Sbracciantizzazione

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La sbracciantizzazione fu uno degli aspetti della Politica agraria del fascismo italiano.

Mirava alla diminuzione del numero di braccianti giornalieri a favore di mezzadri, affittuari e coloni per sviluppare le piccole e medie proprietà.

Realizzata all'interno della Battaglia del grano, contribuì non poco ad aumentare il controllo sociale delle proprietà terriere, ed il cui obiettivo era quello di riuscire a "contadinizzare" l'intero Paese. L'obiettivo era anche quello di rendere l'Italia autonoma nella produzione agricola. Nelle campagne del nord Italia (in special modo quelle da poco bonificate) s'intensificò la disgregazione delle cooperative e leghe bracciantili socialiste a favore di forme compartecipative, ispirate ai principi del corporativismo.[1]

Tra i risultati concreti raggiunti dalla politica di sbracciantizzazione è da sottolineare la drastica riduzione dal 44% al 28% della quota di lavoratori agricoli senza terra, dunque un loro maggiore coinvolgimento all'interno dei processi produttivi e di conseguenza, pur senza una politica di rincorsa alla modernizzazione tecnologica, l'incremento dell'indice di produzione aumentò fino a 100 dal livello 88 cui era precipitato nell'immediato primo dopoguerra.[2]

  1. ^ Francesco Perfetti e Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla "grande crisi" alla caduta del regime, 1930-1943, Bonacci, Roma, 1989.
  2. ^ Augusto Grandi, Teresa Alquati. Eroi e Cialtroni: 150 anni di controstoria, Politeia edizioni, Torino 2011, pp. 96-97.
  • Francesco Perfetti e Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla "grande crisi" alla caduta del regime, 1930-1943, Bonacci, Roma, 1989.
  • Alberto Aquarone e Maurizio Vernassa (a cura di), Il regime fascista, Il Mulino, 1976.
  • Istituto Grasci, Studi storici, Volume 25, 1984.

Voci correlate

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