Collezione Pallavicini

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Stemma della famiglia Pallavicini
Palazzo Pallavicini Rospigliosi in un'incisione di Giuseppe Vasi del 1754

La collezione Pallavicini è una collezione d'arte nata a Roma nel Seicento e appartenente ancora oggi alla famiglia, di origini genovesi, dei Pallavicini.

Le opere della raccolta, avviata dal cardinale Lazzaro Pallavicini, sono oggi esposte nel palazzo Pallavicini Rospigliosi, edificio storico monumentale che sin dal Settecento venne condiviso dalle due famiglie titolari che ne danno il nome, di cui i Pallavicini sono tutt'oggi legittimi proprietari dei locali di loro pertinenza. I due casati in questione stabilirono tra loro legami di parentela e vincoli ereditari terminati solo a metà Ottocento, che ne hanno determinato, a più riprese, intrecci e trasferimenti di proprietà e dei rispettivi titoli, definendo nel tempo il passaggio di un cospicuo blocco di opere della collezione Rospigliosi entro il catalogo Pallavicini.[1]

La raccolta costituisce, assieme alle collezioni possedute dalle famiglie Doria-Pamphilij e Colonna, una delle più grandi raccolte private d'arte a Roma, tra le più notevoli del periodo barocco.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Premesse familiari[modifica | modifica wikitesto]

Miracoli di Sant’Ignazio di Loyola
Miracoli di Sant’Ignazio di Loyola, Rubens (Chiesa del Gesù e dei Santi Ambrogio e Andrea, Genova)

La famiglia Pallavicini proviene da Genova, città nella quale alcuni dei suoi rappresentanti disponevano già dal XV secolo un ruolo di rilievo nella politica della Repubblica.[1] Si trattava di una dinastia che, così come per i Giustiniani, era frutto dell'unione di più famiglie le quali, messe insieme, determinavano un albergo dei Nobili.

Sul finire del XVI secolo il cognome Pallavicini compare in ambito artistico grazie a Marcello, che commissionò la realizzazione della chiesa dei Santi Ambrogio e Andrea di Genova.[1] Il nome che tuttavia viene considerato quale iniziatore dei grandi successi del casato fu quello del marchese (e banchiere del duca di Mantova) Niccolò, che per la stessa chiesa commissionò a Peter Paul Rubens dapprima, nel 1608, la pala d'altare con la Circoncisione, e successivamente, nel 1620, la grande tela con i Miracoli di sant'Ignazio per una cappella laterale.[1][2]

Nicolò Pallavicini ebbe con la moglie Maria Lomellini ben 22 figli, tra cui Lazzaro e Stefano che si stanzieranno a Roma, generando la dinastia e la collezione artistica oggi nota nel palazzo di famiglia della città.[2] I fratelli di Niccolò, invece, implementeranno il ramo genovese, la cui linea maschile si estinguerà nel 1741.[2]

Seicento[modifica | modifica wikitesto]

L'evoluzione dei Pallavicini a Roma[modifica | modifica wikitesto]

Stefano e Lazzaro Pallavicini, particolare del monumento funebre (chiesa di San Francesco a Ripa, Roma)

Nel 1665 avvennero le immissioni nella collezione di Stefano, che intanto era ancora a Genova, di due blocchi di opere: da un lato vi era la serie del Cristo con i dodici Apostoli di Rubens, dall'altro lato vi era la serie di arazzi francesi eseguiti su cartoni di Raffaello.

I quadri di Rubens, già facenti parte della collezione del padre Nicolò giunsero poi nella collezione di Giovan Battista Pallavicini (altro fratello di Lazzaro e Stefano, che si stabilì ad Anversa e che acquistò le tele per collocarle nella cappella privata del palazzo che possedeva nella città fiamminga), dove rimasero sicuramente fino al 1665, giacché alla sua morte, per volontà dello stesso, vennero trasferite a Genova presso Stefano.[2]

I cartoni da Raffaello, incentranti gli Atti degli apostoli, ebbero medesima sorte della serie di Rubens, ad eccezione della destinazione finale, poiché non furono mai portate nella capitale pontificia, ma bensì destinate alla basilica della Santa Casa di Loreto.[2]

Lazzaro Pallavicini, nato a Genova nel 1602, giunse nella città papale in giovane età. Divenne cardinale nel 1669 per nomina di papa Clemente IX Rospigliosi e iniziò a raccogliere in questo periodo le prime opere d'arte. Dal lì a breve chiamò con sé a Roma il fratello Stefano e l'unica figlia di questi, Maria Camilla.[3] Lo scopo di questo invito fu che Lazzaro aveva bisogno di consentire alla famiglia Pallavicini un'ascesa sociale entro le dinamiche aristocratiche romane del tempo, promuovendo il convolo a nozze della nipote Maria Camilla con Giovan Battista Rospigliosi, pronipote dello stesso papa Clemente IX che anni prima aveva elevato il Lazzaro a cardinale.

Tutti e tre i Pallavicini trovarono sistemazione in città nel palazzo già dei Barberini al Monte di Pietà, cosiddetta casa grande Barberini, che poi sarà acquistato nel 1674 per un utilizzo ventennale da Stefano dietro un corrispettivo di 50 mila scudi. In questo frangente le raccolte di Lazzaro e Stefano si raggrupparono per la prima volta, ancorché nel 1679 la serie di Rubens viene quindi trasferita a Roma e messa sotto la custodia del cardinale Lazzaro.[4]

Il matrimonio tra Maria Camilla e Giovan Battista avvenne, pertanto le ricchezze del ramo romano Pallavicini di Lazzaro e Stefano confluirono tutte a Maria Camilla, cui fu intestataria anche di un particolare vincolo fidecommessario che servì a salvaguardare nelle generazioni future tutto il lascito di Lazzaro, nonché il cognome e i titoli della famiglia.

La collezione di Lazzaro si componeva a quel momento di un corposo gruppo di opere facenti parte del barocco romano ed emiliano, queste ultime acquistate direttamente a Bologna nel periodo in cui vi ricoprì l'incarico (tra il 1670 e 1673) di vicelegato pontificio, tra cui autori quali i Carracci (di cui si segnala il Mangiafagioli di Annibile),[5] di Sisto Badalocchio, Guido Reni, Francesco Albani e altri.

La nascita del legame Rospigliosi-Pallavicini con il fidecommesso del cardinale Lazzaro (1679)[modifica | modifica wikitesto]

Stemma Rospigliosi-Pallavicini

Non disponendo di eredi maschi negli ambienti romani, Lazzaro istituì nel 1679 un fidecommesso che legava tutte le sue proprietà e ricchezze al figlio secondogenito che la nipote Maria Camilla avrebbe avuto con il marito Rospigliosi.[3]

La disposizione testamentaria prevedeva che la collezione di Lazzaro, ereditata in gran parte dal padre Nicolò, con anche i titoli familiari, fosse assegnata al secondo figlio maschio di Giovan Battista Rospigliosi e Maria Camilla, il quale avrebbe dovuto portare il cognome Pallavicini così da continuare il ramo romano della famiglia genovese (mentre il primogenito avrebbe dato seguito a quello Rospigliosi).[3] Se la coppia avesse invece avuto un solo figlio maschio, questi avrebbe dovuto portare con sé sia i titoli Pallavicini che quelli Rospigliosi, fino alla nascita di un secondo figlio maschio della coppia, che poi avrebbe ricevuto in dote quelli Pallavicini, mentre se fosse rimasto unico maschio, avrebbe custodito entrambi i nomi fino alla determinazione della sua prole, sulla quale sarebbero valse le regole generali del fidecommesso (ossia il primo maschio avrebbe ricevuto l'eredità Rospigliosi del padre mentre il secondo quella Pallavicini della madre).[3] Se invece la coppia avesse avuto solo una femmina, allora questa avrebbe dovuto dare tutta la sua eredità Rospigliosi Pallavicini al marito fino alla determinazione della sua prole, su cui si sarebbero poi applicate le condizioni precedenti del vincolo.[3]

La collezione sotto Maria Camilla Pallavicini[modifica | modifica wikitesto]

Mangiafagioli, Annibale Carracci (già nella collezione di Lazzaro Pallavicini, fu donato da Maria Camilla prima al cugino Niccolò Maria, e poi confluì nella collezione Colonna di Roma).

Nel 1680 il cardinale morì e qualche mese dopo venne a mancare anche il fratello Stefano, lasciando alla figlia il principato di Gallicano. Maria Camilla ricevette una ricca collezione d'arte, su cui gravava in un nucleo di opere che tutt'oggi costituisce la parte consistente della Galleria Pallavicini il vincolo testamentario dello zio Lazzaro.[6]

La nobildonna fu comunque particolarmente proattiva anche nell'implementazione della collezione: a lei si devono infatti gli acquisti avvenuti tra il 1694 e il 1699 del Peccato originale del Domenichino, delle due tele di Luca Giordano, la Conversione di Saulo e Giuliano l'Apostata, della serie di nature morte di Tamm e del Bogelaer, della serie di battaglie di Christian Reder nonché di quella di paesaggi del van Bloemen.[6] Tra le opere che invece uscirono dalla collezione, la più notevole dell'epoca fu il Mangiafagioli di Annibale Carracci, che confluì dapprima nella collezione privata di Niccolò Maria Pallavicini (cugino genovese di Maria Camilla, omonimo del figlio secondogenito della coppia, anch'egli titolare di una ricca collezione artistica che però alla sua morte non seguì le logiche familiari, ma bensì fu smembrata e alienata sul mercato europeo), e poi nella collezione Colonna, dove tuttora è, entro il palazzo nobiliare di piazza Santi Apostoli a Roma.[7]

Nel 1694 la casa grande Barberini venne riscattata dai suoi precedenti proprietari in ordine a una clausola dell'accordo stipulato.[4]

Settecento[modifica | modifica wikitesto]

Il palazzo nobiliare sul Quirinale[modifica | modifica wikitesto]

Palazzo Pallavicini Rospigliosi, Roma

La famiglia, grazie a Maria Camilla, acquistò da Gianni Ippolito Mancini tra il 1704 e il 1708 il palazzo che era già di proprietà della famiglia Borghese, sito nei pressi del Quirinale.[4][6]

L'edificio fu da quel momento condiviso dalle rispettive casate dei due coniugi che lo abitarono, i Pallavicini, che ebbero il piano nobile e due terrazze del giardino, con anche il casino dell'Aurora e la loggia delle Muse, e i Rospigliosi, cui fu assegnato il pian terreno e il terzo livello dello stabile.[6] La Galleria Pallavicini venne collocata sin dal principio nel piano nobile del palazzo, mentre le opere della collezione Rospigliosi fu sistemata nel terzo piano dello stesso (oggi corrispondente al quarto piano).[6]

La collezione sotto gli eredi Pallavicini-Rospigliosi[modifica | modifica wikitesto]

Morta Maria Camilla nel 1710, questa espresse nel testamento la volontà che il padre e lo zio fossero tumulati nella cappella gentilizia della chiesa di San Francesco a Ripa di Roma, in un unico grande monumento. Il marito, rispettando la richiesta della moglie, incaricò quindi (tra il 1713 e il 1719) lo sculture Giuseppe Mazzuoli di compiere l'opera su una parete della cappella, mentre dirimpetto chiese l'innalzamento di un altro monumento funebre dedicato a Maria Camilla e se stesso.

Monumento funebre a Maria Camilla Pallavicini e Giovan Battista Rospigliosi (chiesa di San Francesco a Ripa, Roma)

Nel 1722 morì anche Giovan Battista Rospigliosi, quindi il secondogenito della coppia, Niccolò Maria, divenne erede del lascito di Lazzaro prendendo a sé sia il cognome che i titoli Pallavicini.[7] La collezione d'arte, che comunque si era intanto arricchita rispetto a quella originaria, fu divisa tra Niccolò e il fratello primogenito, Clemente Domenico, che invece seguì i titoli Rospigliosi.[7] Entrambi si spartirono in egual misura tutta la collezione Rospigliosi-Pallavicini accumulata fino a quel momento, mentre i dipinti legati al lascito di Lazzaro furono interamente immessi nelle disponibilità esclusive di Niccolò Maria, in ordine agli accordi fidecommissari.[7]

Niccolò Maria, sposato con Vittoria Altieri, morì nel 1759 senza eredi, la collezione fu pertanto unita a quella Rospigliosi e affidata a Giovan Battista Rospigliosi, il figlio secondogenito del fratello più grande di Niccolò (Clemente Domenico Rospigliosi).[7] Giovan Battista morì nel 1784 lasciando nella collezione alcune importanti immissioni artistiche, come i ritratti di famiglia, un gruppo di tele di David Loreti e altre sporadiche opere di autori del seicento romano-emiliano.[7][8]

Questi ebbe due figli avuti in matrimonio con Eleonora Caffarelli: il primogenito Giuseppe (che diede seguito alla linea Rospigliosi) e il secondogenito Luigi, quest'ultimo cui fu affidata l'eredità Pallavicini.[8]

Entrambi i fratelli Giuseppe e Luigi avvieranno alcune dismissioni delle rispettive collezioni ereditate dal padre, in quanto sul finire del secolo e agli inizi di quello successivo, con l'avvento della Repubblica romana e delle insurrezioni francesi, le famiglie patrizie romane accusarono il duro colpo di alcune tassazioni che determinarono la vendita più o meno coercitiva di interi blocchi delle loro proprietà (la medesima sorte la ebbero infatti i Borghese, i Giustiniani, i Pamphilj, etc).

Ottocento[modifica | modifica wikitesto]

Le immissioni sotto Giuseppe Rospigliosi (1816)[modifica | modifica wikitesto]

La visione più lungimirante la ebbe il duca Giuseppe intorno ai primi decenni del XIX secolo, il quale effettua alcuni acquisti allo scopo di reintegrare con alcuni capolavori il prestigio della collezione, intaccato sul finire del precedente secolo.[9] Al 1816 risale l'acquisto a Firenze della Derelitta, del piccolo trittico con la Trasfigurazione di Cristo, san Girolamo e sant'Agostino e del tondo con la Vergine, tutti di Sandro Botticelli, e del Trionfo della Castità di Lorenzo Lotto (tutte oggi confluite nella collezione Pallavicini).[8][9]


Giuseppe muore nel 1833 e appena due anni dopo venne a mancare anche il fratello Luigi: le due collezioni tornarono quindi a riunirsi sotto il primogenito di Giuseppe, Giulio Cesare Rospigliosi Pallavicini, visto che i due figli Pallavicini, Benedetto e Filippo, erano prematuramente morti al padre.[8][9]

La collezione sotto Giulio Cesare Rospigliosi e la definitiva separazione dei rami Pallavicini-Rospigliosi (1833-1859)[modifica | modifica wikitesto]

Morte di Sofonisba, Mattia Preti

Con Giulio Cesare la collezione Rospigliosi Pallavicini si arricchisce di un importante lascito della collezione Colonna (circa 130/150 dipinti in totale, di cui una settantina confluirono in quella Pallavicini).[9][10] Più precisamente, Giulio Cesare prelevò dapprima il lascito che la moglie Margherita Colonna Gioeni, una delle tre figlie di Filippo III (1779-1816), XII principe e duca di Paliano, ereditò dal padre, consistente in un terzo della collezione su cui non cadeva il vincolo fidecommissario di casa, e successivamente a questo, acquistò nel 1841 anche quello di una delle due cognate, Maria, sposata con Giulio Lante della Rovere, dov'erano giunte opere quali la Rissa di Diego Velazquez, la Sacra Famiglia dell'Ortolano, il Tempio di Venere di Claude Lorrain, il Ratto di Europa, di Ganimede e di Proserpina di Mattia Preti (oggi tutte e tre confluite nella Galleria Pallavicini), diversi paesaggi di Gaspar van Wittel, Gaspard Dughet, Jan e Pieter van Bloemen e Andrea Locatelli.[9][10]

Giulio Cesare ritornò inoltre a organizzare le basi per separare i due casati con i due figli maschi avuto nel suo matrimonio.[10] Alla sua morte avvenuta nel 1859, infatti, avvenne la definitiva separazione delle due collezioni d'arte, che da questa successione in poi non tornerà mai più sotto la gestione di un medesimo rappresentante di famiglia: la collezione Rospigliosi fu ereditata quindi dal primogenito Clemente, mentre quella Pallavicini da Francesco, da cui poi si genererà il ramo tuttora esistente che detiene ancora la collezione d'arte e la parte di palazzo del Quirinale di pertinenza della famiglia.[9]

Le due famiglie, da questo momento in poi, vivranno destini separati che non intreccerà più i rispettivi interessi.[10]

Novecento[modifica | modifica wikitesto]

Rissa, Diego Velazquez

La famiglia Rospigliosi, nel corso del Novecento fu interessata da un tracollo finanziario da cui non riusciranno mai più a riprendersi e che porterà alla quasi totale alienazione della loro collezione d'arte (in due grosse battute d'asta del 1931 e 1932) e delle loro proprietà, tra cui anche i locali di loro competenza del palazzo Pallavicini Rospigliosi.[9] La porzione di palazzo destinata alla famiglia Rospigliosi divenne quindi per molti anni la sede della Federconsorzi, che dal 1939 prese in fitto i suddetti locali, fino ad ereditarne i diritti; fallita la federazione dei consorzi agrari nel 1992, i piani del palazzo già di pertinenza Rospigliosi passarono nel 1995 tra le proprietà della Coldiretti, che è divenuta in quell'anno anche la proprietaria della collezione d'arte, composta da oltre cento dipinti collocati al quarto piano dello stabile, non accessibile al pubblico.[9][11]

La famiglia Pallavicini, di contro, riuscì a conservare intatta le sue ricchezze, quindi la sua collezione d'arte e la sua proprietà nobiliare romana. Nel corso del XX secolo la collezione passò da Francesco al nipote Guglielmo Pierre de Bernis de Courtarvel, nonché, alla morte di questi durante la seconda guerra mondiale (nel 1940), alla moglie di questi, la genovese Elvina Pallavicini del Vascello, poi all'unica figlia Maria Camilla e fino agli attuali eredi.[10]

La collezione Pallavicini rappresenta una delle poche raccolte seicentesche romane rimaste quasi del tutto integre rispetto alla sua costituzione: questa include oggi più di 540 pezzi tra pitture, disegni e sculture, conservati tra il piano nobile del palazzo Pallavicini Rospigliosi di Roma e il casino dell'Aurora, sempre a loro afferente.[12] I dipinti collezionati dal cardinale Lazzaro oggetto dello storico fidecommisso del 1679 costituiscono ancora oggi il copro centrale della collezione romana: un corposo gruppo di tele proviene dalla raccolta del fratello Stefano mentre un altro dagli anni in cui Lazzaro è legato pontificio a Bologna, quindi di autori emiliani quali i Carracci, Sisto Badalocchio, Guido Reni, Francesco Albani.[4] Un altro gruppo di dipinti proviene invece da commesse avanzate direttamente da Maria Camilla Pallavicini, personalità molto attenta all'arte, mentre un altro ancora da opere già in collezione Rospigliosi o che comunque devono ai loro esponenti le acquisizioni, su tutti Giovan Battista e Giuseppe Rospigliosi, grazie ai quali entrarono opere di Pietro da Cortona, Nicolas Poussin, Botticelli, Lorenzo Lotto, Diego Velázquez, Peter Paul Rubens, Domenichino, Luca Signorelli e Guercino.

Elenco parziale delle opere[modifica | modifica wikitesto]

Segue un elenco (esaustivo ma comunque non completo) delle opere che hanno fatto parte della collezione Pallavicini di famiglia (da non confondere con la coeva collezione di Niccolò Maria Pallavicini).[13] Visto il legame continuativo intercorso tra le famiglie Rospigliosi e quella Pallavicini, vengono opportunamente indicate le opere che, con certezza, provengono dalla collezione Rospigliosi.

Antichità[modifica | modifica wikitesto]

Disegni e pitture[modifica | modifica wikitesto]

Ritratto di bambino di casa Rospigliosi vestito da Pulcinella (Pietro Banchieri), Anonimo del XVII secolo
Trasfigurazione di Cristo, san Girolamo e sant'Agostino, Botticelli
Derelitta, Botticelli
Trionfo della Castità, Lorenzo Lotto
Madonna con Bambino, san Giovannino e san Girolamo, Luca Signorelli
Genio con il corno dell'abbondanza, Nicolas Poussin (copia da)
Carro dell'Aurora, Guido Reni
Cristo crocifisso, Guido Reni
Perseo libera Andromeda, Guido Reni
San Marco Evangelista, Guido Reni
Autoritratto, Lucrezia Scarfaglia

Albero genealogico degli eredi della collezione[modifica | modifica wikitesto]

Segue un sommario albero genealogico degli eredi della collezione Pallavicini, dove sono evidenziati in grassetto gli esponenti della famiglia che hanno ereditato, custodito, o che comunque sono risultati influenti nelle dinamiche inerenti alla collezione d'arte. Per semplicità, il cognome Pallavicini viene abbreviato a "P.".

 Niccolò P.
(sposato con Maria Lomellini)
 
   
 Lazzaro P.
(1602/3-1680)
(fu l'iniziatore della collezione P.; istituì il fidecommisso che vincolava la sua raccolta alla secondogenitura maschile tra la nipote Maria Camilla P. e Giovanni Battista Rospigliosi)
Giovanni Stefano P.
(...-...)
...e altri 21 fratelli/sorelle
  
  
 Maria Camilla P.
(...-...)
(sposata con Giovanni Battista Rospigliosi, da cui si darà vita all'intreccio ereditario Rospigliosi P.)

Tra i tanti fratelli vi fu Giovanni Antonio P., che ebbe a sua volta quattro figli di cui uno illegittimo, Niccolò Maria P., che fu titolare di una delle più importanti collezioni artistiche di Roma, la quale non confluì tra i beni di famiglia P. poiché alla sua morte questa fu smembrata tra varie collezioni europee.
 
   
 Clemente Domenico Rospigliosi
(1674-1752)
(primogenito maschio, fu l'erede dei titoli Rospigliosi)
Niccolò Maria Rospigliosi P.
(1677-1759)
(secondogenito maschio, fu l'erede dei titoli P.)
Eleonora R.
(1682-1734)
 
   
 Camillo Rospigliosi
(1714-1763)
(ereditò la collezione Rospigliosi, che poi, in quanto senza prole, passerà al fratello minore e alla sua primogenitura)
Giovan Battista Rospigliosi P.
(1726-1784)
(senza eredi lo zio Nicolò Rospigliosi P., continuò la sua discendenza lui in quanto secondogenito maschio. Alla morte del fratello maggiore, prelevò anche la collezione Rospigliosi, riunendo per breve tempo le due raccolte)
...e altre 3 sorelle
 
  
 Giuseppe Rospigliosi
(1755-1833)
(a partire dal 1798 avviò assieme al fratello la vendita di alcuni pezzi della collezione Rospigliosi P.)
 Luigi Rospigliosi P.
(1756-1835)
(a partire dal 1798 avviò assieme al fratello la vendita di alcuni pezzi della collezione Rospigliosi P.)
  
   
 Giulio Cesare Rospigliosi
(1781-1859)
(erede sia della collezione Rospigliosi che P., in quanto premorti i due cugini eredi del ramo, riunì per l'ultima volta le due collezioni in un'unica; era sposato con Margherita Gioeni Colonna, da cui acquisì in dote un terzo delle opere non vincolate della collezione Colonna appartenente al padre Filippo III, tra cui la "Rissa" di Diego Velazquez)
Benedetto Rospigliosi P.
(1783-1811)
(prematuramente morto al padre)
Filippo Rospigliosi P.
(1787-1832)
(prematuramente morto al padre)
 
  
 Clemente Rospigliosi
(1825-1899)
 Francesco Rospigliosi P.
(1828-1881)
(sposato con Maria Carolina Boncompagni Ludovisi)
  
     
Camillo Rospigliosi
(1840-1915)
Giuseppe R.
(1848-1913)
Margherita Rospigliosi P.
(sposata con Mario Misciatelli)
Giulio Cesare Rospigliosi P.
(1871-1941)
...e altre 4 fratelli/sorelle
  
  
Ludovico Rospigliosi
(1881-1917)
 Maria Carolina Misciatelli
(sposata con Pierre de Bernis de Courtavel)
  
  
Gerolamo Rospigliosi
(tra il 1931 e il 1932 mise all'asta gran parte della collezione Rospigliosi, nonché il pianterreno e l'ultimo piano del palazzo P. Rospigliosi; fu l'ultimo esponente di famiglia a possedere la collezione)
 Guglielmo Pierre de Bernis de Courtavel P.
(sposato con Elvina Medici del Vascello, che poi acquisirà i titoli P.)
  
  
Federazione Nazionale Consorzi Agrari
(acquisisce nel 1939 i diritti sui quadri Rospigliosi superstiti nel palazzo e prende in fitto i locali dello stesso)
 Maria Camilla R. Pallavicini
(1940-...)
(sposata con Armando Diaz della Vittoria, avranno due figli, Sigieri e Moroello, proprietari della collezione P. attualmente ancora esistente nella porzione del palazzo di loro pertinenza, di cui rimangono titolari)
 
 
Coldiretti
(acquista nel 1995 i due piani già dei Rospigliosi del palazzo e la collezione attualmente esistente)

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d F. Zeri, p. 9.
  2. ^ a b c d e F. Zeri, p. 10.
  3. ^ a b c d e F. Zeri, p. 11.
  4. ^ a b c d F. Zeri, p. 12.
  5. ^ Daniele Benati, Annibale Carracci, Catalogo della mostra Bologna e Roma 2006-2007, a cura di Benati D. e Riccomini E., Milano, Mondadori Electa, 2006, pp. 108-109.
  6. ^ a b c d e F. Zeri, p. 15.
  7. ^ a b c d e f F. Zeri, p. 16.
  8. ^ a b c d F. Zeri, p. 17.
  9. ^ a b c d e f g h A. Negro, pp. 177-179.
  10. ^ a b c d e F. Zeri, p. 18.
  11. ^ A. Negro, p. 11.
  12. ^ Giorgio Carpaneto, I palazzi di Roma, p. 394
  13. ^ FONDAZIONE ZERI | CATALOGO : Ricerca opere per :, su catalogo.fondazionezeri.unibo.it. URL consultato l'8 novembre 2021.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • A. Negro, La collezione Rospigliosi. La quadreria e la committenza artistica di una famiglia patrizia a Roma nel Sei e Settecento, Argos, 1999, ISBN 978-8885897786.
  • Francis Haskell e Tomaso Montanari, Mecenati e pittori. L'arte e la società italiana nell'epoca barocca, Torino, Einaudi, 2019, ISBN 978-88-062-4215-2.
  • F. Zeri, La Galleria Pallavicini in Roma. Catalogo dei dipinti, Firenze, Sansoni, 1959.
  • Francesca Cappelletti, La collezione Pallavicini e il palazzo del giardino a Montecavallo, Campisano, Roma, 2014.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]