Amandava formosa

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Bengalino verde
Coppia di Amandava formosa a Mount Abu
Stato di conservazione
Vulnerabile[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
SubphylumVertebrata
ClasseAves
SottoclasseNeornithes
SuperordineNeognathae
OrdinePasseriformes
SottordineOscines
InfraordinePasserida
SuperfamigliaPasseroidea
FamigliaEstrildidae
GenereAmandava
SpecieA. formosa
Nomenclatura binomiale
Amandava formosa
(Latham, 1790)

Il bengalino verde (Amandava formosa (Latham, 1790)) è un uccello passeriforme della famiglia degli Estrildidi[2].

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Dimensioni[modifica | modifica wikitesto]

Misura fino a 10 cm di lunghezza: a parità d'età, le femmine sono in genere leggermente più piccole rispetto ai maschi.

Aspetto[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta di uccelletti dall'aspetto robusto, muniti di un forte becco conico leggermente allungato.
La colorazione è grigio-olivastra su testa, dorso ed ali (da cui il nome comune di questi uccelli), mentre guance, gola e petto sono giallo-verdastri, il ventre ed il sottocoda sono invece di colore giallo, molto più carico nel maschio rispetto alla femmina: i fianchi in ambedue i sessi sono bianchi con zebrature bruno-nerastre, così come nera è la coda. Il becco è di colore rosso scuro, gli occhi sono bruno rossicci e le zampe sono di colore carnicino.

Biologia[modifica | modifica wikitesto]

Una femmina si nutre al suolo.

Si tratta di uccelli diurni e gregari, che formano gruppetti di poche decine d'individui che si disperdono al suolo e fra l'erba alta alla ricerca di cibo, tenendosi in contatto tramite un acuto richiamo cinguettato[3].

Alimentazione[modifica | modifica wikitesto]

Il bengalino verde è un uccello essenzialmente granivoro, che grazie al forte becco è in grado di avere ragione di una varietà di piccoli semi, specialmente di graminacee, privilegiando quelli ancora immaturi: questi uccelli, inoltre, specie durante il periodo riproduttivo integrano la propria dieta con piccoli insetti ed altri invertebrati.

Riproduzione[modifica | modifica wikitesto]

Il periodo riproduttivo viene generalmente individuato fra i mesi di ottobre e gennaio, sebbene sia possibile osservare coppie nidificanti anche durante il mese di luglio. A differenza del congenere e affine bengalino moscato, il bengalino verde si dimostra scarsamente territoriale durante la stagione degli amori, tant'è vero che le varie coppie nidificano a pochi passi l'una dall'altra, formando vere e proprie colonie[4].
Il nido consiste in una struttura globosa ben nascosta nel folto della vegetazione, costituita da rametti e fibre vegetali intrecciate e foderata all'interno con materiale soffice: alla sua costruzione collaborano ambedue i partner, che si alternano inoltre nella cova delle 4-6 uova bianche (che dura 13 giorni) e nella cura dei nidiacei, i quali, ciechi ed implumi alla nascita, sono in grado d'involarsi attorno alla terza settimana di vita e possono dirsi completamente indipendenti a circa due mesi dalla schiusa.

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

In verde l'areale occupato dalla specie.

Questa specie è endemica dell'India, dove occupa un areale molto frammentario che comprende la porzione centrale e nord-occidentale del Paese: in particolare, le popolazioni più numerose censite sono quelle del Rajasthan, dell'Uttar Pradesh, del Bihar e del Maharashtra[5], mentre la popolazione diffusa nel Kerala settentrionale ha probabilmente origine da animali introdotti[6], così come quella che un tempo si era stabilita nei pressi di Lahore[7].

L'habitat di questi uccelli è rappresentato dalle aree cespugliose secche con presenza di radure erbose, con presenza di fonti d'acqua dolce nelle vicinanze: essa inoltre si spinge anche nei campi coltivati, pur essendo molto timida e rifuggendo il contatto con l'uomo.

Tassonomia[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta di una specie monotipica, ossia non presentante sottospecie, e strettamente imparentata col bengalino comune, dal quale essa ha cominciato a divergere circa 9 milioni di anni fa[8].

Conservazione[modifica | modifica wikitesto]

Sebbene sia localmente comune, questo uccello è in decremento numerico, principalmente a causa della cattura illegale per il commercio come animale da compagnia[9]: interi stormi possono infatti essere catturati con relativa semplicità, utilizzando trappole con esca o zimbelli[10]. Questa flessione numerica, unita all'areale molto frammentato occupato dalla specie, ha fatto sì che questi uccelli vengano attualmente classificati dallo IUCN con lo status di "vulnerabile"[1].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b (EN) BirdLife International 2012, Amandava formosa, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ (EN) F. Gill e D. Donsker (a cura di), Family Estrildidae, in IOC World Bird Names (ver 9.2), International Ornithologists’ Union, 2019. URL consultato il 10 maggio 2014.
  3. ^ Ali, S. & Ripley, S. D., Handbook of the birds of India and Pakistan, vol. 10, 2ª ed., Oxford University Press, 1999, p. 108–109.
  4. ^ Hume, A. O., The nests and eggs of Indian birds., vol. 2, R. H. Porter, 1890, pp. 145–146.
  5. ^ Gaston, A. J.; Mackrell, J., Green Munia Estrilda formosa at Delhi, and other interesting records for 1978, in J. Bombay Nat. Hist. Soc., vol. 77, n. 1, 1980, p. 144–145.
  6. ^ Santharam, V., Comments on the bird list of Thattakad Bird Sanctuary, Kerala, in J. Bombay Nat. Hist. Soc., vol. 97, n. 2, 2000, p. 284–285.
  7. ^ Currie, A. J., The occurrence of the Green Munia Stictospiza formosa at Lahore, in J. Bombay Nat. Hist. Soc., vol. 24, n. 3, 1916, p. 594.
  8. ^ Arnaiz-Villena A., Gómez-Prieto P., Ruiz-de-Valle V., Phylogeography of finches and sparrows, in Nova Science Publishers, 2009, ISBN 978-1-60741-844--3. URL consultato il 14 novembre 2013 (archiviato dall'url originale il 3 novembre 2013).
  9. ^ Mehra, S. P. & Sharma, S., Additional site records of Green Avadavat Amandava formosa (Latham, 1790) from Mount Abu, Rajasthan, India (PDF), in Newsletter for Ornithologists, vol. 1, n. 6, 2004, p. 83–84 (archiviato dall'url originale il 21 luglio 2011).
  10. ^ Bhargava, R., Notes on Green Munia, in J. Bombay Nat. Hist. Soc., vol. 93, n. 3, 1996, p. 588–589.

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