Aspettando Godot

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Aspettando Godot
Opera teatrale in due atti
AutoreSamuel Beckett
Titolo originaleEn attendant Godot
Lingua originale
GenereTeatro dell'assurdo
Composto nel1948-1949
Pubblicato nel1952
Prima assoluta5 gennaio 1953
Théâtre de Babylone, Parigi
Prima rappresentazione italiana22 novembre 1954
Teatro di via Vittoria, Roma
Personaggi
  • Estragone
  • Vladimiro
  • Lucky
  • Pozzo
  • Ragazzo
 

Aspettando Godot (in francese En attendant Godot; in inglese Waiting for Godot) è un'opera teatrale del drammaturgo irlandese Samuel Beckett, nel quale due personaggi, Vladimir (Didi) ed Estragone (Gogo), si intrattengono in una varietà di discussioni mentre attendono il titolare Godot, che mai arriva. Fu scritto in francese, e dall'autore stesso riscritto in inglese nel 1954, per il quale Beckett scelse come sottotitolo una tragicommedia in due atti.

Dramma del teatro dell'assurdo, il testo originale francese, composto tra il 9 ottobre 1948 e il 29 gennaio 1949, fu pubblicato nel 1952. Divenuto un testo del Canone occidentale, è considerato una tra le più grandi opere teatrali di tutti i tempi.

La prima rappresentazione si tenne a Parigi il 5 gennaio 1953 al Théâtre de Babylone, sotto la regia di Roger Blin, che per l'occasione rivestì anche il ruolo di Pozzo; la prima versione in inglese debuttò a Londra nel 1955.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Vladimiro (chiamato anche Didi) ed Estragone (chiamato anche Gogo), due vagabondi in bombetta, stanno aspettando su una desolata strada di campagna un certo "Signor Godot". Non vi è nulla sulla scena, solo un albero dietro ai due personaggi che regola la concezione temporale attraverso la caduta delle foglie, che indica il passare dei giorni. Ma il misterioso Godot non appare mai sulla scena, e nulla si sa sul suo conto. Egli si limita a mandare un ragazzo dai due mendicanti, il quale dirà ai due protagonisti che Godot "oggi non verrà, ma verrà domani". Eppure, i due continuano ad attenderlo di giorno in giorno, senza speranza, con patetica tenacia.[1]

I due uomini, vestiti da improbabili barboni, si lamentano continuamente del freddo, della fame e del loro stato esistenziale; litigano, pensano di separarsi (anche di suicidarsi) ma alla fine restano in coppia, l'uno dipendente dall'altro, l'uno complementare all'altro. Ed è proprio attraverso i loro discorsi sconnessi e superficiali, spiritosi, tra lazzi e parodie e pantomime, inerenti ad argomenti futili e banali, che emerge la drammaticità della vita umana, il nonsenso, una disperata visione del mondo.

A un certo punto del dramma, arrivano altri due personaggi in coppia: Pozzo e Lucky. Pozzo, che si definisce il proprietario della terra sulla quale Vladimiro ed Estragone stanno, è un uomo crudele e al tempo stesso "pietoso": tratta il suo servo Lucky come una bestia, tenendolo al guinzaglio con una lunga corda. Pozzo è il padrone mentre Lucky il servo, ma al tempo stesso Pozzo è vittima di Lucky e la corda che li unisce indica un legame reciproco apparentemente inscindibile. I due nuovi personaggi successivamente escono di scena.

Didi e Gogo, dopo aver avuto l'incontro con il ragazzo "messaggero di Godot", rimangono fermi mentre si dicono "Well? Shall we go?" (E ora? Possiamo andare?) - "Yes, Let's go" (Sì, andiamo), e l'indicazione scenica dice ironicamente "They do not move" (Non si muovono). Il linguaggio non riproduce più la realizzazione della volontà individuale. Non esiste più legame fra parola e azione, fra il linguaggio e la storia che dovrebbe esprimere, comunicare e attivare.

Il secondo atto differisce solo in apparenza dal primo: Vladimiro ed Estragone sono di nuovo nello stesso posto della sera precedente. Continuano a parlare (a volte con "non senso", a volte utilizzando luoghi comuni con effetti comici). Ritornano in scena Pozzo, che è diventato cieco, e Lucky, che ora è muto, ma con una differenza: ora la corda che li unisce è più corta a indicare la soffocante simbiosi dei due. Escono di scena. Rientra il ragazzo che dice che anche oggi il Signor Godot non verrà. Esce e Vladimiro ed Estragone rimangono lì mentre dicono "Well? Shall we go?" - "Yes, let's go". E l'indicazione scenica che mette fine al dramma dice "They do not move."

Analisi dell'opera[modifica | modifica wikitesto]

In Inglese God vuol dire Dio, mentre "dot" si traduce con "punto". Quindi qualcuno ha ipotizzato che Beckett abbia in questo modo lasciato un'interpretazione sull'identità di Godot. Il suffisso "ot" vuol dire a sua volta "piccolo" in francese, dando un'ulteriore caratteristica al Dio in questione. In un'intervista Beckett stesso rifiuta questa lettura di Godot: non aveva nessuna intenzione di riferirsi a Dio, piccolo o grande che sia. È a questo che R. Barone si riferisce quando nella sua opera su Beckett "Il divertimento Beckettiano..." spiega che la parola "Godot" è formata dalle due parole "go" e "dot" rispettivamente "va" e "fermo" poiché "dot" in inglese è "punto". L'autore voleva sottolineare la frustrazione dell'uomo nel suo tentativo fallimentare di "muoversi", procedere, cambiare la sua posizione.

Ciò è confermato dal titolo di un'altra grande opera Rockaby (Dondolo in italiano). Il titolo è formato dalle parole "rock" cioè dondolare, muoversi verso una direzione, da "a", suono indistinto e rappresenta il nulla, lo Zero e "by" che deve essere inteso nella sua pronuncia uguale alla parola "bye", cioè "addio", "vado via"; quindi "dondolo" "mi muovo", raggiunto il punto di massimo movimento del "pendolo" passando per il punto "zero" e ritorno indietro, vado via, "bye" per l'appunto. Ancora una volta tentativo fallimentare e fallito di procedere per ritornare al punto di partenza in una "endless" ripetizione di azioni (non è un caso che l'ultimo verso di Rockaby non presenti un punto, e si può iniziare a leggerlo dal principio proprio come in una ninna-nanna).

Assenza di una struttura tradizionale[modifica | modifica wikitesto]

L'opera è divisa in due atti, nei quali non c'è sviluppo nel tempo, poiché non sembra esistere possibilità di cambiamento. La trama è ridotta all'essenziale, è solo un'evoluzione di micro-eventi. Apparentemente sembra tutto fermo, ma a guardare bene "tutto è in movimento". Non c'è l'ambiente circostante, se non una strada desolata con un salice piangente spoglio, che nel secondo atto mostrerà alcune foglie. Il tempo sembra "immobile". Eppure scorre. I gesti che fanno i protagonisti sono essenziali, ripetitivi. Vi sono molte pause e silenzi. A volte si ride, a volte si riflette in Aspettando Godot, come se si fosse a "teatro o al circo" (dicono i personaggi).

Influenza culturale[modifica | modifica wikitesto]

  • Aspettando Godot è divenuto un modo di dire, sinonimo di una situazione, spesso esistenziale, nella quale si attendo un avvenimento che dà l'apparenza di essere imminente, ma che in realtà non accade mai, e in cui di solito chi l'attende non fa nulla affinché questo si realizzi, come i due barboni che si limitano ad aspettare sulla panchina invece di avviarsi incontro a Godot.
  • Molti autori si sono ispirati all'opera di Beckett, creando addirittura sequel non ufficiali del dramma, come ad esempio Godot è arrivato (1966) di Miodrag Bulatović.
  • Aspettando Godot è il titolo di un album del 1972 di Claudio Lolli e di una canzone ivi contenuta.
  • Un film italiano del 1977, Il giorno dell'Assunta di Nino Russo, è fortemente ispirato all'opera di Beckett.
  • Nel film italiano del 2023, Grazie ragazzi di Riccardo Milani, i detenuti protagonisti mettono in scena Aspettando Godot.

Edizioni[modifica | modifica wikitesto]

  • En attendant Godot, pièce en deux actes, Les Éditions de Minuit, Paris, 1952.
  • Waiting for Godot, Faber and Faber, London, 1956.
  • Aspettando Godot, trad. di Carlo Fruttero, Collezione di teatro n.57, Torino, Einaudi, giugno 1956; in Il teatro di Samuel Beckett, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, 1961, 1968, VI ed. 1982, pp.7–102; in Teatro completo, a cura di Paolo Bertinetti, Biblioteca della Pléiade, Torino, Einaudi-Gallimard, 1994, pp.1–83, ISBN 978-88-446-0014-3; Milano, Club degli Editori, 1996; in Teatro, a cura di P. Bertinetti, Collana ET Teatro, Einaudi, 2002, ISBN 978-88-061-6040-1; Collana ET Scrittori, Einaudi, 2014, ISBN 978-88-062-2136-2.
  • Teatro di Samuel Beckett. Aspettando Godot, Finale di partita, L'ultimo nastro di Krapp, Giorni felici, trad. di C. Fruttero, Introduzione di Roberto Rebora, Collana Oscar n.257, Milano, Mondadori, 1969-1981; in Teatro contemporaneo, 3 voll. in cofanetto, Collana Oscar, Mondadori, 1969.
  • Waiting for Godot, a cura di I. Leonetti, Collana anglo-americani, Milano, Bruno Mondadori Scolastica, 1977, ISBN 978-88-424-6063-3.
  • En attendant Godot, avec une introduction des notes et des question par Paolo Guazzi, Roma, Lucarini Scuola, 1990, ISBN 978-88-857-6782-9.
  • Quaderni di regia e testi riveduti. Aspettando Godot, Edizione critica di James Knowlson e Dougald McMillan,[2] a cura di Luca Scarlini e S.E. Gontarski, Collana Le teorie, Imola, CUE Press, 2021, ISBN 978-88-551-0195-0.
  • Aspettando Godot, in Romanzi, teatro e televisione, trad. e cura di Gabriele Frasca, Collana I Meridiani, Milano, Mondadori, 2023, ISBN 978-88-047-2646-3.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Scheda bibliografica Einaudi n.33, Giugno 1956
  2. ^ 1937-1999

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Walter D. Asmus, Beckett dirige Godot [1975], trad. di Lorenzo Mucci, in Sergio Colomba (a cura di), Le ceneri della commedia, Bulzoni, Roma 1997, pp. 387–98
  • James Knowlson e D. McMillan (a cura di), The Theatrical Notebooks of Samuel Beckett I: «Waiting for Godot», Faber and Faber, London, 1993.
  • Martin Esslin, Il Teatro dell'assurdo (The Theatre of the Absurd, 1961, 1968), traduzione di Romeo De Baggis e Magda Trasatti, Collana L'evento teatrale. Saggi n.1, Roma, Edizioni Abete, 1975. - II ed., Ed. Abete, 1980; Edizione aggiornata e aumentata, Edizioni Abete, 1990, ISBN 978-88-704-7034-5.

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