Shirin Neshat

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Shirin Neshat a Vienna nel 2010.
Premio Premio Imperiale 2017

Shirin Neshat (in persiano شیرین نشاط‎; Qazvin, 26 marzo 1957[1]) è una regista, fotografa e artista iraniana di arte visiva contemporanea, conosciuta soprattutto per il suo lavoro nel cinema, nei video e nella fotografia.[2]

Nata in Iran nel 1957, Neshat si trasferì negli Stati Uniti per frequentare l'università.[3] Dopo essere tornata in madrepatria nel 1990, l'artista rimase colpita dai cambiamenti causati dalla rivoluzione (1978-9), a seguito della quale furono emanate delle leggi restrittive secondo le quali le donne potevano tenere scoperti solo il volto e le mani.[3] Neshat scelse quindi di diventare un'artista per documentare la realtà e criticare le nuove regole imposte alle donne, da lei considerate ingiuste.[3]

È del 2009 il suo primo lungometraggio: Donne senza uomini, con il quale ha vinto il Leone d'argento per la miglior regia al 66º Festival di Venezia.[4][5][6]

Vive attualmente tra il suo paese di origine e New York.[7]

Stile e tecnica

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Attraverso il suo lavoro Shirin Neshat analizza le difficili condizioni sociali all'interno della cultura islamica, con particolare attenzione al ruolo della donna, rivolgendosi al significato sociale, politico e psicologico dell'essere donna nelle società islamiche contemporanee.[8][9]

Anche se Neshat attivamente resiste alle rappresentazioni stereotipate dell'Islam, i suoi obiettivi artistici non sono esplicitamente polemici. Piuttosto, il suo lavoro riconosce le forze intellettuali e religiose complesse che modellano l'identità delle donne musulmane nel mondo intero. Come fotografa e video-artista, Shirin Neshat è famosa per i suoi ritratti di corpi di donne interamente ricoperti da scritte in calligrafia araba.[2]

Ha inoltre diretto parecchi video, tra cui Anchorage (1996), proiettato su due pareti opposte: Shadow under the Web (1997), Turbulent (1998) prodotto da Noire Gallery, Rapture (1999) e Soliloquy (1999).

Nelle sue fotografie e nei suoi video mostra attraverso immagini piene di tensione dei corpi velati, dei martiri (uomini o donne), persone sottomesse, che ogni giorno devono fare i conti con la violenza ed il terrorismo.[10]

Mostre Personali

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  • Graziano Menolascina (a cura di), Dreamers trilogy: llusions & Mirrors, Sarah, Roja, PRAC Centro Per l'Arte Contemporanea, Ponzano Romano (RM), 2021 [11]
  1. ^ (EN) Suzie Mackenzie, An unveiling, in The Guardian, 22 luglio 2000. URL consultato il 30 maggio 2014.
  2. ^ a b Marco Bona Castellotti (2004), p. 447.
  3. ^ a b c autori vari, Guarda! 100 storie di artisti per scoprire il mondo, Feltrinelli, 2020, "Shirin Neshat".
  4. ^ Donne senza uomini: intervista video alla regista Shirin Neshat
  5. ^ (EN) Games of Desire, su gladstonegallery.com, Gladstone Gallery, dal 3 settembre al 3 ottobre 2009. URL consultato il 15 marzo 2010.
  6. ^ Gian Paolo Galasi, Shirin Neshat – Women Without Men, su Culturame.it, 12 febbraio 2011. URL consultato il 12 febbraio 2011 (archiviato dall'url originale il 27 giugno 2019).
  7. ^ (EN) Claudia La Rocco, Shirin Neshat’s Performa Contribution, in The New York Times, 14 novembre 2011. URL consultato il 30 maggio 2014.
  8. ^ Shirin Neshat e le donne dell'Islam, tra foto e parole d'henné, su pinkblog.it, 23 maggio 2008. URL consultato il 15 marzo 2010 (archiviato dall'url originale il 21 febbraio 2010).
  9. ^ Francesca Caraffini, Intervista, su undo.net, 14 novembre 1998. URL consultato il 15 marzo 2010.
  10. ^ Francesca Pierleoni, Le donne coraggiose di Shirin Neshat, su Ansa.it, 31 gennaio 2014/01/31. URL consultato il 30 maggio 2014.
  11. ^ Alice Falsaperla, Shirin Neshat, Dreamers trilogy - Chiesa di Santa Maria ad Nives, su exibart.com, 9 ottobre 2021. URL consultato il 29 marzo 2023.

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Collegamenti esterni

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