Battaglia di Apamea

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Coordinate: 35°25′04.8″N 36°23′52.8″E / 35.418°N 36.398°E35.418; 36.398
Battaglia di Apamea
parte delle guerre arabo-bizantine
Panorama delle rovine di Apamea
Data19 luglio 998
LuogoPianura di al-Mudiq, vicino ad Apamea, Siria
EsitoVittoria fatimide
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
Ignoti10.000 fanti fatimidi
1.000 cavalieri Banu Kilab
Perdite
tra i 5.000 e i 10.000 morti
2.000 prigionieri
più di 2.000 morti
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La battaglia di Apamea fu combattuta il 19 luglio 998 tra le forze dell'impero bizantino e quelle del califfato fatimide, e fu parte di una serie di confronti militari tra di loro per il controllo della Siria settentrionale e l'emirato Hamdanide di Aleppo. Il comandante regionale bizantino, Damiano Dalasseno, avrebbe assediato Apamea, finché da Damasco sarebbero giunti i rinforzi fatimidi guidati da Jaysh ibn Samsama. Nella battaglia che ne seguì, dopo un iniziale vantaggio bizantino, un incursore curdo riuscì a uccidere Dalassenos, e i bizantini caddero nel panico, si diedero alla fuga e furono decimati dai fatimidi. Tale sconfitta costrinse l'imperatore bizantino Basilio II a guidare personalmente una campagna nell'anno successivo. Due anni dopo, nel 1001, tre anni dopo la battaglia di Apamea, fu firmato un trattato di tregua di dieci anni tra i due stati.

Antefatti[modifica | modifica wikitesto]

Nel settembre 994 Michele Bourtzes, il governatore militare bizantino (doux) di Antiochia e della Siria settentrionale, patì una pesante sconfitta nella Battaglia dell'Oronte per mano del generale fatimide Manjutakin. Tale vittoria fatimide fece vacillare la posizione bizantina in Siria, e minacciò gravemente quella dell'Emirato hamdanide di Aleppo. Per scongiurarne la caduta, l'imperatore Basilio II intervenne di persona nella regione nel 995, costringendo Manjutakin a battere in ritirata a Damasco. Dopo aver preso Shayzar, Hims e Rafaniya, e aver fatto erigere una nuova fortezza ad Antartus, l'imperatore fece ritorno nella capitale, dopo aver nominato Damiano Dalasseno nuovo doux di Antiochia.[1]

Dalasseno mantenne un atteggiamento aggressivo. Nel 996 le sue truppe devastarono i dintorni di Tripoli e Arqa, mentre Manjutakin, ancora una volta invano, assediò Aleppo e Antartus, ma fu costretto a battere in ritirata dall'intervento di Dalasseno e del suo esercito in soccorso della fortezza.[2] L'anno successivo, Dalasseno rinnovò le incursioni contro Tripoli, Rafaniya, Awj e al-Laqbah, espugnando quest'ultima.[2] Nel frattempo gli abitanti di Tiro, sotto il comando di un marinaio di nome Allaqa, insorsero contro i Fatimidi richiedendo aiuti dai Bizantini; ancora più a sud, in Palestina, il condottiero beduino Mufarrij ibn Daghfal ibn al-Jarrah attaccò Ramlah.[3][4]

La battaglia[modifica | modifica wikitesto]

L'assedio di Apamea e i rinforzi fatimidi[modifica | modifica wikitesto]

All'inizio dell'estate 998, Dalasseno venne a conoscenza dello scoppio di un catastrofico incendio ad Apamea che aveva distrutto molte delle sue provviste, per cui marciò sulla città. Gli Aleppini, mirando a impadronirsi di Apamea, lo precedettero ma batterono in ritirata all'avvicinarsi di Dalasseno, che non poteva permettere a un vassallo di acquisire troppa potenza e intendeva prendere possesso della città a nome dell'imperatore. Benché fossero in teoria alleati dei Bizantini, gli Aleppini lasciarono le provviste che avevano portato con sé nelle mani degli abitanti di Apamea, aiutandoli così a resistere.[5][6] Gli eventi successivi vengono riferiti da diversi autori, compresa la narrazione concisa di Giovanni Scilitze e i più dettagliati resoconti dell'arabo cristiano Yahya di Antiochia e l'armeno Stefano di Taron. Sopravvivono anche resoconti arabi, presumibilmente basati sull'opera dello storico dell'XI secolo Hilal al-Sabi; la versione dei fatti più dettagliata è preservata da Ibn al-Qalanisi.[7][8]

Il governatore di Apamea, al-Mala'iti, implorò aiuto ai Fatimidi. Secondo Ibn al-Qalanisi, il reggente eunuco Barjawan assunse Jaysh ibn Samsama al comando dell'esercito che avrebbe dovuto soccorrere la città assediata, nominandolo governatore di Damasco e mettendogli a disposizione un migliaio di uomini.[9][10] Prima di confrontarsi con i Bizantini, i Fatimidi dovettero soffocare la rivolta di Tiro e quella di Ibn al-Jarrah. I Bizantini tentarono di soccorrere l'assediata Tiro inviando una flotta, la quale fu tuttavia sconfitta dai Fatimidi, e la città cadde in giugno.[3][9] La rivolta di Ibn al-Jarrah fu anch'essa sedata, e Jaysh ibn Samsama fece ritorno a Damasco, dove sostò per tre giorni radunando le truppe necessarie per il soccorso di Apamea. Fu raggiunto dalle truppe e dai volontari provenienti da Tripoli, mettendo insieme un esercito di 10000 uomini e 1000 cavalieri beduini della tribù di Banu Kilab.[11] Secondo Scilitze, l'esercito fatimide comprendeva soldati provenienti da Tripoli, Beirut, Tiro e Damasco.[12] Nel frattempo, Dalasseno stava portando avanti vigorosamente l'assedio, riducendo agli stremi gli abitanti di Apamea, costretti a nutrirsi di cadaveri e cani, comprati al prezzo di 25 dirham d'argento (secondo Abu'l-Faraj, due dinar d'oro) l'uno.[13][14]

Lo scontro finale[modifica | modifica wikitesto]

Le due armate si scontrarono nell'ampia pianura di al-Mudiq (cf. Qalaat al-Madiq), circondata da montagne e situata nelle vicinanze del Lago di Apamea,[15] il 19 luglio.[14] Secondo Ibn al-Qalanisi, l'ala sinistra dell'esercito fatimide era sotto il comando di Maysur lo Slavo, governatore di Tripoli; il centro, che comprendeva la fanteria dailamita e le salmerie, era sotto il comando di Badr al-Attar; quella destra era comandata da Jaysh ibn Samsama e Wahid al-Hilali. Secondo tutti i resoconti, i Bizantini caricarono l'esercito fatimide e lo costrinsero alla fuga, uccidendo 2000 soldati nemici e impadronendosi delle salmerie. Solo 500 ghilman sotto il comando di Bishara il Ikhshidide continuarono a resistere all'assalto, mentre il Banu Kilab abbandonò la lotta e cominciò a saccheggiare il campo di battaglia.[13][14] A quel punto, un cavaliere curdo, chiamato Abu'l-Hajar Ahmad ibn al-Dahhak al-Salil (in arabo أبو الحَجَر أَحْمَد بن الضَّحَّاك السَّليل?) da Ibn al-Athir e da Ibn al-Qalanisi, e Bar Kefa dalle fonti bizantine e da Abu'l-Faraj, cavalcò in direzione di Dalasseno, che si trovava nelle vicinanze dello stendardo di battaglia sulla sommità di una altura ed era in presenza di soli due dei suoi figli e di dieci uomini del proprio seguito. Credendo che la battaglia fosse ormai vinta e che il curdo intendesse solo arrendersi, Dalasseno non prese alcuna preoccupazione. Invece Ibn al-Dahhak, mentre si stava avvicinando, caricò improvvisamente il generale bizantino. Dalasseno sollevò il braccio per proteggersi, ma il curdo gli scagliò la lancia. Il generale non indossava alcuna corazza, e così il colpo lo uccise.[13][16][17]

La morte di Dalasseno cambiò le sorti della battaglia: i Fatimidi presero coraggio e, urlando "il nemico di Dio è morto!", caricarono i Bizantini, che caddero nel panico e volsero in fuga. La guarnigione di Apamea attuò una sortita fuori le mura, completando la debacle bizantina.[18][19] Le fonti forniscono cifre discordanti relative alle perdite patite in battaglia dai Bizantini: Al-Maqrizi riporta 5000 bizantini caduti in battaglia, Yahya di Antiochia ne riporta 6000, mentre Ibn al-Qalanisi si spinge a 10000.[17] Gran parte dei bizantini superstiti (2000 secondo Ibn al-Qalanisi) furono fatti prigionieri dai Fatimidi. Tra questi vi erano numerosi comandanti di grado elevato, tra cui il celebre patrikios georgiano Tchortovanel, nipote di Tornike Eristavi, oltre a due figli di Dalasseno, Costantino e Teofilatto, che furono comprati da Jaysh ibn Samsama al costo di 6000 dinar e trascorsero i dieci anni successivi in prigionia al Cairo.[15][19][20] Stefano di Taron fornisce una versione della battaglia leggermente diversa, sostenendo che i vittoriosi bizantini furono colti alla sprovvista da un attacco improvviso dei ritrovatesi Fatimidi al loro accampamento e che uno dei fratelli di Dalasseno e uno dei propri figli furono uccisi insieme allo stesso generale. Questa versione dei fatti è comunemente respinta dagli studiosi moderni.[17][20]

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

La sconfitta di Dalasseno costrinse Basilio II a condurre di persona una ulteriore campagna in Siria nell'anno successivo. Giunto in Siria a metà settembre, l'esercito dell'imperatore seppellì i caduti nel campo di Alamea per poi prendere Shayzar, saccheggiare la fortezza di Masyaf e Rafaniya, dare alle fiamme Arqa, e devastare i dintorni di Baalbek, Beirut, Tripoli e Jubayl. A metà dicembre, Basilio fece ritorno ad Antiochia, dove nominò Niceforo Urano doux,[21] anche se, in base alla propria autodefinizione di "reggitore dell'Oriente", il proprio ruolo parrebbe essere stato ancora maggiore, con pieni poteri civili e militari sull'intera frontiera orientale.[22] Nel 1001 Basilio II concluse una tregua decennale con il califfo fatimide al-Hakim.[23][24]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Honigmann 1935, p. 106.
  2. ^ a b Honigmann 1935, pp. 106–107.
  3. ^ a b Honigmann 1935, p. 107.
  4. ^ Canard 1961, pp. 297–298.
  5. ^ Cheynet e Vannier 1986, pp. 77–78.
  6. ^ Schlumberger 1900, pp. 108, 110.
  7. ^ Canard 1961, p. 297.
  8. ^ Holmes 2005, pp. 347–349.
  9. ^ a b Canard 1961, p. 298.
  10. ^ Schlumberger 1900, pp. 107–108.
  11. ^ Canard 1961, pp. 298–299.
  12. ^ Schlumberger 1900, p. 108.
  13. ^ a b c Canard 1961, p. 299.
  14. ^ a b c Schlumberger 1900, p. 110.
  15. ^ a b Canard 1961, p. 300.
  16. ^ Schlumberger 1900, pp. 110–111.
  17. ^ a b c PmbZ, Damianos Dalassenos (#21379).
  18. ^ Canard 1961, pp. 299–300.
  19. ^ a b Schlumberger 1900, p. 111.
  20. ^ a b Cheynet e Vannier 1986, p. 78.
  21. ^ Honigmann 1935, pp. 107–108.
  22. ^ Holmes 2005, p. 477.
  23. ^ Honigmann 1935, p. 108.
  24. ^ Holmes 2005, pp. 476–477.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]