Colorista

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Pagina da Unknown World n. 1 (1952)
La pagina dopo la colorazione

Nei fumetti, un colorista è responsabile dell'aggiunta di colore alla grafica in bianco e nero. Per gran parte del XX secolo ciò si sono usati pennelli e coloranti che erano poi utilizzati come guide per produrre le lastre da stampa. Dalla fine del XX secolo, nella maggior parte dei casi ciò avviene utilizzando i media digitali, con separazioni di stampa prodotte elettronicamente.

Sebbene la maggior parte dei coloristi americani lavori direttamente per gli editori di fumetti (come dipendenti o liberi professionisti), ci sono alcuni studi di colorazione che offrono i loro servizi agli editori. American Color, Olyoptics, Digital Chameleon erano le aziende più importanti in questo campo.


Storia[modifica | modifica wikitesto]

In origine, i fumetti erano colorati ritagliando pellicole di varie densità nelle forme appropriate per essere utilizzate nella produzione di lastre da stampa a colori separati. Il tipico colorista lavorava su fotocopie delle pagine inchiostrate, che coloravano con coloranti speciali. Dr. Martin's Dyes era un marchio noto in questo campo nell'industria dei fumetti[1]. I codici CMYK venivano scritti sulla pagina per indicare i colori finali stampati e queste pagine colorate a mano venivano usate come guide dall'incisore[2]. Tatjana Wood è stata la colorista principale delle copertine della DC Comics dal 1973 fino alla metà degli anni ottanta[3].

Più recentemente, i coloristi hanno lavorato con mezzi trasparenti come gli acquerelli o l'aerografo, che vengono poi fotografati, consentendo effetti più sottili e pittorici.

Colore digitale[modifica | modifica wikitesto]

Il colorista Steve Oliff e la sua azienda Olyoptics furono tra i primi a utilizzare i computer per eseguire separazione dei colori. Sebbene altre aziende all'epoca stessero sperimentando con i computer, Oliff e il suo gruppo furono i primi a fondere la guida del colore dell'artista con il separatore[4]. Nel 1987, il manga giapponese Akira era in preparazione per essere tradotto e pubblicato dalla linea Epic Comics della Marvel Comics. Oliff fu scelto come colorista e convinse la Marvel che era ora di provare il colore al computer[5]. Dopo la pubblicazione di Akira nel 1988, la colorazione computerizzata divenne sempre più diffusa nell'industria dei fumetti[4].

All’inizio degli anni novanta, anche se i più grandi editori di fumetti utilizzavano i computer, c’erano delle differenze nel campo. La DC Comics consentiva solo una tavolozza di 64 colori, mentre la Marvel l'aveva ampliata a 125 colori. Dark Horse Comics ha consentito ancora più variazioni[1]. I programmi dominanti in uso in quel periodo erano Color Prep e Tint Prep, entrambi originariamente implementati da Olyoptics. Questo software è stato inventato e scritto da "Pixel Craft", la prima azienda a creare software che utilizzava un personal computer in grado di produrre file per un fotocompositore digitale per realizzare negativi per la stampa a colori. Pixel craft era una piccola azienda di Long Island, New York, creata da Kenneth Giordano e Khouri Giordano. Il team di padre e figlio ha continuato a realizzare molte innovazioni nell'informatizzazione della stampa a colori[1]. Nel 1993, l'uso da parte di Image Comics del computer per il colore e di una più avanzata tecnologia della separazione per i colori spinse DC e Marvel a migliorare ulteriormente le loro tecniche di colorazione. Infine, a metà degli anni novanta, l'integrazione di Digital Chameleon con Adobe Photoshop ha contribuito a rendere quel programma lo standard del settore[1].

Coloristi notevoli[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Hollingsworth, Matt. "Color Guides," MattHollingsworth.net. Archiviato l'8 ottobre 2008 in Internet Archive. 6 aprile 2009.
  2. ^ "Bullpen Bulletins", Marvel Two-in-One #52 (Marvel Comics, June 1979).
  3. ^ Paul Levitz, 75 Years of DC Comics: The Art of Modern Mythmaking, a cura di Virtually all DC covers from 1973 through the end of the Bronze Age were colored by Tatjana Wood., Taschen America, 2010, p. 524, ISBN 978-3-8365-1981-6.
  4. ^ a b (EN) George Khoury, Image Comics: The Road to Independence, TwoMorrows Publishing, ISBN 978-1-893905-71-9.
  5. ^ Gravett, Paul. Manga: Sixty Years of Japanese Comics (Laurence King Publishing, 2004).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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