Film sulla guerra del Vietnam

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Voce principale: guerra del Vietnam.

I film sulla guerra del Vietnam costituiscono un nutrito filone cinematografico, sottogenere dei film di guerra dedicato alla guerra del Vietnam, che si è sviluppato negli Stati Uniti d'America a partire dalla fine degli anni sessanta e conclusosi sulla metà degli anni novanta; la stragrande maggioranza delle produzioni ha guadagnato riscontri positivi e spesso è stata finanziata da importanti studi cinematografici di Hollywood.

Sinossi storica[modifica | modifica wikitesto]

La guerra del Vietnam è stata portata sullo schermo per la prima volta dal film francese 317º battaglione d'assalto (La 317eme section), diretto da Pierre Schoendoerffer nel 1965, che narra delle vicissitudini di un plotone francese sperduto nella giungla indocinese, negli ultimi giorni della guerra francese in Indocina, terminata nel 1954 con la sconfitta di Dien Bien Phu. Per quanto riguarda la filmografia americana, il primo film americano di rilievo che porta il Vietnam sugli schermi cinematografici è Berretti verdi (The Green Berets), fortemente voluto dalla star americana John Wayne, che ne è anche il protagonista. Il film nasceva da una prospettiva ideologica "militante" estranea al cinema hollywoodiano: le majors infatti erano riluttanti ad affrontare temi politicamente scottanti e dagli incerti rientri finanziari.

Solo dalla seconda metà degli anni settanta, Hollywood si approprierà del Viet-movie e ne farà un filone di successo. I Viet-movies possono essere distinti in tre categorie[1]: la prima è una fusione tra film di guerra classico e film d'azione, in cui è in gioco il raggiungimento di un fine superiore. A questa tipologia appartengono Berretti verdi, Vittorie perdute (Go Tell the Spartans) (1978, Ted Post), Hamburger Hill: collina 937 (Hamburger Hill) (1987, John Irvin), le serie Rambo e Rombo di tuono (Missing in Action), interpretati rispettivamente da Sylvester Stallone e Chuck Norris. Berretti verdi utilizza tutto l'arsenale retorico delle pellicole degli anni quaranta e anni cinquanta sulla seconda guerra mondiale. Collocata in tutt'altro contesto, questa retorica risulta inevitabilmente anacronistica. La ferita della prima grande sconfitta militare degli Stati Uniti è ancora una ferita aperta nell'opinione pubblica americana.

Vittorie perdute è ambientato nel Vietnam del 1964 e calca sulla differenza ideologica tra la "giusta" seconda guerra mondiale e lo "sporco" conflitto vietnamita. Durante la guerra, Hollywood evitava di prendere posizione, al contrario di quanto era avvenuto durante il conflitto mondiale o anche durante la recente guerra di Corea. Il Vietnam veniva comunque citato indirettamente in alcune produzioni indipendenti, per lo più legate alle controculture giovanili. Ad esempio, in Alice's Restaurant i giovani hippies escogitano mille trucchi per non farsi arruolare (lo stesso tema sarà ripreso poi in altre produzioni quali Un mercoledì da leoni o Hair). In Ciao America!, un ancora sconosciuto Robert De Niro è protagonista di una scena "politicamente scorretta" costringendo una giovane prigioniera vietcong a spogliarsi davanti alle telecamere.

Nello stesso periodo, i registi più radical inaugurano il filone del western revisionista, visto cioè dalla prospettiva dei vinti: i massacri di gente indifesa nei villaggi indiani in film come Piccolo Grande Uomo o Soldato blu possono essere visti come metafore della sistematica distruzione dei villaggi vietnamiti ad opera delle truppe americane. Nel periodo della presidenza reaganiana il cinema americano ormai è maturo per una riflessione sul recente passato. Gli anni ottanta sanciscono per Hollywood il recupero di alcuni principi del cinema classico: rigida organizzazione industriale, scrittura trasparente e narrazione forte. Lo spirito revanscista americano è incarnato dai primi due film della serie Rambo (1982 e 1985). La seconda categoria è incentrata sugli effetti generati dalla guerra e sui tentativi di reazione dei personaggi: il filone dei reduci si apre con un soldato morto che rientra in patria da vampiro in La morte dietro la porta di Bob Clark, ma la serie è lunghissima.

Gli esempi più significativi in questo senso sono Tornando a casa (1978, Hal Ashby), Taxi Driver (1976, Martin Scorsese) e Il cacciatore (1978, Michael Cimino). Le difficoltà di reinserimento sociale dei reduci erano state esplorate precocemente da Hi, Mom! (1969, Brian De Palma), una black comedy in cui Robert De Niro fallisce i suoi tentativi di ritrovare i ritmi quotidiani della vita civile. Dopo aver provocato un attentato dinamitardo, ad una troupe televisiva accorsa sul posto De Niro si presenta come un testimone oculare e rivolge un saluto alla madre, come i soldati intervistati al fronte indocinese. Isolato è anche il tono da commedia de Gli amici di Georgia in cui Arthur Penn ci mostra un reduce che torna con moglie vietnamita e due figli al seguito. Sempre Robert De Niro incarna la figura del reduce in Taxi Driver, che racconta la vicenda dell'alienato e paranoico Travis Bickle.

I riferimenti al Vietnam sono limitati e indiretti, ma «a Travis [...] sono rimasti i segni dell'esperienza passata: la disciplina militare, l'azione in battaglia, il senso di precarietà che è tipico del soldato in guerra, hanno lasciato delle tracce interiori e l'insonnia ne è in qualche modo l'aspetto visibile». Il ruvido realismo di Taxi Driver costituisce una delle interpretazioni più inquietanti e riuscite della figura del reduce: le difficoltà di adattamento sociale di Travis vengono picarescamente risolte con un'azione violenta, come ha imparato dalla legge della guerra. Tornando a casa è incentrato sul triangolo amoroso tra Sally (Jane Fonda), suo marito Bob (Bruce Dern) e il fisicamente menomato Luke (Jon Voight). Bob parte per il Vietnam e ne ritorna mentalmente stravolto: è incapace di reagire alla propria menomazione e si suiciderà. Luke inizia a vivere costruttivamente, lottando per la causa pacifista. Sally attua un processo di liberazione attraverso il rapporto sessuale con Luke, portatore di nuovi valori morali.

La terza categoria, infine, riporta la guerra vietnamita a una dimensione emotiva e mentale: a titolo esemplificativo possono essere citati Apocalypse Now (1979, Francis Ford Coppola), Platoon (1986, Oliver Stone) e Full Metal Jacket (1987, Stanley Kubrick). Apocalypse Now e soprattutto Full Metal Jacket pongono il Vietnam in una dimensione simbolica e interiorizzata. La guerra non è un rito di passaggio alla Remarque: il Vietnam è lo sfondo di una crisi interiore, che colpisce personaggi già adulti. Il disincantato pessimismo che caratterizza queste pellicole è, probabilmente, il miglior linguaggio cinematografico per esorcizzare quella che è stata la prima pesante sconfitta delle forze armate americane.

Le opere[modifica | modifica wikitesto]

I film per il cinema[modifica | modifica wikitesto]

Questa lista è suscettibile di variazioni e potrebbe essere incompleta o non aggiornata.

Film per la TV[modifica | modifica wikitesto]

C'è da segnalare che la maggior parte delle serie televisive prodotte negli Stati Uniti tra gli anni settanta e i primi anni ottanta presenta tematiche riguardanti i reduci della guerra del Vietnam, in particolare il difficile reintegro dei reduci all'interno della società. Serie in particolare che trattano dell'argomento sono: Magnum, P.I., A-Team, Simon & Simon, Riptide, Ai confini della realtà mentre in molte altre vi sono comunque riferimenti alle vicende belliche.

Documentari televisivi[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Stefano Ghislotti: «Il cinema americano e la guerra del Vietnam», in Vietnam e ritorno. La guerra sporca nel cinema, nella letteratura, nel teatro, nella musica e nella cultura bellica degli Stati Uniti, a cura di Stefano Ghislotti e Stefano Rosso, Marcos y Marcos, Milano 1996, pagg. 15-42
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n inedito in Italia

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Stefano Ghislotti, Stefano Rosso (a cura di), Vietnam e ritorno. La guerra sporca nel cinema, nella letteratura e nel teatro, Marcos y Marcos, Milano, 1996, ISBN 9788871681474.
  • Antonio Raimondi e Rocco Raimondi, Dove sono finiti i fiori?, Italy, 2020, ISBN 979-8651890200.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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