Trattato di Livadia

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Trattato di Livadia
Il trattato di Livadia
Tipotrattato bilaterale
Firma2 ottobre 1879
LuogoLivadija, Crimea (Impero russo)
Parti Impero russo
Impero cinese
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Mappa anacronistica di tutti i territori dell'Impero russo e della sua sfera d'influenza. Il territorio di Ili o territorio di Kulja, occupato tra il 1871 e il 1881, è la regione nord-occidentale della Cina confinante con l'Impero russo. La Russia rinunciò ad ogni pretesa su tale territori con il trattato di San Pietroburgo (1881).

Il trattato di Livadia fu un trattato ineguale tra l'Impero russo e la dinastia Qing cinese firmato a Livadija, in Crimea, il 2 ottobre 1879,[1] in cui la Russia accettò di restituire una parte delle terre che aveva occupato nello Xinjiang durante la rivolta dei Dungani del 18621877. Anche se le forze Qing avevano riconquistato l'area, il trattato risultante fu estremamente sfavorevole alla Cina. Di conseguenza, il governo Qing rifiutò di ratificarlo e Wanyan Chonghou, l'emissario che aveva condotto i negoziati per la parte cinese, venne condannato a morte (sebbene la sentenza non sia stata eseguita per le proteste dei russi). Diciassette mesi dopo, le due nazioni firmarono il trattato di San Pietroburgo (1881), che a parte le questioni territoriali, aveva in gran parte gli stessi termini del trattato di Livadia.

Contesto[modifica | modifica wikitesto]

La dinastia Qing sotto l'imperatore Qianlong conquistò lo Xinjiang dal Khanato degli Zungari alla fine del 1750. Tuttavia, la Cina dei Qing declinò alla fine del XIX secolo dopo la prima guerra dell'oppio. Una grande rivolta nota come rivolta dei Dungani si verificò negli anni 1860 e '70 nella Cina nordoccidentale, e il dominio Qing quasi crollò in tutto lo Xinjiang tranne che in luoghi come Tacheng. Approfittando di questa rivolta, Yakub Beg, comandante in capo dell'esercito di Kokand occupò la maggior parte dello Xinjiang e si dichiarò Emiro della Kashgaria.[2]

La Russia era ufficialmente neutrale durante il conflitto ma, come risultato del trattato di Tarbagatai nel 1864, aveva già guadagnato circa 910.000 km² di territorio nello Xinjiang.[3] Inoltre, il governatore generale russo del Turkestan aveva inviato truppe nella valle di Ili nel 1871, apparentemente per proteggere i suoi cittadini durante la ribellione, ma facendo in realtà costruire numerose infrastrutture nella capitale di Ili, Ghulja.[4] Questo era tipico della strategia russa di prendere il controllo di una regione e negoziare il riconoscimento della sua sovranità dopo il fatto.[5]

La controinsurrezione Qing, guidata dal generale Zuo Zongtang, iniziò nel settembre 1876 e si concluse nel dicembre 1877, dopo aver riconquistato completamente le terre perdute.[6] Durante questo periodo, la Russia aveva promesso di restituire alla Cina tutte le terre occupate.[4]

Il trattato[modifica | modifica wikitesto]

Il trattato di Livadia consisteva in realtà in due accordi separati.

Trattato di confine[modifica | modifica wikitesto]

Il primo trattato consisteva di diciotto articoli e stabiliva che:[7]

  • La Russia avrebbe restituito una parte dello Xinjiang alla Cina, mantenendo la valle dell'Ili occidentale e il fiume Tekes, assicurando alla Russia l'accesso alla parte meridionale dello Xinjiang.
  • Nelle terre che venivano restituite, la Russia avrebbe mantenuto tutti i diritti di proprietà che aveva stabilito durante l'occupazione.
  • Chiunque fra i Dungani che si fosse ribellato avrebbe potuto scegliere di diventare cittadino russo e coloro che non lo facevano non sarebbero stati puniti per le loro attività durante la ribellione.
  • Alla Russia sarebbe stato concesso il diritto di aprire sette nuovi consolati nello Xinjiang e in Mongolia.
  • La Russia avrebbe potuto intraprendere scambi commerciali senza dazi nello Xinjiang e in Mongolia.
  • I mercanti russi avrebbero avuto accesso alle rotte commerciali che si estendevano fino a Pechino e Hankou sullo Yangtze.
  • La Cina avrebbe pagato un'indennità di cinque milioni di rubli per coprire i costi di occupazione e le perdite di proprietà della Russia.

Trattato commerciale[modifica | modifica wikitesto]

Il secondo trattato conteneva diciassette articoli incentrati sulla logistica della conduzione del commercio, come questioni fiscali, requisiti del passaporto e procedure di certificazione, il cui effetto totale era molto sbilanciato a favore degli interessi commerciali russi e rappresentava un accesso senza precedenti all'interno della Cina. C'era anche un articolo supplementare non correlato che riaffermava il diritto della Russia di navigare sul fiume Songhua fino a Tongjiang in Manciuria.[8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Lessons of History, su A Century of Resilient Tradition: Exhibition of the Republic of China's Diplomatic Archives, National Palace Museum, 9 agosto 2011. URL consultato il 23 febbraio 2018.
  2. ^ Lanny B. Fields, Tso Tsung-tʼang and the Muslims: statecraft in northwest China, 1868-1880, Limestone Press, 1978, p. 81, ISBN 0-919642-85-3. URL consultato il 28 giugno 2010.
  3. ^ Paine, S. C. M., "Chinese Diplomacy in Disarray: The Treaty of Livadia", in Imperial Rivals: China, Russia, and Their Disputed Frontier., M.E. Sharpe., 1996, p. 133–145., ISBN 9781563247248.. URL consultato il 22 febbraio 2018..
  4. ^ a b James A. Millward, Eurasian Crossroads: A History of Xinjiang, Columbia University Press, 2007, p. 133–135, ISBN 9780231139243. URL consultato il 22 febbraio 2018.
  5. ^ Wei-hsing Chen, The Negotiations on Ili Contract between China and Russia in the Last Half 19th Century: A Case Study of Treaties and Border Maps in Nation Palace Museum (DOC), in Research Quarterly, vol. 27, n. 1, Taipei, Taiwan, National Palace Museum, 2009.
  6. ^ Ho-dong Kim, Holy war in China: the Muslim rebellion and state in Chinese Central Asia, 1864-1877, Stanford University Press, 2004, p. 176, ISBN 0-8047-4884-5. URL consultato il 28 giugno 2010.
  7. ^ Paine, 1996, op. cit., pp. 133-134
  8. ^ Paine, 1996, op. cit., p. 134

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]