Crociata del 1197

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Crociata del 1197
parte delle crociate
Il Vicino Oriente intorno al 1197
Data1197 - 1198
LuogoLevante (in particolare Siria e Libano)
Casus bellicrociata per riconquistare Gerusalemme
Esitoparziale vittoria crociata
Modifiche territorialiannessione di Beirut e di una piccola porzione della costa libanese al regno di Gerusalemme
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
60 000 (secondo stime coeve)[1]
tra 15 000 (compresi coloro partiti con Enrico VI o dalla Germania settentrionale)[2][3] e 17 500 secondo stime moderne[1]
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La crociata del 1197, nota anche come crociata di Enrico VI o crociata tedesca (in tedesco Deutscher Kreuzzug) fu una spedizione organizzata dall'imperatore Enrico VI contro il Sultanato ayyubide e che perseguiva lo scopo di riconquistare Gerusalemme. La campagna era stata forse pianificata per rimediare al fallimento del padre di Enrico, l'imperatore Federico Barbarossa, il quale morì nel 1190 mentre era in marcia con il suo esercito per partecipare alla terza crociata.

Anche Enrico VI perì ancor prima di arrivare in Terra santa, ma i tedeschi che arrivarono a destinazione si distinsero ben presto per il loro atteggiamento bellicoso e la loro sete di conquista, suscitando il disappunto del re di Gerusalemme Enrico II di Champagne, che era consapevole dei fragili equilibri politici nella regione e desiderava preservarli. Alla morte di Enrico, avvenuta nel settembre del 1197, mentre le operazioni militari erano ancora in corso, gli succedette Amalrico II di Lusignano. Malgrado fossero riusciti a riprendere il controllo di Beirut e di alcuni insediamenti costieri del Libano, i combattenti cristiani si impantanarono nell'assedio della fortezza di Toron. Nei primi mesi del 1198, i tedeschi raggiunsero Tiro e, appresa la notizia della morte di Enrico VI, fecero ritorno in patria. Con i musulmani fu dunque siglata una tregua che ricalcava i contenuti della pace di Ramla del 1192, stipulata tra Saladino e Riccardo I d'Inghilterra. Tuttavia, la sua validità avrebbe avuto effetto soltanto nel caso in cui non fosse giunto un nuovo sovrano di uno Stato europeo in Terra Santa.

Oltre alle modeste conquiste summenzionate, la crociata del 1197 ebbe una conseguenza di grande rilievo, ossia la fondazione dell'Ordine teutonico. L'influenza di tale ordine religioso cavalleresco crebbe in modo considerevole nei decenni successivi, raggiungendo il suo apice quando i suoi membri si concentrarono sulle crociate del Nord Europa.

Antefatti[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Terza crociata.
Il Vicino Oriente nel 1190 alla vigilia dell'arrivo di Riccardo I d'Inghilterra

Il 2 ottobre 1187 il sultano ayyubide Saladino prevalse nell'assedio di Gerusalemme e conquistò così la città e in seguito gran parte degli Stati crociati.[4][5] Nel tentativo di salvare gli ultimi possedimenti cristiani in Terra Santa, papa Gregorio VIII sollecitò la partecipazione a una terza crociata, a cui aderirono il re Filippo II di Francia, il re Enrico II d'Inghilterra (cui subentrò poco dopo suo figlio Riccardo I d'Inghilterra) e l'imperatore Federico I del Sacro Romano Impero nel 1189.[6][7] Federico partì alla testa di un enorme esercito, sconfisse un contingente selgiuchide vicino a Philomelion e conquistò Iconio, ma poi morì annegato nel fiume Calicadno, vicino a Silifke, in Cilicia.[8]

Alla sua morte, l'esercito crociato tedesco, composto da poco meno di 20 000 uomini tra fanti e cavalieri e forse 6 000 o 7 000 civili, si disperse.[9] Solo un contingente molto più piccolo, guidato da Federico VI di Svevia, uno dei figli del Barbarossa, proseguì la lotta in Terra Santa, unendosi all'assedio di Acri e alle forze di Guido di Lusignano.[10] La crociata si concluse infine con la pace di Ramla del 1192, firmata dal sultano Saladino e dal re Riccardo I d'Inghilterra, che negoziò un armistizio di vari anni (forse tre anni e otto mesi) ai sensi del quale i musulmani mantenevano il controllo su Gerusalemme, mentre i crociati conservavano Acri, Giaffa e altre città chiave.[10]

Cristianità[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1190, Enrico VI succedette a suo padre Federico e, nel 1191, fu incoronato imperatore del Sacro Romano Impero da papa Celestino III. Nei primi anni al potere, si rese protagonista di un'infruttuosa campagna di conquista dell'Italia meridionale, su cui avanzava delle pretese territoriali in quanto marito di Costanza d'Altavilla, regina sovrana di Sicilia.[11] Il suo prestigio accrebbe quando re Riccardo d'Inghilterra, di ritorno dalla terza crociata, fu catturato in Austria e rilasciato solo dopo un giuramento di fedeltà e il pagamento di un enorme riscatto.[12] Negli anni seguenti, alcuni eventi rafforzarono il peso politico di Enrico in campo internazionale. Il 29 maggio del 1194, ricevette a Milano degli ambasciatori del principe Leone di Cilicia, che «sollecitava l'invio di una corona regale e si dichiarava pronto a sottomettersi all'autorità imperiale».[nota 1][13] Entro la fine dello stesso anno, si assicurò la supremazia militare sul regno di Sicilia, venendo incoronato il 25 dicembre come signore dell'isola.[11] È possibile che di lì a poco, con il passare del tempo, in Enrico si fece strada l'idea di proclamare una nuova crociata per riconquistare Gerusalemme.

Islam[modifica | modifica wikitesto]

All'indomani della morte di Saladino, nel 1193, lo schieramento musulmano precipitò in un caos di lotte intestine che coinvolsero i suoi ben diciassette figli. Alcuni tra questi costituirono dei principati più o meno indipendenti dall'autorità centrale (il caso più eclatante riguardò l'Egitto).[14] Nel 1194 e nel 1195 al-Aziz, secondogenito di Saladino, cercò di togliere Damasco a suo fratello al-Afdal.[14] In entrambe le occasioni fu Safedino, fratello del defunto Saladino, a dover intervenire come mediatore in qualità di membro anziano della famiglia.[14] Più tardi, nel 1196, Safedino estromise al-Afdal e si insediò a Damasco come luogotenente di al-Aziz.[14] Tra il 1196 e il 1198, numerosi comandanti si presentarono alle porte della moderna capitale siriana, ambiziosi di salire al trono che prima era stato di Saladino.[15]

I preparativi[modifica | modifica wikitesto]

Enrico VI di Svevia e papa Celestino III nel Liber ad honorem Augusti di Pietro d'Eboli, 1196

Nella città di Bari, durante la settimana santa del 1195, Enrico annunciò solennemente la sua intenzione di compiere una crociata e in molti, tra principi e grandi prelati, aderirono presto al suo appello a contribuire alla causa cristiana.[3][16] Non si ha conoscenza di nessun altro grande sovrano europeo sollecitato a partecipare o dichiaratosi propenso a farlo di propria spontanea volontà.[11] Tornato in Germania ad allestire i preparativi, sembra che, mentre si susseguivano le discussioni in merito alla fattibilità della campagna, Enrico tentò di imporre la sua successione del figlio in età infantile, Federico, riservandogli il titolo di re dei romani.[11] Il pretesto che, in assenza del padre, il titolo sarebbe stato contrastato non attecchì e quando parte dell'aristocrazia dimostrò disinteresse ad analizzare la questione l'imperatore la accantonò, rimandandola definitivamente all'indomani della crociata.[11] Pare che in quel contesto, nel dicembre del 1195, anche il re Amalrico di Cipro inviò dei delegati in Germania per fare atto di vassallaggio e ricevere in cambio una corona, come prima aveva fatto Leone d'Armenia.[3]

Le decisioni definitive in merito alla spedizione vennero assunte durante una dieta svoltasi a Würzburg nel marzo del 1196, a cui avevano partecipato, tra i vari nobili, anche il duca Enrico I di Brabante e il cugino dell'imperatore Ermanno I, langravio di Turingia.[nota 2][3][16] L'arcivescovo Corrado di Magonza, arcicancelliere di Germania, si pose a capo di un contingente di crociati provenienti dalla Renania e dalla Franconia e si diresse in Puglia, da cui salpò alla volta di Acri nell'aprile del 1197.[16] I tedeschi del Nord, invece, erano partiti a bordo di proprie imbarcazioni formando una flotta di 44 cocche; al comando figuravano l'arcivescovo Arduico II di Brema, Enrico V del Reno e il duca del Brabante Enrico.[16] Durante il tragitto si fermarono e attaccarono la città musulmana di Silves, in Portogallo, per poi raggiungere il porto di Messina.[2] Il contingente principale proveniente dalla Germania, a cui si erano uniti Federico d'Austria, Ludovico di Baviera, Adolfo III di Schaumburg, Volchero di Passau e Corrado di Ratisbona, raggiunse Bari il 1º maggio e infine Messina, dove era previsto l'incontro con Enrico VI.[2]

L'imperatore aveva disposto che alla spedizione partecipassero solo combattenti.[2] Si è calcolato che gli effettivi ammontassero a 4 000 cavalieri e almeno altri 12 000 uomini, mentre Enrico VI armava a proprie spese 1 500 cavalieri con altrettanti scudieri e nutriva l'ambizione di coinvolgere anche 3 000 mercenari.[2][3] Ciò richiese l'impiego di circa 250 navi per il trasporto.[2] Secondo Arnoldo di Lubecca, autore dell'Arnoldi Chronica Slavorum, un potente esercito di 60 000 uomini si era preparato alla partenza.[1] Lo storico moderno Christopher Tyerman ha invece ipotizzato che, in realtà, il loro numero reale fosse un quinto o addirittura un quarto inferiore rispetto alla cifra fornita da Arnoldo, pur trattandosi comunque di un esercito consistente.[1]

Nell'inverno del 1196-1197 erano stati stretti dei contatti con l'impero bizantino, uno Stato all'epoca debole, come traspariva chiaramente dall'incapacità di imporre la propria autorità nei Balcani.[17] In politica estera, i bizantini avevano intrapreso un percorso di avvicinamento diplomatico all'Europa occidentale molto apprezzato dal papato, che confidava in tal modo di arginare la crescente influenza tedesca.[11] Nelle ultime fasi del XII secolo, essenzialmente per un paio di fattori, la crisi di Costantinopoli si acuì. Nell'aprile del 1195, il sovrano Isacco II Angelo era stato rovesciato da suo fratello, Alessio III, e nel 1197 si celebrarono le nozze, invero già combinate da tempo, tra Irene Angela, figlia del deposto Isacco II, e Filippo di Svevia, fratello di Enrico VI.[17] In virtù di questo legame matrimoniale, l'imperatore tedesco si sentì legittimato a rivendicare delle pretese nei confronti di Costantinopoli; così, intimò i bizantini di versare un elevatissimo tributo pari a 5 000 libbre d'oro all'anno, al fine di finanziare la crociata.[11] Come alternativa a questa sorta di ultimatum, Enrico pretese dai romei supporto logistico, con la garanzia quindi di strade e porti sicuri per le truppe dirette verso la Terra santa, e l'allestimento di un contingente militare funzionale a supportare la campagna.[16] Sebbene i toni di questa richiesta non furono probabilmente così intimidatori come vorrebbero far credere le fonti primarie, è certo che Bisanzio non appariva in grado di ottemperare né all'una né all'altra richiesta.[16] Essa confidò pertanto nell'intervento della diplomazia e negoziò con i tedeschi affinché fosse ridotto il totale del tributo preteso, abbassato infine a 1 600 libbre auree.[18] Fu anche l'intervento del papato a mitigare le posizioni, in quanto cercò di ricordare a Enrico che la crociata era diretta contro Gerusalemme e non contro Costantinopoli.[19] La grave situazione economica che affliggeva l'erario bizantino costrinse Alessio a imporre il pagamento di una tassa speciale (alamanikon), divenuta presto odiatissima dai sudditi, e ciò lo espose a un'innegabile umiliazione.[20]

Nel marzo del 1197 Enrico si era recato nel regno di Sicilia, dove era stato costretto a far fronte all'irrequietezza dei suoi sudditi locali.[3] Mentre i crociati speravano di partire alla volta di Acri, l'imperatore dovette prima reprimere una rivolta armata scoppiata a Catania. Il gruppo di tedeschi settentrionali guidati dall'arcivescovo Arduico di Brema e da Enrico V del Palatinato giunsero a Messina nel mese di agosto, unendosi alle truppe dell'imperatore.[3] Sempre nello stesso mese, mentre quest'ultimo stava compiendo una battuta di caccia nei pressi di Fiumedinisi, pare che contrasse una forte febbre, probabilmente malaria. Salpata il 1º settembre, l'armata tedesca giunse in Siria all'inizio dell'autunno[2] senza Enrico, che morì il 28 settembre. Per via delle sue condizioni di salute, è probabile che egli avesse già da un po' abbandonato il sogno di guidare la spedizione in prima persona.[3] La notizia della sua morte arrivò comunque diverso tempo dopo nell'Outremer.[21]

La crociata[modifica | modifica wikitesto]

Federico I d'Austria, uno dei partecipanti della crociata del 1197, salpa per la Terra santa. Babenberger-Stammbaum, Abbazia di Klosterneuburg, 1490 circa

Il 22 settembre 1197 un folto esercito tedesco sotto il comando dell'arcicancelliere Corrado di Magonza e il maresciallo Enrico di Kalden sbarcò ad Acri. Quando l'esercito imperiale raggiunse il porto, il re di Gerusalemme Enrico II di Champagne «non li accolse con gioia», perché sapeva che il loro arrivo avrebbe sconvolto i fragili equilibri che resistevano nella regione.[22][23] La politica accorta di Enrico era stata caldamente suggerita da quelli che erano i suoi principali consiglieri, i discendenti della nobile casata degli Ibelin, i quali gli avevano suggerito di tessere dei legami diplomatici con i musulmani.[22] Anche la controparte si era dimostrata favorevole a preservare la pace, malgrado le incursioni compiute da Usama, emiro di Beirut, che aveva reso la città un nido di predoni.[22][24] Quest'ultimo agiva nei fatti in maniera indipendente dalla città che, assieme a Sidone, separava il regno di Gerusalemme dalla contea di Tripoli.[22] Evitando il ricorso alle armi, la strategia diplomatica aveva portato i suoi frutti quando Stefania di Milly era riuscita a rientrare in possesso della città di Gibelletto «corrompendo l'emiro incaricato di custodirla».[22][24] Gibelletto e la sua ricostituita signoria passarono poi al figlio di Stefania, Guido I Embriaco.[22][24]

Non era però questo lo spirito animante i crociati stranieri, i quali presto si rivelarono bellicosi e attaccarono i musulmani in Galilea senza nemmeno consultare Enrico di Champagne.[2][22] Pare addirittura che, temendo disordini, il nobile Ugo di Tiberiade avesse inviato le donne e i bambini suoi sudditi presso le fortezze presidiate dai Templari e dai Cavalieri Ospitalieri, suggerendo ai tedeschi di accamparsi all'esterno delle città.[2] La notizia degli attacchi aveva frattanto suscitato l'ira dei saraceni, in particolare di Safedino, signore delle regioni colpite.[22] Adducendo come motivo la necessità di fronteggiare il pericoloso nemico, Safedino «intimò ai parenti di dimenticare le proprie dispute e di unirsi a lui».[22] I tedeschi stavano nuovamente attraversando i confini nemici, su iniziativa di Valerano III di Limburgo, quando seppero che Safedino stava organizzando un'offensiva con l'ausilio di rinforzi siriani e mesopotamici.[2] Radunatisi ad ʿAyn Jālūt, nei pressi di Nazareth, i musulmani sembravano pronti a colpire Acri, ma furono dissuasi dalle forze che in tutta fretta riuscirono a radunare Ugo di Tiberiade ed Enrico di Champagne.[2] Ciononostante Safedino non voleva vanificare gli sforzi compiuti per radunare il suo esercito, motivo per cui eseguì un efficace assalto che gli permise di impossessarsi di Giaffa.[25] La città cadde in maniera celere all'inizio del settembre del 1197, tanto da spingere Enrico a ritenere negligente il comportamento adottato da colui che era stato incaricato di difendere Giaffa, Rinaldo Barlais.[2]

Il 10 settembre Enrico di Champagne radunò le truppe e le incitò al combattimento ad Acri, ma precipitò dalla loggia aperta da cui aveva appena finito di parlare e morì.[25] Poiché la guerra era ancora in corso, non vi era tempo per compiangere il sovrano e i baroni dovettero nominare un successore del re.[26] A Isabella, che era rimasta vedova ed era madre di due figlie, non fu lasciata grande libertà di scegliere un nuovo marito, malgrado nemmeno gli aristocratici si dimostrarono capaci di trovare un candidato ideale.[27] Fu l'arcivescovo Corrado, un confidente dell'imperatore tedesco e per giunta amico del papa Innocenzo III, a individuare un successore nel re di Cipro, Amalrico di Lusignano.[24][27] Si trattava di una scelta che gettava alcuni dubbi su quella che sarebbe stata la sua politica, in quanto si temeva che si sarebbe comportato come suo fratello minore Guido, il quale aveva rivendicato anni prima il titolo di re di Gerusalemme jure uxoris in contrasto con Corrado del Monferrato.[27] Dal canto suo, Amalrico si chiedeva se accettare quel ruolo avrebbe finito per subordinarlo al sovrano del Sacro Romano Impero, considerata l'ingerenza dei tedeschi nella sua nomina.[27]

La riconquista di Beirut, Alexandre Hesse, 1842

Una volta fatto intendere che avrebbe preso del tempo per decidere, Amalrico fornì comunque supporto ai crociati tedeschi, che su iniziativa del duca di Brabante Enrico avevano attaccato Beirut e scacciato Usama e i suoi occupanti.[28] Avendo capito che non avrebbe ricevuto supporto da Safedino, l'emiro aveva deciso di smantellare la città e ritirarsi, ma le operazioni non erano avvenute così in fretta e avevano finito soltanto per agevolare la conquista nemica.[24][28] Anche Boemondo III d'Antiochia si unì ai crociati nell'attacco di Beirut e, durante il viaggio di ritorno, accarezzò l'idea di estendere i confini del principato di Antiochia impossessandosi di Laodicea e Gabala, ma dovette fare presto ritorno a casa per via di intricate questioni politiche.[29]

Soltanto Sidone era stata ridotta a un cumulo di rovine,[3] mentre Gibelletto, come detto, era tornata in mano cristiana grazie alle manovre politiche di Stefania di Milly.[28] In seguito i cristiani ripresero altresì possesso di Batrun e della costa siriana circostante, sia pur compiendo operazioni militari sconosciute agli studiosi.[24] Ciò ripristinò «la continuità dell'occupazione franca della costa, dalla zona a nord di Tripoli fino a sud di Acri».[24] I crociati perseguivano tuttavia un obiettivo ben più prestigioso e desideravano spingersi a Gerusalemme, motivo per cui respinsero la proposta di quella fetta di nobili siriani che desiderava giungere a un accordo con i musulmani e cedere la riconquistata Beirut con Giaffa.[28]

Si decise dunque di prendere di mira la fortezza di Toron nel novembre del 1197, la quale subì dei primi assalti così vigorosi che i difensori si offrirono di arrendersi.[3][28] Tuttavia, l'arcivescovo Corrado insisteva per una resa senza condizioni, circostanza che spronò alcuni baroni franchi[nota 3] a intervenire, allo scopo di scongiurare il rischio che la lotta scatenasse una grande e inarrestabile avanzata nemica.[28] Essi riferirono infatti a Safedino che i tedeschi non erano soliti risparmiare la vita ai prigionieri; ciò spinse il sultano a radunare immediatamente un vasto esercito per giungere in soccorso della fortezza assediata.[28] Mentre i saraceni raggiungevano la posizione, si diffuse la notizia che l'imperatore Enrico VI era morto e che al suo posto gli era subentrato il suo giovane figlio, Federico.[30] In siffatto contesto, diversi tedeschi cominciarono a valutare l'ipotesi di abbandonare in gran segreto l'assedio e imbarcarsi per la patria.[3] Essi erano infatti preoccupati di perdere possesso dei propri feudi, considerate le lotte per il potere che erano scoppiate.[3][30] Lo scoramento tra i cristiani aumentò quando Toron continuò a resistere agli attacchi, motivo per cui i tedeschi persero gradualmente il proprio entusiasmo iniziale.[31]

Quando il 2 febbraio 1198 arrivò un esercito musulmano proveniente dall'Egitto, i cristiani rimasti avevano da poco saputo della partenza dei nobili e dei chierici che li avevano guidati.[31] Ciò li spinse a fuggire a Tiro e a imbarcarsi in tutta fretta verso la Germania.[31]

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Moneta emessa nel 1201 a Damasco sotto Safedino

Amalrico aveva sciolto le riserve nel gennaio del 1198 e si era deciso ad accettare il ruolo di re di Gerusalemme.[27] Ventiquattro ore dopo il suo arrivo aveva sposato la regina Isabella e, qualche giorno più tardi, il patriarca cittadino li incoronò solennemente.[27] Amalrico, da allora divenuto noto come Amalrico II, si affrettò a precisare che le corone di Cipro e di Gerusalemme sarebbero state tenute distinte e che era stato soltanto costituito «un legame personale».[32] Benché si considerasse alla stregua di un reggente, nei fatti Amalrico governò con grande maestria e abilità, avendo modo di dimostrarla subito in occasione della fine della crociata tedesca.[32] Ricadeva infatti in capo a lui l'onere di negoziare una pace, a seguito della turbolenta spedizione condotta dal Sacro Romano Impero.[33] Dall'altra parte, anche Safedino aveva intenzione di giungere a una tregua, poiché desiderava riunire tutti i possedimenti del suo defunto fratello Saladino.[31]

Il 1º luglio 1198 fu rinnovata per cinque anni e otto mesi la pace di Ramla stipulata nel 1192 da Saladino e Riccardo I d'Inghilterra.[3] Ribadendo la libertà di circolazione per i pellegrini, si riconosceva la cessione ai musulmani di Giaffa e la ripresa cristiana di Beirut.[3][34] Si introduceva tuttavia una clausola non prevista in precedenza, ossia il rispetto della tregua a patto che «nessun potente sovrano di recasse in Oriente» (nisi aliquis rex christianorum potens in partes illas veniret).[34] Si trattava di una previsione importante, poiché implicitamente si ammetteva che la sovranità del re di Gerusalemme era subordinata a figure provenienti dall'Europa.[34] Infine, Amalrico conferì la signoria di Beirut a Giovanni di Ibelin e la signoria di Sidone a Reginaldo de Grenier.

Vessillo dell'Ordine teutonico, il gruppo religioso cavalleresco nato sul finire del XII secolo ad Acri

Uno dei lasciti più importanti riguardò comunque l'Ordine teutonico, nato ufficialmente ad Acri nel 1191 sotto il patrocinio di Federico Barbarossa come ospedale destinato a malati e feriti tedeschi.[35] Fu il cancelliere Corrado a conferirgli un carattere militare e, nel 1198, papa Innocenzo III proclamò ufficialmente la costituzione di un nuovo ordine religioso cavalleresco, appunto quello dei Cavalieri teutonici.[31] A questi ultimi venne assegnato ciò che rimaneva dei vecchi domini rivendicati dal conte Joscelin III di Edessa, che sua figlia Beatrice di Courtenay e suo marito, Otto von Henneberg, avrebbero ceduto loro nel 1208, costituendo così un dominio vicinissimo ad Acri.[36] Esso rappresentò «il punto di partenza di tutti i futuri possedimenti territoriali» e, nel giro di qualche anno, l'Ordine fu in grado di rivaleggiare con i Cavalieri Ospitalieri, incidendo dunque sulla politica del regno latino.[36] In tal modo, l'ordine sarebbe stato in grado di rivaleggiare con quelli del Tempio e dell'Ospedale, e di influire, anch'esso, sulla politica del regno latino.[36] In seguito, nel XIII secolo, l'Ordine si concentrò invece nell'espansione verso est (Ostsiedlung) della Germania verso la Prussia e l'adiacente regione baltica nell'ambito delle crociate del Nord.[37]

Giudizio storiografico[modifica | modifica wikitesto]

Non sono note con esattezza le motivazioni che spinsero Enrico VI a proclamare una crociata.[3][38] In generale, si tende a credere che intendesse portare a termine questa spedizione per accrescere il prestigio internazionale del suo impero sia in Europa sia in Terra Santa,[38][39] oppure nella speranza di vedere riconosciuto da papa Celestino III il suo predominio sulla Sicilia e legittimarlo in capo a suo figlio Federico II[40] (un'aspettativa che però, a giudizio degli storici, non avrebbe mai potuto incontrare il pieno favore della curia romana),[11] o ancora perché desideroso di sovvertire l'esito della precedente e infausta campagna condotta dal padre nel 1190.[38] Può anche darsi che considerasse la partecipazione a una crociata un dovere implicito di un sovrano a cui non ci si poteva sottrarre.[38] Quale che fosse la motivazione alla base e nonostante le sue forti riserve personali verso le tendenze imperialistiche di Enrico VI, Celestino III avallò la decisione tedesca e sollecitò il clero della Germania affinché ne fosse diffuse la notizia.[41] Ciononostante, il ruolo di Roma risultò abbastanza marginale, poiché «l'elaborazione del progetto e la sua realizzazione» vengono decisamente ascritte a Enrico VI.[11]

Quanto al suo scopo, la crociata perse vigore a seguito della morte del suo comandante principale e non realizzò quanto era stato prefissato, limitandosi alla sola riconquista di Beirut e di qualche altro piccolo centro.[31][42] Al contempo, l'indebolimento dell'Impero bizantino persistette e costituì una base per la quarta crociata e il sacco di Costantinopoli nel 1204. Allo stesso tempo, la riconquista originariamente intesa di Gerusalemme fu abbandonata.[12]

Nelle parole dello storico Steven Runciman, «la crociata era stata un fiasco e non aveva contribuito affatto a rialzare il prestigio tedesco».[31] Jean Richard ha sottolineato come si trattò di un conflitto diverso rispetto alla terza crociata e a quelli precedenti, poiché entrarono in gioco dinamiche politiche dimostrate dall'ingerenza tedesca nella nomina del nuovo re di Gerusalemme e nella sottomissione formale del sovrano d'Armenia Leone a Enrico VI.[34] Desideroso di un maggiore riconoscimento internazionale, Leone avviò degli scambi epistolari con il papa e con l'imperatore tedesco già prima che partisse per la crociata del 1197.[36] Grazie alla loro intercessione, ottenne l'elevazione della sua "baronia" a regno d'Armenia, che entrò a far parte del complesso degli Stati franchi dal 1197 al 1199.[36]

Si segnala in ultimo il parere dello storico John Riley-Smith, secondo cui:

«La Terza Crociata e la crociata del 1197-98 dimostrano l’entusiasmo che il movimento poteva suscitare in Europa, quando in Oriente scoppiava una crisi, e l’entità delle forze che si potevano mettere in campo in simili casi. La quantità di uomini e materiali incanalati verso l'Oriente raggiunse in quegli anni punte notevoli. Dopo un avvio lento, i crociati conseguirono risultati di grande rilievo. Nel 1188 ai cristiani erano rimaste soltanto la città di Tiro e alcune fortezze isolate nell'interno; entro il 1198 essi controllavano quasi tutto il territorio della costa palestinese. Ma Gerusalemme li aveva elusi, il che aiuta a spiegare l'ossessivo interesse per le crociate, che seguitò a manifestarsi a tutti i livelli sociali.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

Esplicative[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Fu pattuito che l'incoronazione avrebbe avuto luogo alla presenza di Enrico VI. Tuttavia, ciò non avvenne perché l'imperatore non giunse mai in Oriente, spedendo in sua vece un suo cancelliere, che nel gennaio del 1198 partecipò a una solenne cerimonia d'incoronazione a Sis tenuta dal legato papale Corrado, arcivescovo di Magonza. «[Anche l]'imperatore d'Oriente, Alessio Angelo, sperando di conservare qualche influenza sulla Cilicia, aveva inviato qualche mese prima una corona reale a Leone che l'accettò con gratitudine»: Runciman (2005), p. 763.
  2. ^ Il duca di Boemia Bretislao III aveva accettato di unirsi alla crociata durante la dieta di Worms del dicembre 1195, ma non riuscì a partire, in quanto si ammalò e morì tra il 15 ed il 19 giugno 1197.
  3. ^ Col nome di Ifranj erano indistintamente chiamati in arabo i cristiani occidentali che si recavano per partecipare alle crociate in Terra santa.

Bibliografiche[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d (EN) Christopher Tyerman, God's War: A New History of the Crusades, Penguin UK, 2007, ISBN 978-01-41-90431-3.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l Richard (1999), p. 373.
  3. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p Riley-Smith (2022), p. 166.
  4. ^ Bridge (2023), p. 213.
  5. ^ Runciman (2005), p. 678.
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  7. ^ Bridge (2023), p. 216.
  8. ^ Runciman (2005), pp. 696-699.
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  11. ^ a b c d e f g h i Richard (1999), p. 371.
  12. ^ a b Bridge (2023), p. 241.
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  14. ^ a b c d Richard (1999), p. 382.
  15. ^ Runciman (2005), pp. 754-755.
  16. ^ a b c d e f Richard (1999), p. 372.
  17. ^ a b Ostrogorskij (2014), p. 370.
  18. ^ Richard (1999), pp. 371-372.
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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