Utente:Zuffe/Sandbox

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Rugby[modifica | modifica wikitesto]

Dopo una prima esperienza a cavallo tra gli anni 70 e 80, il 22 agosto 2011, è stata fondata la società Rugby Lodi A.S.D.[1], con l'obbiettivo di riportare in città questo sport, assente da 25 anni. La squadra ha come simbolo la fenice proprio per sottolineare questa continuità con il passato. Il 15 gennaio 2012 si è svolta la prima amichevole con il Crema Rugby Club 1977[2], formazione che milita nel campionato di Serie C. Il 21 gennaio 2012, la società lodigiana ha formalizzato un accordo per entrare a far parte della franchigia degli Aironi Rugby, una delle più importanti squadre italiane di rugby a 15.[3][4]. All'evento ha partecipato una delegazione della dirigenza della società mantovana e il giocatore della nazionale Kaine Robertson[5].

Chiesa di San Cristoforo (Lodi)[modifica | modifica wikitesto]

Le attuali chiesa e convento di San Cristoforo vennero costruite sul luogo dove sorgevano una chiesa e convento con la stessa dedicazione, che risalivano al XIII-XIV secolo e appartenevano all'ordine degli Umiliati. Nel XVI secolo la chiesa e l'annesso convento entrarono in possesso dei monaci Olivetani, i quali decisero di ricostruirle entrambe. Nel 1564 venne posata la prima pietra della chiesa (ricostruita su un edificio precedente) e ultimata nel 1586. Il progetto é stato attribuito a Pellegrino Tibaldi. La costruzione del monastero iniziò nel 1587 e si concluse circa una decina d'anni dopo. Nel 1798 il monastero venne soppresso e adibito dai francesi ad alloggio per la cavalleria e a carcer militare, mentre la chiesa venne sconsacrata ed utilizzata come magazzino. Nel 1810 con l'allestimento, nel vicino convento di San Domenico, della scuola di equitazione francese, la chiesa di San Cristoforo divenne una scuderia e il monastero fu adibito a caserma militare per tutto il XIX secolo. Dopo la seconda guerra mondiale il monastero diventò alloggio di fortuna di alcune famiglie e continuò il suo declino. Nel 1956 la chiesa entrò in possesso dei padri francescani e venne riaperta al culto. In seguito tutto il complesso é stato dato in comodato d'uso al Comune di Lodi fino agli anni '90: dal 1987 la chiesa venna destinata a manifestazioni artistiche e culturali. Nel 1998 la Provincia di Lodi ha acquistato gli immobili dei conventi di S.Cristoforo e S. Domenico per adibirli a sua sede. Nel 2000 sono iniziati i lavori di ristrutturazione che si sono conclusi nel marzo del 2004.

L'architettura

La chiesa di San Cristoforo ha una pianta a navata unica: sui lati si aprono tre cappelle laterali per parte e il coro é concluso da un'abside semicircolare. All'incrocio del transetto con il coro s'innesta un'ampia cupola su alto tamburo aperto da finestre mentre la navata é coperta da volta a botte. Il convento, a destra della chiesa, si articola su due piani ed ha un cortile colonnato. Le colonne in granito, eleganti nel modulo allungato, poggiano su alto basamento e sostengono arcate a tutto sesto. Gli archi sono sottolineati da esili profili che sono ripresi come elemento marcapiano lungo tutto il perimetro del portico. La parte più antica é quella opposta al lato di ingresso che si presenta completa con un corpo centrale sopraelevato e portico sui lati. Questo spazio riceve luce dalle finestre a oculo poste nella parte alta e una grande porta finestra posta in testata. Lungo le pareti del salone si aprono da entrambi i lati vani coperti a crociera, forse un tempo dormitori, essendo gli attuali muri divisori aggiunte posteriori.

http://www.turismo.provincia.lodi.it/TPL_artestoria_NOTIZIA_1.asp?IDNotizia=586&IDCategoria=614

Cucina lodigiana[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina piacentina.
Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina parmigiana.

La cucina lodigiana è quella tipica casalinga della Bassa padana. Le sue caratteristiche peculiari sono la genuinità, la semplicità e la gustosità. In ciò si avvale di quanto la "fertile terra laudense" offre al meglio. Senza proporre piatti raffinati la gastronomia del territorio si presenta comunque con cibi "sostanziosi e gagliardi", resi quasi nobili dai tre principali ingredienti che, da sempre, sono vanto e lustro della zona: il burro, il formaggio e gli insaccati di maiale. In sostanza una cucina che rispecchia la vocazione agricola del Lodigiano, ricca di piatti che sono il frutto della sapiente elaborazione dei prodotti di cascina. Da sempre infatti il territorio è conosciuto per l'autenticità dei suoi alimenti.

Tralasciando l'analisi della quasi inesistente documentazione storica relativa al periodo più antico - troppo generica e comunque poco significativa per far piena luce sulle abitudini alimentari degli abitanti originari del Lodigiano - è verosimile supporre che le dominazioni subite dal nostro territorio come le dinastie milanesi dei Visconti e degli Sforza (in epoca tardo medioevale), degli spagnoli ed austriaci (in età moderna), dei francesi ed ancora gli austriaci (in secoli più recenti), abbiano esercitato qualche condizionamento sulla formazione di una tradizione gastronomica locale. Il Riso con salsiccia alla lodigiana, un piatto già noto nel Seicento e proveniente dalla cucina spagnola, rappresenta un tipico esempio di quanto esposto in precedenza.

La "condizione gastronomica" attuale propone spesso piatti provenienti dall'antica tradizione del territorio, ma sempre meno cucinati: ad esempio sono quasi del tutto dimenticati "alimenti" come i Turtin fatti con il rosso del "primo sangue" di oche, anitre, tacchini e maiali. Tuttavia sulle tavole dei lodigiani, in alcune trattorie e in qualche ristorante compaiono ancora molti dei tipici piatti locali. Questi ultimi si possono ripartire secondo l'ordine classico dei menu: antipasti, primi, secondi, formaggi e dolci.

Antipasti[modifica | modifica wikitesto]

Negli antipasti il posto d'onore spetta alla frittata cucinata in tanti modi: Cun le sigule, Cun le urtis (punte di sottilissimi asparagi che crescono spontaneamente lungo le rogge), En carpion (macerata nell'aceto di vino bianco), Cun sigule e spinasi, Rugnusa (con la lugàniga). Seguono poi Cudeghin e Sampon lessadi (cotechino e zampone lessati), il pesce En carpion (marinato) i Ciudin (funghi) e i Peveron (peperoni) sott'olio.

Primi piatti[modifica | modifica wikitesto]

Secondi piatti[modifica | modifica wikitesto]

Dalla fantasia della cuoca rurale provengono secondi piatti appetitosi e invitanti alla vista e all'olfatto: la Trippa de San Bassan, d'obbligo il 19 gennaio festa del Patrono, e la Supa di morti (fagiolini all'occhio, cotenne e costine di maiale, cipolle, sedano, burro e olio) da gustarsi il 2 novembre. Le polpette facili da preparare: oltre a quelle di carne trita, ecco quelle di verza, di melanzane (marisan) e le Pulpete ligade (fettine di lonza con il ripieno di formaggio grana, pane grattuggiato, salsiccia fresca, arrotolate e legate con filo di refe). Le rane, altro piatto campagnolo e di poca spesa (soprattutto quando questi batraci si trovavano non solo nelle risaie ma anche sulle rive dei fossi), cucinate In umid (con sugo) o Imburaciade (impanate e fritte). I "ruspanti" (galline, capponi, faraone, tacchini e galli) lessati o arrostiti, spesso con il ripieno di carne, fegatini e regaglie, dove un amaretto triturato dona loro un sapore particolare. L'anatra cucinata in salmì, con le verze o al forno; il coniglio (dunel) in umido o in arrosto; i selvatici (lepre, fagiano ecc.) oltre che in arrosto hanno variazioni locali (ad esempio la Legur cun el vin bianc). Fra i piatti più curiosi (alcuni dei quali oggi non più cucinati), ricordiamo gli Uselin de scapada (uccellini di fretta) che non sono passeracei ma involtini fatti con pancetta, fegato e lombo di maiale, tagliati a dadi con l'aggiunta di una foglia di salvia. Così El ragò (pezzi di pollo in umido con polenta), El ragò de massole (durelli) El salamin cun le verse, L'oca ne l'ula (pezzi di oca immersi nel grasso fritto, conservati in un grosso vaso di coccio: vengono cucinati con quel grasso cui si aggiungono un po' di burro, le verze e serviti poi con la polenta); e la nota Cassöla (costine di maiale con le verze). Negli "alessi" tutte le carni e tutti i tagli compresa la coda, le gambe e la testa. Fra i piatti stagionali quelli con i funghi , le rane e le lumache. Per i pesci oltre a quelli "in carpione" (con l'aceto) troviamo le carpe al forno, le trote al forno o lessate, le anguille in umido o fritte e lo storione. La polenta si accompagna con tante pietanze o più semplicemente con il latte. Piatto notevole è la Pulenta pastissada, fatta con sugo, carne trita, burro, sfoglia di formaggio (raspadüra) posta a strati sulla polenta.

Contorni[modifica | modifica wikitesto]

Come contorni le tante verdure ed erbe: dalla cicoria selvatica alle ravizze (lessate e condite con olio e limone); la salsa verde (prezzemolo tritato e fatto macerare nell'olio); zucchetti (Suchin inpanadi) fiori di zucca impanati e fritti; Nusete (noci) de marisan (melanzane); Peverunada (peperonata), i Versin en criculon (verze accosciate) ecc.

Formaggi[modifica | modifica wikitesto]

Dolci[modifica | modifica wikitesto]

Hanno largo spazio pure le torte casalinghe: Cui piri, Cui pumi, De la zia, Di angiuli, De pan de melga ecc., poi El cruccant (mandorle e zucchero), le ciacere, le castagnole e le Gasse in tempo di carnevale; i Chissulin, la Chissola, la Bertuldina, i Meini (tradizionali per il giorno dei defunti), El caulatt (rosso d'uovo, zucchero, cacao amaro, panna e lauro), le Pulpete de persegh, la Pucia dulsa (tuorli e chiari d'uovo, zucchero, mascarpone e rhum) El strachin gelad (mandorle tostate, burro, panna e cioccolato fondente).

Quasi completamente dimenticati sono il Purè de castegne, Pan e vin, il Must de vin (mosto di vino da poco pigiato, farina bianca, cioccolato fondente, amaretti, rosolio e savoiardi), El pan de morcia: fondi dell'olio di lino (linusa) farina gialla, farina bianca e semi di finocchio (erba buna).

Foresta di Pianura[modifica | modifica wikitesto]

Il Comprensorio della Foresta Il territorio che accoglie la Foresta di Pianura, è sito in prossimità del centro abitato della città di Lodi, verso la zona golenale del fiume Adda. Percorrendo la via Vecchia Cremonese, lungo il margine alto del "Terrazzo Morfologico Fluviale", essa lascia intravedere al suo piede una pianura ricca di coltivi e corsi d'acqua, i quali hanno aiutato nei secoli gli agricoltori a bonificare e mantenere fertili le aree "Golenali", un tempo ricche di paludi e acquitrini.

La Roggia Molina è la testimonianza di un passato lontano, durante il quale l'antica città fortificata di Lodi lasciava defluire le acque delle paludi circostanti lungo le sue mura e bastioni fino a immettersi nel fiume Adda.

Oggi il tratto cittadino della roggia è ormai quasi tutto ricoperto da strade e abitazioni, ma appena la città cede il passo alla campagna il vecchio corso emerge districandosi tra cascine e campi coltivati come un tempo.

Il "salto", o Terrazzo Morfologico, inciso nella pianura dalle vecchie sponde del fiume Adda, è ben visibile in prossimità delle cascine Coldana, Costino, e dell'entrata ciclopedonale al comprensorio della Foresta sul lato sud/est, nelle vicinanze dei piccoli laghi artificiali. Esso testimonia come la convivenza tra l'uomo ed il fiume, si sia sempre fondata su strette simbiosi e taciti accordi.

L'Ambiente Naturale circostante Il contesto naturale in cui è inserita la Foresta di Pianura, è indissolubilmente legato all'acqua. Essa è presente nell'alveo del fiume Adda, scorre all'interno di colatori e rogge interpoderali, emerge sottoforma di sorgenti e risorgive al piede del terrazzo morfologico.

L'acqua da sempre, in queste zone, è stata un elemento complementare dell'attività umana, offrendo preziosa forza ai mulini e redditività ai terreni; ma al tempo stesso è stata una forte oppositrice all'aratro, laddove con la sua presenza rendeva i terreni paludosi e liberi di poter accogliere piante ed animali tipici di questi ambienti fluviali.

E' possibile incontrare, durante una passeggiata, alberi o animali isolati, o imbattersi in piccole comunità di grandi alberi misti a boscaglia, o in stormi di uccelli in volo o intenti alla ricerca di cibo, sparsi qua e là tra coltivi e canneti.

A parte la presenza della futura Foresta, il territorio conserva ancora molteplici segni e presenze di un ambiente originario che si è preservato in un bosco vicino ad una sorgente o lungo le sponde del fiume Adda.

Uno degli obiettivi che la foresta deve conseguire nel tempo è quello di divenire un ambiente ospitale per tutte le forme di vita autoctone, che oggi sono sparpagliate sul territorio in piccole comunità. Al tempo stesso viene offerto ai visitatori la testimonianza di un elemento del paesaggio che, fino a ieri, era parte integrante degli ambienti periurbani ed agricoli e che in futuro rappresenterà uno degli ecosistemi naturali più importanti della provincia.


Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Alberto Belloni, Rugby, Lodi riscopre la palla ovale, in Il Cittadino, 05 ottobre 2011, p. 34.
  2. ^ Cesare Rizzi, Lodi scopre quanto è dura la palla ovale, in Il Cittadino, 22 gennaio 2012.
  3. ^ Sabato la presentazione dell'accordo Aironi - Rugby Lodi, su aironirugby.eu, Aironi Rugby, 17 gennaio 2012. URL consultato il 20 febbraio 2012.
  4. ^ Il Rugby Lodi nuovo socio fiancheggiatore, su aironirugby.eu, Aironi Rugby, 21 novembre 2011. URL consultato il 20 febbraio 2012.
  5. ^ Cesare Rizzi, Per Lodi un gemellaggio illustre: la "fenice" ora vola con gli Aironi, in Il Cittadino, 23 gennaio 2012.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Ernesto Carinelli, Sandro De Palma; Giorgio Granati, Lodi Murata - Sistema difensivo e parti sotterranee, Il Pomerio, 2006, ISBN 88-7121-448-X.

Sezione ceramica[modifica | modifica wikitesto]

La collezione è costituita da reperti di scavo che risalgono al periodo fra il XV e il XVII secolo, provenienti da fabbriche lodigiane, pavesi e di altri centri del nord-Italia, e documenta l'evolversi della tecnica artistica dal XVII secolo al Novecento. Questa sezione nacque nel 1958 e si ampliò di molto nel 1975, grazie ad un cospicuo lascito. Tra le fabbriche di ceramica attive a Lodi già nei tempi più antichi, si ricorda la fabbrica Coppellotti, il cui fondatore fu Giovanni, attivo fino al 1687; a lui successe Antonio Maria, ricordato nel 1712. Nei caratteri della loro maiolica sin dai primi del '700 si ritrova il monocromo turchino, il decoro all'italiana con motivi di rovine e fiori, quello alla francese, il ricorso alla cineseria ed infine la cottura a gran fuoco; verso il 1735-40 fu introdotta nella produzione la policromia. La fabbrica Rossetti è legata al nome di Giorgio Giacinto attivo a Lodi dal 1729; quella Ferretti è diretta prima da Simpliciano, poi da Antonio, alla cui produzione si associa la definizione comune di maiolica "Vecchia Lodi". La produzione ottocentesca è dominata dalla fabbrica dei Dossena, che si caratterizza per gli smalti lucentissimi e indelebili e per un decoro eclettico e vario, spaziando dai piatti alle statuette, dai servizi da tavola alle giardiniere.

L'esposizione si articola lungo tre sale, il criterio espositivo è quello cronologico.

Nel primo ambiente segnaliamo tra i pezzi esposti: un “grande piatto tondo da parata”, splendido esempio della complessità inventiva raggiunta dai ceramisti lodigiani nell'interpretazione del decoro "alla Rouen"; probabilmente dipinto da Giorgio Giacinto Rossetti è databile 1730-'35 (n.9), così come i due grandi piatti a bordo sagomato e cordonato, magnifici esemplari per forma e decoro; dal punto di vista tecnico, notevole è la bellezza dello smalto bianco latteo, uniforme e vellutato (nn.39-40); una “fontana con coperchio e bacile”, che serviva come contenitore d'acqua per un rapido lavaggio delle mani. Su una base asimmetrica a fiamme (corolle di fiori), forata per l'inserimento del rubinetto, si eleva il corpo panciuto in basso e rastremato verso l'alto, percorso da due modanature verticali che continuano sul coperchio a cupoletta centinata, sulla cui sommità è seduta una figura orientale stupendamente modellata. Sul corpo, in monocromia turchina, è dipinto il Trionfo di Galatea, racchiuso in una cornice decorata sia da ornati rococò, lumeggiati in uno smagliante colore giallo dorato, sia da festoni di fiori in vivacissima policromia. Il coperchio è illustrato da due amorini in volo nell'atto di travasare dell'acqua. Il fondo bacile, reca dipinta, fra due ancelle, una figura femminile seminuda appena uscita dal bagno. Le forme nonostante inducano al gusto Rococò, corrispondono ad un impianto pittorico palesemente neoclassico (n.25); un “sontuoso vaso in maiolica”, a smalto bianco e decoro turchino, che muove da una base esigua e piatta per snodarsi, dopo un esile raccordo a rocchetto, in un ardito sviluppo a calice che culmina con larga fascia anulare e incorpora le due anse modellate a foglie d'acanto. Il coperchio, a terminazione cuspidata, arieggia gli slanci delle pagode orientali. L'impianto decorativo, mutuato dalle fabbriche francesi di Rouen e di Moustiers, compendia, associandoli, elementi vegetali e geometrici reinterpretati alla maniera di Lodi. Graticci a losanga mascherati da vasi simbolici, reggono profusi festoni fogliati e floreali, esaltati dal candore dello smalto scintillante. La stesura è giocata sulle gradazioni del blu; dal ceruleo al turchino cupo (n.340); ”otto ambrogette” di forma ovale con scene di significato allegorico ed una mitologica. Sono circondate da un rilievo modanato, che funge da vera e propria cornice, terminante in un fastigio asimmetrico a fiamma. Deliziose ed originali forme di transizione fra il Rococò e lo stile neoclassico, create dal Ferretti a scopo puramente decorativo (nn.20-21); un “grande piatto ottagonale” con la tesa liscia e con bordo delimitato da una cordonatura a rilievo, coperta da una decorazione geometrica floreale di derivazione francese (Rouen). Il cavo è occupato da una vertiginosa decorazione a volute, ad arabesco e conchiglie che fa da cornice ad un paesaggio con lago, castello e colline sullo sfondo. Sia la complessa interpretazione dei motivi d'oltralpe, sia il delicato paesaggio inseritovi, costituiscono un'originale invenzione "rossettiana" (n.243); una “targa rettangolare” a smalto bianco in monocromia turchina. Il decoro a grottesche "alla Rouen", si rifà al gusto delle manifatture francesi di Moustiers. Sorretta da due mostri alati, è raffigurata una scena di supplizio compiuta da Indiani Pellerossa; essa fa da centro ad un'animazione di figure sorrette da mensole precarie e da drappeggi (Lambrequins) calanti dall'alto. Lo scenario armonioso alterna in modo speculare: medaglioni con busti femminili, amorini in atteggiamenti disinibiti, sirene, mascheroni ed armigeri. Il tutto espresso in una sintesi esemplare d'equilibrio dinamico (n.16); una “targa” - firmata Paolo Milani e datata 1773 - con scena pastorale arcadica, probabilmente ispirata alle incisioni di Francesco Londonio. Delineata in monocromia ad oro fino su maiolica a smalto bianco, presenta effetti chiaroscurali ottenuti sfruttando le varie gradazioni dell'oro. A ben osservare, il capolavoro dà più l'impressione di una raffinata incisione, che di un dipinto su smalto. La minuziosità e il rigore descrittivo hanno pochi confronti nell'ambito vascolare (n.17); una “zuppiera con scaldavivande e coperchio”, decorata con fiori in monocromia verde smeraldo profilati in manganese, composta di tre elementi sovrapposti. La base, alquanto panciuta, presenta modanature verticali che partono dai quattro bassi piedi; il corpo mediano, con funzione di scaldavivande, è molto rastremato verso la bocca sulla quale appoggia il coperchio leggermente bombato (n.22); ”otto formelle ovali” con bordo in nero e oro. Create forse per essere inserite in un mobile, sono decorate con composizioni di fiori dipinti "al naturale" senza contorno. Le grandi varietà delle composizioni, testimoniano la straordinaria inventiva e la grande maestria degli illustratori operanti presso la fabbrica di A. Ferretti. La freschezza e la vivacità dei colori stesi in una gamma sorprendentemente ricca sugli smalti candidi e luminosi, conferiscono alle composizioni floreali un risalto prorompente, assolutamente inalterato dal tempo, essendo la maiolica immune da ossidazione o patina (nn.143-148).

Nelle ultime due sale sono esposti i pezzi relativi alla donazione Robiati. Tra questi, esemplare di eccezionale importanza, è un grande “centro tavola”. Su un basamento ovale fortemente sagomato, delineato all'esterno da un tondino dipinto a foglie e da un cordone a rilievo, che si interrompe ai quattro punti cardinali formando volute a riccioli contrapposti, si elevano quattro sostegni, formati da complessi ornati rococò, sui quali doveva appoggiare probabilmente un vassoio. Il decoro testimonia gli stretti rapporti con la cultura fittile d'oltralpe giacché compendia i dettami stilistici di Rouen e di Moustiers. Riporta l'indicazione: "A.M.C.(intrecciate) / Giuseppe Codazzuro modellatore / Luigi Morsenchio pitore feccero / nella fabricha Copelloti / 1743." Questa iscrizione ha permesso di assegnare con certezza il monogramma AMC alla fabbrica di Antonio Maria Coppellotti. Prima del suo ritrovamento, infatti, le maioliche contrassegnate da questa sigla erano attribuite a Milano o ad una fantomatica quanto inesistente fabbrica lodigiana del "Moro" (n.239).


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