Lingue d'Italia
Le lingue dell'Italia costituiscono uno dei più ricchi e variegati patrimoni linguistici all'interno del panorama europeo[1][2][3].
Le complesse vicende storiche del paese hanno portato infatti ad un esteso multilinguismo, risultante da circa dieci secoli di divisioni politiche e diversità culturali; questa peculiarità non è data solo dalla coesistenza tra la lingua italiana e le minoranze linguistiche alloglotte (stanziate lungo i confini settentrionali o in zone di antichi insediamenti centro-meridionali), ma è dovuta anche alla presenza di tre lingue minoritarie autoctone, sviluppatesi in isolamento rispetto alle aree linguistiche vicine, e all’esistenza di diverse lingue non ufficiali e non standardizzate ancora definite “dialetti” dalla maggior parte della popolazione e delle istituzioni (comprese quelle accademiche), e poste in rapporto di diglossia con l’italiano[4][5][6][7].
Graziadio Isaia Ascoli, nel ‘’Proemio” del primo volume dell’Archivio glottologico italiano, negli anni 70 del XIX secolo, osservava che alla frammentazione linguistica del paese corrispondeva la secolare mancanza di una capitale accentratrice capace di promuovere un modello linguistico di riferimento per gli altri territori, contrariamente a quanto avvenuto precedentemente in Francia; oltre a ciò, il glottologo ravvisava l’assenza in Italia di un movimento religioso e culturale, quale fu la Riforma protestante per la Germania, che permise la circolazione di una lingua omogenea e la diffusione dell’istruzione elementare pur in assenza di un’unione politica e pur esistendo in quel paese una divisione delle Chiese[8]. A tali considerazioni, nel XX secolo, Tullio De Mauro aggiungeva questioni geografiche: non solo i confini politico-amministrativi tra gli stati preunitari, ma anche la discontinuità paesaggistica e naturale avrebbero condizionato i particolarismi regionali e dunque ostacolato l’espansione di una lingua nazionale, favorendo invece l’abbondanza di idiomi locali fortemente differenziati gli uni dagli altri[9].
Ad eccezione di taluni idiomi stranieri legati ai moderni flussi migratori, le lingue che vi si parlano comunemente sono in via esclusiva di ceppo indoeuropeo e appartenenti in larga prevalenza alla famiglia delle lingue romanze; sono presenti, altresì, varietà albanesi, germaniche, greche e slave.
La lingua ufficiale (de iure) della Repubblica Italiana, l'italiano, discende storicamente dalla variante letteraria del volgare toscano, il cui uso in letteratura è iniziato con le cosiddette "Tre Corone" (Dante, Petrarca e Boccaccio) verso il XIII secolo, e si è in seguito evoluto storicamente nella lingua italiana moderna; questa, con l'eccezione di alcune aree di più tarda italianizzazione[10], sarebbe stata ufficialmente adottata come codice linguistico di prestigio presso i vari Stati preunitari a partire dal XVI secolo.[11]
Ciononostante, la lingua italiana, utilizzata in letteratura e nell'amministrazione in maniera principalmente scritta, al momento dell'unificazione politica di gran parte dell'Italia nel Regno sabaudo, nel 1860, era parlata da una minoranza della popolazione costituita fondamentalmente dalle classi colte o semplicemente istruite[12]: secondo De Mauro gli italofoni ammontavano al 2,5%[13], mentre Arrigo Castellani ne stimava un 10%[14]. Essa poté in seguito diffondersi tra le masse popolari mediante l'istruzione obbligatoria, l’urbanesimo, le migrazioni interne, la burocrazia, il servizio militare e i mezzi di comunicazione di massa (a stampa e audiovisivi)[15].
Sino all'emanazione della legge 482/99, l'avvento della televisione vide escluso l'uso dei dialetti e delle lingue di minoranza, salvo quanto previsto dagli accordi internazionali sottoscritti dall'Italia dopo la seconda guerra mondiale a favore delle minoranze linguistiche tedesca della provincia di Bolzano, slovena della regione Friuli-Venezia Giulia e francese della Valle d'Aosta.
Dal punto di vista degli idiomi locali preesistenti esclusivamente nel parlato, ne consegue un processo di erosione linguistica e di minorizzazione, processo accelerato sensibilmente dall'ampia disponibilità di mezzi di comunicazione di massa in lingua italiana e dalla mobilità della popolazione, oltre ad una scarsa volontà politica di riconoscere una minima valenza culturale ai "dialetti". Questo tipo di cambiamenti e volontà politica ha ridotto sensibilmente l'uso degli idiomi locali, molti dei quali sono ormai considerati in pericolo di estinzione, principalmente a causa dell'avanzare della lingua italiana anche nell'ambito strettamente sociale e relazionale[16].
La normativa prevede invece la tutela delle minoranze linguistiche, soprattutto attraverso l'articolo 6 della Costituzione (La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.) e la legge 482/1999 (... la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo). La stessa legge 482/99 prevede anche l'obbligo, in capo alla RAI, di trasmettere anche nelle lingue delle dodici minoranze linguistiche.
Lingue territoriali
[modifica | modifica wikitesto]Lingue non territoriali
[modifica | modifica wikitesto]Esistono poi «lingue non territoriali», parlate in Italia ma non in un territorio definito: come gli idiomi dei nomadi Rom e Sinti, e la lingua dei segni italiana (LIS). Quest'ultima è parlata dalla comunità di persone sorde, diffusa in tutto il territorio italiano, e ha radici culturali, grammatica, movimento e morfologia, movimento spazio-tempo. La popolazione italiana dei sordi è composta da circa 3 524 906[52] persone che utilizzano la LIS e degli Assistenti alla Comunicazione e degli Interpreti, ed è riconosciuta dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia nel 2009. Spesso queste lingue trovano tutela solo nella legislazione regionale, come altre regioni tra cui la Sicilia che ha promosso la diffusione della LIS, con la L.R. 23/2011[53], in Piemonte la L.R. 31/2012[54], in Basilicata la LR 30/2017[55], in Lombardia la LR 20/2016[56], in Lazio con la LR 6/2015[57]. Esiste infine il metodo Malossi, una lingua tattile utilizzata dalle persone sordo-cieche e dai loro assistenti in varie parti d'Italia.
Lingue romanze nella Repubblica Italiana
[modifica | modifica wikitesto]Gran parte delle lingue romanze e le loro varietà parlate entro i confini italiani – ad esclusione della lingua italiana e degli italiani regionali – sono indicate dalla letteratura specialistica italiana come dialetti italo-romanzi, in senso sociolinguistico,[58][59] in quanto dialetti romanzi che convivono con l'italiano quale lingua tetto[60][61].
I dialetti italo-romanzi sono anche descritti come lingue sorelle dell'italiano[62][63][64][65][66], essendo dialetti romanzi primari, ossia varietà indipendenti e coeve alla lingua italiana, sviluppatesi autonomamente a partire dal latino;[67][58][61][64][68] vanno perciò distinti dagli italiani regionali, che sono le varietà locali della lingua italiana, da cui derivano, e che costituiscono dei dialetti romanzi secondari.[58][63][68] Pertanto, i dialetti italo-romanzi sono da considerarsi varietà linguistiche allo stesso titolo di lingue come francese, portoghese o romeno.[69]
Va notato che la categoria "dialetti italiani", come gruppo omogeneo che racchiude le lingue italo-romanze, ha poca rilevanza da un punto di vista strettamente linguistico, data la grande differenza che può sussistere tra un dialetto e l'altro[70]; tuttavia, la dicitura dialetto milanese, dialetto napoletano, ecc. non è scorretta, data la diffusa accezione del termine in Italia nel senso sociolinguistico di "lingua sociolinguisticamente subordinata a quella nazionale"[71] o "lingua contrapposta a quella nazionale"[72].
Lingue retoromanze
[modifica | modifica wikitesto]Questo gruppo linguistico, identificato nel suo insieme per la prima volta da Graziadio Isaia Ascoli, fu per molto tempo considerato un sottogruppo del gruppo italoromanzo; attualmente, però, è generalmente considerato un sistema autonomo nell'ambito delle lingue romanze[73]. Le lingue riconosciute che ne fanno parte sono il romancio (parlato in Svizzera nel cantone Grigioni), il ladino ed il friulano; nel complesso queste tre lingue esauriscono l'intero gruppo.
La lingua friulana è parlata nelle province di Gorizia, Pordenone, Udine e in alcuni comuni di quella di Venezia. Oltre alla tutela statale, è riconosciuta ufficialmente dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia quale "lingua della comunità regionale".
La lingua ladina è parlata nell'area dolomitica (ladinia). È lingua coufficiale nella provincia autonoma di Bolzano, ha riconoscimento nella provincia autonoma di Trento e ne è stata recentemente introdotta la tutela anche nei comuni ladini della provincia di Belluno. Varie influenze linguistiche ladine sono presenti anche nel nones, parlato in Val di Non nella provincia autonoma di Trento, tanto che alcuni linguisti considerano questa parlata appartenente al gruppo linguistico ladino.
Lingue settentrionali
[modifica | modifica wikitesto]Altrimenti dette "altoitaliane". Nella prima metà del Novecento i gruppi galloitalico e veneto erano considerati romanzi orientali[74], ora sono generalmente considerati romanzi occidentali[75][76]. È stata ipotizzata l'esistenza di una koiné lombardo-veneta, una lingua comune che nel Medioevo sarebbe arrivata ad un certo grado di assestamento, prima di retrocedere di fronte al toscano; con il quale, pare, competesse per il ruolo di lingua letteraria[77].
Tra i tratti linguistici identificati come comuni nel diasistema italoromanzo Meyer-Lübke indica il passaggio da "cl" a "chi"; ma questo, come fa notare lo stesso Tagliavini, è valido solo per toscano e centromeridionale, mentre le lingue settentrionali palatizzano (cioè passano a "ci"), anche davanti ad "a".
Gruppo galloitalico
[modifica | modifica wikitesto]Il gruppo galloitalico presenta affinità con le lingue romanze occidentali ma per alcuni tratti, condivisi con le lingue Italo-romanze, se ne discosta: nel gallo-italico e nel veneto è assente il plurale sigmatico, cioè terminante in -s (il plurale è vocalico al femminile, mentre al maschile è vocalico o adesinenziale), sono assenti le s come desinenze verbali (eccetto nel piemontese occidentale nella seconda persona singolare dei verbi ausiliari e del futuro), sono pressoché assenti le "s" come desinenze pronominali ed i nessi consonantici sono semplificati (ad esempio piassa per piazza, mentre le lingue neolatine occidentali ed in misura minore le lingue neolatine orientali balcanoromanze mantengono i nessi consonantici).
Caratteristiche Gallo-romanze presenti negli idiomi gallo-italici sono l'indebolimento delle sillabe atone (fortissimo soprattutto nell'emiliano), la sonorizzazione delle consonanti occlusive intervocaliche e la riduzione delle geminate nella stessa posizione (lenizione), la caduta in molti casi delle consonanti finali e la presenza in molte varianti di fonemi vocalici anteriori arrotondati (/y, ø/, in passato dette "vocali turbate"). Vari linguisti hanno messo in relazione la similarità con gli idiomi gallo-romanzi con il comune sostrato storico celtico, questa ipotesi è ancora materia di discussione e alcuni linguisti attribuiscono l'indebolimento sillabico e i fonemi /y, ø/ ad un'evoluzione locale indipendente. Altre caratteristiche proprie di questo sistema sono la risoluzione palatale del gruppo cl-, gl- e, per alcuni autori, il mantenimento di ca- e ga- (caratteristica tipica dell'italoromanzo); altri autori, e fra questi il Pellegrini, sostengono che però anticamente vi fosse palatalizzazione di ca- e ga-, tratto questo rapidamente retrocesso ed infine, per influenza toscana, andato perduto[78].
All'interno del gruppo gallo-italico possiamo riconoscere, grazie a più o meno rilevanti omogeneità linguistiche, sistemi più ristretti e distinti fra loro: ligure, piemontese, lombardo, emiliano, romagnolo, galloitalico marchigiano[79], galloitalico di Sicilia, galloitalico di Basilicata.
Gruppo veneto
[modifica | modifica wikitesto]Il veneto presenta generalmente meno innovazioni dal latino, rispetto ai dialetti galloitalici: non ha l'indebolimento delle sillabe atone e anche le vocali finali reggono abbastanza bene, fuorché dopo sonorante. Le varianti principali sono il veneto centrale o meridionale (Padova, Vicenza, Rovigo), il veneto lagunare (Laguna di Venezia), il veneto orientale (Trieste, Venezia Giulia, Istria e Fiume), il veneto occidentale (Verona, Trento) che ha alcuni caratteri in comune con le parlate orobiche e lombarde, il veneto centro-settentrionale (Treviso), il veneto settentrionale (Belluno), il veneto dalmata (Dalmazia) e i dialetti di valle e pedemontani, come il feltrino. La caratteristica più vistosa è la struttura sillabica che non tollera geminate in nessuna posizione.
Toscano
[modifica | modifica wikitesto]Il toscano è costituito dalle varietà toscane e da quelle più o meno affini parlate in Corsica e nella Sardegna settentrionale. Nonostante non sia una lingua appartenente alla Romània occidentale, presenta molti caratteri tipici della zona altoitaliana[80]. L'italiano letterario è da considerarsi un'altra variante (sebbene molto influenzata da altri idiomi italoromanzi) del dialetto toscano. Il còrso settentrionale o di Cismonte e, in particolare, quello parlato nella regione storica del Capo Corso, è affine al toscano occidentale, dal quale però si differenzia per alcune forme lessicali e le finali in /u/.
Il gallurese, parlato nel nord-est della Sardegna, presenta notevoli influenze della lingua sarda a livello di morfologia e sintassi, ma è strettamente imparentato col còrso meridionale o di Pumonte, nello specifico con quello sartenese che si presenta praticamente identico nell'arcipelago di La Maddalena. Il sassarese condivide un'origine simile al còrso, ma è distinta da quest'ultimo: è patrimonio delle popolazioni mercantili di differente origine (sarde, còrse, toscane e liguri) che nel XII secolo diedero impulso alla neonata città di Sassari, creando un dialetto mercantile che nel corso dei secoli si è esteso a diverse città limitrofe (tutta la costa del Golfo dell'Asinara da Stintino a Sorso), subendo inevitabilmente una profonda influenza da parte del sardo logudorese, dal catalano e dallo spagnolo. Il castellanese si parla solo nel comune di Castelsardo, e una sua variante nei comuni vicini. È una varietà di transizione tra il gallurese e il sassarese.Ha una base morfologica di origine corsa mentre la sintassi è condivisa col sardo.
Lungo il crinale appenninico tra la Toscana e l'Emilia (Sambuca Pistoiese, Fiumalbo, Garfagnana e altre località) le persone più anziane usano ancora delle parlate di transizione tra il sistema toscano e il sistema gallo-italico dette parlate gallo-toscane. Tali parlate sono di grandissimo interesse per i linguisti perché formano un sistema linguistico di transizione sia tra la Romània orientale e quella occidentale, sia tra le parlate altoitaliane e quelle tosco-meridionali.
Lingue e dialetti centrali
[modifica | modifica wikitesto]Appartengono al gruppo delle lingue centrali tutti i dialetti parlati in gran parte del Lazio (ad esclusione delle regioni più meridionali, dove i dialetti appartengono al gruppo meridionale intermedio), in Umbria, le aree più meridionali della provincia di Grosseto (in Toscana), e nelle province di Ancona, Macerata e Fermo nelle Marche.
Gruppo mediano
[modifica | modifica wikitesto]Il gruppo italiano mediano è quello di più difficile classificazione. Infatti le parlate si sono influenzate tra di loro in maniera considerevole e non lineare. Si distinguono i seguenti idiomi o sottogruppi:
- Dialetti umbri, di difficile sistematizzazione perché completamente privi di koiné. I dialetti dell'Umbria, tutti appartenenti al gruppo mediano, vengono generalmente catalogati per area geografica anche se, all'interno di una stessa area, le differenze, non solo lessicali, sono spesso notevoli.
- Dialetti marchigiani centrali; nelle Marche la frammentazione dialettale è ancor più accentuata che in Umbria. In regione sono infatti diffuse parlate riconducibili a tutti e tre i principali gruppi in cui si divide, sotto il profilo dialettale, l'Italia. Al gruppo mediano appartengono i dialetti marchigiani centrali, (parte della provincia di Ancona[81], provincia di Macerata e provincia di Fermo). Gli altri dialetti marchigiani appartengono ad altri gruppi: a quello gallo-italico appartiene il dialetto gallo-italico marchigiano (provincia di Pesaro e Urbino e parte della provincia di Ancona[82]), al gruppo italiano meridionale appartiene il marchigiano meridionale (provincia di Ascoli Piceno).
- Dialetti della Tuscia viterbese con elementi di influsso del dialetto della Toscana meridionale e quelli mediani veri e propri. Questi dialetti, pur essendo molto simili tra di loro, presentano alcune classificazioni interne.
- Cicolano-aquilano-reatino che presenta alcune influenze dei dialetti del gruppo meridionale.
- Dialetto laziale centro-settentrionale, anch'esso influenzato da alcuni dialetti di tipo meridionale.
I gruppi toscano e mediano sono comunque gruppi abbastanza conservativi: nel còrso non esiste nessun tipo di indebolimento consonantico, nel toscano e in parte dei dialetti umbri e marchigiani c'è la gorgia, altrove una lenizione non fonologica. Comune è la realizzazione fricativa delle affricate mediopalatali e nelle zone meridionali i raddoppiamenti di /b dZ/ semplici intervocalici.
Romanesco
[modifica | modifica wikitesto]Il dialetto romanesco, diffuso prevalentemente nella città di Roma ed in misura minore ad ovest della Capitale (lungo la fascia costiera intercorrente tra Civitavecchia ed Anzio),[senza fonte] risulta aver subito una considerevole influenza da parte del toscano diffusa in molti ambienti capitolini (legati in particolare alla Curia) nel XVI secolo e XVII secolo; è quindi molto diverso dall'antico dialetto di Roma, che era invece «sottoposto a influenze meridionali e orientali»[83]. Per questa ragione, molti linguisti tendono a considerare tale dialetto indipendente e separato dai restanti dialetti mediani.[senza fonte]
Lingue meridionali
[modifica | modifica wikitesto]Gruppo meridionale
[modifica | modifica wikitesto]Il gruppo italiano meridionale, o alto-meridionale, è caratterizzato dall'indebolimento delle vocali non accentate (atone) e la loro riduzione alla vocale indistinta (rappresentata dai linguisti come ə o talvolta come ë). A nord della linea Circeo-Sora-Avezzano-L'Aquila-Accumoli-fiume Aso, le vocali atone sono pronunciate chiaramente; a sud di questa linea già si presenta il suono ə, che si ritrova poi fino ai confini meridionali con le aree in cui i dialetti sono classificati come meridionali estremi, ossia alla linea Cetraro-Bisignano-Melissa.
Gruppo meridionale estremo
[modifica | modifica wikitesto]Il gruppo meridionale estremo comprende il siciliano, il calabrese centro-meridionale ed il salentino.
La caratteristica fonetica che accomuna i dialetti del gruppo siciliano è l'esito delle vocali finali che presenta una costante territoriale fortemente caratterizzata e assente nelle altre lingue e dialetti italiani:
- da -A finale latina > -a
- da -E, -I finali latine > -i
- da -O, -Ọ finali preromanze > -u
- da -LL- latina o altra > -ḍḍ- (trascritto nella letteratura come ḍḍ, dd, ddh, o ddr). In alcune zone della Calabria però, dal suono di una singola d, o una j (letta come semivocale i oppure come la j francese a seconda delle località).
Assenza totale delle mute e dello scevà.
È inoltre caratteristica principale e singolarità di molte varianti (ma non tutte), la presenza dei fonemi tr, str, e dd, i quali possiedono un suono retroflesso probabilmente derivante da un sostrato linguistico probabilmente pre-indeuropeo. Il siciliano non è attualmente riconosciuto come lingua a livello nazionale.
Lingua sarda
[modifica | modifica wikitesto]La lingua sarda è costituita da un continuum di dialetti interni reciprocamente comprensibili e solitamente ricompresi in due norme ortografiche: quella logudorese, nella zona centro-settentrionale, e quella campidanese, in quella centro-meridionale.
Attualmente la lingua sarda è co-ufficiale (insieme all'italiano) nella Regione Autonoma della Sardegna ed è ufficialmente riconosciuta dalla Repubblica come una delle dodici minoranze linguistiche storicamente parlate nel suo territorio. Nel periodo corrente, il sardo è una lingua in pericolo di estinzione, minacciata dal processo di deriva linguistica verso l'italiano ufficialmente avviato nel diciottesimo secolo e ora in stadio piuttosto avanzato.
Si caratterizza in quanto estremamente conservativa, tanto da essere considerata la lingua che nei secoli si sia meno discostata dal latino. La maggior parte degli studiosi ritiene che il gruppo sardo sia da considerarsi autonomo nell'ambito delle lingue romanze. Si ritiene che il sardo costituisca l'unico esponente ancora in vita di in un sistema linguistico romanzo "meridionale"[84], insieme agli ormai estinti dialetti corsi cronologicamente precedenti alla toscanizzazione dell'isola e all'altrettanto estinta parlata latina dell'Africa settentrionale che, fino all'invasione araba, coesistette col berbero e il punico.
Lingua catalana
[modifica | modifica wikitesto]Il catalano è parlato, nella varietà cittadina, ad Alghero (provincia di Sassari), limitatamente al centro storico. La città, di fondazione genovese, è diventata catalanofona nel 1350, dopo la conquista aragonese. Nonostante l'influenza del sardo, dello spagnolo e dell'italiano e la presenza di tratti arcaizzanti, l'algherese è ascritto al gruppo dialettale orientale del catalano (in virtù di certe peculiarità, è discussa anche l'ipotesi di una lingua autonoma di matrice catalana).[85][86]
Lingue non romanze
[modifica | modifica wikitesto]Idiomi albanesi
[modifica | modifica wikitesto]Varietà della lingua albanese (arbërishtja) sono parlate storicamente da meno di cinquanta comunità distribuite in Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Calabria e Sicilia; non è più albanofona invece la comunità albanese di Villa Badessa (comune di Rosciano, provincia di Pescara), analogamente a diverse altre del Mezzogiorno. Dette varietà, che tra di esse presentano un grado variabile di mutua intelligibilità, sono riconducibili al tosco, il quale è simile alla koinè letteraria d’Albania. Pertanto, non esistono grandi difficoltà di reciproca comprensione tra i parlanti dell’Arberia e quelli dell’altra sponda adriatica. Gli albanofoni discendono dai militari chiamati da Alfonso V d’Aragona nel Regno di Napoli nel XV secolo, dagli esuli in fuga dalla dominazione ottomana in patria e da quelli giunti con le ondate migratorie proseguite fino al XVIII secolo. Si stima che i parlanti siano 100.000 circa.[87][88][89][90]
Idiomi germanici
[modifica | modifica wikitesto]Oltre alla provincia autonoma di Bolzano, nei cui comuni vige il bilinguismo italiano-tedesco, in tutto il Triveneto sussistono alcune isole linguistiche germanofone, sparse nelle regioni prealpine e alpine.
La lingua cimbra è un idioma di tipo bavarese, portato da un gruppo di migranti tedeschi che nel medioevo colonizzarono le zone al confine tra le provincie di Trento, Verona (Tredici Comuni) e Vicenza (Sette Comuni). Incalzato dai dialetti della lingua veneta, il cimbro è entrato in crisi già secoli fa e attualmente è parlato soltanto da poche centinaia di persone. La comunità più vivace è quella di Luserna (Lusern, TN), mentre sono ridotti a poche decine i parlanti di Giazza (Ljetzan, VR) e Roana (Robaan, VI). Praticamente scomparsa l'isola cimbra del Cansiglio (provincie di Belluno e Treviso), fondata all'inizio dell'Ottocento da un gruppo di roanesi.
La lingua mochena è ancora parlata nei villaggi della Val Fersina (collaterale alla Valsugana) e ha origini affini al cimbro, ovvero deriva da uno stanziamento di coloni tedeschi in epoca antica.
Isole germanofone si trovano anche in Carnia (Sauris, Zahre, Timau, Tischlbong e Sappada, Plodn) e hanno un'origine simile alle precedenti. Infine, il tedesco è diffuso su buona parte della Val Canale (Kanaltal), al confine con l'Austria.
In Piemonte e Valle d'Aosta, al gruppo tedesco (precisamente alemanno) appartengono le parlate walser presenti in alcuni comuni e imparentate con quelle del vicino cantone svizzero del Vallese.
Idiomi greci
[modifica | modifica wikitesto]In alcuni centri dell'Italia meridionale esistono isole linguistiche dove si parla il greco antico. In particolare le comunità grecofone o grecaniche sono presenti in Salento ed in Calabria.
Nel gennaio 2012 il Comune e la Provincia di Messina riconoscono ufficialmente la lingua greca moderna e grecanica di Calabria[91].
Idiomi indo-arii
[modifica | modifica wikitesto]Il romaní è parlato dai sinti e dai rom d'Italia in diverse forme dialettali influenzate dalle lingue dei paesi attraversati in passato, nonché dalle parlate regionali italiane con cui esse sono in contatto. Il romaní ha a sua volta influenzato i gerghi professionali di alcuni mestieri.[senza fonte]
Idiomi slavi
[modifica | modifica wikitesto]In Friuli-Venezia Giulia esiste una comunità che parla lo sloveno in tutta la fascia confinaria delle province di Trieste, Gorizia e Udine. In provincia di Udine esiste inoltre la comunità slovena nella Val di Resia, parlante, secondo alcuni studiosi, una variante dialettale distinta dello sloveno: il resiano. Il dialetto resiano, molto simile ai dialetti sloveni della vicina Carinzia (Austria), è ritenuto a livello internazionale [senza fonte][92][93][94], un dialetto della lingua slovena e il comune di Resia si è dichiarato, ai sensi della L. 482/99, di lingua slovena, ottenendo annualmente i fondi per la tutela come "minoranza linguistica slovena".
In Molise in alcuni centri esistono ancora comunità parlanti il ("na-našu"), antico dialetto slavo originario dell'entroterra dalmata, che discendono dagli slavi che arrivarono in Italia tra il XV-XVI secolo per sfuggire all'avanzata ottomana nei Balcani e si stanziarono nei paesi di Acquaviva Collecroce (Kruč), San Felice del Molise (Sti Filić) e Montemitro (Mundimitar) nell'attuale provincia di Campobasso; la lingua viene parlata da poco più di duemila persone[senza fonte]. Questi profughi e i loro discendenti venivano e vengono chiamati con la denominazione antica di Schiavoni (dal latino Sclaveni ovvero Slavi, da cui deriva anche sclavus ovvero schiavo), nome che è rimasto anche nella toponomastica del territorio.
Pregiudizi linguistici
[modifica | modifica wikitesto]Dopo l’unificazione nazionale è emerso in Italia un fenomeno di stigmatizzazione delle lingue locali, giudicate come destabilizzanti e dannose; il prestigio dell’italiano scritto, e da allora anche parlato, dalle élite culturali e politiche ha così fatto cambiare le abitudini linguistiche della popolazione, sebbene le lingue locali non siano state vietate[95]. Tuttavia, nelle scuole esse sono sempre state disapprovate a favore dell'italiano che in passato[quando] era per molti bambini una lingua del tutto straniera e difficilmente comprensibile: da qui l'erronea convinzione che i "dialetti" fossero una corruzione della lingua nazionale, peraltro insegnata malamente da maestri che ne avevano una scarsa conoscenza e che così tolleravano, magari inavvertitamente, deviazioni dalla norma teorica[96] (ispezioni ministeriali effettuate negli anni postunitari evidenziarono casi di grave inadeguatezza da parte di insegnanti che sfioravano l’analfabetismo e che in classe si esprimevano nel proprio idioma locale)[97]. Pregiudizi e opinioni denigratorie sul valore delle varietà locali, levatesi dal mondo della cultura, sono stati assecondati da politiche che svalutavano e non rispettavano i patrimoni linguistici italiani, in particolare durante il regime fascista, che addirittura attuò una persecuzione delle minoranze alloglotte[98]. La scuola, anche in seguito, fu teatro di un’aspra battaglia contro tali idiomi, giudicati come il principale ostacolo nell'apprendimento di un italiano corretto: questa generale “dialettofobia” istituzionale perdurò fin oltre la metà del XX secolo (simbolicamente viene da alcuni indicata la data del 1962, anno dell’istituzione della scuola media unica, seppure in essa si siano verificati anche successivamente atteggiamenti “antidialettali”)[99]. La politica "antidialettale" della scuola italiana, l'influenza dei mezzi di comunicazione e il parere - talvolta apertamente ostile - di alcuni autorevoli intellettuali[non chiaro] sono all'origine di una connotazione negativa degli idiomi locali, dei quali l'opinione pubblica ha un'immagine sfavorevole, burlesca e distorta, vedendo in essi "dialetti" culturalmente inferiori e idonei solo a dare un senso di spontaneità al parlato o a suscitare ilarità[100], se non addirittura un insieme di parole prevalentemente scurrili e inadeguate[101].
Invece, dal punto di vista della linguistica, la discriminazione dei cosiddetti "dialetti" è ingiustificata, così come la presunzione di superiorità di alcune varietà rispetto ad altre[102] (vista la difficoltà di definire il confine tra dialetto e lingua, gli studiosi impiegano anche l'espressione "varietà linguistica", che assieme alla "varietà standard" forma un sistema linguistico; tra i dialetti neolatini la varietà standard è quella diventata l'idioma di riferimento tra gli eruditi in virtù del proprio prestigio letterario).
I dialetti presenti in Italia hanno infatti una loro grammatica, un loro lessico e spesso una letteratura. La stessa lingua italiana deriva dal dialetto toscano letterario di base fiorentina del XIV secolo, che dal XVI secolo venne progressivamente impiegato nella penisola italiana e in Sicilia come modello linguistico esemplare[103].
Poiché per la linguistica tutti i dialetti e le lingue sono pertanto insiemi di segni e regole ordinati e funzionanti analogamente, secondo alcuni studiosi la distinzione avviene esclusivamente a livello politico e storico: ricorrendo al termine "lingua" molte culture fanno riferimento all'esistenza di un sistema riconosciuto dalle istituzioni, codificato e con a disposizione testi letterari e/o ufficiali scritti in quella lingua. È questo il caso del sardo e del friulano, che hanno anche ottenuto il riconoscimento statale di minoranze linguistiche per i propri parlanti[104]. La minoranza linguistica friulana e quella sarda parlano due lingue che verosimilmente non appartengono al gruppo italo-romanzo e che sono generalmente classificate in maniera autonoma nell'ambito delle lingue romanze[73]. Lo stesso Tullio De Mauro in un suo libro considera sardo, ladino e friulano come "formazioni autonome rispetto al complesso dei dialetti italoromanzi"[105]. Secondo Sergio Salvi, ascrivere la lingua friulana, come fanno alcuni linguisti italiani, al sistema dell'italiano "tout court" «è possibile soltanto allargando talmente la definizione della lingua italiana da trasformarla, più o meno, in... lingua romanza. Se il friulano è un dialetto italiano, non si vede perché non lo debba essere, per esempio, anche l'occitanico»[106]. Nel caso della lingua sarda e di quelle retoromanze (ladino e friulano), il legislatore italiano, con la legge 482/99 che riconosce lo status di minoranze linguistiche a ladini, friulani e sardi, ha preso atto di quanto già ampiamente postulato dalla linguistica, cui si aggiungono riconosciuti requisiti storici, antropologici e identitari.
A prescindere dal loro riconoscimento politico, la maggioranza dei dialetti d'Italia non è comunque costituita da corruzioni, deviazioni o alterazioni della lingua nazionale di base toscana, bensì da parallele continuazioni del latino e pertanto lingue “sorelle” dell'italiano[107][108]. In questo senso, è improprio parlare di "dialetto della lingua ufficiale" in riferimento, ad esempio, al piemontese o al napoletano: essendo sì idiomi sviluppatisi dal latino, ma in modo indipendente dal toscano, non possono essere considerati varietà locali della lingua italiana. È infatti in virtù della loro storia e distanza dall'italiano che dette varietà possono essere categorizzate come lingue autonome[109]. Più opportuno è allora parlare di dialetti italiani o dialetti d'Italia in riferimento alle varianti italo-romanze diffuse presso una regione, zona o città e non invece dialetti dell'italiano (ad esempio, si può affermare che il lombardo occidentale è un dialetto italiano perché parlato all'interno dei confini italiani, ma non è corretto dire che sia un dialetto dell'italiano, poiché è un dialetto della lingua lombarda). Tali parlate sono considerate dialetti romanzi primari, storicamente subordinate all'italiano solo da un punto di vista sociolinguistico a fronte di un'origine latina comune. Inoltre, per definire queste parlate si può fare ricorso appunto al termine varietà, che indica un sistema linguistico indipendentemente da riferimenti legati al prestigio, alla diffusione geografica e a tutte le equivocità veicolate dalla parola dialetto nell'uso comune[108]. O ancora, in gergo scientifico, è possibile riferirsi ai singoli dialetti locali utilizzati in condizione di diglossia o di bilinguismo con la lingua ufficiale.
Al contrario, si parla di "dialetti secondari" in riferimento alle manifestazioni linguistiche generate dalla diversificazione di un'unica lingua in vari territori, come nel caso dello spagnolo in America latina, dei vari dialetti arabi o del già citato inglese americano: non si tratta quindi di dialetti originati autonomamente dal latino o dal proto-germanico, ma varianti dello stesso sistema. I dialetti secondari dell'italiano sono quelli noti come "italiani regionali", cioè le varietà intermedie tra lingua standard nazionale e le altre varietà autonome[108].
Tuttavia, l'accezione di dialetto inteso come "varietà della lingua nazionale" è ancora radicata, con ambiguità e relativismo semantici. In particolare dal punto di vista politico, legislativo e giurisprudenziale, il termine "dialetto" è usato in questa accezione per definire qualsiasi idioma storico, romanzo e talvolta anche non-romanzo, parlato in un'area geografica del paese e che non goda dello status di "lingua" in regime di ufficialità, coufficialità e/o bilinguismo. Nella categoria ricadono numerosi idiomi italiani dotati di storia propria, non intercomprensibili e spesso fregiati di una propria tradizione letteraria di rilievo, come, ad esempio, il veneto e tanti altri. Eppure, nonostante la presenza di un corpus letterario, essi continuano ad essere percepiti come "dialetti" o lingue orali dalla popolazione, gran parte della quale - compreso chi li parla - non è in grado di scriverli. Ciò è anche dovuto all'abitudine di ricorrere ad un'incompatibile ortografia italiana, che genera sistemi di scrittura variabili laddove questi idiomi vengano usati in forma scritta (internet, segnaletica e cartellonistica, messaggi)[110].
L'opinione alternativa, che sta incominciando a farsi strada anche tra alcuni linguisti di lingua italiana[senza fonte], rifiuta l'accezione di dialetto inteso come varietà della lingua nazionale preferendo quella di sistema linguistico indipendente dalla lingua nazionale. Ciò ha portato dunque a utilizzare il termine "lingua" in luogo di "dialetto" (ad esempio, lingua siciliana o lingua romagnola); questa posizione è stata condivisa, nel Parlamento Europeo, dal gruppo Verdi/ALE, in un convegno internazionale che ha avuto luogo nel 1999[111]. Il Consiglio d'Europa nei suoi trattati non indica le lingue (e relative popolazione) da tutelare, né indica i criteri per distinguere una lingua da un dialetto, né riconosce ad alcun idioma lo status di lingua; tale competenza è sempre degli Stati, i quali hanno firmato e ratificato il trattato internazionale europeo.
Nonostante la mancata tutela dei "dialetti" da parte dello Stato (che anzi attuò diverse iniziative di contrasto verso manifestazioni linguistiche derubricate a "malerba dialettale"[112]) si è assistito a una rivalutazione di tali idiomi sul piano culturale.
Valore culturale dei dialetti in Italia
[modifica | modifica wikitesto]Forti di una radicata tradizione verbale ma anche letteraria, le lingue italo-romanze non riconosciute, tradizionalmente chiamate dialetti, in Italia sono servite nel tempo da spunto per la realizzazione di molti lavori teatrali entrati poi stabilmente nel repertorio di uno specifico genere chiamato teatro dialettale.
Secondo Tullio De Mauro, il plurilinguismo "italiano più dialetti o una delle tredici lingue di minoranza" (egli vi includeva anche il romaní, poi escluso dall'art. 2 della L. 482/1999 perché privo dell'elemento della "territorialità") gioca un ruolo positivo in quanto «i ragazzi che parlano costantemente e solo italiano hanno punteggi meno brillanti di ragazzi che hanno anche qualche rapporto con la realtà dialettale»[113].
Un valore particolare ai dialetti è stato attribuito specialmente in tempi relativamente recenti, da quando si è avuta piena consapevolezza dell'ormai predominanza nella comunicazione della lingua nazionale sulle parlate regionali. Affinché i dialetti non scompaiano diventando lingue morte, si è tentato e si tenta di studiare e recuperare appieno il significato storico e il senso culturale della parlata locale, anche in chiave di un recupero delle radici e dell'identità propri di ogni regione. All'interno di queste dinamiche si assiste recentemente ad un uso del dialetto nelle tifoserie di calcio, specie con l'esposizione di striscioni in dialetto che evidenziano un recupero dei dialetti con finalità di rivendicazione identitaria[114]. Secondo l'Istat,[115][116]|titolo=nel 2015 il 45,9% degli italiani parla in modo esclusivo o prevalente l'italiano, il 32,2% lo alterna con un dialetto o lingua locale, il 14% si esprime esclusivamente nell'idioma locale, mentre il resto ricorre a un'altra lingua. Il linguista [[Tullio De Mauro}}]], intervistato dal quotidiano La Repubblica il 29 settembre 2014, affermava che l'uso alternante di italiano e dialetto (con riferimento ai dialetti dell'Italia, non ai dialetti dell'italiano) arrivava allora al 44,1% e coloro che adoperano solo l'italiano erano il 45,5%.[117]
L'utilizzo frequente dei cosiddetti dialettismi, ovvero espressioni derivate da una lingua locale, sarebbe piuttosto diffuso anche nel linguaggio giovanile[118][119]; tra i vari motivi, i più importanti sono: il desiderio di creare un legame forte con la propria famiglia (67%), volontà di conoscere la storia di determinati termini ed espressioni (59%) o possibilità di arricchire il proprio parlato con espressioni colloquiali (52%) e lo spirito di appartenenza alla propria terra.[120]
Situazione giuridica
[modifica | modifica wikitesto]Legislazione statale
[modifica | modifica wikitesto]Lingua ufficiale
[modifica | modifica wikitesto]Nella Repubblica Italiana la lingua ufficiale è l'italiano. Oltre alla consuetudine, il riconoscimento si può ricavare indirettamente dal fatto che la Costituzione è redatta solo in italiano, mentre un riconoscimento espresso si trova nello statuto del Trentino-Alto Adige, che è una legge costituzionale della Repubblica:
«[...] la lingua [...] italiana [...] è la lingua ufficiale dello Stato.»
Ulteriori riconoscimenti sono presenti nell'articolo 122 del codice di procedura civile, nell'articolo 109 del codice di procedura penale, e nell'articolo 1 della legge 482/1999.
«In tutto il processo è prescritto l'uso della lingua italiana.»
«Gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana.»
«La lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano.»
Minoranze linguistiche
[modifica | modifica wikitesto]La Costituzione prevede all'articolo 6[121] la tutela delle minoranze linguistiche, che ne riconosce i diritti linguistici. Per due minoranze in particolare delle dodici, la tutela della lingua e della cultura sono esplicitate negli statuti di autonomia del Trentino-Alto Adige e della Valle d'Aosta.
«La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.»
«Nella regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana [...].»
«Nella Valle d'Aosta la lingua francese è parificata a quella italiana.»
In seguito a un assai travagliato processo normativo[123], la Legge 15 dicembre 1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche) ha infine dato applicazione all'Art. 6 della Costituzione, riconoscendo la tutela della lingua e della cultura di dodici popolazioni autoctone storicamente parlanti idiomi diversi dall'italiano (oltre ad avere altre caratteristiche che le distinguono) e elencate in due gruppi di sei: nel primo albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate, nel secondo francesi, francoprovenzali, friulane, ladine, occitane e sarde[124][125]. La Repubblica ha inoltre firmato e ratificato nel 1997 la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, e ha firmato la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie il 27 giugno del 2000, ma non l'ha ratificata per cui non trova applicazione nel territorio della Repubblica.
Nella quotidianità non tutte le dodici lingue riconosciute a livello nazionale godono della stessa considerazione[123]: ad esempio, l'Agenzia delle Entrate mette a disposizione il modello 730 e le relative istruzioni, oltre che in italiano, solo in tedesco e in sloveno. I siti governativi e parlamentari non hanno una versione, nemmeno ridotta, in queste lingue, salvo rare eccezioni come la versione in francese del sito della Camera dei deputati[126]. Pur essendo vietato discriminare tra le dodici minoranze linguistiche che hanno pari diritti linguistici e costituzionali, solo tre di queste (minoranza francese della Valle d'Aosta; minoranza germanofona della provincia di Bolzano; minoranza slovena della provincia di Trieste) godono di una maggiore tutela, grazie a trattati internazionali stipulati prima della approvazione della L. 482/1999 e ratificati dal Parlamento italiano, avendo scuole pubbliche statali in cui la lingua curriculare è quella propria della minoranza, nonché un canale televisivo nella sola lingua della minoranza.
Legislazione regionale
[modifica | modifica wikitesto]Diverse regioni italiane hanno prodotto nel corso degli anni ulteriori leggi regionali a riconoscimento e tutela di vari idiomi, fra cui in ordine cronologico:
- la regione Piemonte con la L.R. 26/1990[127], integrata dalla L.R. 37/1997[128], e con la legge statutaria del 7 marzo 2005[129], piemontese, occitano, franco provenzale e walser; la successiva L.r. nr. 11 del 7 aprile 2009 della regione Piemonte (che supera tutte le precedenti leggi Piemonte in materia) è stata dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Consulta e l'idioma piemontese può essere solo valorizzato sul piano culturale[130] mentre l'occitano, il franco-provenzale e il walser hanno anche tutela linguistica essendo tutelati dalla L. 482/99.
- la regione Friuli-Venezia Giulia con la L.R. 15/1996[131] e L.R. 29/2007[132] il friulano, con la legge statale 38/2001[133] e la L.r. 26/2007[134] lo sloveno, con la L.R. 20/2009 il tedesco[135] e infine con la L.R. 5/2010 la "valorizzazione dei dialetti di origine veneta parlati nella regione Friuli Venezia Giulia"[136];
- la regione Sardegna assume l'identità culturale e linguistica del popolo sardo come bene primario da valorizzare (L.R. 26/1997[137], L.R. 22/18[138]), in conformità ai principi della pari dignità e del pluralismo linguistico sanciti dalla Costituzione e dagli atti internazionali in materia, con particolare riguardo nei confronti della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie e della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali[137]. Pertanto la Regione riconosce i quattro idiomi autoctoni dell'isola (lingua sarda, catalano di Alghero, gallurese, sassarese), nonché il ligure tabarchino[139], "patrimonio immateriale della Regione" e garantisce la tutela linguistica alla minoranza sarda e a quella catalana di Alghero[137][140].
- la regione Veneto con la L.R. 8/2007[141] il veneto; la legge regione Veneto 13 dicembre 2016 nr. 28 (applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali) è stata dichiarata interamente incostituzionale con la Sentenza della Consulta nr. 81/2018.[142]
- la regione Siciliana con la L.R. 9/2011[143] il siciliano[144];
- la regione Puglia con la L.R. 5/2012[145] il greco salentino, arbëreshë e francoprovenzale.
- la regione Lombardia con la L.R. 25/2016 la lingua lombarda[146].
Tutti gli idiomi diversi dalle lingue parlate dalle "minoranze linguistiche storiche" riconosciute e tutelate ai sensi dell'art. 6 della Costituzione italiana, elencate nell'art. 2 della legge 482/99, possono essere esclusivamente valorizzati sul solo piano culturale ai sensi dell'art. 9 della Costituzione italiana, quale patrimonio culturale immateriale regionale.[147]
Atlante
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Mappa delle lingue del nord d'Italia mostrante i singoli comuni con i confini amministrativi di regioni e comuni del 2015
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Mappa delle lingue del sud Italia mostrante i singoli comuni con i confini amministrativi di regioni e comuni del 2015
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Quadro complessivo delle Lingue e Gruppi dialettali in Italia, prossimo al livello comunale.
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Mappa delle lingue e isole linguistiche in Italia.
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Dialetti in Italia nel 1939 secondo Merlo e Tagliavini.
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Illustrazione dei principali gruppi linguistici in Italia.
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Aree di diffusione dei gruppi dialettali di Italia e di zone limitrofe, che tiene conto sia delle aree di transizione sia di quelle mistilingui.
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Minoranze etnico-linguistiche ufficialmente riconosciute.
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Distribuzione percentuale del bilinguismo in famiglia nelle regioni italiane (inchiesta Doxa del 1982 e dati di Coveri del 1984).
-
Odierna frequenza d'uso delle lingue e dei dialetti d'Italia (dati ISTAT, 2015).
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Maiden-Parry 1997, p. 1: «Italy holds especial treasures for linguists. There is probably no other area of Europe in which such a profusion of linguistic variation is concentrated into so small a geographical area». (EN)
- ^ Avolio 2015, p. 11: «[...] il paese europeo più ricco e differenziato dal punto di vista delle varietà di lingua».
- ^ Berruto 2018, p. 494.
- ^ (EN) Arturo Tosi, The Language Situation in Italy, in Current Issues in Language Planning, 22 dicembre 2008, pp. 247-248.«In Italy, multilingualism is widespread and is the result of complex historical circumstances. A bird’s eye view of the situation suggests that several historical minorities of the north are situated in areas where the borders have fluctuated (Bavarian, Cimbrian, Franco-Provençal, French, German, Mocheno, Provençal, Slovenian and Walser), and those in the centre and south have preserved ancestral languages of old foreign settlements (Catalan, Greek, Albanian, Serbo Croatian). In addition, Italy has three domestic minority languages (Friulian, Ladin and Sardinian), which are traditionally recognised as autonomous languages and which have grown in conditions of extreme isolation from neighbouring linguistic areas. Multilingualism in Italy is not, however, related only to the coexistence of Italian and minority languages: it is rooted in the historical background of a country whose late unification maintained a situation of linguistic diversity that is unique within Europe. Several unofficial languages (still ambiguously called ‘dialects’) are widely spoken in everyday life and interpenetrate the national language giving it a strong regional flavor in different areas of the peninsula. In the north, there are Piedmontese, Ligurian, Lombard, Emilian and Venetian. The central area, in addition to Tuscan dialects, also includes Umbrian and the dialects of northern Latium and the Marches. Further south, the most prominent dialects are Abruzzese, Neapolitan, Pugliese, Calabrese and Sicilian. These linguistic differences are evidence of the heritage of some ten centuries of political division and cultural diversity, which could not be erased by the official recognition of Tuscan as Italy’s national language in 1861.»
- ^ (EN) Paolo Coluzzi, Endangered minority and regional languages (‘dialects’) in Italy, in Modern Italy, vol. 14, n. 1, 1º febbraio 2009, pp. 39-46.«Italy could be claimed to be the richest country in Europe linguistically speaking – a country where all living representatives of the Indo-European families in Europe are found, apart from the Baltic and the Celtic one (which disappeared following Roman colonisation in Northern Italy). It is not easy to state the exact number of languages spoken in Italy, as most of them are part of a continuum and are not standardised or officially recognised. According to Lepschy (1994, 9), the non-recognised local languages known as ‘dialects’ are ‘fifteen or so’, while De Mauro (1994, 61) reckons that ‘a dozen dialects’ are spoken in Italy. To these figures, at least 13 minority languages should be added, arriving at a total figure of 26–29 languages, standard Italian included. Ethnologue, the survey carried out by the Summer Institute of Linguistics, on the other hand, lists 32 languages for Italy, in addition to Italian sign language for deaf people. Of these, seven are ‘dialects’ (i.e., Emiliano-Romagnolo, Ligurian, Lombard, Napoletano-Calabrese,Piedmontese, Sicilian and Venetian). However, one should consider that 13 is a conservative figure for the minority languages present in Italy, as under some of these language designations are ‘dialects’ that (exactly in the same way as Italian ‘dialects’) do not derive from the respective standards and feature significant differences from them. For example, under ‘German’, we find the standard as well as Alemannic, Bavarian and Carinthian varieties – that is, at least four languages instead of one – and similar considerations apply to other minority languages, particularly Slovene, Romany and Sardinian. Moreover, some argue that the Gallo-Italian dialects spoken in some areas in the South of Italy and Tabarchino spoken on the Sulcis Islands in Southern Sardinia would need to be added. In this case, the total number of languages spoken in Italy (and sometimes written) would be much higher, probably exceeding 40, and this is excluding Italian sign language and the languages of recent immigrants. It should be pointed out here, however, that so-called Italian ‘dialects’ are not dialects of Italian at all, as they all come directly from Latin, the same as fourteenth-century Florentine, which was to become what we know today as Italian – the common language of all Italians. Nowadays in the Italian repertoire they represent the ‘low’ varieties, which are in a diglossic relationship with Italian, the ‘high’ variety, and are mostly spoken by older, less educated people living in smaller towns and villages, particularly in northeast Italy and the south.»
- ^ (EN) Paolo Coluzzi, Language planning for Italian regional languages (‘dialects’), in Language Problems and Language Planning, vol. 32, n. 3, 2008, p. 39-46. URL consultato il 15 luglio 2024.«Even excluding recent immigration, Italy is one of the most heterogeneous and diverse countries in Europe in linguistic terms. In addition to Italian, spoken in its standard form or in a regional variety by virtually all the Italian population of almost sixty million people, a number of minority and regional languages are spoken by almost half of them. It is difficult to give an exact figure for these languages. State Law 482 of 1999 on the protection of minority languages, recognized as such twelve languages: French, Provençal, Franco-Provençal, German, Ladin, Friulian, Slovene, Sardinian, Catalan, Albanian, Greek and Croatian. However, considering that Romany was excluded for political reasons and that under some of these linguistic items quite different varieties were grouped together, this number should at least be doubled. On the other hand, with regard to those which are still known as “Italian dialects”, and which it would be more correct to term “regional languages” as they do not derive from Italian but are independent Romance varieties that developed directly from Latin (the same as fourteenth century Florentine which became what we know today as Italian), giving a figure is even more problematic. All Italian regional languages in fact are fragmented into hundreds of dialects — in this sense and in this sense only the term “dialect” could be considered appropriate — which their speakers consider diferent from those spoken in the nearby villages and towns.»
- ^ (EN) Paolo Coluzzi, Lissander Brasca, Marco Trizzino, Simona Scuri, Language planning for Italian regional languages: the case of Lombard and Sicilian, in Stern von Dieter, Nomachi Motoki, Bojan Belić, Linguistic Regionalism in Eastern Europe and Beyond. Minority, Regional and Literary Microlanguages, Frankfurt am Main, Peter Lang, 2018, pp. 275-276.«On the other hand, regional languages, which are still termed ‘dialects’ by most people and institutions (including academia) in Italy, historically tend to have a stronger relationship with Italian, whose speakers on the whole do not object to being seen as ‘Italians’ (and at the same time as ‘Lombard’, ‘Sicilian etc.). […] Going back to the term ‘dialects’ (dialetti), which is still in common use in Italy to refer to its regional languages, even though we are aware that the term is sometimes used to refer to non-recognized local languages, we are strongly opposed to its use, as the term is not precise on the one hand, and carries negative connotations on the other, referring to a language variety that is spoken only in low domains by a restricted number of people, often with low levels of education. Another feature that the term ‘dialect’ seems to imply is that the language varieties referred to in such a way do not possess any economic value.»
- ^ Graziadio Isaia Ascoli, Proemio, in Archivio Glottologico Italiano, n. 1, Ermanno Loescher, 1873, pp. 9-16. URL consultato il 15 luglio 2024.
- ^ Tullio De Mauro, Una lingua d’elezione, in Storia linguistica dell’Italia unita, I, 4ª ed., Bari, Editori Laterza, 1976 [1960], pp. 16-21.
- ^ A titolo di esempio, si potrebbe citare la situazione occorrente nel Regno di Sardegna sabaudo. Nel possedimento insulare del Regno, il ruolo di lingua tetto era stato adempiuto non dall'italiano, a differenza della vicina Corsica, bensì dalle lingue iberiche fino alla seconda metà del Settecento; fu intorno a tale periodo che l'italiano vi sarebbe stato introdotto ufficialmente per mezzo di norme mirate alla diffusione di detta lingua tra gli isolani: tale manovra ineriva a un allineamento di tale territorio verso l'orbita egemonica del Piemonte, nel quale l'italiano era, invece, già stato eletto come lingua ufficiale ben due secoli prima. In Valle d'Aosta e Savoia, al contrario, era e sarebbe stato ancora il francese a occupare a lungo una posizione di prestigio. Cfr. Ines Loi Corvetto, I Savoia e le "vie" dell'unificazione linguistica, in Ignazio Putzu, Gabriella Mazzon, Lingue, letterature, nazioni. Centri e periferie tra Europa e Mediterraneo, 2012.; Eduardo Blasco Ferrer, Peter Koch, Daniela Marzo, Manuale di linguistica sarda, De Gruyter, 2017.; Tullio De Mauro, Storia linguistica dell'Italia unita, Bari, Editori Laterza, 1991.
- ^ Enciclopedia Treccani: Storia della lingua italiana e del suo utilizzo negli Stati preunitari, su treccani.it.
- ^ M. Voghera - Università di Salerno. 4. Le lingue d'Italia (italiano - dialetti): Com'è noto l'Italia ha vissuto fino ad anni molto recenti una situazione di diffusa e profonda diglossia) (PDF), su parlaritaliano.it.
- ^ Tullio De Mauro, Una lingua d’elezione, in Storia linguistica dell’Italia unita, I, 4ª ed., Bari, Editori Laterza, 1976 [1960], p. 43.
- ^ Pietro Trifone, Italiano e dialetto dal 1861 ad oggi, su Treccani.it, Istituto della Enciclopedia Italiana.
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- ^ Enciclopedia Treccani, voce [1]
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- ^ (EN) Cimbrian, su Ethnologue. URL consultato il 13 febbraio 2022.
- ^ (EN) Mócheno, su Ethnologue. URL consultato il 13 febbraio 2022.
- ^ Per la Valle d'Aosta, la Legge costituzionale n.2 del 23/09/1993 stabilisce che: ”le popolazioni di lingua tedesca dei comuni della valle del Lys, individuati con legge regionale, hanno diritto alla salvaguardia delle proprie caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali. Alle dette popolazioni è garantito l'insegnamento della lingua tedesca nelle scuole, attraverso gli opportuni adattamenti alle necessità locali.”
- ^ (EN) Albanian, Arbëreshë, su Ethnologue. URL consultato il 13 febbraio 2022.
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- ^ (EN) Catalan, su Ethnologue. URL consultato il 13 febbraio 2022.
- ^ (EN) Greek, su Ethnologue. URL consultato il 13 febbraio 2022.
- ^ (EN) Ladin, su Ethnologue. URL consultato il 13 febbraio 2022.
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- ^ a b c Gaetano Berruto, Varietà, in Enciclopedia dell'italiano, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010-2011.«I dialetti italiani (o, più precisamente, italoromanzi, in quanto membri dell’insieme delle varietà linguistiche neolatine che appartengono al gruppo così identificato in base alle caratteristiche linguistiche) non vanno considerati varietà diatopiche della lingua italiana (tali sono invece gli italiani regionali), ma sono lingue a sé, con una propria autonomia e una propria storia.
Secondo un’utile distinzione introdotta da Coseriu (cfr., per es., Coseriu 1980), si tratta infatti di «dialetti primari», vale a dire di varietà linguistiche formatesi (con la dissoluzione del latino negli usi parlati e la sua trasformazione nelle lingue neolatine) contemporaneamente al fiorentino, che nella sua forma letteraria è alla base di quella che è diventata lingua nazionale e standard. I volgari italiani medievali, quando nel Cinquecento uno di essi è stato promosso a lingua, sono diventati dialetti (Alinei 1984).
Dialetto è infatti una nozione che si può definire propriamente solo in termini sociolinguistici, in relazione oppositiva con quella di lingua (standard): dialetto e lingua sono sistemi linguistici allo stesso pieno titolo, differenziati dalla loro collocazione nella comunità» - ^ Dragan Umek, La varietà linguistica in Italia. Lingue regionali, dialetti, colonie e minoranze linguistiche (PDF), su moodle2.units.it, Università degli Studi di Trieste, 2019.«Cosa è un dialetto? In senso linguistico, un dialetto è una varietà di una lingua. In senso genealogico, un dialetto è una lingua che si è evoluta da un’altra lingua. In senso sociolinguistico, un dialetto è una lingua subordinata ad un’altra lingua.»
- ^ Pellegrini, Giovanni Battista (1977). Carta dei dialetti d'Italia, Pisa, Pacini, p.17: «parlate della Penisola e delle Isole che hanno scelto già da tempo, come lingua guida l'italiano».
- ^ a b Francesco Avolio, Dialetti, in Enciclopedia dell'italiano, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010-2011.«L’adozione dell’italiano come riferimento, unico possibile criterio di distinzione fra il vasto insieme definito italo-romanzo e gli altri gruppi neolatini, è stata ripresa, nel 1975, da Giovan Battista Pellegrini, come base per la sua proposta di classificazione in cinque sistemi (italiano settentrionale, friulano o ladino-friulano, toscano o centrale, centro-meridionale, sardo), sulla quale oggi converge, pur con qualche differenza, la maggior parte degli studiosi (per approfondimenti e dettagli si rinvia alle voci sulle singole aree linguistiche). Tutti i dialetti italo-romanzi sono definiti primari, in quanto formatisi contemporaneamente a quello che poi sarebbe diventato l’italiano.»
- ^ Massimo Cerruti, L'italianizzazione dei dialetti italiani: una rassegna (PDF), in Quaderns d'Italia, n. 21, 2016, p. 64.«Il contatto tra italiano e dialetto rappresenta, com’è noto, un caso di contatto tra sistemi linguistici diversi. I vari dialetti italiani parlati oggi sono infatti sistemi separati e indipendenti dall’italiano. Sono varietà sorelle del dialetto dal quale si è sviluppata la lingua standard; costituiscono ciascuno la prosecuzione di un volgare romanzo coevo del fiorentino, e hanno perciò una propria storia autonoma, parallela a quella del dialetto poi promosso a standard.»
- ^ a b Cristina Lavinio, Dimensioni della variazione: la regionalità dell’italiano (PDF), in Bruno Moretti, Aline Kunz, Silvia Natale, Etna Krakenberger (a cura di), Le tendenze dell’italiano contemporaneo rivisitate, Società Linguistica Italiana.«Gli italiani regionali sono però varietà rispetto alle quali neanche le persone colte hanno un’idea ben chiara, e quando se ne parla, anche nei media, li si confonde con i dialetti italiani 'tout court' (cioè con quelli che in Italia chiamiamo dialetti, ma che sono in realtà lingue sorelle dell’italiano a base toscana)»
- ^ a b Silvia Ballarè, La negazione di frase: formule e funzioni - Studi di caso nel dominio italoromanzo (PDF).«Si ha bilinguismo, infatti, a causa dalla compresenza di italiano e dialetti che, come noto, appartengono a sistemi linguistici distinti. Seguendo la terminologia di Coseriu (1980), i dialetti italoromanzi sono dei dialetti primari rispetto all’italiano: si tratta infatti di lingue sorelle e coeve dell’italiano che, rispetto ad esso, hanno seguito un percorso parallelo; sebbene strettamente imparentate con l’italiano, sono individuabili per distanziazione (Abstand in Kloss 1967) poiché presentano differenze strutturali a tutti i livelli di analisi della lingua (v. ad es. Maiden e Parry 1997).»
- ^ Michele Loporcaro, 12. L'Italia dialettale, in Manuale di linguistica italiana, Sergio Lubello, 2013.«Il presente capitolo tratteggia la distribuzione areale e, a grandi linee, le principali caratteristiche strutturali dei dialetti italo-romanzi. Questi fanno parte del più ampio dominio romanzo e vanno considerati a tutti gli effetti – sul piano linguistico – come lingue sorelle delle altre varietà neolatine cui ha arriso maggior fortuna in termini socio-politico-culturali, a cominciare dall’italiano standard su base fiorentina.»
- ^ Emanuele Miola (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna), Che differenza c’è tra lingua e dialetto?, su linguisticamente.org, 14 luglio 2020.«Per lingue regionali si intenderà lingue parlate in una certa area, che non corrisponde a un’intera nazione, ma che non necessariamente coincide con una regione amministrativa. Val la pena di aggiungere che le lingue regionali parlate in Italia (e i loro dialetti) discendono direttamente dal latino e non sono quindi delle modificazioni o corruzioni dell’italiano, ma piuttosto delle lingue ‘sorelle’ dell’italiano.»
- ^ Francesco Avolio, I sistemi dell'italo-romanzo, in Lingue e dialetti d'Italia, Roma, Carocci Editore, 2009, p. 15.«I nostri "dialetti" non derivano dall'italiano, bensì dal latino; per usare un'immagine forse un po' abusata, ma di immediata evidenza, non sono "figli" dell'italiano, ma suoi "fratelli", che a esso si sono riavvicinati dopo un periodo piuttosto lungo di allontanamento e frammentazione (all'incirca fra la caduta dell'impero romano e il XIV-XV secolo). È improprio, quindi, parlare di "dialetti italiani" (come fa, ad esempio, un inserto del pur ottimo Vocabolario Zingarelli), essendo preferibile l'espressione "dialetti italo-romanzi" oo "dialetti d'Italia", usata, non a caso, da Giovan Battista Pellegrini per denominare la nostra prima carta linguistica elaborata a livello scientifico, la Carta dei Dialetti d'Italia (CDI; Pellegrini, 1977). In sintesi, la lingua italiana fa parte del gruppo italo-romanzo, ma non si identifica con esso.»
- ^ a b Michele Loporcaro, Profilo linguistico dei dialetti italiani, Laterza, 2009.«I dialetti italiani sono dunque varietà italo-romanze indipendenti o, in altre parole, dialetti romanzi primari, categoria che si oppone a quella di dialetti secondari. Sono dialetti primari dell’italiano quelle varietà che con esso stanno in rapporto di subordinazione sociolinguistica e condividono con esso una medesima origine (latina). Dialetti secondari di una data lingua si dicono invece quei dialetti insorti dalla differenziazione geografica di tale lingua anziché di una lingua madre comune.»
- ^ Francesco Avolio, I sistemi dell'italo-romanzo, in Lingue e dialetti d'Italia, Roma, Carocci Editore, 2009, p. 15.«I "dialetti" sono varietà linguistiche romanze o neolatine allo stesso titolo di lingue come il francese, il portoghese o il rumeno, tant'è che sono stati inseriti da oltre un secolo in programmi e progetti di ricerca di rilievo internazionale, come dizionari etimologici e atlanti linguistici. La differenza fra una "lingua" e un "dialetto" non deve ricercarsi dunque nelle loro "radici", ma in altri ordini di fatti.»
- ^ Posner 2004, p. 200.
- ^ Loporcaro 2009, pp. 3-8.
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- ^ Gerhard Rohlfs, Studi e ricerche su lingua e dialetti d'Italia, ed. Sansoni, 1997
- ^ "Koiné in Italia dalle Origini al Cinquecento" – Atti del Convegno di Milano e Pavia, 25-26 settembre 1987 – a cura di Glauco Sanga – Pierluigi Lubrina Editore – Bergamo 1990
- ^ G.B. Pellegrini, Il cisalpino e l'italoromanzo
- ^ Il gallo-italico marchigiano (o "gallo-piceno", o "marchigiano settentrionale") è parlato in tutta la provincia di Pesaro-Urbino, nella parte settentrionale di quella di Ancona (zona di Senigallia) e nell'area del Cònero. Tale idioma, pur correlato alle altre lingue galliche italiane, è indipendente rispetto ad esse:
- AA. VV. Conoscere l'Italia, vol. Marche (pag. 64), Istituto Geografico De Agostini – Novara – 1982; Le Regioni d'Italia, Vol. X Collezione diretta da Roberto Almagià, Pubblicazione sotto gli auspici del Comitato Nazionale per la celebrazione del centenario dell'Unità d'Italia, 1961;
- Flavio Parrino, capitolo sui dialetti nella Guida d'Italia – volume Marche del Touring Club Italiano;
- Saverio Carpentieri, Angelo Pagliardini, Barbara Tasser, Lew Zybatow, Italia e "Italie": identità di un paese al plurale, Peter Lang, 2010 (p. 45). ISBN 978-3-631598542.
- ^ Maurizio Dardano, Nuovo Manualetto di Linguistica Italiana, Bologna, Zanichelli, 2005
- ^ Più nel dettaglio, sono esclusi il circondario di Senigallia e l'area dell'isola linguistica gallica del Cònero
- ^ Più nel dettaglio, il gallico marchigiano è parlato nel circondario di Senigallia e nell'isola linguistica gallica del Cònero
- ^ Giacomo Devoto, Storia della Lingua di Roma, Bologna, Cappelli, 1969 (ristampa dell'ed. del 1944), pag. 366
- ^ «Sardinian is the only surviving Southern Romance language which was also spoken in former times on the island of Corsica and the Roman province of North Africa.» Georgina Ashworth, World Minorities, vol. 2, Quartermaine House, 1977, p. 109..
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- ^ Le minoranze slovene del Friuli – Enciclopedia Treccani http://www.treccani.it/enciclopedia/comunita-slovena_(Enciclopedia-dell'Italiano)/ 2 Le minoranze slovene del Friuli - 2.1 Generalità - Appartengono alla provincia di Udine le comunità della Val Resia, delle Valli del Torre e del Natisone (che costituiscono il territorio della cosiddetta Benecia), nonché, separate da queste, più ad ovest, le comunità della Val Canale. Fatta eccezione per quelli della Val Canale (§ 2.5), si tratta di dialetti parlati sul versante occidentale delle Alpi Giulie, per la maggior parte circondati dall’area linguistica romanza, a contatto con la quale hanno vissuto per secoli.
- ^ Per la scienza internazionale il resiano è sloveno - https://bardo-lusevera-news.blogspot.com/2017/06/per-la-scienza-internazionale-il.html
- ^ (…) Un linguista colla parola sloveno vuole soltanto indicare quali siano le relazioni di consanguineità tra i vari dialetti parlati nella zona delle Alpi orientali. È ovvio che il resiano non è un dialetto romanzo o tedesco, nonostante i numerosi prestiti lessicali, ma un dialetto appartenente al gruppo di lingue slave. Tra quelle slave il più grande numero di concordanze di fenomeni linguistici lo troviamo con lo sloveno (….) Se di questo fatto linguistico, accettato unanimamente (…) Per trovare dialetti sloveni con legami più stretti col resiano, bisogna cercare verso nord (...) - Sangiorgini, Resiani e Sloveni di HAN STEENWIJK http://147.162.119.1:8081/resianica/ita/resslov.do.Johannes Jacobus (Han) Steenwijk dal 2001 a oggi, 2019, è responsabile della Cattedra di Lingua e letteratura slovena dell'Università di Padova, come professore associato. Dal 2013 a oggi insegna anche Lingua serba e croata come supplente https://didattica.unipd.it/off/docente/5B018C4704458BAA2A577A15558200A6
- ^ (EN) Paolo Coluzzi, Language planning for Italian regional languages ("dialects"), in Language Problems and Language Planning, John Benjamins Publishing Company, 2008. URL consultato l'11 settembre 2023.
- ^ Alberto Varvaro, Politiche linguistiche, in Linguistica romanza. Corso introduttivo, 2ª ed., Napoli, Liguori Editore, 2001, p. 29.«In Italia, dall'Unità (1861) in poi, salvo brevi periodi, nelle scuole il dialetto è sempre stato sanzionato, obbligando i bambini all'uso dell'italiano che per molti, specie in passato, era lingua straniera e poco comprensibile. Per questa via si è diffusa la generale convinzione, del tutto infondata, che i dialetti siano una corruzione dell'italiano. [...] Torniamo alla scuola italiana. Che l'italiano fosse obbligatorio è vero, ma è anche vero che lo insegnavano maestri che lo conoscevano, anch'essi, poco e male e che quindi tolleravano, spesso senza accorgersene, deviazioni dalla norma teorica.»
- ^ Corrado Grassi, Alberto A. Sobrero, Tullio Telmon, Latino, italiano, dialetti, in Introduzione alla dialettologia italiana, 5ª ed., Bari, Editori Laterza, 2003, p. 26.«A partire dall’Unità d’Italia la scuola avrebbe dovuto svolgere una funzione fondamentale nel dare una lingua comune agli italiani. In realtà essa non fu assolutamente in grado di assolvere tale compito: era poco frequentata (la legge Casati del 1859 prevedeva l’obbligatorietà delle scuole elementari, ma le cifre dell’evasione scolastica furono subito imponenti, rasentando in alcune province meridionali il 100%) e versava in condizioni disastrose; per restare ai problemi della lingua, le ispezioni ministeriali rilevarono la grave impreparazione degli insegnanti, spesso ai limiti dell’analfabetismo, al punto che la maggior parte di loro parlava in dialetto a scuola e incontrava difficoltà nella scrittura»
- ^ Fiorenzo Toso, L'Italia, in Lingue d'Europa, Milano, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2006, p. 64.«La politica nei confronti dei patrimoni linguistici e delle culture minoritarie fu improntata, in generale, ad un atteggiamento di sottostima e di non rispetto, che, se nei confronti dei dialetti italiani e collegati assecondava pregiudizi eruditi e concezioni comunque detrattive del loro significato culturale, per per quello che riguarda le minoranze alloglotte divenne col tempo una vera e propria repressione culturale, soprattutto negli anni del fascismo.»
- ^ Corrado Grassi, Alberto A. Sobrero, Tullio Telmon, Latino, italiano, dialetti, in Introduzione alla dialettologia italiana, 5ª ed., Bari, Editori Laterza, 2003, p. 27.«[…] si radicarono nella scuola due «vizi» che la caratterizzarono per lungo tempo:
- una lingua italiana assunta dai modelli letterari, tendenzialmente puristica, socialmente esclusiva e isolata dalle altre varietà del repertorio; - la lotta senza quartiere ai dialetti, considerati il principale ostacolo nell'apprendimento della «corretta» lingua.
La dialettofobia istituzionale della scuola italiana – a parte lodevoli eccezioni – si protrasse, di fatto, fin oltre la metà del Novecento: si può considerare simbolicamente come data terminale solo il 1962, anno in cui fu istituita la scuola media unica, obbligatoria e gratuita. In realtà, comportamenti per principio o di fatto antidialettali nella scuola media sono continuati anche ben oltre quella data, e qua e là continuano tuttora, anche se sono mascherati da un’adesione dichiarata ai programmi del 1962 e a quelli, successivi, del 1979.» - ^ Fabio Foresti, Profilo linguistico dell'Emilia-Romagna, Bari, Editori Laterza, 2010, p. 68.«Di certo la connotazione sociale del dialetto, l'idea che ne possiede la pubblica opinione, appare negativa, si tende a considerarlo una sottolingua, valida al più per fare battute e come veicolo di naturalezza. Pesano - come sappiamo - la costante politica antidialettale della scuola, il ruolo dei mezzi di comunicazione, che ne restituiscono in prevalenza un'immagine deformata e buffonesca, ma sono altrettanto influenti i giudizi che di volta in volta ne hanno dato veri e propri numi tutelari nella nostra intellettualità»
- ^ Rebecca Bardi, «Lasciateci parlare!» Il dialetto tra caos, tabù, pregiudizi e parole proibite, su Treccani.it, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 3 gennaio 2020. URL consultato il 7 marzo 2023.«Tuttavia, è storicamente veritiero affermare che proprio questo «caos» e questa mobilità del lessico − soprattutto dialettale, occorre precisare, che possiede come si sa di notevoli specializzazioni tematiche − hanno causato non pochi scompensi a livello sociale: una conseguenza, ben tangibile ancora oggi, è il pregiudizio per cui al dialetto appartengono per la maggior parte parole sconce e inappropriate, giudicate troppo “sanguigne” e che come tali devono essere soppresse. Parole proibite, insomma.»
- ^ Carla Marcato, Guida allo studio dei dialetti, Clep, Padova, 2011, pag. 11
- ^ Carla Marcato, Dialetto, dialetti e italiano, Il Mulino, Bologna, 2002, pag. 20
- ^ Carla Marcato, Guida allo studio dei dialetti, Clep, Padova, 2011, pag. 12
- ^ Tullio De Mauro, Storia linguistica dell'Italia unita - Laterza - prima edizione 1963, pp. 25-26
- ^ Sergio Salvi, Le Nazioni Proibite, Editore Vallecchi, Firenze 1973, pag. 341
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- ^ Tullio De Mauro, Distanze linguistiche e svantaggio scolastico: «L’Italia d’oggi continua a essere solcata da cospicue differenze di lingua tra coloro che praticano abitualmente il solo italiano o, accanto all’italiano, anche un dialetto (o una delle tredici lingue di minoranza) (...). L’aspetto più interessante, coincidente con risultati ottenuti in altre parti del mondo, è che la presenza del dialetto in famiglia non è di per sé correlata a bassi punteggi. Lo è se è una presenza esclusiva, ma i dati fanno vedere che una componente dialettale accanto all’italiano non disturba e addirittura sembra giocare un ruolo positivo: ragazzi che parlano costantemente e solo italiano hanno punteggi meno brillanti di ragazzi che hanno anche qualche rapporto con la realtà dialettale. Assai più che l’idioma parlato a casa, altri fattori incidono sui livelli di comprensione di testi(…)» (tratto da: Adriano Colombo, Werther Romani (a cura di), “È la lingua che ci fa uguali”. Lo svantaggio linguistico: problemi di definizione e di intervento, Quaderni del Giscel, La Nuova Italia, Firenze 1996, pp. 13-24) http://giscel.it/wp-content/uploads/2018/04/Tullio-De-Mauro-Distanze-linguistiche-e-svantaggio-scolastico.pdf
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- ^ http://lexview-int.regione.fvg.it/fontinormative/xml/XmlLex.aspx?anno=2010&legge=5 - Legge regionale 17 febbraio 2010, n. 5 - Valorizzazione dei dialetti di origine veneta parlati nella regione Friuli Venezia Giulia. Art. 1 (Principi e finalità) 1. In attuazione dell'articolo 9 della Costituzione e in armonia con i principi internazionali di rispetto delle diversità culturali e linguistiche, la Regione valorizza i dialetti di origine veneta individuati all'articolo 2, quali patrimonio tradizionale della comunità regionale e strumento di dialogo nelle aree frontaliere e nelle comunità dei corregionali all'estero. 2. Le attività di valorizzazione previste dalla presente legge sono dirette a conservare la ricchezza culturale presente nel territorio regionale e nelle comunità dei corregionali all'estero, e renderla fruibile anche alle future generazioni, sviluppando l'identità culturale e favorendo l'utilizzo del dialetto nella vita sociale
- ^ a b c Legge Regionale 15 ottobre 1997, n. 26, su regione.sardegna.it, Regione autonoma della Sardegna – Regione Autònoma de Sardigna. URL consultato l'11 gennaio 2019 (archiviato dall'url originale il 26 febbraio 2021).
- ^ Legge Regionale 3 Luglio 2018, n. 22, su regione.sardegna.it, Regione autonoma della Sardegna – Regione Autònoma de Sardigna.
- ^ [2] «Nel caso del tabarchino le contraddizioni e i paradossi della 482 appaiono con tutta evidenza se si considera che questa varietà, che la legislazione nazionale ignora completamente, è correttamente riconosciuta come lingua minoritaria in base alla legislazione regionale sarda (L.R. 26/1997), fatto che costituisce di per sé non soltanto un assurdo giuridico, ma anche una grave discriminazione nei confronti dei due comuni che, unici in tutta la Sardegna, non sono in linea di principio ammessi a fruire dei benefici della 482 poiché vi si parla, a differenza di quelli sardofoni e di quello catalanofono, una lingua esclusa dall'elencazione presente nell'art. 2 della legge», Fiorenzo Toso, Alcuni episodi di applicazione delle norme di tutela delle minoranze linguistiche in Italia, 2008, p. 77.
- ^ Legge regionale 3 luglio 2018 n. 22 - Art. 2 - Oggetto, finalità e ambito di applicazione 1. La lingua sarda, il catalano di Alghero e il gallurese, sassarese e tabarchino, costituiscono parte del patrimonio immateriale della Regione, che adotta ogni misura utile alla loro tutela, valorizzazione, promozione e diffusione. 2. La presente legge disciplina le competenze della Regione in materia di politica linguistica. In particolare, essa contiene: a) le misure di tutela, promozione e valorizzazione della lingua sarda e del catalano di Alghero; b) le misure di promozione e valorizzazione del sassarese, gallurese e tabarchino;
- ^ Legge regionale 13 aprile 2007, n. 8, su consiglioveneto.it. URL consultato il 30 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 25 marzo 2013).
- ^ Sentenza n. 81 del 20 marzo 2018 della Corte costituzionale italiana - https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2018&numero=81
- ^ Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana - Anno 65° - Numero 24 (PDF).
- ^ «La popolazione dei centri di dialetto gallo-italico della Sicilia si calcola in circa 60.000 abitanti, ma non esistono statistiche sulla vitalità delle singole parlate rispetto al contesto generale dei dialetti siciliani. Per quanto riguarda le iniziative istituzionali di tutela, malgrado le ricorrenti iniziative di amministratori e rappresentanti locali, né la legislazione isolana né quella nazionale (legge 482/1999) hanno mai preso in considerazione forme concrete di valorizzazione della specificità delle parlate altoitaliane della Sicilia, che pure rientrano a pieno titolo, come il tabarchino della Sardegna, nella categoria delle isole linguistiche e delle alloglossie». Fiorenzo Toso, Gallo-italica, comunità, Enciclopedia dell'Italiano (2010), Treccani.
- ^ Legge regionale Puglia n.5/2012, su regione.puglia.it. URL consultato il 30 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 24 aprile 2015).
- ^ Legge Regionale 7 ottobre 2016, n. 25 1. Ai fini della presente legge, la Regione promuove la rivitalizzazione, la valorizzazione e la diffusione di tutte le varietà locali della lingua lombarda, in quanto significative espressioni del patrimonio culturale immateriale, attraverso: a) lo svolgimento di attività e incontri finalizzati a diffonderne la conoscenza e l'uso; b) la creazione artistica; c) la diffusione di libri e pubblicazioni, l'organizzazione di specifiche sezioni nelle biblioteche pubbliche di enti locali o di interesse locale; d) programmi editoriali e radiotelevisivi; e) indagini e ricerche sui toponimi. 2. La Regione valorizza e promuove tutte le forme di espressione artistica del patrimonio storico linguistico quali il teatro tradizionale e moderno in lingua lombarda, la musica popolare lombarda, il teatro di marionette e burattini, la poesia, la prosa letteraria e il cinema. 3. La Regione promuove, anche in collaborazione con le università della Lombardia, gli istituti di ricerca, gli enti del sistema regionale e altri qualificati soggetti culturali pubblici e privati, la ricerca scientifica sul patrimonio linguistico storico della Lombardia, incentivando in particolare: a) tutte le attività necessarie a favorire la diffusione della lingua lombarda nella comunicazione contemporanea, anche attraverso l'inserimento di neologismi lessicali, l'armonizzazione e la codifica di un sistema di trascrizione; b) l'attività di archiviazione e digitalizzazione; c) la realizzazione, anche mediante concorsi e borse di studio, di opere e testi letterari, tecnici e scientifici, nonché la traduzione di testi in lingua lombarda e la loro diffusione in formato digitale.»
- ^ Sentenza Corte costituzionale italiana nr.170 del 2010 e Sentenza nr.81 del 2018
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Francesco Avolio, Lingue e dialetti d'Italia, 4ª ristampa, Roma, Carocci, 2015 [2009], ISBN 978-88-430-5203-5.
Classificazione proposta dall'UNESCO
[modifica | modifica wikitesto]- Lexikon der Romanistischen Linguistik, Tübingen 1989.
Classificazione proposta dal SIL international
[modifica | modifica wikitesto]- Ethnologue: Languages of the World, 15th Edition, edited by Raymond G. Gordon, Jr., SIL International, 2005.
Classificazione proposta nelle università italiane
[modifica | modifica wikitesto]- Ilaria Bonomi, Andrea Masini, Silvia Morgana, Mario Piotti, Elementi di Linguistica italiana, edizioni Carocci 2006.
- P. Bruni (a cura di), Arbëreshë: cultura e civiltà di un popolo, 2004.
- Arrigo Castellani, Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza, Roma, Salerno editrice, 1980.
- Arrigo Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, Bologna, Il Mulino, 2000.
- Manlio Cortelazzo, Carla Marcato, Dizionario etimologico dei dialetti italiani, Torino, UTET, 1992.
- Paolo d'Achille, Breve grammatica storica dell'italiano, Roma, Carocci, 2001.
- Maurizio Dardano, Nuovo manualetto di linguistica italiana, Bologna, Editore Zanichelli, 2005.
- Maurizio Dardano, Gianluca Frenguelli (a cura di), La sintassi dell'italiano antico, atti del convegno internazionale di studi (Università di "Roma tre", 18-21 settembre 2002), Roma, Aracne, 2004.
- Tullio De Mauro, Storia linguistica dell'Italia Unita, Biblioteca universale Laterza 1983.
- Corrado Grassi, Alberto Sobrero, Tullio Telmon, Introduzione alla dialettologia italiana, Roma-Bari, Laterza, 2003.
- Karl Jaberg, Jakob Jud, Atlante linguistico ed etnografico dell'Italia e della Svizzera Italiana, Milano, Unicopli, 1987.
- Loporcaro, Michele, Profilo linguistico dei dialetti italiani, Nuova edizione, Roma-Bari, Editori Laterza, 2009, ISBN 978-88-593-0006-9.
- Marcato, Carla, Dialetto, Dialetti e Italiano, Bologna, Il Mulino, 2002.
- Lorenzo Renzi, Alvise Andreose, Manuale di linguistica e filologia romanza, Bologna, Il Mulino, 2003 (prima edizione); 2015 nuova edizione aggiornata e riveduta.
- Giuseppe Patota, Lineamenti di grammatica storica dell'italiano, Bologna, Il Mulino, 2002.
- Posner, Rebecca, The Romance Languages, Cambridge, Cambridge University Press, 2004.
- Schlosser, Rainer, Le Lingue Romanze, Bologna, Il Mulino, 2005.
- Sobrero, Alberto A. e Miglietta, A., Introduzione alla linguistica italiana, Bari, Laterza, 2006.
- Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1970.
- Tagliavini, Carlo, Le origini delle lingue neolatine, Bologna, Pàtron, 1972.
- Alberto Zamboni, I dialetti e le loro origini, in ItaDial (periodico specialistico), Bologna, Clueb.
Quarta classificazione proposta
[modifica | modifica wikitesto]- Geoffrey Hull, "La lingua padanese: Corollario dell’unità dei dialetti reto-cisalpini". Etnie: Scienze politica e cultura dei popoli minoritari, 13 (1987), pp. 50–53; 14 (1988), pp. 66–70.
- Geoffrey Hull, The Linguistic Unity of Northern Italy and Rhaetia: Historical Grammar of the Padanian Language, 2 volumi. Sydney: Beta Crucis, 2017.
- Pierre Bec, Manuel pratique de philologie romane (II, 472), Editions Picard, 1971.
- G.B. Pellegrini, Il cisalpino ed il retoromanzo, 1993.
- G.B. Pellegrini, Delle varie accezioni ed estensioni di "ladino".
Altre opere
[modifica | modifica wikitesto]- Maurizio Tani, La legislazione regionale in Italia in materia di tutela linguistica dal 1975 ad oggi, in LIDI-Lingue e Idiomi d'Italia (Lecce), I/1 (2006), pp. 115–158 */La_legislazione_regionale_in_Italia_in_materia_di_tutela_linguistica_dal_1975_ad_oggi Accademia.edu: La legislazione regionale in Italia in materia di tutela linguistica dal 1975 ad oggi.
- Carla Marcato, Dialetto, dialetti e italiano, Nuova edizione, Bologna, il Mulino, 2007, ISBN 978-88-15-11424-2.
- Michele Loporcaro, Profilo linguistico dei dialetti italiani, Nuova edizione, Roma-Bari, Editori Laterza, 2013, ISBN 978-88-593-0006-9.
- Daniele Bonamore, Lingue minoritarie Lingue nazionali Lingue ufficiali nella Legge 482/1999, Milano, Editore Franco Angeli, 2008.
- Sergio Salvi, Le lingue tagliate - Storia delle minoranze linguistiche in Italia, Milano, Rizzoli Editore, 1975.
- Tullio De Mauro, Storia linguistica dell'Italia unita, 1ª ed., Laterza [1963].
- Gaetano Berruto, Massimo Cerruti, La linguistica. Un corso introduttivo, Utet, Torino, 2017
- Fiorenzo Toso, Lingue d'Europa. La pluralità linguistica dei paesi europei fra passato e presente, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2006
- Alberto Varvaro, Linguistica romanza. Corso introduttivo, Liguori Editore, Napoli, 2001
- Carla Marcato, Guida allo studio dei dialetti, Clep, Padova, 2011
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Italiano regionale
- Geografia linguistica
- Legislazione italiana a tutela delle minoranze linguistiche
- Bilinguismo amministrativo in Italia
- Segnaletica bilingue
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulle lingue parlate in Italia
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Karl Jaberg, Jakob Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz (AIS) ( NavigAIS-web (archiviato dall'url originale l'11 dicembre 2016). Versione online navigabile)
- Carta dei Dialetti d'Italia (archiviato dall'url originale il 3 ottobre 2012). di Giovan Battista Pellegrini (Pisa, Pacini editore 1977), da Rai International Online (archiviato dall'url originale il 7 giugno 2007).
- Lista delle lingue parlate in Italia., Patrimonilinguistici.it.