugliose.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) BirdLife International 2012, Cyanocorax cristatellus, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ (EN) F. Gill e D. Donsker (a cura di), Family Corvidae, in IOC World Bird Names (ver 9.2), International Ornithologists’ Union, 2019. URL consultato il 20 ottobre 2018.
  3. ^ a b c d e (EN) Curl-crested Jay (Cyanocorax cristatellus), su Handbook of the Birds of the World. URL consultato il 20 ottobre 2018.
  4. ^ (EN) Melo, C., Diurnal bird visiting of Caryocar brasiliense Camb. in Central Brazil (PDF), in Revista Brasileira de Biologia, vol. 61, n. 2, 2001, p. 311-316, DOI:10.1590/S0034-71082001000200014. URL consultato il 20 ottobre 2018 (archiviato dall'url originale il 29 giugno 2011).
  5. ^ (PT) Faria, C. M. A.; Rodrigues, M.; do Amaral, F. Q.; Módena, É.; Fernandes, A. M., Aves de um fragmento de Mata Atlântica no alto Rio Doce, Minas Gerais: colonização e extinção (PDF), in Revista Brasileira de Zoologia, vol. 23, n. 4, 2006, p. 1217-1230, DOI:10.1590/S0101-81752006000400032.

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