«A fine aprile, pochi giorni dopo la conclusione del campionato che si era chiuso in anticipo per dare spazio alla preparazione della Nazionale, il presidente mi convoca nel suo ufficio e mi domanda se sul mercato c'è un allenatore da Inter. Faccia una verifica, mi dice. Io gli rispondo subito: Edmondo Fabbri, il tecnico che aveva portato il Mantova dalla Serie D alla Serie A e che sarebbe diventato il Ct della Nazionale. Con lui avevo lavorato benissimo in quegli anni. Moratti ascolta e mi invita a parlargli: gli chieda se è libero e se si sente da Inter. Obbedisco. Fabbri dice che è pronto ad allenare l'Inter e a sostituire Herrera. Ma non se ne fa niente. Più avanti il presidente mi comunica di aver confermato Herrera, ne ho già cambiati troppi di allenatori, avanti con lui. Lo comunico a Fabbri. [...] Nel frattempo Herrera, furbissimo, aveva capito tutto. Pochi come lui sapevano fiutare il vento. Dopo aver guidato con poca fortuna la nazionale iberica al Mondiale in Cile, Herrera aveva fatto circolare la voce di un suo possibile ritorno in Spagna. Mi disse che lo avevano cercato Real, Barcellona e Atletico Madrid con proposte molto serie e allettanti. Poteva essere. In quei giorni aveva parlato con mille persone. Fatto sta che Moratti non solo gli rinnova il contratto e gli aumenta l'ingaggio di 20 milioni, ma si fa convincere ad aprire nuovamente il portafogli per potenziare la squadra.»
(Ricostruzione di Italo Allodi sulla conferma in panchina di Herrera e del mancato ingaggio di Fabbri.[4])
Uno Scudetto appena sfiorato nel recente biennio — con beffardi esiti finali che avevano peraltro arriso alle storiche rivali Juventus prima e Milan poi —[5][6] e l'inasprirsi dei rapporti tra il tecnico Helenio Herrera e la stampa nazionale parvero indurre Angelo Moratti a riconsiderare la posizione del Mago[7][4], salvo poi confermarlo a scapito di un Edmondo Fabbri il cui ingaggio era ormai sembrato una formalità.[4]
L'ex palermitanoBurgnich e l'oriundo Maschio figurarono tra i nuovi acquisti[4][8], andando a vestire i panni del terzino destro e dell'interno di spinta[9]: a protezione dei pali agiva Buffon[10], con Picchi battitore libero alle spalle del centrale Guarneri e Masiero laterale di sinistra.[11][12]Zaglio fungeva da incontrista[13], con Suárez faro del centrocampo[14]: Bicicli sul versante destro e Corso lungo l'out sinistro muovevano in appoggio alla punta Hitchens[15], coi primi rincalzi costituiti dall'estremo difensore Bugatti e dal centro-sostegno Bolchi.[16][17]
In controtendenza rispetto alle ultime stagioni l'Inter soffrì un lento avvio in campionato[18], esordendo con un pari senza gol a Mantova (coi locali biancorossi peraltro orfani del summenzionato Fabbri che approdò sulla panchina azzurra[19][5]) cui fecero seguito l'affermazione casalinga sul Vicenza e un solo punto nella doppia trasferta siciliana[18]: regolato con minimo scarto il Napoli e chiusa in parità la stracittadina del 21 ottobre 1962[18], una settimana più tardi i nerazzurri crollarono per mano dell'Atalanta a San Siro.[18] Gli appena 7 punti racimolati in altrettante giornate suscitarono le rimostranze del massimo dirigente nei confronti di Herrera[18], il quale apportò correttivi alla formazione-base[18][20]: coi ventenni Facchetti e Mazzola lanciati stabilmente in luogo di Masiero e Maschio[18], il passaggio di Hitchens al Torino (che da par suo dirottava in cambio a Milano l'attaccante Di Giacomo[21][5]) concorse a liberare una maglia straniera per il brasiliano Jair scelto in sostituzione di Bicicli.[22][23]
Dal rimpasto tattico prese origine un risveglio circa i risultati[18], con l'assalto ai vertici nei quali oltre alle abituali opponenti stazionava il Bologna guidato dall'ex Bernardini[18]: prevalsa in rapida successione contro felsinei e sabaudi[5], la Beneamata archiviò il girone d'andata con una lunghezza di ritardo dalla capolista piemontese operando quindi l'aggancio nel mese di febbraio.[24][25] Il derby milanese del 24 febbraio 1963 — con Mazzola protagonista in 13" del gol più veloce di sempre nei confronti meneghini —[26][27] assicurava il primato solitario[18], mantenuto anche la domenica seguente nonostante un passo falso a Bergamo da cui non trassero giovamento i bianconeri per la sconfitta nel proprio impegno cittadino[18]: pur conoscendo in terra iberica il primo stop dopo 28 punti ottenuti in 16 gare[18][28], i lombardi non recedettero dalla posizione di testa presentandosi allo scontro diretto del Comunale a +4 sulla concorrente.[29]
Appuntamento «di cartello» per una quartultima giornata fissata al 28 aprile 1963[5][30], la partita si risolse in favore degli uomini di Herrera con una rete di Mazzola che sprofondò a −6 l'inseguitrice[31][18]: la matematica certezza del titolo giunse il 5 maggio nonostante un netto rovescio subìto nella capitale[32], in quanto il simultaneo nulla di fatto sul campo virgiliano precluse alla Juventus un'ultima chance di recupero.[18] Forte di un pacchetto arretrato che aveva concesso appena 20 segnature al passivo[18], la squadra scucì il tricolore dalle maglie di un Milan che pur laureandosi campione d'Europa terminò il campionato a 6 lunghezze dai concittadini[33][18]: riportato a quasi un decennio dall'ultimo precedente[18], il trofeo risultò apripista del ciclo entrato negli annali col nome di Grande Inter.[18]
^Acquistato durante la sessione autunnale di calciomercato.
^Gara originariamente in programma il 12 dicembre 1962 ma rinviata per impraticabilità di campo dovuta alla neve; cfr. Leo Cattini, Rinviato per la neve il match col Padova, in La Stampa, 13 dicembre 1962, p. 15.