Nematopogon

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Nematopogon
Nematopogon schwarziellus
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa
SuperphylumProtostomia
PhylumArthropoda
SubphylumTracheata
SuperclasseHexapoda
ClasseInsecta
SottoclassePterygota
CoorteEndopterygota
SuperordineOligoneoptera
SezionePanorpoidea
OrdineLepidoptera
SottordineGlossata
InfraordineHeteroneura
DivisioneIncurvariina
SuperfamigliaAdeloidea
FamigliaAdelidae
SottofamigliaNematopogoninae
GenereNematopogon
Zeller, 1839
Serie tipo
Nematopogon schwarziellus
Zeller, 1839
Specie

Nematopogon Zeller, 1839[1] è un genere di lepidotteri appartenente alla famiglia Adelidae, diffuso in Europa ed Asia.[2][3]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Adulto[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta di falene di piccola taglia, piuttosto primitive, con nervatura alare eteroneura e apparato riproduttore femminile provvisto di un'unica apertura, destinata sia all'accoppiamento, sia all'ovodeposizione.[2][4][5][6]

È presente una connessione tergosternale, subito posteriore rispetto al primo spiracolo addominale, formata da un processo ventrocaudale del primo tergite, che va a collegarsi all'estensione anterolaterale del secondo sternite.[4][7]

Le ali rivelano anche la presenza di aculei, e hanno forma ovoidale-allungata con apice arrotondato; appaiono spesso bruno-grigiastre (nelle specie con abitudini notturne) ma possono anche avere riflessi metallici ed iridescenze molto vivaci. I microtrichi sono presenti ed uniformemente distribuiti. Come in tutte le Adelidae, si nota una riduzione del sistema legato al settore radiale (Rs) nell'ala posteriore, con anastomosi di Sc ed R dal quarto basale fino al termen, ed Rs non ramificata; l'accoppiamento alare è di tipo frenato, con frenulum a singola setola composita nei maschi, e da tre a cinque setole nelle femmine; queste setae dipartono da cavità distinte, ed in prossimità di esse possono riscontrarsi, in ambo i sessi, altre setae pseudofrenulari.[2][8] È presente l'apparato di connessione tra ala anteriore e metatorace; si possono inoltre osservare un ponte precoxale[9] e la perdita del primo sternite addominale, mentre il secondo può suddividersi (completamente o parzialmente) in uno sclerite anteriore più piccolo (S2a) ed uno posteriore più sviluppato (S2b).[2][4][10][11]

Le antenne sono filiformi e nei maschi superano di parecchio la lunghezza del corpo. Si può osservare la presenza di uno sclerite intercalare, oltre a spinule laterali (probabilmente derivate dai sensilla[12]) in alcuni segmenti prossimali del flagello dei maschi.[2][13]

Gli ocelli sono assenti, come pure i chaetosemata. Gli occhi dei maschi sono alquanto sviluppati. La spirotromba è perfettamente funzionante e risulta ricoperta di scaglie (a differenza degli altri Adeloidea) e più lunga della capsula cefalica, estendendosi fin oltre i palpi mascellari; questi ultimi possono essere allungati. I palpi labiali hanno tre segmenti, corti e con setole laterali sul secondo; il segmento apicale rivela la presenza di un organo di vom Rath.[2][14][15]

Nelle zampe, l'epifisi è spesso presente, mentre gli speroni tibiali hanno formula 0-2-4.[2][4]

L'apparato genitale maschile rivela, su ogni valva, una struttura a pettine detta pectinifer, che in alcune specie può essere retta da un peduncolo. L'uncus è assente, mentre il vinculum presenta un saccus allungato. La juxta è a forma di freccia, l'edeago è assottigliato.[2][4][15][16]

Nel genitale femminile, l'ovopositore è ben sviluppato e perforante, con gli apici appiattiti lateralmente, al fine di permettere l'inserimento delle uova all'interno dei tessuti fogliari della pianta ospite; tale caratteristica viene considerata una specializzazione secondaria della famiglia. La cloaca è stretta e tubuliforme. Le apofisi sono fortemente sclerotizzate; il corpus bursae è sviluppato e membranaceo, senza signa. Gli ovarioli sono in numero elevato (10-12), a differenza dei quattro riscontrabili di norma negli altri lepidotteri.[2][4][12][15][16][17]

L'apertura alare può variare da 13 a 21 mm.[12]

Uovo[modifica | modifica wikitesto]

Le uova sono lisce o lievemente punteggiate; vengono inserite singolarmente nei tessuti della pianta ospite, pertanto assumono la forma della "tasca" in cui le inserisce la femmina.[2][15]

Larva[modifica | modifica wikitesto]

Il bruco, quasi cilindrico, possiede un capo arrotondato, non appiattito e solitamente prognato, con solco epicraniale marcato e sei stemmata per lato.[2][15][18]

Sono presenti due setole genuali, G1 e G2, mentre l'assenza della setola AF2 è considerata un'evoluzione secondaria.[12][15][16]

Sul protorace è visibile uno scudo ben sclerotizzato, e possono comparire anche dei dischi sclerotizzati sul meso- e metatorace.[15]

Le zampe toraciche sono ben sviluppate, mentre le pseudozampe, poste sui segmenti addominali III-VI e X, sono fortemente ridotte o assenti; gli uncini pseudopodiali, assenti sul segmento X, sono disposti su file multiple.[2][15][18]

Pupa[modifica | modifica wikitesto]

La pupa è dectica, con cuticola lievemente sclerotizzata e appendici solo debolmente aderenti al corpo. I palpi mascellari appaiono prominenti, mentre quelli labiali risultano esposti come le coxe del primo paio di zampe. All'interno del bozzolo, le antenne sono accomodate attorno all'addome. I segmenti addominali da III a VII sono mobili, e si notano una o due file di spinule sulla superficie della maggior parte dei segmenti.[2][15][18]

Biologia[modifica | modifica wikitesto]

Comportamento[modifica | modifica wikitesto]

In molte delle specie che presentano riflessi metallici, il volo può avvenire alla luce diretta del sole, e si può assistere alla formazione di sciami, soprattutto attorno a gruppi di infiorescenze, alberi o cespugli.[2][19]

Le larve sono di regola minatrici delle foglie, o dei meristemi o ancora della corteccia durante il primo stadio, o talvolta perforano l'ovario della pianta nutrice; in seguito, dal secondo stadio in poi o in ogni caso entro lo stadio pre-pupale, il bruco vive all'interno di un astuccio lenticolare portatile, che costruisce a partire da frammenti di foglie e detriti del sottobosco, ed allarga via via che si accresce; in questa fase si alimenta prevalentemente di foglie cadute nella lettiera, o comunque di vegetali a basso fusto.[13]

L'impupamento avviene pertanto all'interno di quest'involucro, spesso ai piedi della pianta ospite.[2][13][18][20][21]

Periodo di volo[modifica | modifica wikitesto]

La maggior parte delle specie vola tra aprile e giugno, al massimo fino ad agosto.[2]

Alimentazione[modifica | modifica wikitesto]

Le larve di questo taxon attaccano generi appartenenti a svariate famiglie, tra cui:[2][15][18][22]

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

L'ecozona paleartica

Nel complesso, il genere ha distribuzione esclusivamente paleartica, con specie diffuse dall'intera Europa fino all'Asia centrale ed orientale.[2][15][17][23][24][25]

L'habitat è rappresentato da foreste a latifoglie, macchie e zone boschive.[2]

Tassonomia[modifica | modifica wikitesto]

Specie[modifica | modifica wikitesto]

Il genere comprende 17 specie, di cui 12 in Europa e 9 in Italia, con 3 endemismi italiani.[26][27]

Sinonimi[modifica | modifica wikitesto]

Non sono stati riportati sinonimi.[26][44]

Alcune specie[modifica | modifica wikitesto]

Conservazione[modifica | modifica wikitesto]

Nessuna specie appartenente a questo genere è stata inserita nella Lista rossa IUCN[45]

Note[modifica | modifica wikitesto]

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  4. ^ a b c d e f (EN) Davis, D. R. and Gentili, P., Andesianidae, a new family of monotrysian moths (Lepidoptera:Andesianoidea) from austral South America (PDF), in Invertebrate Systematics, vol. 17, n. 1, Collingwood, Victoria, CSIRO Publishing, 24 marzo 2003, pp. 15-26, DOI:10.1071/IS02006, ISSN 1445-5226 (WC · ACNP), OCLC 441542380. URL consultato il 12 dicembre 2014.
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  8. ^ (EN) Davis, D. R., A New Family of Monotrysian Moths from Austral South America (Lepidoptera: Palaephatidae), with a Phylogenetic Review of the Monotrysia (PDF), in Smithsonian Contributions to Zoology, vol. 434, Washington D.C., Smithsonian Institution Press, 1986, pp. iv, 202, DOI:10.5479/si.00810282.434, ISSN 0081-0282 (WC · ACNP), LCCN 85600307, OCLC 12974725. URL consultato il 2 aprile 2015.
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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