Bozza:Bepi Sartori

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Bepi Sartori nel 2009

Bepi Sartori, vero nome Giuseppe Carlo Sartori (Miega di Veronella, 29 febbraio 1936Sant'Ambrogio di Valpolicella, 30 settembre 2022), è stato un poeta italiano.

Bepi Sartori nasce il 29 febbraio 1936 a Miega di Veronella, nella Bassa Veronese, da Marino, agricoltore, e Rachele Regolotti, insegnante elementare. Nel 1939 la famiglia si trasferisce a Vigasio, paese natale di Rachele, in seguito all’acquisto della corte di Vilabroia e dei campi annessi. Nel 1942 nasce la sorella di Bepi, Teresa. A Vigasio Bepi frequenta le scuole elementari, poi a Verona la scuola media “Caliari Betteloni” e il liceo scientifico “Angelo Messedaglia”. Già in questi anni si manifesta il suo spirito curioso e poliedrico, che lo porta ad interessarsi di musica, sport e fotografia. Canta nel coro “Italo Montemezzi” di Vigasio e l’esperienza del coro lo accompagnerà per tutta la vita.

Conquistato dalla figura del Dott. Fulvio Trevisani, il vecchio medico condotto di Vigasio, che – come Bepi stesso racconta[1] – ha seminato nel suo animo l’aspirazione di seguirne l’esempio, al termine del liceo si iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università di Padova. L’ambiente universitario e le amicizie strette a Padova ampliano i suoi orizzonti e sono terreno fertile per il suo carattere attivo e intraprendente. Il 18 febbraio 1961 il padre Marino muore improvvisamente: a questa perdita straziante Bepi dedicherà una delle sue prime poesie, “L’eclisse de sol”. Deve lasciare per il momento Padova e gli studi, torna a Vigasio e, con la madre Rachele, manda avanti l’azienda agricola di famiglia. Si laurea l’anno successivo e trascorre il periodo di praticantato presso l’Ospedale di Borgo Trento a Verona, dove conosce la futura moglie Maria Pia – “Mapi” – figlia di Pietro Biasi, medico condotto a Verona. La figura del suocero sarà un punto riferimento importante nella vita di Bepi: per lui scriverà la poesia "El vecio dotòr (me suocero)".

Con il padre nei primi anni '40
Nel 1953 alla sua scrivania

Nel 1963 vince il concorso e diventa a sua volta medico condotto del Comune di Dolcé, nella Val d’Adige veronese, dove si trasferisce e rimane per il resto della vita, innamorato della terra che lo ha accolto e che diventerà la “sua” Valle. Come da vecchio statuto, svolge la professione di medico condotto, reperibile 24 ore su 24, sette giorni su sette, occupandosi, tra gli altri, di tutti coloro che non possono pagarsi l'assistenza medica[2]. In seguito all’abolizione della condotta, dal 1° ottobre 1980 continua la professione come medico di base. È una figura di riferimento per la comunità locale, non solo perché è il medico di tutti, letteralmente, ma anche perché si dedica con passione a promuovere attività culturali e di aggregazione sociale. A partire dagli anni ’70, insieme a vari amici fonda il coro “La Chiusa”[3], il gruppo culturale “El Casteleto” e la banda musicale del Comune di Dolcé[4].

Il suo spirito irrequieto trova uno sbocco anche nella poesia. Scrive in dialetto veronese, sua lingua madre e quella abitualmente parlata, spesso l’unica lingua conosciuta dalla gente di campagna a quei tempi. Trae la prima ispirazione dalle vicende della sua vita di “medico condotto di montagna”, così ama definirsi. In seguito sarà conosciuto come il “medico poeta”. All’inizio degli anni ’70 comincia a partecipare ai concorsi di poesia, entrando così in contatto con gli esponenti della cultura in lingua veronese dell’epoca, primo tra tutti il Prof. Gino Beltramini, storico e filologo, fondatore della casa editrice “Vita Veronese”, che pubblicherà le sue prime raccolte di poesie. Gino Beltramini – il “Gibe” – ha un ruolo fondamentale nella vita di Bepi: mentore e amico, contribuisce alla sua maturazione culturale e lo conduce alla padronanza della scrittura in una lingua – il dialetto veronese – che vanta sì una lunga tradizione letteraria, ma rimane una lingua soprattutto parlata, espressione di una cultura principalmente orale. Bepi continua l’attività di medico anche dopo il raggiungimento della pensione, nel 2004, e rimane un instancabile promotore della poesia dialettale veronese fino alla sua morte, avvenuta il 30 settembre 2022.

“Vorrei che un giorno, quando anche noi, gli ultimi, saremo passati, si sapesse che un tempo esisteva la Condotta Medica. Era non solo una professione, ma uno stile di vita, sollievo al nostro bisogno di amare, ricerca di Dio attraverso il cuore dell’uomo[5].”

Ad una serata di poesie nei primi anni '70

È senza dubbio la professione di medico, in particolare di medico condotto, “che svolge il ruolo di musa ispiratrice. L’ispirazione nasce dal quotidiano, il quale nella condotta è un quotidiano sui generis, che, senza ritmi, quasi non distingue il giorno dalla notte, non gode delle pause festive sacre ad ogni altro uomo, non può e non vuole anteporre nulla e nessuno al dovere di vigilare ininterrottamente[6].”

“Il medico condotto diventa la figura di riferimento per le cure, per le nascite e per la morte; ma non solo per questi eventi. (…) Un riferimento così capillare e così esteso nella disponibilità, che non sarà mai più eguagliato da nessuna figura istituzionale. Bepi è stato una di queste ultime figure. E l’esperienza l’ha segnato in maniera così profonda che è diventato ormai impossibile per lui, ma anche per la sua gente, scindere quel legame. (…) La poesia di Bepi nasce nel lavoro quotidiano, nell’amore per quello che fa. La montagna, le strade, il paese, le contrade, la neve, il tempo, la gente, il malato o chi ha paura di diventarlo, la burocrazia e le sue assurdità, tutto diventa poesia[7].” La “missione di medico irrompe nei suoi versi, ora con la verve ironica, scanzonata e divertita degli epigrammi (…), ma più spesso con intensa sensibilità umana (…). Allora l’amorevole carezza dei suoi versi compie il miracolo di riscattare dall’infelicità e dall’anonimato umili e semplici esseri umani, facendoli divenire personaggi-simbolo, noti ed amati[8]”. “Tutto un campionario di umanità dolente che soltanto un medico condotto (o un parroco di campagna) può avvicinare e conoscere (…) col privilegio di accumulare una somma di esperienze e di emozioni che impregnano l’anima e rendono grande il cuore[9].”

Ma il poeta non è solo un medico, la sua lirica si allarga ad abbracciare ogni aspetto della sua vita: la famiglia, gli amici, la figura amata del padre perduto troppo presto, i ricordi struggenti dell’infanzia e della giovinezza a Vigasio. “Da un capo all’altro delle liriche di Bepi Sartori corre il profumo del fieno[10]”; Bepi “è testimone e narratore di molti di quei valori che riteniamo perduti (…), racconta il tempo che fu e dipinge, con efficaci pennellate dialettali, momenti che appartengono ormai solo ai nostri ricordi, alla nostra memoria[11].”

Scrive in dialetto veronese, “la lingua dell’anima, non della letteratura. (…) Il suo libero verso ha musicalità, (…) le accelerazioni, i rallentamenti e le pause del parlato. (…) Con questa lingua locale non ha pretese di andare lontano (…), ma di fare la propria parte per produrre gioia qui, ora, alle persone che gli stanno accanto[12].” “In questo senso, il dialetto si presenta come la lingua del limite, del piccolo, del trascurato, del negletto: ma anche del certamente conosciuto e amato[13]”, perché “il poeta è come un mendicante che ama raccogliere cose smesse, dal sapore antico, cose di poco conto che molti più non considerano; le prende in mano con amore, strofinandole sul palmo fino a farle brillare[14]”.

Sottofondo costante nella lirica di Bepi Sartori è il tema religioso, in tutte le sue sfumature: dal dialogo personale con Dio alla preghiera fiduciosa, dal sentimento di sbigottimento alla riflessione sul mistero della vita. “Ma gli interrogativi sono presto superati dal canto entusiastico della vita; (…) la poesia stessa diviene (…) un atto dovuto per innalzare un inno alla vita e per ringraziare Colui che ce l’ha donata[15]”.

«Scrivo (...) par dirghe grassie a Ci m'à messo al mondo, a Quel che me regala el sol ogni matina (...) Scrivo parchè son vivo, parchè me gusto minuto par minuto la vita che me resta. Scrivo par farghe festa a ogni giorno che nasse (...) Scrivo par star al mondo, par no morir!»

  • Vento de la me val, Verona, Edizioni Vita Veronese, 1975.
  • Par scúrtoli al pra, Verona, Edizioni Vita Veronese, 1978.
  • Sercando primavere, Prefazione di Luigi Menapace, Verona, Edizioni Vita Veronese, 1983.
  • Ciao Paese "Storie in Veronese de un medico Condoto de montagna", Presentazione del Prof. Giorgio De Sandre, Verona, Edizioni Aurora, 1987.
  • Istadela de San Martin, Prefazione di Mons. Alberto Piazzi, Verona, Grafiche Aurora, 1991.
  • Sognando el Sélese (opera omnia), Prefazione di Vasco Senatore Gondola, Verona, Edizioni Grafiche Aurora, 2005.
  • Nuncatinora, Prefazione Pier Luigi Facchin, Verona, Edizioni Grafiche Aurora, 2006.
  • El meio mestier del mondo, Prefazione del Dott. Roberto Mora, Verona, Edizioni dell'Aurora, 2016.
  1. ^ Bepi Sartori, El meio mestier del mondo, Verona, Edizioni dell'Aurora, 2016, p. 5.
  2. ^ Per la figura del medico condotto in generale, e di Bepi Sartori in particolare, si vedano: - Prof. Giorgio De Sandre, Presidente dell’Ordine dei Medici di Verona, Presentazione della raccolta di poesie di Bepi Sartori “Ciao, paese - Storie in veronese de un medico condoto de montagna”, pp. 5-7. Verona, Edizioni Aurora, 1987; Dott. - Roberto Mora, Presidente dell’Ordine dei Medici di Verona, Prefazione alla raccolta di poesie di Bepi Sartori “El meio mestier del mondo”, pp. 9-11. Verona, Edizioni dell’Aurora, 2016.
  3. ^ Coro "La Chiusa", su corolachiusa.com.
  4. ^ Per il riconoscimento delle attività svolte si veda la Delibera N. 52 del 11/09/2023, con la quale il Comune di Dolcé intitola a Bepi Sartori una piazza nella frazione di Volargne. Nel 2004 lo stesso Comune gli aveva conferito la cittadinanza onoraria con la motivazione: “Per quarant’anni ha servito la Comunità di Dolcè nella sua professione di medico. È stato animatore e promotore di iniziative ed attività sociali e culturali che hanno contribuito a far crescere nella Valdadige una coscienza e sensibilità per la tutela del nostro territorio e la sua storia.”
  5. ^ Bepi Sartori, “El meio mestier del mondo”, cit.
  6. ^ Prof. Giorgio De Sandre, cit.
  7. ^ Dott. Roberto Mora, cit.
  8. ^ Vasco Senatore Gondola, Prefazione alla raccolta di poesie di Bepi Sartori “Sognando el sélese”, pp. 7-13. Verona, Edizioni dell’Aurora, 2005.
  9. ^ Mons. Alberto Piazzi, Prefetto della Biblioteca Capitolare di Verona, prefazione alla raccolta di poesie di Bepi Sartori “Istadela de San Martin”, pp. 9-12. Verona, Grafiche Aurora, 1991.
  10. ^ Prof. Luigi Menapace, Il profumo del fieno, prefazione alla raccolta di poesie di Bepi Sartori “Sercando primavere”, pp. 7-11. Verona, Edizioni di “Vita Veronese”, 1983.
  11. ^ Pietro Robbi, Sindaco di Vigasio, Presentazione della raccolta di poesie di Bepi Sartori “Sognando el sélese”, p. 5. Verona, Edizioni dell’Aurora, 2005.
  12. ^ Pier Luigi Facchin, La “ragion poetica” di Bepi Sartori, prefazione alla raccolta di poesie di Bepi Sartori “Nuncatinora”, pp. 5-9. Verona, Edizioni dell’Aurora, 2007
  13. ^ Claudio Pezzin, Letteratura veronese del Novecento, Verona, Cierre Edizioni, 2001, pp. 115-116.
  14. ^ Mons. Alberto Piazzi, cit.
  15. ^ Vasco Senatore Gondola, cit.