Alnus nepalensis

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Ontano nepalese
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione APG IV
DominioEukaryota
RegnoPlantae
(clade)Angiosperme
(clade)Mesangiosperme
(clade)Eudicotiledoni
(clade)Eudicotiledoni centrali
(clade)Superrosidi
(clade)Rosidi
(clade)Eurosidi
(clade)Eurosidi I
OrdineFagales
FamigliaBetulaceae
GenereAlnus
SpecieA. nepalensis
Classificazione Cronquist
DominioEukaryota
RegnoPlantae
DivisioneMagnoliophyta
ClasseMagnoliopsida
SottoclasseHamamelidae
OrdineFagales
FamigliaBetulaceae
SottofamigliaBetuloideae
GenereAlnus
SottogenereAlnus subg. Clethropsis
SpecieA. nepalensis
Nomenclatura binomiale
Alnus nepalensis
D.Don, 1825
Sinonimi

Alnus mairei
Alnus boshia
Betula leptophylla
Clethropsis nepalensis

Nomi comuni

Ontano nepalese

L'ontano nepalese (Alnus nepalensis D.Don, 1825) è una pianta appartenente alla famiglia Betulaceae, diffusa negli altipiani subtropicali dell'Himalaya e in Cina.[1][2] L'albero viene chiamato "Utis" in nepalese. Viene utilizzato nella bonifica dei terreni, come legna da ardere e per la produzione di carbone vegetale.[1] È l'albero di stato dello stato indiano del Nagaland.

Le radici presentano dei noduli con i quali l’albero è in grado di fissare l'azoto.

Corteccia dell’ontano neapalese

L’Alnus nepalensis è un grande ontano deciduo con corteccia di colore grigio-argento e può raggiungere i 30 m di altezza e 60 cm di diametro. Il suo legno è moderatamente morbido.[3]

Foglia di ontano nepalese

Le foglie sono alterne, semplici, poco profonde, dentate, con venature prominenti e parallele tra loro, lunghe 7–16 cm e larghe 5–10 cm.[3]

Infiorescenza

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I fiori sono raggruppati fino ad un massimo di otto in racemi.[3]

I fiori sono amenti, con i fiori maschili e femminili separati ma prodotti dallo stesso albero. I fiori maschili sono pendenti e lunghi da 10 a 25 cm, mentre i fiori femminili sono eretti e lunghi da 1 a 2 cm.[3] Insolitamente per un ontano, fioriscono in autunno, con i semi che maturano l'anno successivo.

Distribuzione e habitat

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L’ontano nepalese è distribuito in tutto l'Himalaya a 200-3600 m di altitudine, dal Pakistan attraverso il Nepal e il Bhutan fino allo Yunnan nella Cina sud-occidentale.[1] Cresce meglio su terreni argillosi vulcanici profondi, ma cresce anche su argilla, sabbia e ghiaia. Tollera un'ampia varietà di tipi di suolo e cresce bene in zone molto umide. Ha bisogno di molta umidità nel suolo e preferisce le posizioni lungo i fiumi, ma cresce anche sui pendii.[4]

L'albero cresce rapidamente e a volte viene piantato come controllo dell'erosione sui pendii collinari e per il recupero del terreno nella coltivazione a turno. Essendo morbido, viene occasionalmente utilizzato per la fabbricazione di scatole e nella costruzione leggera, ma viene usato principalmente come legna da ardere perché brucia in modo uniforme ma piuttosto rapido, e per la fabbricazione di carbone vegetale.[1] Attualmente, questa specie arborea è preferita da diversi gruppi etnici indigeni come H'mong, Nung e Thu Lao nel distretto di Simacai, nella provincia di Lao Cai nel Vietnam settentrionale, per rinverdire e arricchire la foresta grazie alle conoscenze locali.[3][5]

  1. ^ a b c d e (EN) K. Shaw, S. Roy & B. Wilson 2014, Alnus nepalensis, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020. URL consultato il 17 gennaio 2020.
  2. ^ (EN) Alnus nepalensis D.Don, su Plants of the World Online, Royal Botanic Gardens, Kew. URL consultato il 16 gennaio 2021.
  3. ^ a b c d e (EN) Dorthe Jøker, Alnus nepalensis D. Don (PDF), su sl.ku.dk, Università di Copenaghen. URL consultato il 17 gennaio 2020.
  4. ^ (EN) Firewood Crops: Shrub and Tree Species for Energy Production: Report of an "Ad Hoc Panel" of the Advisory Committee on Technology Innovation, Board on Science and Technology for International Development, Commission on International Relations, vol. 1, Washington, National Academies Press, 1980, pp. 78–79, LCCN 80083796. URL consultato il 17 gennaio 2020.
  5. ^ (EN) Initiative of enriching tropical forest by native species and local knowledge, su speri.org, 9 dicembre 2016. URL consultato il 17 gennaio 2020.

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