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Voce principale: Repubblica di Venezia.

Storia della Repubblica di Venezia è una voce tratta della storia dello Stato veneziano dalla fondazione alla sua caduta.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Le origini[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Venezia marittima.

La nascita del Ducato[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Doge (Venezia).
Paolo Lucio Anafesto, rappresentato in armatura.
Mappa dell'Italia bizantina agli inizi dell'VIII secolo, epoca del trattato con Liutprando che definiva i confini della Venetia maritima.

La Repubblica di Venezia ebbe origine dai territori bizantini della Venetia maritima, dipendenti sin dal VI secolo dall'Esarcato di Ravenna. Tra la fine del VII secolo e gli inizi dell'VIII come le altre province bizantine d'Italia la Venetia venne eretta in ducato[1][2], con a capo un governatore sia militare che civile avente il titolo di dux. Secondo la tradizione il primo duca della Venetia fu l'opitergino - od eracleense[1] - Paolo Lucio Anafesto, l'inizio del cui governo è convenzionalmente posto nel 697, durante il regno di Leonzio[1][3][4], posticipabile però al 698 stando alla Cronaca Altinate[5], mentre il diacono Giovanni fa risalire l'evento addirittura agli anni della reggenza imperiale di Anastasio II, dunque attorno al 713[6], attribuendo inoltre l'elezione agli stessi Venetici [7].

Il nuovo duca riuscì a consolidare i confini attraverso un trattato col re longobardo Liutprando[8], ma cadde poi nel 717 in una congiura organizzata da nobili equiliani[9].

Successe quindi a Paoluccio Anafesto come duca il suo vecchio magister militum, Marcello. Questi si trovò a dover affrontare l'annosa e spinosa questione delle due sedi rivali del patriarcato di Aquileia - la longobarda Aquileia, appunto, e la venetica Grado - ciascuna delle quali rivendicava l'esclusiva legittimità. Egli intervenne dunque presso papa Gregorio II, perorando la causa del patriarca Donato ed ottenendo per lui il riconoscimento del titolo patriarcale di Grado come sede autonoma. Marcello, poi detto Tegalliano, morì nel 726. Pare si trattaasse di morte naturale e che sia stato sepolto ad Eraclea.

La rivolta anti-iconoclasta[modifica | modifica wikitesto]

La morte di Marcello Tegalliano giunse in un momento di grave crisi politica provocata dalle conseguenze dei provvedimenti iconoclasti ordinati dall'imperatore Leone: nel 726 l'Italia cadde così preda di rivolte intestine e molti ducati bizantini insorsero contro Costantinopoli e Ravenna. I veneti in rivolta nominarono così autonomamente il proprio duca, nella persona di Orso[10]. Della situazione approfittarono nel 727 i Longobardi che occuparono Ravenna: spaventato, papa Gregorio II esortò quindi il duca Orso a fornire aiuto all'esarca fuggitivo Paolo. Nel 728 la capitale esarcale venne dunque riconquistata e il potere di Orso venne legittimato l'anno successivo, 728, con la concessione imperiale del titolo di Ipato.

Il regime dei magistri militum[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Regime dei magistri militum.

Agli inizi dell'VIII secolo una nuova e grave rivolta scosse l'Esarcato: guidata da Giorgio Ioanniccio, a seguito dell'applicazione delle norme del concilio in Trullo, condannante la pratica latina del celibato ecclesiastico, la ribellione assorbì l'attenzione del nuovo esarca Eutichio, che riuscì però infine a soffocarla. L'esarca riuscì anche a riportare sotto il completo controllo bizantino la Venetia: approfittando infatti dell'assassinio del duca Orso, coinvolto nell'ennesimo scontro tra Eracliana ed Equilio, Eutichio ordinò nel 738 che il governo del ducato fosse assegnato a magistrati militari annuali, i Magistri Militum. Garantitosi così la fedeltà della Venetia e la riscossione delle sue tasse, Eutichio riparò nel 740 nelle lagune allorché i Longobardi occuparono nuovamente Ravenna. L'anno successivo, 741, Eutichio riprese la città con l'aiuto del magister militum Gioviano, che venne in cambio nominato Ipato. Il potere bizantino sull'italia appariva tuttavia in inarrestabile declino, mentre nella Venezia si riaccendevano per l'ennesima volta gli scontri tra le città rivali di Eracliana ed Equilio.

La conquista dell'elettività ducale[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Concio (Venezia).

Nel 742 il nuovo magister militum Giovanni Fabriciaco, eracleense, intervenne pesantemente nelle dispute interne in favore della propria città. Gli scontri risultarono talmente violenti che uno dei teatri del confronto venne in quel periodo persino ribattezzato canale homicidiale ("canale dell'omicidio"). La situazione, divenuta intollerabile, portò infine alla deposizione dell'ultimo maestro dei soldati[11] e al trasferimento della capitale a Metamauco[12], dove con la concessione imperiale i Venetici si videro conferita la potestà all'autonoma nomina del Dux[13]: il potere venne dunque affidato al figlio dell'ultimo duca, Teodato Orso[14]. L'evento sancì per la prima volta il diritto esclusivo della Concione popolare, cioé l'assemblea generale degli uomini liberi e del clero, alla nomina del supremo magistrato.

La caduta dell'Esarcato[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Esarcato d'Italia.
La Promissio Carisiaca: donazione di Pipino il Breve a papa Stefano II delle terre dell'Esarcato.

Il governo di Teodato dovette far fronta ad una situazione di sempre crescente minaccia longobarda: nel 743 Liutprando si impossessò di Cesena e l'esarca Eutichio, sentendosi direttamente minacciato, chiese aiuto a Papa Zaccaria, il quale intercesse presso il re per ottenere la salvezza di Ravenna, avviando al contempo i primi contatti con Pipino, maggiordomo di palazzo del re dei Franchi Childerico III, alla ricerca di alleati in grado di tener testa ai Longobardi.

Appana pochi anni dopo tuttavia, nel751, il re longobardo Astolfo prese d'assalto Ravenna, ponendo fine all'Esarcato. Eutichio si rifugiò a Bari, ma non fu mai più in grado di riprendere la città. Di fronte alla tragica situazione dei Bizantini, il ducato di Venezia si ritrovò quasi completamente isolato nell'Adriatico settentrionale. Il duca Teodato, reagì rinforzando la propria frontiera meridionale, rimasta sguarnita dopo la caduta di Ravenna, erigendo la nuova fortezza della Torre delle Bebbe, nei pressi dell'antica foce dell'Adige. Il nuovo assetto politico conseguente al declino del potere imperiale influì anche nella componente amministrativa del territorio: al trasferimento della capitale a Malamocco dovette infatti coincidere anche la vittoria definitiva del partito insulano, mercantile e legato ai commerci marittimi, contro quello dei fondiari e degli agrari legato agli ultimi lembi di terraferma.[15]

La popolazione romanica dell'Esarcato, frattanto, perso il riferimento rappresentato dall'Esarca, trovò come unico riferimento il papato, che si poneva come erede del sistema giuridico e sociale imperiale: Stefano II, spaventato dal successo di Astolfo, accelerò così l'alleanza con i Franchi di Pipino contro il re longobardo, inaugurando una nuova politica per tutta la Chiesa occidentale[16]. Pipino, dal canto suo, inviò ambasciatori al Papa per saggiarne la disponibilità ad incoronarlo re dei Franchi al posto dell'imbelle Childerico: il papa puntualmente ordinò l'arresto e la tonsura del re, che venne deposto, permettendo a Pipino di instaurare una nuova dinastia. Fatto l'accordo, nel 754 i Franchi calarono in Italia, battendo Astolfo e costringendolo ad abbandonare le recenti conquiste, consegnandole a papa Stefano II attraverso la Promissio Carisiaca.

Mentre accadevano proprio questi avvenimenti il ducato di Teodato venne bruscamente interrotto da una congiura, che portò nel 755 brevemente al potere Galla Gaulo[17].

Dopo l'insignificante e brevissima reggenza di Galla, terminata nel 756, seguì quella di Domenico Monegario. Il nuovo duca vide però il proprio potere limitato dalla presenza di due tribuni, eletti per affiancarlo e controllarne l'operato, forse per volontà del partito fondiario che trovava nell'antico sistema tribunizio un sostegno al propio potere agrario[senza fonte]. Nel corso degli otto anni successivi il Monegario tentò invano di liberarsi della tutela tribunizia, ma, non riuscendovi, finì infine per soccombere: deposto e scacciato, venne sostituito dall'eracleense Maurizio Galbaio[18].

Il tentativo di annessione Franca[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Pax Nicephori e Invasione franca della Venezia.
Carlo Magno in un dipinto di Albrecht Dürer, 1511-1513.
Adelchi, figlio del re dei Longobardi Desiderio, sconfitto da Carlo, re dei Franchi.
Regno di Carlo Magno, dopo la sconfitta degli avari (791), in giallo la Venetia bizantina.
Solidus raffigurante Niceforo I il Logoteta e il figlio Stauracio.

I Venetici - scoraggiati dalle lotte createsi durante il ducato del Monegario - preferirono non ricorrere più alla nomina dei tribuni supervisori[18], cosicché il nuovo duca, libero dal loro controllo e lontano da quello del suo signore, il basileus di Costantinopoli, potè iniziare a configurare il proprio potere con piglio monarchico: su modello degli imperatori bizantini, egli adottò la pratica di associazione al trono del proprio successore designato, prendendosi come collega, o co-Dux, il figlio Giovanni[19].

Maurizio e Giovanni si trovarono ben presto a dover fronteggiare un nemico molto più pericoloso di quelli che avevano sino ad allora minacciato la Venezia. Divenuto infatti nuovo sovrano dei Franchi, Carlo, figlio di Pipino, papa Adriano I ricorse nuovamente nel 774 all'aiuto d'oltralpe per contrastare il pericolo longobardo, rappresentato dalle mire di re Desiderio: sceso dunque in Italia, Carlo riuscì facilmente ad aver ragione di Desiderio e a proclamarsi rex Longobardorum. Tra le conseguenze di questo enorme rivolgimento politico vi fu il riconoscimento a Carlo, da parte di papa Adriano, del diritto sul controllo della Venezia e dell'Istria, che il papa stesso riteneva sua proprietà in quanto antiche province dell'Esarcato. La decisione provocò ben presto attriti con le popolazioni lagunari, dove vennero a formarsi due opposti partiti: uno filo-franco, capeggiato dal patriarca Giovanni IV, ed uno filo-bizantino, capeggiato dai due dogi. Nel 785 le prime schermaglie diplomatiche con i Franchi e con il papa si risolsero con l'espulsione dei mercanti veneziani dalla Pentapoli pontificia e con la confisca di tutte le loro proprietà nel Ravennate[20], istigate dall'accusa - non infondata - da parte del patriarca Giovanni di condurre l'illecito commercio di schiavi ed eunichi[19]. Dopo questo primo colpo, terreno di scontro divenne la nuova diocesi di Olivolo (eretta nel 776 e sorta annettendo alcuni territori di Malamocco come Luprio, Dorsoduro e Rialto): morto il primo vescovo, Obelerio, i dogi indicarono nel 797 come successore il greco Cristoforo Damiata, la cui nomina venne duramente avversata dal patriarca, che rifiutò di dare la propria conferma.

Le tensioni crebbero quindi ulteriormente allorché, con l'incoronazione di Carlo ad Augusto nella notte di Natale dell'800, i Franchi entrarono in aperta collisione con l'Impero bizantino, il quale si considerava esclusivo depositario della tradizione imperiale. Nella Venezia si giunse dunque alla resa dei conti e, nell'802, il duca Giovanni prese d'assalto Grado, catturando ed uccidendo il patriarca, cui successe il nipote Fortunato. Quest'ultimo tentò poco tempo dopo di vendicare lo zio ordendo una congiura contro Giovanni Galbaio, frattanto rimasto unico doge alla morte del padre. Scoperto, Fortunato venne costretto all'esilio, assieme agli altri principali esponenti del partito filo-franco. Della vittoria approfittò immediatamente la città di Eracliana, che estese il proprio controllo a gran parte delle terre patriarcali, provocando a sua volta la reazione dell'antica rivale, Equilio, e il riaccendersi della guerra intestina. Nell'804, così, uno degli esuli filofranchi, l'ex-tribuno di Metamauco Obelerio, guadagnatosi il favore di Carlo Magno, riuscì ad organizzare una rivolta a Metamauco che rovesciò il duca Giovanni e portò al potere lo stesso Obelerio.

Divenuto duca, Obelerio associò al governo il fratello Beato, più orientato su posizioni filo-bizantine. I due si rivolsero dunque a risolvere in modo definitivo l'annoso problema causato dalle rivalità tra Equilio ed Eracliana. L'intervento ducale fu brutale e definitivo: le due città vennero prese d'assalto, le difese abbattute e i maggiorenti deportati a Metamauco. Divenuto così padrone della situazione, grazie anche all'accentramento del sistema amministrativo, Obelerio nell'805 poté dar sfogo alle aspirazioni del suo partito ponendo la Venezia sotto la tutela franca.

L'atto non lasciò però indifferenti i Bizantini. L'imperatore Niceforo I, che già aveva inviato le proprie truppe a riprendere il controllo della Dalmazia, occupata nell'806 dai Franchi, inviò nell'Adriatico una potente flotta al comando del patrizio Niceta. Il duca Obelerio si affrettò dunque a rinnovare l'antica fedeltà a Costantinopoli, ricevendone in cambio il titolo di protospatario. Le gerarchie filo-bizantine vennero ripristinate[21] e il co-Dux Beato seguì Niceta a Costantinopoli con l'ordine di presentarsi al cospetto dell'imperatore, dal quale fu benevolmente accolto, ricevendo il titolo di Ipato prima di poter rientrare a Metamauco.

Nell'809 i Bizantini poterono così utilizzare liberamente la Venezia come base per le loro operazioni contro i Franchi. Giunse infatti dall'oriente una nuova flotta, al comando del duca di Cefalonia Paolo, con l'incarico di intavolre trattative con il nuovo re d'Italia, Pipino, figlio di Carlo, e, in caso d'insuccesso, di passare alle vie di fatto. Fallite entrambe le opzioni, Paolo lasciò l'Adriatico, lasciando la Venezia sola contro l'ira di Pipino. Il sovrano franco attaccò dunque il Ducato dalla terra e dal mare con l'intenzione di annetterlo definitivamente. Dopo gli iniziali successi l'operazione si arrestò davanti alla strenua resistenza di Metamauco. La parziale distruzione della flotta franca ad opera dei Venetici e le notizie riguardanti l'approssimarsi della flotta bizantina convinsero infine i Franchi ad abbandonare la Venezia e tentare l'assalto alla Dalmazia, desistendo però anche qui al sopraggiungere dei Bizantini.

La vittoria contro il fallito tentativo di conquista franco provocò come principale conseguenza il definitivo successo del partito filo-bizantino. Il duca Obelerio venne deposto e consegnato al plenipotenziario bizantino Arsacio, giunto per trattare la pace coi Franchi. Obelerio seguì l'ambasciatore prima alla corte carolingia di Aquisgrana, infine a Costantinopoli, dove la missione dovette in fretta rientrare per l'improvvisa morte del basileus Niceforo, caduto lungo la frontiera bulgara. Con la pax Nicephori, Carlo Magno, ottenuto il riconoscimento del titolo imperiale, rinunciò al dominio sulla laguna veneta e sulla Dalmazia. I Venetici rinnovarono la lealtà verso Bisanzio, mantenendo però i vecchi privilegi e le antiche autonomie conquistate, tanto che le città adriatiche non furono incluse nel nuovo sistema burocratico bizantino fondato sui themata.[22]. La supremazia filo-bizantina venne infine suggellata dall'ascesa al trono ducale di un nobile eracleense, Angelo Partecipazio, particolarmente distintosi nel corso del conflitto.

La nascita di Venezia[modifica | modifica wikitesto]

La trafugazione del corpo di San Marco da Alessandria d'Egitto in una raffigurazione musiva sulla facciata della basilica di San Marco a Venezia.
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Venezia.

Divenuto duca, nell'812 Angelo Partecipazio spostò la sede ducale da Metamauco, troppo coinvolta nelle precedenti vicende politiche e rivelatasi troppo esposta alle minacce esterne, trasferendola a Rivoalto, che divenne la nuova capitale ducale, al centro della laguna. Le isole centrali della laguna, infatti, dopo il lungo periodo di instabilità causato dalle lotte fra il partito di Malamocco e i fondiari della terraferma, si erano rivelate un nuovo rifugio per le popolazioni locali, garantendo una stabilità sufficiente per le principali attività economiche[23]. Così anche la densità demografica dell'area dovette aumentare attorno al VII secolo, epoca in cui sorsero le chiese di San Moisè e San Giacomo dell'Orio. Il nuovo duca dispose la costruzione a Rialto del palazzo ducale e gli succedette il figlio Giustiniano, il quale tra l'824 e l'827 dovette affrontare una fallita congiura condotta da Giovanni Tornarico, Bono Bradanisso e Giovanni Monetario, sostenuti dalla popolazione di Metamauco[senza fonte]. Al termine del dogado di Giustiniano giunse a Venezia, il 31 gennaio 828, il corpo di San Marco, trafugate da Alessandria d'Egitto da alcuni mercanti venetici. Al doge successe l'altro fratello, Giovanni I, associato in extremis al trono, il quale si trovò si trovò però ben presto minacciato. L'improvviso ritorno in laguna del deposto doge Obelerio, fuggito da Costantinopoli, provocò infatti un'estesa rivolta delle popolazioni di Metamauco e Vigilia[24]: i Parteciaci reagirono però questa volta con estremo vigore ed entrambe le città vennero crudelmente punite col fuoco. Una nuova minaccia venne rappresentata però poco dopo dalla ribellione del tribuno Caroso, il quale riuscì ad usurpare il seggio ducale per alcuni mesi, col sostegno di numerosi notabili. La situazione venne salvata dall'intervento di un altro Parteciaco, Orso, vescovo di Olivolo, il quale riuscì a sua volta a rovesciare il Caroso e a richiamare sul trono Giovanni I, giusto in tempo per la solenne consacrazione della nuova basilica di San Marco. La scelta di venire però a patti coi pirati slavi che minacciavano il commercio adriatico risultò infine fatale per i Parteciaci: una nuova rivolta guidata nell'836 dai Mastalici di Rialto si oppose al governo di Giovanni e la famiglia eracleese perse il potere. Nuovi interessi economici vennerò così a controllare il potere a Venezia: fu nominato duca Pietro Tradonico[25]. Nell'864, tuttavia, il Tradonico venne trucidato e i Parteciaci tornarono al potere con Orso I e Giovanni II, alla cui abdicazione nell'887, tuttavia, la successione dinastica venne nuovamente interrotta[26].

Al sicuro nella nuova città il ducato veneziano rimane un'isola bizantina nel mare del medioevo feudale d'occidente. Tuttavia nei due secoli successivi le istituzioni e la politica veneziane si distaccheranno progressivamente sempre più dalle vicende di un'impero sempre più lontano, la cui sovranità si farà sempre più meramente formale (nell'840, ad esempio, il doge di propria iniziativa promulgherà il Pactum Lotharii con il Sacro Romano Impero). È in questo periodo che si viene sviluppando il sistema di famiglie patrizie in concorrenza per il potere (segno ne sono le frequenti rivolte e deposizioni dei "Dogi", tonsurati, accecati ed esiliati), nucleo della futura oligarchia mercantile a capo dello Stato.

La grande espansione[modifica | modifica wikitesto]

I possedimenti veneziani intorno al 1000.

L'Adriatico e i commerci[modifica | modifica wikitesto]

Nel basso medioevo, Venezia divenne estremamente ricca, grazie al controllo dei commerci con il Levante, e iniziò ad espandersi nel Mar Adriatico e oltre. Questa fase d'espansione ebbe inizio a partire dall'anno 1000, quando la flotta guidata dal doge Pietro II Orseolo per combattere i pirati che opprimevano con le loro incursioni le coste veneziane ricevette la sottomissione delle città costiere istriane e dalmate e il successivo riconoscimento da parte dell'imperatore bizantino del titolo di duca della Venezia e della Dalmazia (Dux Venetiae et Dalmatiae).

Nel 1071 la lotta per le investiture tra Gregorio VII ed Enrico IV era già in atto, ma Venezia, rimanendo fedele alla sua politica di equilibrio tra le grandi potenze, non parteggiò né per il pontefice, né per l’imperatore. Nel sud dell’Italia i Normanni erano diventati i veri protagonisti. Dapprima i Veneziani avevano allacciato buoni rapporti con gli Altavilla; ma allorché essi cominciarono ad intervenire nell’Adriatico avvenne la rottura.

L’occupazione normanna di Durazzo e di Corfù indusse i Veneziani all’azione armata. La guerra durò più di due anni e le operazioni navali e terrestri non furono favorevoli agli alleati veneto-bizantini. Quando Roberto il Guiscardo moriva il suo esercito abbandonava le posizioni raggiunte per ritornare in Puglia.

Con la scomparsa del normanno, Venezia riuscì ad ottenere da Costantinopoli quanto aveva desiderato. La Crisobolla (o "Bolla Aurea") del maggio 1082, con cui l'Imperatore d'Oriente concedeva ai suoi mercanti ampi privilegi ed esenzioni in tutta la Romània: questa iniziale concessione venne poi successivamente più volte ampliata ed affiancata da altri atti con cui gli imperatori via via premiarono e poi pagarono il sostegno navale dei loro ex-sudditi.

La conquista dello Stato da Màr e la nascita del Comune di Venezia[modifica | modifica wikitesto]

Possedimenti veneziani nell'Egeo alla metà del XV secolo.

L'accresciuta potenza e l'alto numero di privilegi misero nel tempo in rotta Bizantini e Veneziani, portando ad un succedersi di contrasti, con le guerre del 1122-1126e del 1171-1175, che favorirono l'espansione commerciale genovese in Oriente. Meno sforzi profuse Venezia per aiutare le prime crociate: intervenne per favorire la presa di Gerusalemme quando la Prima Crociata era già avviata, non partecipò ne alla Seconda Crociata, ma inviò una flotta al seguito della Terza Crociata, che procurò notevoli vantaggi commerciali sia a lei, sia alle rivali Pisa e Genova.

Nel 1148 venne istituita la Promissio Ducale, il giuramento di fedeltà costituzionale del Doge, che da quel momento, continuamente rinnovata ad ogni nuova elezione, limitò progressivamente sempre più i poteri del principe, ponendo le basi di sviluppo delle altre istituzioni repubblicane.

Nell'ultimo ventennio del XII secolo Venezia fu impegnata contro l'Ungheria nella guerra di Zara per il controllo della Dalmazia, conclusasi nel 1202 con la presa della città. Sotto il dogado di Enrico Dandolo, la partecipazione alla Quarta Crociata fu fondamentale per la presa di Zara (1202) e nel sacco di Costantinopoli (1204). La crociata pose temporaneamente fine all’impero Bizantino e originò l’Impero Latino d’Oriente, che assumeva le forme istituzionali caratteristiche della feudalità occidentale. I territori dell'Impero bizantino vennero spartiti in quattro tra l’Imperatore Baldovino di Fiandra, il Marchese del Monferrato, i principi e i baroni franchi e la Serenissima. Venezia guadagnò molti territori nel Mar Egeo, tra cui le isole di Candia(Creta) ed Eubea, e numerosi porti e piazzaforti nel Peloponneso, oltre ad una posizione di preminenza nell'effimero Impero Latino creato dai crociati, dove venne riservato al doge veneziano il titolo di Signore di un quarto e mezzo dell'Impero Romano d'Oriente, oltre che la facoltà di nominare il Patriarca latino di Costantinopoli.
La conquista di Candia, in particolare, impegnò intensamente la Repubblica, richiedendo quasi l'intera prima metà del Duecento.

Tra il 1255 e il 1270 la Repubblica si scontrò poi duramente con Genova nella guerra di San Saba per riaffermare il proprio predominio nei mercati levantini. Mentre la riconquista bizantina di Costantinopoli, modificando nuovamente l'assetto politico dell'Oriente, fornì presto l'occasione per nuovi scontri tra le marinerie italiane.

Precluso, a partire dalla Serrata del Maggior Consiglio del 1297, a nuove famiglie l'accesso al governo, sopravvissuta lo Stato alla grave minaccia rappresentata dalla congiura del Tiepolo del 1310, Venezia si diede la definitiva forma di Repubblica oligarchica, governata da un Patriziato mercantile.

La Repubblica si espanse nei secoli successivi, in molte isole e territori dell'Adriatico e del Mar Mediterraneo, venendo a comprendere per secoli quasi tutte le coste orientali dell'Adriatico (interamente noto come "Golfo di Venezia"), ma anche le grandi isole di Creta ("Candia" per i veneti) e Cipro, gran parte delle isole greche e del Peloponneso ("Morea" per i veneti). Le sue propaggini arrivano a più riprese fino al Bosforo. Il complesso di questi vasti domini insulari e costieri venne a costituire quello che i veneziani chiamavano lo Stato da Màr (lett. lo "Stato marittimo", contrapposto ai "Domini di Terraferma" e al "Dogado").

La mutilazione dei domini dalmati a seguito della pace di Zara del 1358 spinse la Repubblica a riaffermare il proprio dominio sull'Adriatico combattendo, tra il 1368 e il 1370, la guerra di Trieste per punire la città giuliana delle minacce rivolte alle proprie rotte commerciali.
Nel 1379, però, Venezia venne gravemente minacciata proprio nell'Adriatico da Genova durante la guerra di Chioggia che, dopo aver posto la Serenissima in stato d'assedio nelle sue stesse lagune, terminò con un nulla di fatto e l'indebolimento della rivale.

Tra il 1409 e il 1444, infine, Venezia riacquisì il dominio sulla Dalmazia, grazie ai trattati stipulati con i sovrani ungheresi.

La conquista della Terraferma[modifica | modifica wikitesto]

Per secoli la Repubblica è stata primariamente uno stato composto di isole e fasce costiere, che costituivano il cosiddetto Stato da Màr. Solo limitate inclusioni di aree del retroterra lagunare erano state effettuate per costituire capisaldi difensivi contro l'espansione di città come Padova e Treviso. All'inizio del XV secolo, i veneziani iniziarono tuttavia ad espandersi notevolmente anche nell'entroterra, in risposta alla minacciosa espansione di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano dal 1395.

La massima espansione dei domini veneziani di Terraferma, agli inizi del Cinquecento: Venezia approfittò delle Guerre d'Italia, cioè le guerre che contrapponevano Francia e Spagna per il predominio sulla penisola (in special modo erano contese Milano e Napoli), per espandersi ulteriormente in Terraferma (conquiste di Cremona, delle Romagne, dei Porti Pugliesi), finché non venne fermata con la battaglia di Agnadello del 1509

Nel 1410, Venezia aveva già conquistato gran parte del Veneto, comprese importanti città come Verona e Padova. La Repubblica arrivò a comprendere il territorio di quella che era stata la X regione augustea della penisola italica (Venetia et Histria). Nel 1428 divennero veneziane pure le città lombarde di Bergamo, Brescia, Crema e i territori della Valle Camonica. Un ruolo importante in queste campagne militari lo giocò il condottiero Bartolomeo Colleoni. Nel 1489 fu annessa l'isola di Cipro, precedentemente uno stato crociato, ceduto dalla sua ultima sovrana, la veneziana Caterina Cornaro (in ven. "Cornèr"). Nel 1495 Venezia riuscí ad espellere Carlo VIII dall'Italia grazie alla battaglia di Fornovo, respingendo il primo di una serie di assalti francesi. Temporaneamente ad inizio del XVI secolo furono venete pure Cremona, Forlì, Cesena, Monopoli, Bari, Barletta, Trani ecc.

Con tale espansione i veneziani entrarono però in conflitto con lo Stato Pontificio per il controllo della Romagna. Questo portò nel 1508 alla formazione della Lega di Cambrai contro Venezia, nella quale il Papa, Re di Francia, Imperatore del Sacro Romano Impero e il Re d'Aragona si unirono per distruggere Venezia. Anche se nel 1509 i francesi furono vittoriosi nella Battaglia di Agnadello, le armate della lega dovettero arrestarsi ai margini della laguna: la coalizione si ruppe ben presto, e Venezia si ritrovò salva senza aver subito gravi perdite territoriali; la flotta fu però quasi completamente distrutta nella battaglia di Polesella alla fine di quell'anno, sotto il fuoco dell'artiglieria degli Estensi. La Repubblica dovette rinunciare ad esercitare la propria pressione politica sul piccolo ducato ma i confini rimasero assestati su quelli segnati alla fine della Guerra del Sale nel 1484. Il conflitto si protrasse sino al 1516, quando Venezia, passata all'alleaza con la Francia, sconfisse le forze della Lega Santa, riprendendo il pieno possesso della Terraferma.

Il declino[modifica | modifica wikitesto]

I domini di Venezia nel XVI secolo, alla loro massima estensione
Canaletto: bacino di San Marco, 1738-40.

Le guerre con i Turchi e il Seicento[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra di Cipro, Guerra di Candia, Guerra di Morea e Guerra di Gradisca.

Dall'inizio del XV secolo un altro pericolo minacciava la repubblica: l'espansione dell'Impero Ottomano nei Balcani e nel Mediterraneo orientale. Nel secolo XVI il successore di Solimano sul trono ottomano, Selim II, riprese le ostilità nei confronti dei superstiti domini veneziani nell’oriente attaccando l’isola di Cipro, che cadde dopo una lunga ed eroica resistenza. Venezia reagì inviando una flotta nell’Egeo e allacciando rapporti con Pio V allo scopo di creare una Lega cristiana per sostenere lo sforzo bellico della Serenissima.

La Lega venne conclusa il 25 maggio del 1571. Essa vedeva riunite le forze di Venezia, Spagna, Papato e Impero, sotto il comando di Giovanni d'Austria, fratello di Filippo II re di Spagna. Le duecentotrentasei navi cristiane riunitesi nel golfo di Lepanto si scontrarono con le duecentottantadue navi turche comandate da Capudan Alì Pascià. Era il 7 ottobre del 1571 e la grande battaglia navale, combattuta da mezzogiorno al tramonto, si risolse con la vittoria della Lega cristiana. Nonostante la vittoria di Lepanto, di fronte alla scarsa volontà di Filippo II di continuare ad aiutare la Repubblica e alle esauste casse dello Stato, prosciugate dal conflitto e dalla crisi dei commerci, Venezia fu costretta a firmare un trattato di pace e a cedere agli Ottomani l’isola di Cipro ed altri possedimenti sulle coste della Morea. Quel trattato iniziava la decadenza militare e marittima della Serenissima.

Nel XVII secolo, dopo un lungo conflitto (1645-69), venne persa anche Candia, dopo un assedio durato circa 24 anni. Venezia riuscì tuttavia a riconquistare ancora nel 1683-87 l'intera Morea (l'odierno Peloponneso), grazie all'abilità del suo ultimo grande condottiero, Francesco Morosini in seguito alla pace di Carlowitz del 1699; la Morea fu però presto riconquistata dall'Impero Ottomano nel 1718, a causa anche dello scarso appoggio delle popolazioni greche, che non vedevano di buon occhio i veneziani.

Il Settecento[modifica | modifica wikitesto]

Con la Pace di Passarowitz del 1718, Venezia dovette cedere ai Turchi l'isola di Creta e rinunciare alla Morea (l'antico possedimento del Peloponneso, perso con le campagne del 1715), ma poté conservare le Isole Ionie ed estendere i propri domini in Dalmazia.

Nel XVIII secolo la Repubblica, persa progressivamente la propria potenza, si adagiò nel perseguire una politica di conservazione e neutralità. A questo si accompagnava un sempre più ridotto dinamismo del ceto politico, sempre più legato ai crescenti interessi fondiari in terraferma del patriziato veneziano. Questo, poi, subì una sempre più massiccia immissione di nuove famiglie nel corpo aristocratico, volto a sostenere l'economia dello Stato (grazie al ricco pagamento fornito dai nuovi nobili all'atto dell'iscrizione al libro d'oro del patriziato) e a rinsaldare i legami coi ceti dirigenti della terraferma.

Tuttavia in questo periodo la "Serenissima" - anche se ormai politicamente sulla via del tramonto - brillava ancora dal punto di vista del profilo culturale, basti ricordare al riguardo i nomi di Vivaldi nella musica, Goldoni nella letteratura e Tiepolo ed il Canaletto nella pittura.
Non mancavano poi gli interventi militari, soprattutto contro la pirateria barbaresca, con le spedizioni del 1766 e 1778 contro Tripoli e quella più massiccia del 1786-1787, quando alla guida di Angelo Emo vennero bombardate Sfax, Tunisi e Biserta.

Alla vigilia del nuovo XIX secolo, la vita pubblica veneziana venne infine agitata da travagli politici interni, provocati dalle nuove idee introdotte dalla Rivoluzione francese, cui il governo, pur arroccandosi su posizioni rigidamente conservatrici, non seppe fornire un'efficace reazione. Tale situazione favorì la caduta finale della Repubblica, di cui non fu secondaria causa il diffuso timore da parte della classe aristocratica dello scoppio di rivolte giacobine, che in realtà non si realizzarono mai.

La Caduta[modifica | modifica wikitesto]

I territori veneziani alla vigilia della caduta.
Lo stesso argomento in dettaglio: Caduta della Repubblica di Venezia e Trattato di Campoformio.

Nonostante la propria dichiarata neutralità durante la campagna d'Italia condotta dalla Francia rivoluzionaria, la Repubblica venne invasa dalle truppe francesi di Napoleone Bonaparte (1797), che occupano la terraferma, giungendo ai margini della laguna. A seguito delle minacce francesi di entrare in città, nella seduta del 12 maggio 1797, il Doge e i magistrati depongono le insegne del comando, mentre il Maggior Consiglio abdica e dichiara decaduta la Repubblica, istituendo il governo di una Municipalità provvisoria, nel terrore generale di rivolta suscitato dalle salve di saluto dei fedeli soldati "schiavoni" (istriani e dalmati), che obbediscono all'ordine di evacuazione impartito per evitare scontri. Napoleone entra così a Venezia senza quasi che sia sparato un solo colpo, se non una salva d'artiglieria ordinata dal Forte di Sant'Andrea che distrusse la fregata francese "Le Libérateur d'Italie" mentre tentava di forzare l'ingresso in laguna. Poco dopo anche l'Istria e la Dalmazia, ormai caduta la madrepatria, si consegnano ai francesi.

Tentativi di libertà e di unità nazionale[modifica | modifica wikitesto]

La bandiera dei moti del '48-'49.
Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica di San Marco.

Durante i moti risorgimentali del 1848, vi fu un breve tentativo di restaurare l'antica repubblica contro la dominazione dell'Impero austriaco. Nella generale insurrezione del Veneto contro la dominazione asburgica, Venezia insorse contro gli austriaci il 17 marzo 1848, occupando l'Arsenale e costringendo le truppe imperiali ad abbandonare la città. Alla guida di Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, fu proclamata la Repubblica di San Marco che, al procedere della repressione austriaca sulla terraferma, si appellò ai piemontesi chiedendo un'unione col Regno di Sardegna.
Nel generale fallimento dei moti insurrezionali della penisola, Venezia resistette all'assedio del maresciallo Radetzky fino al 22 agosto 1849, quando dovette capitolare.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Romanin, Samuele: Storia documentata di Venezia, libro I, capitolo VI.
  2. ^ Diehl,Charles: La Repubblica di Venezia.
  3. ^ Dandolo, Andrea: Chronica per extensum descripta, Rerum Italicarum Scriptores, XII/1, Bologna 1958, p. 105.
  4. ^ Diehl, Charles: La Repubblica di Venezia
  5. ^ Cronaca Altinate, libro I.
  6. ^ Giovanni diacono, Cronaca, in Cronache veneziane antichissime, Fonti per la storia d'Italia, IX, Roma 1980, p. 91.
  7. ^ Scrive infatti Giovanni Diacono nella Istoria Veneticorum, II-2, che <<Temporibus nempe imperatoris Anastasii et Liuprandi Langobardorum regis, omnes Venetici, una cum patriarcha et episcopis convenientes, communi consilio determinaverunt quod dehinc honorabilius esse sub ducibus quam sub tribunis manere. Cumque diu pertractarent quem illorum ad hanc dignitatem proveherent, tandem invenerunt peritissimum et illustrem virum, Paulitionem nomine, cui iusiurandi fidem dantes, eum apud Eraclianam civitatem ducem constituerunt.>> ("Appunto al tempo dell'imperatore Anastasio e di Liutprando, re dei Longobardi, tutti i Venetici, riunendosi insieme al Patriarca e ai Vescovi, decisero di comune accordo che fosse dunque più onorevole rimanere sotto [il governo] di un Duca, piuttosto che dei Tribuni. E così discutendo a lungo su chi tra loro elevare a tale dignità, infine trovarono un uomo abilissimo ed illustre, di nome Paoluccio, e, giurandogli fedeltà, lo nominarono Duca presso la città di Eracliana").
  8. ^ Scrive infatti Andrea Dandolo nella Chronaca Venetiarum, I-7 : <<Illic Paulutius dux amicitiam cum Liutprando rege contraxit et pacta inter Venetos et Langobardos fecit per quae sibi et populo suo immunitates plurimas acquisivit et fines Heracliae cum Marcello magistro militum, terminavit, videlicet, a Plava majore usque in Plavam sicca, sive Plavicellum.>> ("Colà il duca Paulicio strinse pace e amicizia col re Liutprando e stipulò un trattato tra Veneti e Longobardi, col quale acquisiva per sé ed i suoi numerose esenzioni e, come si vede, stabiliva assieme al magister militum Marcello i confini di Eraclia dal Piave maggiore sino alla Piave secca, altrimenti detto Piavicello").
  9. ^ Si legge infatti dall'anonimo della Cronaca Altinate, libro III, che: <<Orta est contentio inter Veneticos, coeperunt fortiter inter se pugnare, apprehenderunt eandem civitatem et incenderunt et interfecierunt Paulicium in simul cum filium eius et cunctos consanguineos eorum et remansit ex eis nisi tantum salummodum unus clericus qui genuit duos filios.>> ("Nacque una contesa tra i Venetici, i quali preseto a combattersi con sempre maggior forza, conquistarono quella città (Eracliana), la diedero alle fiamme e massacrarono Paulicio assieme a suo figlio e a tutti i loro consanguinei, tra i quali non rimase nessuno se non un prete, dal quale discesero due figli").
  10. ^ Liber pontificalis, I.
  11. ^ Romanin, Samuele: Storia documentata di Venezia, libro I, capitolo II.
  12. ^ Ortalli G., op. cit., pp. 362-364.
  13. ^ Diehl, Charles: La Repubblica di Venezia, p.21., Newton & Compton Editori.
  14. ^ Giovanni Diacono scrive nella sua Istoria Veneticorum, II-17, che <<Eisdem etiam diebus Venetici, magistrorum militum prelibate prefecture dignitatem abominantes, rursum, ut quondam, ducem, videlicet Deusdedem, sepedicti Ursonis ypati filium, in Metamaucense insula sibi crearunt.>> ("In quegli stessi giorni, inoltre, i Venetici, disgustati -provatone il governo- dalla carica dei magistri militum, si nominarono nuovamente, come un tempo, un Duca nell'isola di Metamauco, vale a dire Teodato, considerato figlio di Orso Ipato").
  15. ^ Ortalli G., op. cit., p. 370-371
  16. ^ Liber Pontificalis, Stephanus II, XIX, p. 445; XX, pp. 445-446; XXI-XXVI, pp. 446 e segg.
  17. ^ Ortalli G., op. cit., pp. 372-375.
  18. ^ a b Romanin, Samuele: Storia documentata di Venezia, libro I.
  19. ^ a b Romanin, Samuele: Storia documentata di Venezia, libro I, capitolo III.
  20. ^ Origo civitatum Italie seu Venetiarum
  21. ^ Cessi R., Politica, economia, religione in «Storia di Venezia», vol. II, Dalle origini del ducato alla IV crociata, Centro internazionale delle arti e del costume, Venezia 1958, p. 108.
  22. ^ Petrusi A., L'impero bizantino e l'evolvere dei suoi interessi nell'alto Adriatico, in «Le origini di Venezia», Sansoni ed., Firenze 1964, p. 74.
  23. ^ Origo civitatum Italiae seu Venetiae
  24. ^ Pietro diacono, op. cit., p. 110.
  25. ^ Ortalli G., op. cit., pp. 385-386
  26. ^ Giovanni Diacono scrive infatti nella Istoria Veneticorum, III-32, che <<Deinde cum domnus Iohannes dux adhuc infirmitate detentus, frater eius ducatum rennueret, Venetici ducem sibi constituerunt, Petrum videlicet, cognomento Candianum, infra domum ipsius, septima decima die mensis aprilis>> ("Quindi, poiché il signore Giovanni, il duca, era divenuto inabile al governo, rinunciando anche suo fratello al ducato, i Venetici si nominarono un doge, vale a dire Pietro, chiamato Candiano, come in seguito la sua stessa casata, nel diciassettesimo giorno del mese di aprile.").

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]