Chiesa di San Giovanni in Borgo

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Chiesa di San Giovanni in Borgo
La facciata.
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneLombardia
LocalitàPavia
IndirizzoPiazza Borromeo
Coordinate45°10′48″N 9°09′38″E / 45.18°N 9.160556°E45.18; 9.160556
ReligioneCristiana Cattolica di Rito Romano
TitolareSan Giovanni Battista
Consacrazione501- 151
Sconsacrazione1805
FondatoreIl vescovo Massimo
Demolizione1818

La chiesa di San Giovanni in Borgo sorse nei primi anni del VI secolo per volontà del vescovo Massimo e fu demolita nel 1818.

Storia e descrizione[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa di San Giovanni in Borgo fu fondata dal vescovo Massimo (501- 515) in un'area esterna al circuito murario di età romana[1], dove, fin dall’età antica, si trovava una delle necropoli di Pavia[2], per tale ragione la chiesa venne detta anche San Giovanni de Coemeterio o de Palude, in riferimento alla vicinanza con la riva del Ticino. La chiesa fu ricostruita tra l'ultimo decennio del XI secolo e il 1120 in forme romaniche e al suo interno furono sepolti i vescovi Massimo, Ursicino e papa Giovanni XIV. L’edificio aveva una facciata a capanna, arricchita nella parte terminale da una loggetta cieca con archetti pensili intrecciati che coronano la sommità e da bacini ceramici orientali[3]. Internamente era dotata di tre navate, sei cappelle laterali (una delle quali dedicata a San Raffaele), cripta e tiburio. Nel 1576 la parrocchia contava circa 800 anime da comunione e la chiesa era officiata da nove canonici e due cappellani, saliti, nel 1769, 15 sacerdoti e 10 chierici[1]. Nel 1805 la parrocchia venne soppressa e unita a quella di San Michele e nel 1811 l’edificio fu acquisito dal vicino collegio Borromeo[4] che nel 1818 lo fece demolire per ampliare il proprio giardino. I musei Civici conservano un pluteo marmoreo d’altare (VI secolo), una colonnina con capitello in marmo cipollino (di età longobarda[5]) e sculture, bassorilievi e capitelli in arenaria datati intorno ai primi due decenni del XII secolo, alcuni dei quali opera di un anonimo maestro denominato dagli storici dell’arte: Maestro dei Draghi[6].

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giovanna Forzatti Golia, Istituzioni ecclesiastiche pavesi dall'età longobarda alla dominazione visconteo- sforzesca, Roma, Herder, 2002.
  • Anna Segagni Malacart, L'architettura romanica pavese, in Storia di Pavia, III/3, L’arte dall’XI al XVI secolo, Milano, Banca Regionale Europea, 1996.
  • Aldo A. Settia, Pavia carolingia e postcarolingia, in Storia di Pavia, II, L'alto medioevo, Milano, Banca del Monte di Lombardia, 1987.
  • Peter Hudson, Pavia: l'evoluzione urbanistica di una capitale altomedievale, in Storia di Pavia, II, L'alto medioevo, Milano, Banca del Monte di Lombardia, 1987.

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