Unione Nazionale Africana di Zimbabwe - Fronte Patriottico

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Unione Nazionale Africana di Zimbabwe - Fronte Patriottico
(EN) Zimbabwe African National Union – Patriotic Front
LeaderEmmerson Mnangagwa
StatoBandiera dello Zimbabwe Zimbabwe
SedeHarare
AbbreviazioneZANU–PF
Fondazione22 dicembre 1987
IdeologiaConservatorismo[1]
Anti-imperialismo
Panafricanismo
Populismo di sinistra[2]
Nazionalismo
CollocazionePartito pigliatutto
Storicamente:
Sinistra[3]
CoalizioneFronte democratico per la ricostruzione della patria
Affiliazione internazionaleNessuna (precedentemente Internazionale Socialista)
Seggi Camera
176 / 280
(2023)
Seggi Senato
33 / 80
(2023)
Organizzazione giovanileZANU–PF Youth League
Sito webwww.zanupf.org.zw/
Bandiera del partito

L'Unione Nazionale Africana di Zimbabwe - Fronte Patriottico (in inglese Zimbabwe African National Union – Patriotic Front, ZANU-PF) è un partito politico dello Zimbabwe.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1976 la ZANU (Unione Nazionale Africana di Zimbabwe), socialisti filo-sovietici, e la ZAPU (Unione Popolare Africana di Zimbabwe), socialisti filo-cinesi, avevano dato vita ad un accordo politico-militare, il Fronte Patriottico. L'accordo era finalizzato a spodestare il governo in carica e portare al potere la popolazione nera. L'accordo determinò la frattura della ZANU tra i sostenitori di Robert Mugabe, favorevoli alla lotta armata (ZANU-PF) ed i sostenitori del reverendo Ndabaningi Sithole, contrari all'uso della violenza (ZANU-Ndonga).

Nel 1980 il ZANU-PF vinse ampiamente le elezioni, suscitando le accuse di brogli da parte del PF-ZAPU.

Nel 1987 il PF-ZAPU ed il ZANU-PF si fusero nell'Unione Nazionale Africana di Zimbabwe - Fronte Patriottico, dichiaratamente marxista-leninista. Mugabe fu nominato presidente e Joshua Nkomo (PF-ZAPU) vicepresidente.

All'inizio della propria attività il ZANU-PF si caratterizzò come quella di un qualsiasi partito comunista in un sistema multi-partitico. Con il passar del tempo, Mugabe diede al partito connotati sempre più populisti e leaderistici, gestendo il potere in modo dispotico ed autoritario. Alle presidenziali del 1990, Mugabe ottenne l'83% dei voti, superando di gran lunga il candidato del Movimento Unito Zimbabwe. Alle legislative dello stesso anno, il ZANU-PF ottenne l'80% dei voti eleggendo 117 seggi su 120, gli altri andarono 2 al MUZ ed 1 al ZANU-Ndonga. Le elezioni del 1995 confermarono sostanzialmente quelle precedenti: ZANU-PF, 81,3%; ZANU-Ndonga, 6,9%; Forum Partito dello Zimbabwe, 5,9%. Le presidenziali del 1996 videro la vittoria di Mugabe con il 92% dei voti. Si era ormai chiaramente in un sistema mono-partitico.

Nel 2000 Mugabe cercò di modificare la Costituzione. Ma al Referendum confermativo prevalsero i NO, con il 54,6%. Ciò incrinò il rapporto tra Mugabe e parte degli esponenti del proprio partito, oltre che rafforzare l'opposizione, traumatizzata dal risultato del 1996. Infatti, alle legislative dello stesso anno il ZANU-PF ottenne il 48,6% dei voti. Ciò nonostante riuscì a mantenere la maggioranza parlamentare, 62 seggi su 120. La nuova forza di opposizione il Movimento per il Cambiamento Democratico (MDC) ottenne il 47% e 57 seggi.

Nel 2002 Mugabe vinse le elezioni presidenziali con il 56% dei consensi, precedendo i candidati del MDC, 42%, e quello del ZANU-Ndonga, 1%. Alle elezioni parlamentari del 2005 il ZANU-PF ottenne il 59,6% dei suffragi e 78 seggi su 150, consolidando così il proprio potere. Soprattutto a partire dal 2005, il partito ha gradualmente messo da parte la sua tradizionale retorica marxista, avvicinandosi a posizioni più affini al nazionalismo.[4]

Evoluzione politica[modifica | modifica wikitesto]

Le nuove consultazioni legislative si sarebbero dovuto svolgere nel 2010, ma per effettuarle contemporaneamente alle presidenziali vennero anticipate al 2008. Le elezioni del 2008 videro un vero e proprio terremoto politico. Il Movimento per il Cambiamento Democratico, presentatosi con due liste una guidata da Morgan Tsvangirai e l'altra da Arthur Mutambara, ottenne complessivamente il 51,6% dei voti ed elesse 110 deputati su 210. Nel Senato, invece, MDC e ZANU-PF ottennero 30 seggi ciascuno. Alle presidenziali Tsvangirai ottenne il 47,9%, contro il 43,2% di Mugabe. Terzo incomodo Simba Makoni, indipendente già esponente del ZANU-PF, con l'8,3%.

I sostenitori di Tsvangirai accusarono apertamente la Commissione elettorale di brogli, in quanto il candidato di MDC avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi. Il ballottaggio si svolse in un clima infuocato, con numerose violenze ai danni dei militanti di MDC. Tsvangirai, per evitare ulteriori violenze, preferì inviate i propri sostenitori a non partecipare al ballottaggio. Al ballottaggio Mugabe, privato di concorrenti effettivi, ottenne l'85% dei consensi.[5]

Alle successive elezioni del 2013, Mugabe ottenne il 61,9% dei voti contro il 34,4% di Tsvangirai.

Il 19 novembre 2017, pochi giorni dopo il colpo di Stato militare contro Mugabe, quest'ultimo viene espulso dal partito, sostituito da Emmerson Mnangagwa, ex Ministro della Difesa che godeva dell'appoggio delle Zimbabwe Defence Forces.[6]

Con l'ascesa al potere di Mnangagwa poco cambia nel sistema politico dello Zimbabwe, ancora dominato in modo dispotico dallo ZANU-PF, dal lato delle libertà civili si assiste ad una diminuzione dell'autoritarismo, riguardo all'economia invece la situazione rimane disastrosa.[senza fonte]

Mnangagwa vinse le elezioni del 2018 e del 2023, contestate entrambe dall'opposizione guidata da Nelson Chamisa, che le definì fraudolente.[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ S. Chan - R. Primorac, Zimbabwe since the Unity Government, Routledge, 2013, p. 17. [1]
  2. ^ Drinkwater, Michael (1991). The State and Agrarian Change in Zimbabwe's Communal Areas. Basingstoke: Palgrave-Macmillan. pp. 93–96. ISBN 978-0312053505.
  3. ^ David Walker,Daniel Gray, The A to Z of Marxism, Rowman & Littlefield, 2009, pp. 338-339
  4. ^ David Walker,Daniel Gray, The A to Z of Marxism, Rowman & Littlefield, 2009, p. 339.
  5. ^ R.I. Rotberg, Mugabe Über Alles: The Tyranny of Unity in Zimbabwe, Foreign Affairs, Vol. 89, No. 4 (July/August 2010), pp. 10-18.
  6. ^ Zimbabwe, Mugabe espulso dal partito di governo: nuovo leader il vicepresidente Mnangagwa, in LaStampa.it. URL consultato il 19 novembre 2017.
  7. ^ Zimbabwe: l'opposizione non accetta la rielezione di Mnangagwa, su ansa.it.

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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