Epillio

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L'epillio è un breve componimento a carattere epico che tratta episodi marginali del mito, come suggerisce l'etimologia del termine; in greco, infatti, ἐπύλλιον (epýllion) vuol dire "piccolo epos".

Caratteristiche ed esempi[modifica | modifica wikitesto]

Anche se il termine è riscontrabile ufficialmente nel II secolo d.C. con Ateneo[1], esso veniva, plausibilmente, usato già da tempo.

Si tratta, fondamentalmente, di un poemetto narrativo in esametri dattilici, di breve estensione, come, ad esempio, i 75 versi dell'Idillio XIII di Teocrito; probabilmente la lunghezza dipendeva anche dal fatto che, oltre i 1600 versi, esso non era più considerabile un epillio, in quanto avrebbe occupato due rotoli di papiro. Ha carattere erudito, è scritto per lo più in esametri, si diffonde in età alessandrina, quando si prediligono forme poetiche brevi e concentrate.

L'epillio si caratterizza per la sua struttura ad anello: racconti che presentano digressioni interne, ospitando altri racconti. La digressione è introdotta con un pretesto che può essere rappresentato dal racconto di un personaggio o dalla descrizione di un elemento figurativo (come il ricamo del cuscino nuziale nel carme 64 di Catullo). Il rapporto tra le vicende narrate è complesso e spesso, come accade in Catullo, si tratta di vicende affini ma con esiti contrapposti.

Callimaco fu uno dei poeti più importanti che adoperarono questo genere, come evidenziato nel poemetto Ecale[2] che servì da modello agli altri. Di età alessandrina sono, ancora, quelli di Teocrito, come Eracle bambino, e di Mosco, sul mito di Europa[3].

Nella letteratura latina l'esempio più significativo di epillio è il carme 64 di Catullo, che consta di 408 esametri ed ha argomento epico, le nozze di Peleo e Teti, genitori dell'omerico Achille, ponendosi come una delle più importanti novità apportate dalla poesia neoterica nella letteratura latina[4]. Nella tarda antichità, infine scrissero epilli Trifiodoro, con la Iliupersis[5], Colluto, con il Ratto di Elena[6], Museo, con Ero e Leandro[7] e, in ambito latino, Draconzio, con la Tragedia di Oreste.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ II 68 (65a–b).
  2. ^ Callimaco, Inni Epigrammi Ecale, introd., trad. e note di G. B. D'Alessio, Milano, Bur, 1996, pp. 276-365 (traduzione, con testo a fronte, e commento dei frammenti).
  3. ^ Sul poemetto di Mosco, cfr. R. Schmiel, Moschus' Europa, in "Classical Philology", Vol. 76, No. 4 (1981), pp. 261-272.
  4. ^ Si veda, in generale, Paolo Fedeli, Introduzione a Catullo, Roma-Bari, Laterza, 1990.
  5. ^ Cfr. P. L. M. Leone, Ancora sulla Presa di Troia di Trifiodoro, in "Quaderni Urbinati di Civiltà Classica", VI (1984), pp. 5–15.
  6. ^ Cfr. Colluto, Il ratto di Elena, a cura di Enrico Livrea, Bologna, Pàtron, 1968.
  7. ^ Si veda l'edizione a cura di Guido Paduano, Museo. Ero e Leandro, Venezia, 1994.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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