Utente:Vinyadan/Italia (epoca romana)

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Tappe della conquista romana dell'Italia.

In epoca romana, la nozione di Italia si evolse negli ultimi secoli della Repubblica e poi sotto l'Impero fino a designare la penisola nella sua totalità, dalla punta calabra, allora Bruzio, fino alle Alpi, ma non coprì mai le isole, se non dopo Diocleziano.

L'Italia fu il primo campo di espansione del potere romano e fu integrata allo Stato secondo modalità variabili: colonie romane e latine, trattati di alleanza (foedus) e confisca del territorio.Si trattava di un territorio molto vasto e contrassegnato da una notevole varietà etnica e sociale. Pur conservando dei forti particolarismi locali, l'Italia romana sin dalla fine della repubblica subì un processo di unificazione sotto un unico regime giuridico.

L'Italia centrale e meridionale non furono mai considerate una provincia romana; questo termine fu sempre riservato all'amministrazione dei territori non italici. La parola provincia è utilizzato talvolta da alcune fonti di epoca tardoromana in relazione all'Italia; in questi casi non aveva tuttavia il senso tenico-amministrativo, bensì quello più largo di "territorio", o quello di "distretto governato da un magistrato".

Questo stato di cose rimase immutato anche quando, dopo la Tetrarchia, l'Italia non ebbe più nessun privilegio effettivo rispetto alle province; il potere romano evitò comunque la parola provincia, sostituendole "regione" (regio, regiones).

Nel Digesto, di epoca giustinianea (533 d. C.), si legge invece dell'Italia come di una provincia, e del magistrato a essa preposto, il prefetto. Un uso più antico del termine provincia applicato all'Italia si trova sotto la Repubblica, utilizzato nell'ambito della gestione delle foreste della penisola.

Il concetto di stato-nazione è senz'altro anacronistico riguardo al mondo antico, tuttavia la memoria storica dell'Italia romana venne particolarmente evocata durante il risorgimento, nel periodo di formazione della nazione italiana moderna.

Epoca repubblicana[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica romana.

Roma e l'Italia peninsulare: dal 509 al 264 a.C.[modifica | modifica wikitesto]

L'Italia pre-romana.
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Repubblica romana (509-264 a.C.).

Si stima che in Italia vivessero all'inizio del sesto secolo a. C. all’incirca 3 milioni di abitanti, di cui:

• 130.000 Lucani

• 570.000 Siculi

• 450.000 Messapi

• 200.000 Bruzi,

• 200.000 Campani e 300.000 Sanniti

• 250.000 Osci.[1]

A questi si aggiungevano all’incirca 600.000 Etruschi ed 1 milione di cittadini greci (di cui però soltanto una piccola parte poteva vantare discendenze greche; gli abitanti delle grandi metropoli magnogreche erano perlopiù italici ellenizzati).[2] Con l’ascesa di Roma ebbe inizio il primo processo di unificazione culturale e politica della Penisola.

I territori acquisiti mediante la guerra passavano alla proprietà del popolo romano ed erano definite perciò ''ager publicus''. Questo veniva assegnato, in proprietà o in affidamento a comunità, attraverso la fondazione di colonie, o a singoli. La fondazione di più di trecento colonie di diritto latino, città stato autonome i cui cittadini provenivano dal Lazio e legate a Roma da trattati che ne regolamentavano il commercio, la difesa e i rapporti esteri[3], giocò un ruolo chiave nella trasmissione dell’identità culturale romana nelle regioni in cui venivano istituite.

Accanto all'istituto della colonia esistevano le assegnazioni viritane del territorio: l'ager publicus veniva affidato non a città, come al momento della fondazione di una colonia, ma a singoli, dipedenti direttamente da Roma; un caso frequente era quello di soldati che, dopo la fine del servizio militare, ottenevano un appezzamento.[4]

Poco prima della prima guerra punica, al momento della fondazione di Ariminum (nel 268 a.C.), la superficie dei territori annessi a Roma era giunta a circa 25.000 km². Dato che un terzo dei nuovi territori era di proprietà dello stato, la superficie dell'ager publicus era costituita da più di 800.000 ettari, determinando il moltiplicarsi sia dei piccoli poderi degli agricoltori liberi attraverso le assegnazioni viritane, sia la formazione di grandi proprietà terriere da parte delle classi sociali elevate.

Lo stesso argomento in dettaglio: Ager publicus.

Fra seconda guerra punica e guerra sociale: dal 264 al 31 a.C.[modifica | modifica wikitesto]

Mappa della confederazione romana nel 100 a.C. I possedimenti romani (grigio-blu) e le colonie latine (rosso scuro) erano localizzati nei punti strategici della penisola. I territori degli alleati sono evidenziati in rosso chiaro
Lo stesso argomento in dettaglio: Province romane.

Nel III secolo a.C., nonostante l'opera di conquista dell'Italia da parte di Roma fosse quasi ultimata, non vi esisteva ancora un sentimento di appartenenza comune. Fu la seconda guerra punica a porne le basi. Dopo la sconfitta di Annibale, i romani si rivalsero infatti sui popoli che, pur essendo sottomessi a Roma, si erano ribellati e coalizzati con Cartagine. Alcune città del sud Italia furono rase al suolo, mentre i pochi Galli rimasti nella Gallia cispadana furono completamente annientati. Inoltre, moltissime comunità, sia del nord che del sud, furono forzatamente sradicate dalla loro patria natia e deportate altrove[5]. I Liguri Apuani, ad esempio, furono deportati in massa (47.000 persone) nel Sannio e nella Campania. Il processo di romanizzazione e di omogeneizzazione della penisola iniziò a questo punto a dare i suoi frutti. Nel Meridione, ad esempio, gli aristocratici italici iniziarono ad organizzare matrimoni misti con le aristocrazie romane ed etrusche, al fine di creare intrecci coniugali che garantissero la strutturazione di legami di sangue in tutta la penisola. Questi legami ebbero talmente tanto successo che, a partire dal I secolo a.C., numerosi personaggi politici di primo piano potevano annoverare tra i loro antenati famiglie etrusche, sannite, umbre e via discorrendo.[6]

È importante notare che nell'antichità la Sicilia e le isole di Corsica e Sardegna non erano considerate come parte dell'Italia. Soltanto nel 292 d.C., sotto Diocleziano, le provincie di Sicilia e Sardegna e Corsica verranno annesse alla "Diocesi Italiciana"[7].

Il Norditalia[modifica | modifica wikitesto]

I confini d'Italia, nel nord della penisola, ebbero a loro volta aspetto mutevole. Il territorio era conteso da diverse popolazioni: Liguri, Veneti ed Etruschi prima, poi Galli e Romani. La presenza dei Galli fu sufficientemente lunga affinché il nord della penisola fosse considerato per molto tempo come parte della Gallia e chiamato Gallia Cisalpina, la Gallia al di qua delle Alpi. Con questo nome, il territorio compreso tra il fiume Adige a est, le Alpi a nord e ad ovest e il Rubicone a sud fu l'unica parte dell'Italia continentale ad essere, per un certo periodo, governata come una provincia romana; fra gli altri, Gaio Giulio Cesare fu proconsole della Gallia cisalpina dal 58 al 49 a. C.. Intorno al 42 a.C., questa provincia venne abolita e divenne a pieno titolo parte d'Italia. Le sue città avevano già ottenuto la cittadinanza romana da Cesare nel 49 a. C., attraverso la Lex Roscia.

La conquista romana dell'Italia a nord degli Appennini sostituì il precedente ordinamento a carattere tribale delle popolazioni celtiche, retiche e venete. Anche il paesaggio della Pianura padana venne pesantemente modificato e il territorio fu ridisegnato attraverso il sistema della centuriazione. L'ager centuriatus veniva tracciato dall'agrimensore, che individuava l'umbilicus agri, cioè il punto in cui si sarebbero incrociati due assi assi stradali perpendicolari tra loro: il primo era generalmente in direzione est-ovest ed aveva il nome di "decumano massimo" (in latino, decumanus maximus), mentre il secondo correva in direzione nord-sud, ed era detto "cardo massimo" (cardo maximus). La suddivisione del territorio in appezzamenti era compiuta attraverso la realizzazione di lotti separati fra loro da decumani (assi paralleli al decumano massimo) e cardini (assi paralleli al cardo massimo). Per ragioni pratiche, l'orientamento degli assi non sempre coincideva con i quattro punti cardinali: a volte si basava sull'orientamento di vie di comunicazione preesistenti (così per le centuriazioni lungo la via Emilia) o su altre caratteristiche geomorfologiche. Si trattava di un processo già iniziato in val padana con la fondazione di colonie e che finì, al termine della conquista, per coinvolgere l'intera pianura.

In Gallia cisalpina transpadana, cioè a nord del Po, dove erano stanziati Insubri, Cenòmani e Paleoveneti, la proprietà agraria romana si sovrappose quasi pacificamente ai preesistenti sistemi tribali celtici delle tribù galliche ed ai centri abitati Venetici (popolo questo, và ricordato, assolutamente non celtico, e probabilmente di stirpe italica [8]). Roma lasciò ampi spazi alla sopravvivenza dell'insediamento originario e questo fu uno degli elementi che favorì un epilogo non violento del processo di romanizzazione.

L'intervento romano in Cispadana (attuali Emilia-Romagna e Liguria), invece, fu caratterizzato da confische agrarie e di redistribuzione di terre. Qui, all'interno della ritorsione romana contro gli alleati di Cartagine durante la seconda guerra punica, intere popolazioni vennero quasi del tutto sterminate o deportate, così da far posto a nuovi coloni romano-italici. Questa decimazione toccò prevalentemente i Boi e i Senoni tra i Celti e gli Apuani tra i Liguri, determinando un radicale sconvolgimento dell'assetto demografico di queste regioni. A questo fece seguito l'impianto di un'economia agraria, la più avanzata dell'epoca, articolata tra piccole, medie e grandi proprietà condotte come aziende a monocultura, i cui prodotti venivano quindi smerciati nei mercati urbani.

La fondazione di nuove colonie nella paianura padana portà con sé l'arrivo di numerose famiglie dall'Italia centrale e meridionale già acquisita da Roma. Le migrazioni vengono programmate con blocchi di seimila famiglie, poiché ogni famiglia era tenuta per legge a fornire un soldato, seimila famiglie fornivano seimila soldati, ovvero una legione. I coloni erano tutti volontari, rispondendo a regolari bandi del Senato romano e ricevendo un contributo per le spese di viaggio e di primo impianto. Provenivano dal centro e dal sud potevano essere ex nemici di Roma come Piceni, Equi o Sanniti, oppure cittadini romani di bassi strati sociali, allettati da una nuova autonomia economica che veniva loro garantita.

Di conseguenza l'esperienza della colonizzazione impone ai romani di portare alle popolazioni cisalpine la propria strutturazione giuridico-politica per organizzare le proprie comunità lontane e inglobare i popoli conquistati. Così, attorno alle nuove comunità, si dispongono le tribù vinte che vengono assorbite o integrate, già verso il 150 a.C. la lingua dei Galli scompare dalla Valle padana.[9] [10]

Dalla guerra sociale alla nascita dell'Impero: dal 91-88 al 31 a. C.[modifica | modifica wikitesto]

Ultimo e fondamentale passo dell’integrazione italica nel mondo romano, e dunque della conseguente fusione delle varie culture etniche in un un’unica identità politica e culturale, fu la Guerra Sociale, in cui gli Italici si coalizzarono nuovamente contro Roma al fine di ottenere la tanto agognata Cittadinanza romana. La coalizione italica perse, ma ottenne ugualmente la cittadinanza, che, nel 49 a.C., venne estesa anche ai Cisalpini, andando a coronare la tanto aspettata integrazione sociale della penisola italica.[11] Fu dopo la Guerra sociale che le differenze fra l'Italia e le province si fecero più evidenti.

Epoca imperiale (30 a. C. - 476 d. C.)[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Impero romano.

L'avvento dell'Impero sotto la guida di Augusto, campione delle tradizioni romane e italiche, rinforzò la posizione della penisola italiana. L'Italia godette per tutto il primo secolo di un prestigio ineguagliato, di forti privilegi economici e giuridici e di una posizione egemonica a livello militare così come economico nell'ambito del Mar Mediterraneo.

L'integrazione progressiva all'Impero delle province, con l'estensione della cittadinanza, il loro progresso culturale e il loro sviluppo economico e sociale, relativizzò poco a poco questa posizione italica. Nel II secolo dopo Cristo il peso delle province comincia infine a superare quello dell'Italia in diversi campi. Le province fanno infatti fronte comune per ottenere maggiori diritti e per eliminare i privilegi dell'Italia. Anche l'amministrazione dell'Italia si avvicina gradualmente a quella delle province, mentre l'esercito non è più composto in maggioranza da italici.

Le difficoltà del III secolo e le riforme dioclezianee e costantiniane mettono definitivamente fine alla supremazia italica, sebbene il ricordo del prestigio passato continui a mantenersi. L'allontanamento degli imperatori, la fondazione della nuova capitale in Oriente, Costantinopoli, e le divisioni nate dalle invasioni barbariche accompagnano un'Italia ormai impoverita e divisa all'ingresso nell'Alto Medioevo.

Occorre ricordare che, sotto l'impero, una parte dell'Italia attuale dipendeva dalle province delle Alpi, occidentali e settentriali: Alpi Cozie e Rezia.

Nel 18 d.C. siamo di fronte ad un’Italia Augustea, potente, ricca e con 10 milioni di abitanti, di cui soltanto 750.000 potevano considerarsi stranieri, in quanto schiavi, fra i quali molti erano figli di Sanniti, Umbri, Sardi e soprattutto Bruzi sconfitti secoli addietro.

L'Italia augustea (30 a. C. - 14 d. C.)[modifica | modifica wikitesto]

Cartina del nord Italia in epoca augustea
Cartina del sud Italia in epoca augustea

L'Italia costituiva il territorio di Roma (ager romanus), e in quanto tale non era una provincia. Durante il principato di Augusto l'Italia venne suddivisa al suo interno in undici Regiones (Latium et Campania, Apulia et Calabria, Lucania et Bruttii, Samnium, Etruria, Picenum, Umbria, Aemilia, Venetia et Histria, Liguria, Transpadana).

Gli abitanti liberi della penisola erano tutti cittadini romani e non pagavano l'imposta fondiaria (ius italicum); tale imposta era riservata ai cittadini dei territori provinciali, territori considerati proprietà del popolo romano, una proprietà che andava riconosciuta attraverso il pagamento dell'imposta fondiaria.

Augusto raggruppò le città italiche con criteri etnici, linguistici nonché geografici anche allo scopo di effettuare i censimenti per aree vaste ma abbastanza omogenee sotto questi punti di vista. Vale la pena ricordare che la nuova riorganizzazione fu di fondamentale importanza anche ai fini del reclutamento delle legioni. Keppie sostiene che all'esercito romano appartenesse un 65% di cittadini Italici,[12] (per lo più provenienti dalla Gallia Cisalpina), mentre il restante 35% era costituito da provinciali, muniti anch'essi di cittadinanza romana, per un totale complessivo di circa 140.000 uomini.

Augusto privilegiò l'Italia anche attraverso la costruzione di una fitta rete stradale e di numerose strutture pubbliche urbane(foro, templi, anfiteatri, teatri, terme...), fenomeno noto come evergetismo augusteo.

L'Italia è in quest'epoca la parte privilegiata dell'Impero: tutti i suoi abitanti liberi sono cittadini romani e sono esentati della tassa diretta, eccetto la nuova tassa sulle eredità creata per finanziare i bisogni militari (pensione dei veterani).

L'economia italica era florida: agricoltura, artigianato e industria ebbero una notevole crescita che permise l'esportazione dei beni in altre province.

L'incremento demografico fu rilevato da Augusto tramite tre censimenti: i cittadini maschi furono 4.063.000 nel 28 a.C., 4.233.000 nel 8 a.C. e 4.937.000 nel 14 d.C. Se si considerano anche le donne e i bambini la popolazione totale nell'Italia del I secolo d.C. può essere stimata sui 10 milioni di abitanti circa.

L'organizzazione delle regiones augustee[modifica | modifica wikitesto]

Come riferito da Plinio il vecchio nella sua Naturalis Historia, Augusto riorganizzò la penisola italica suddividendola nelle seguenti regioni:

Da Augusto a Diocleziano[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Alto Impero romano.

L'Italia cominciò a perdere la sua preponderanza nell'Impero a partire dal secondo secolo. La romanizzazione delle province, e in parte l'integrazione delle loro élite in seno agli ordini equestri e senatoriali ha ridotto il carattere egemonico dell'Italia: anche se gli Italici mantengono o sfiorano ancora la maggioranza assoluta dei membri del senato fino alla fine del secolo, l'entrata dei provinciali cambia la distribuzione del peso politico, e gli italici sono spesso messi in minoranza.

Il secondo secolo vede l'impero governato da imperatori generati da famiglie provinciali, discendenti da antichi coloni italici: Traiano, Adriano e Marco Aurelio originari della Spagna, Antonino Pio della Gallia Narbonese.

Traiano cercò di incentivare la presenza dei senatori in Italia, imponendo loro che almeno un terzo dei loro possedimenti terrieri si trovasse in Italia. Alcuni senatori provinciali si muovevano infatti nella penisola come dei viaggiatori, senza prendersene effettivamente cura. La misura ebbe solamente un effetto limitato, portando al rialzo momentaneo dei prezzi delle proprietà, che stavano decadendo, e fu reiterata da Marco Aurelio, che tuttavia ne limitò l'importanza a un solo quarto delle terre. [13]

L'impero romano alla morte di Settimio Severo (211): Italia e province romane.

Altri processi, iniziati già nel primo secolo, minarono ulteriormente la posizione di egemonia dell'Italia. Le legioni, oramai stanziate stabilmente alle frontiere dell'impero, iniziarono a reclutare direttamente nelle regioni dove servivano, soprattutto a partire da Adriano. La proporzione degli italici nell'esercito diminuisce, quella dei provinciali aumenta, e mutano conseguentemente anche certi aspetti della tradizione militare. Anche se gli Italici continuarono a conservare gran parte degli ufficiali dell'esercito (l'80% dei centurioni nel II secolo era ancora italico), le regioni tradizionali di reclutamento militare in Italia non danno più un contributo, se non eccezionalmente, come in occasione della creazione delle nuove legioni II e III Italica, sotto Marco Aurelio, a causa dell'invasione marcomannica oltre il Danubio che minacciava proprio l'Italia, o la IV Italica reclutata da Alessandro Severo per la guerra persiana.

Il significato simbolico dell'Italia non è eguagliato comunque da nessuna provincia, ed è lei l'oggetto della sollecitudine degli imperatori: di quelli che risiedono per la maggior parte del tempo sul suo territorio, così come di quelli impegnati nelle guerre alla frontiera: (Traiano, Marco Aurelio), cui si aggiunge Adriano, viaggiatore per gusto e per volontà politica. L'institutio alimentaria di Traiano manifesta la sollecitudine di aiutare i cittadini italici più poveri, così come le grandi opere pubbliche: strade, porti e monumenti, realizzati a spese dell'imperatore sul suolo italico a favore dei suoi cittadini. D'altra parte, la sollecitudine imperiale presupponeva un controllo approfondito, ai danni dell'autonomia municipale delle città della penisola. In effetti, è proprio da questo periodo che, sia in Italia che nelle province, il vecchio governo di tipo municipale comincia a non reggere più. Oggi, tuttavia, questa visione dell'evergetismo imperiale come espressione di una volontà di dominio diretto sulle città non è più condivisa da tutti gli studiosi. Il lavoro di F. Jacques ha mostrato infatti la distanza che separava l'autorità imperiale dall'autogoverno della città anche in questo periodo. Ciò non esclude, in ogni caso, che l'amministrazione imperiale mantenesse controllate le città.

Adriano volle rafforzare questo controllo. Assegnò l'Italia a quattro consolari portanti il titolo di legati propretori, utilizzato per i governatori delle province. Il moto di protesta sollevato nel senato, che era rappresentante dei vari municipi d'Italia, lesi nella loro autonomia garantita da secoli, fece sì che la misura fosse annullata dal suo successore, Antonino Pio. L'Italia aveva ancora in questo periodo la forza necessaria a rivendicare la propria dignità di regione egemone dell'impero, ma questo stato di cose sarebbe durato poco di fronte ad imperatori provinciali più determinati. La riforma di Adriano rispondeva tuttavia ad una reale esigenza: le regioni dell'Italia avevano bisogno di un'amministrazione più gerarchizzata, in particolare nel campo della giustizia civile. Per ovviare a questa necessità, Marco Aurelio creò nel 165 d.C. i giuridici (iuridici), che esercitavano nei distretti dal taglio geografico abbastanza mutevole. La zona localizzata nei 100 miglia intorno a Roma dipendeva dal prefetto della Città, che vide le sue prerogative aumentate sotto i Severi. Fuori da questa zona, e per gli affari gravi o che toccavano gli interessi dell'imperatore, o ancora alle domande di mantenimento dell'ordine, potevano intervenire i prefetti del pretorio, come avvenne verso il 168, quando costrinsero la città di Saepinum a rispettare il diritto dei pastori transumanti.

In conclusione, il secondo secolo è certamente per l'Italia un secolo di transizione e di indietreggiamento della sua preminenza politica, ma non il secolo del declino che la storiografia vi ha letto fino agli anni '70, seguendo, tra le varie tesi, quelle di M. Rostovtseff. Il vero declino sarebbe arrivato nei secoli successivi.

Interpretazioni del declino economico dell'Italia romana[modifica | modifica wikitesto]

A lungo la critica vide per questi secoli il quadro di un'Italia romana in declino, toccata da un grave crisi economica e dallo spopolamento e, infine, incapace di opporre resistenza alla concorrenza delle province. Tuttavia, mentre è vero che alcune province seppero assicurarsi alcuni ambiti del mercato, perché percepirono per prime alcune esigenze, è difficile estrapolare un quadro generale e valido per tutto l'Impero. Un esempio di questi casi è quello delle [[|ceramica sigillata|ceramiche sigillate]], la cui produzione si spostò da Arezzo alle Gallie; lo spostamento delle produzioni di ceramiche dall'Italia in Gallia corrispondeva anche alla presenza della domanda dei legionari accampati sul confine del Reno; si trattava di un esercito di oltre centomila uomini, considerando gli ausiliari, cui vanno aggiunti donne, schiavi e altre persone al seguito. In Italia erano rimasti invece solo i pretoriani e qualche coorte urbana.

Altri studiosi, come Moses Finley, minimizzano l'importanza globale di queste produzioni nell'economia antica.

Una parte dei ricercatori considera infine lo spostamento dei siti di produzione come rivelatori di spostamenti economici più importanti ma meno visibili di quelli trattati dalle fonti. Questa prospettiva si basa sull'idea che alcuni cantieri di produzione, un tempo floridi, si trovarono a subire una fortissima concorrenza molto forte, nello stesso periodo in cui l'intera economia italica si trovava ad affrontare gli stessi problemi. È il caso della villa di Settefinestre verso Cosa che vede le sue produzioni declinare, fino all'abbandono verso il 160 - 170. È tuttavia rischioso generalizzare la situazione storica di una sola regione, per quanto brillantemente ricostruita, e considerarla valida per tutta l'Italia. Altre aree, come la zona di Aquileia, mostravano infatti dinamismo agrario ed economico, come la zona di Aquileia.

Che le importazioni che dalle province superassero di gran lunga le esportazioni dall'Italia nella loro direzione non comporta necessariamente un declino dell'Italia, ma piuttosto le dimensioni sproporzionate del mercato romano-italico, foraggiato dalle imposte e dalle retribuzioni ai funzionari, mentre la situazione tecnologica rendeva i trasporti marittimi a lunga distanza più economici dei trasporti terrestri a media distanza. L'Italia da sola, inoltre, non poteva produrre abbastanza da nutrire Roma e il suo milione di abitanti, tanto più che la coltivazione del grano era poco remunerativa rispetto all'olivo e alla vite, le importazioni massicce non bilanciate dalle esportazioni rendono conto di un declino.

Anche il declino demografico dell'Italia non è più collocato, nella sua forma più grave, che a partire dalla peste antonina, mentre le conseguenze di quest'ultima restano discusse e poco chiare.

Province italiche dalla tetrarchia alla fine del IV secolo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Tardo Impero romano, Tetrarchia e Diocesi (impero romano).

Con le riforme amministrative volute da Diocleziano e Costantino negli ultimi anni del III secolo e all'inizio del IV secolo, l'Impero romano venne diviso in dodici diocesi (impero romano). L'Italia, fino a Diocleziano, aveva conservato la divisione augustea in 11 regioni; ma l'autonomia municipale aveva ingenerato disordine finanziario. Perciò gli imperatori decisero di esercitarvi un maggiore controllo. Diocleziano costituì quindi una diocesi Italiciana e la ripartì in province, adeguando amministrativamente il territorio della penisola a quello del resto dell'impero. Al vertice di ciascuna provincia pose un governatore.

La nuova ripartizione comprendeva le seguenti province:

La divisione amministrativa dell'impero in prefetture e diocesi. La cartina, che riproduce la situazione alla fine del IV secolo d.C., mostra anche la penisola italica divisa in più province.

La diocesi continuò ad esistere unitariamente fino a quando, con Costantino, venne suddivisa nelle due distinte diocesi dell'Italia Suburbicaria, con capitale Roma, e dell'Italia Annonaria, con capitale Milano, la cui suddivisione provinciale era ora:

  • Tuscia ed Umbria
  • Valeria
  • Campania e Samnium
  • Apulia e Calabria
  • Venetia e Histria
  • Aemilia e Liguria
  • Flaminia e Picenum
  • Raetia
  • Alpi Cozie.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ ↑ Persée: La composition ethnique de la population italienne
  2. ^ ↑ Princeton/Stanford Working Papers in Classics Roman population size: the logic of the debate.
  3. ^ Dario Giorgetti, Geografia storica ariminense, in: Analisi di Rimini antica. Storia e archeologia per un museo, Rimini, Comune di Rimini, 1980.
  4. ^ http://www.centuriazione.it/la_centuriazione.html
  5. ^ La Romanizzazione dell'Italia Jean David Michele
  6. ^ La Romanizzazione dell’Italia Jean David Michele pag. 43
  7. ^ Breve storia del nome Italia
  8. ^ Tesi articolata, tra gli altri, da Aldo Prosdocimi in Popoli e civiltà dell'Italia antica; cfr. Villar, p. 490
  9. ^ La Romanizzazione dell'Italia, Jean David Michele
  10. ^ ^ ^ The Samnites in the Po Valley. D. O. Robson. The Classical Journal, Vol. 29, No. 8 (May, 1934), pp. 599-608
  11. ^ U. Laffi, La provincia della Gallia Cisalpina, “Athenaeum”, 80, 1992, pp. 5-23
  12. ^ L.Keppie, The Making of the Roman Army, from Republic to Empire, 1984, p.180.
  13. ^ Plinio il Giovane (VI, 19,)

Fonti storiche[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]