Utente:ValeLiuna/Sandbox

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Mono no aware (物の哀れ?) è un concetto estetico giapponese che esprime una forte partecipazione emotiva nei confronti della bellezza della natura e della vita umana, con una conseguente sensazione nostalgica legata al suo incessante mutamento. Siccome esso rivela una sensibilità estetica presente solo nel Paese del Sol Levante, trovare una traduzione esaustiva a tale concetto risulta complesso in qualsiasi altra lingua. Il suo corrispettivo in italiano può essere “pathos”, “partecipazione emotiva alle cose” o “sensibilità delle cose”. Attribuirgli un solo significato risulta difficile poiché col passare dei secoli il termine ha mutato ed evoluto la sua valenza semantica. Sebbene il termine aware sia già presente nelle opere di periodo Nara, quali Kojiki e Man'yōshū[1], è nella letteratura di corte di epoca Heian, in particolare nelle produzioni letterarie dei monogatari, che esso assume maggiore salienza. Infatti, attraverso l’analisi di studiosi e commentatori dei secoli successivi, si è evinto come tale concetto estetico sia il principale trait d’union nella trama e nella struttura del grande classico Genji monogatari. Viene tuttora considerato il tema cardine e l’essenza estetica che permea tutto il romanzo, dalla descrizione della natura all’intimo animo dei personaggi. Durante il periodo Heian furono intrapresi i primi studi inerenti al mono no aware, ma fu Motoori Norinaga, esponente del Kokugaku ad esaminarlo ed approfondirlo nel corso del periodo Tokugawa. Si ritiene che il concetto estetico dell'aware col passare dei secoli si sia radicato nella cultura giapponese fino ad influenzare i valori e il senso estetico presenti oggigiorno nella società giapponese.

Etimologia[modifica | modifica wikitesto]

Durante il periodo Heian, Il mono no aware presentava una vasta gamma di significati a seconda delle occasioni in cui veniva usato: emozione, malinconia, ammirazione, turbamento d’animo. Il termine è formato dall’unione di due parole: mono (物), che in giapponese significa cosa, e aware, che in origine indicava una semplice esclamazione di stupore riferita ad un soggetto naturale, come la luna piena o un fiore sbocciato[2]. Anticamente venivano usate le espressioni aa e hare che si sono poi fuse nell’unica parola aware. In principio, denotava la diretta espressione di un'emozione profonda e impossibile da trattenere, come negli esempi "il pino isolato,aware" o "aware, il cinguettio degli uccelli". Questa prima forma con valore interiettivo mostrava apprezzamento e totale coinvolgimento emotivo con la natura circostante. Da questo primo uso, la parola cominciò a mutare di significato: da semplice espressione diretta di un sentimento momentaneo a descrizione emotiva di uno stato d'animo più complesso e articolato. Nel periodo Heian il suo valore semantico si unisce alla sensibilità estetica propria di quell'epoca, in cui la bellezza della natura e della figura umana era ricercata e ammirata. A partire da questo periodo il termine aware era già entrato a far parte del linguaggio colloquiale, nel quale veniva utilizzato anche come metro di paragone per giudicare se qualcosa era ben fatto oppure no. Una poesia era giudicata stilisticamente riuscita solo se era in grado di esprimere la sensibilità delle cose e se aveva la capacità di suscitarla anche nel lettore.
In seguito si cominciò a scrivere aware con il carattere 哀れ che significa compassione, tristezza, pietà. Così facendo il suo significato mutò diventando un sentimento di malinconia che univa sia l’apprezzamento verso il bello sia la tristezza dovuta alla consapevolezza che esso è destinato a svanire. Tale connotazione rimase poi la più utilizzata fino al periodo Edo, forse a causa dell'influenza della dottrina buddhista nella società, che promulgava la caducità e l'impertinenza di ogni cosa sulla terra.

Le prime attestazioni nel periodo Nara[modifica | modifica wikitesto]

Concetto chiave dell’estetismo giapponese, il termine aware ha avuto il suo pieno sviluppo e la sua massima rappresentazione intorno al X-XI secolo nella corte aristocratica di epoca Heian (784-1185). Tuttavia, la sua genesi letteraria è riscontrabile nel periodo precedente: l’epoca Nara (710-784). Tale momento storico fu scandito da influssi esterni provenienti dalla Cina, come il Confucianesimo e il Buddhismo, e dalla ricerca di una stabilità politica e economica. L’aware era già un termine noto e usato frequentemente in quest’epoca ed è infatti presente nelle prime attestazioni liriche risalenti al VIII secolo. Si stabilisce così nel linguaggio colloquiale fino a raggiungere il periodo Edo (1600-1868), dopo aver subito diversi e sostanziali mutamenti semantici e morfologici. È importante rendere noto che il massimo esegeta del periodo Edo, nonché fruitore della teoria che qualifica e designa il mono no aware come lo conosciamo oggi, Motoori Norinaga, non sia l’inventore di tale concetto, ma colui che lo schematizzò dotandolo di una sua corporalità e originalità. Inoltre nello stesso periodo anche altre influenti personalità letterarie avevano provato a spiegarlo e a decantarlo nelle loro opere, tra le quali menzioniamo Tamenaga Shunsui, scrittore della prima metà dell’Ottocento e famoso rappresentante del genere gesaku , degno di nota per i suoi Ninjōbon 人情本 (Libri dei sentimenti umani).
Un’altra rilevante questione risiede nel fatto che, escludendo la popolarità avuta nel periodo Heian, il termine venne utilizzato con maggiore assiduità nelle prime produzioni autoctone dell’VIII secolo, nelle quali si cominciò a scrivere in lingua yamato. Le prime opere letterarie sono di notevole importanza poiché tentano di conciliare temi di carattere puramente giapponese a una lingua nazionale. Questa prima forma di scrittura si avvale in gran parte ancora degli ideogrammi cinesi, con un uso più frequentemente fonetico che semantico (man'yōgana). Il fatto che questi primi testi abbiano preferito tematiche esclusivamente di carattere giapponese ha reso possibile l’espressione di concetti autoctoni, come il mono no aware, che non esistevano al di fuori del territorio nazionale. In particolare, attraverso uno studio del professore Aldo Tollini (1998) si è evinto come il termine aware abbia avuto un uso più frequente proprio all’inizio dell’VIII secolo e durante XI-XII secolo. Il numero di ricorrenze infatti è maggiore nel periodo Nara, con le prime produzioni letterarie, e nel periodo Heian, grazie alla nascita e sviluppo dei Monogatari[3].
La parola aware è presente nei seguenti testi antichi: Kojiki (4 volte in 3 poesie), Nihonshoki (5 volte in 4 poesie), Man'yōshū (9 volte in 9 poesie), Kokinshū (20 volte in 20 poesie). È interessante constatare, attraverso alcuni esempi tratti dalle medesime opere, come il termine abbia avuto valenze diverse nel corso dei secoli sia dal punto di vista linguistico, morfologico e sintattico, sia da quello semantico[4].

Aware nel Kojiki e nel Nihonshoki[modifica | modifica wikitesto]

Dal punto di vista morfologico nelle ricorrenze del Kojiki e del Nihonshoki il termine aware è usato come esclamazione (spesso alla fine del componimento) avvicinandosi molto al suo significato originale associato all’interiezione aa. Infatti se si sostituisse aware con aa il significato del componimento non cambierebbe. Dal punto di vista semantico, nelle poesie di entrambe le opere, esso equivale a una diretta espressione di un’emozione proveniente dal profondo dell’animo e impossibile da trattenere. Gli ideogrammi usati per identificare l’aware sono 阿波例, 阿波禮, 阿婆例 usati tutti e tre per il solo valore fonetico. Solo dal Kokinshū in poi il termine comincia ad essere scritto in kana per poi essere associato successivamente al carattere 哀れ, il quale viene usato anche al giorno d’oggi.

Aware nel Man'yoshū e nel Kokinshū[modifica | modifica wikitesto]

Nelle prime due raccolte di poesie, il Man'yōshū e il Kokinshū, l’uso del termine non solo diviene più frequente ma comincia a evolversi sia dal punto di vista linguistico che semantico. Il Man'yōshū (Raccolta di una miriade di foglie) è la più antica raccolta di poesie giapponesi giunta ai giorni nostri. Si pensa sia stata pubblicata privatamente intorno all’ VIII secolo, nel periodo Nara. La sua struttura comprende 4500 poesie (4207 tanka, 265 chōka, 62 sedōka) datate seconda metà del VII secolo e prima metà dell’VIII secolo. La maggior parte delle composizioni liriche fu scritta da personaggi colti e di alto lignaggio, quali principi, principesse e imperatori, ma anche da funzionari e vassalli che risiedevano lontano dalla corte imperiale. Le poesie sono stata composte in giapponese utilizzando gli ideogrammi cinesi, talvolta per il loro valore fonetico, talvolta per il loro valore semantico secondo il sistema noto come man'yōgana. Alcuni esponenti del Kokugaku, contemporanei di Norinaga, si interesseranno allo studio linguistico e fonologico del Man'yōshū, tra i quali è doveroso citare l’esegeta Kamo no Mabuchi. I temi trattati nella raccolta si possono suddividere in tre categorie: sōmonka (poesie d’amore), banka (elegie), zōka (poesie varie). Prima di esaminare alcune poesie è importante soffermarsi sul kachōfūgetsu 花鳥風月, un concetto chiave di quest’epoca che anticipa le composizioni così intrise di sensibilità estetica del periodo Heian. Letteralmente fiori, uccelli, vento e luna, esso equivale alla natura stessa come proiezione dei sentimenti umani. L’ammirazione e devozione nei confronti della natura era un lascito della religione shintoista, oramai entrata a far parte dei valori della società giapponese. Questo termine è usato sia in poesia che in arte per designare specifiche immagini naturali che, secondo schemi predefiniti, provocavano una determinata emozione. Purtroppo si finiva, nella maggior parte dei casi, col rimanere ancorati a fissi canoni estetici che venivano ripetuti e riutilizzati per secoli e secoli. Un esempio è l’innumerevole quantità di materiale associato alla bellezza della luna piena a discapito di altri elementi come il sole o le stelle. Questo rischiava di suscitare nel lettore un senso di noia e banalità che verrà riscontrato anche nelle successive composizioni di epoca Heian. In questa raccolta, dal punto di vista morfologico, vi è una prima evoluzione della parola aware: non viene usata solo come interiezione, ma anche come sostantivo o aggettivo. In aggiunta si comincia da questa prima raccolta di poesie a scriverla in kana, mostrando un tentativo di distacco dall’influenza cinese. Tuttavia, l’uso semantico rimane invariato rispetto alle due opere precedenti.
Di importante valore letterario sono anche le poesie presenti nella prima antologia imperiale, il Kokinshū (abbreviato da Kokinwakashū, Raccolta di poesie giapponesi antiche a moderne). Questa raccolta, compilata nel 905, è formata unicamente da waka, poesie giapponesi scritte in kana (con la presenza di pochi ideogrammi), che legittimano non solo il valore della poesia come opera letteraria ma anche la lingua giapponese come valida forma di scrittura. Sebbene l’influenza cinese avesse dato spazio alla poesia rendendola un’arte di grande importanza tra gli aristocratici e i letterati, l’uso di una lingua autoctona permise agli scrittori non solo di comporre con più facilità ma anche di raggiungere in maniera più efficace un maggior numero di persone. Inoltre è degno di nota come l’introduzione sia stata fatta sia in cinese da Ki no Yoshimochi sia in giapponese da Ki no Tsurayuki. Oltre al linguaggio utilizzato, un’altra grande differenza con il Man’yoshū risiede nel lignaggio della maggior parte dei poeti implicati nell’opera. Sebbene molti siano sconosciuti, è certo che il rango fosse poco elevato o comunque al livello della bassa aristocrazia. Fanno parte di questa classe gli stessi compilatori: Ki no Tsurayuki, Ōshikōchi no Mitsune, Ki no Tomonori e Mibu no Tadamine. Degna di nota è la presenza del termine aware nell’introduzione di Ki no Tsurayuki, nella quale ci viene presentata la poesia giapponese come manifestazione scritta dei sentimenti e delle sensazioni che si provano nel vedere o sentire fenomeni naturali. Questa “canzone”, insita in tutti gli essere viventi, animali e uomini, ha il potere di compiere azioni eccezionali, come distendere i rapporti umani o suscitare sentimenti profondi nel cuore degli dei (kami) che la odono.

I semi della poesia giapponese (''Yamato uta'') risiedono nel cuore umano (''kokoro'') e crescono nelle pagine composte da infinite parole. Moltissime cose accadono alle persone di questo mondo e ciò che pensano o provano è espresso attraverso la descrizione delle cose che vedono e sentono. Quando noi udiamo il cinguettio degli uccelli tra i fiori o il suono della rana nell’acqua, comprendiamo che ogni essere vivente possiede una sua canzone. Questa è la poesia che, senza sforzo, sposta il cielo e la terra, suscita l’aware degli dei invisibili e degli spiriti, distende le relazioni tra uomini e donne e calma i cuori dei guerrieri coraggiosi[5].

Dalle poesie di questa prima raccolta ufficiale si evince come il termine non solo abbia subito un’evoluzione semantica, ma anche morfologica. Dal punto di vista linguistico presenta una maggiore flessibilità in quanto è utilizzata sia come antica esclamazione sia come sostantivo. La novità è insita nel fatto che esso viene spesso associato a dei verbi che ne ampliano il significato. Si trova spesso, infatti, insieme a un costrutto verbale assumendo il ruolo di referente semantico. Per esempio insieme al verbo miru 見る(vedere) diventa “considerare con aware”, insieme a iu 言う(dire) diventa “dire: aware!” e come nella seconda poesia insieme al verbo おもふ diventa “provare aware[6]. Così facendo, dal punto di vista semantico, aware non viene usato più solo come espressione diretta e spontanea di un’emozione scaturita in un momento preciso, ma descrive uno stato d’animo profondo verso oggetti e avvenimenti particolari, siano essi gioiosi, tristi o malinconici. Non è un’intera situazione che ti suscita repentinamente aware ma un particolare specifico, sia esso negativo o positivo.
Attraverso questi esempi di opere di periodo Nara si può comprendere come già all'epoca il termine avesse una natura complessa. Esso aveva già compiuto un’evoluzione linguistica e semantica intrecciando varie connotazioni e diversi significati. Per questo si può intuire che il termine sarà soggetto a ulteriori cambiamenti durante il periodo successivo, considerato da tutti i critici come il periodo d’oro che ha consacrato la sua maturità come concetto estetico. In seguito verranno distinti due significati principali nell’ambito delle produzioni di epoca Heian: il suo significato “breve” e il suo significato “ampio”. Quello “breve” ricalca l’uso che ne era stato fatto nel periodo Nara come emozione diretta e naturale con maggiore attenzione all’aspetto estetico. Quello “ampio” aggiunge una connotazione malinconica legata all’incessante scorrere del tempo e all’impossibilità dell’uomo di poterlo fermare.

La figura di Motoori Norinaga[modifica | modifica wikitesto]

Motoori Norinaga 本居 宣長 (1730-1801) è considerato uno degli studiosi e filologi più influenti del Kokugaku (lett. studi nazionali), una scuola di pensiero sviluppatasi nel corso del periodo Edo che dava grande importanza alle opere letterarie autoctone rispetto alle produzioni classiche cinesi. Norinaga si interesserò a diversi campi di studio coprendo molte categorie tra cui la linguistica, la filosofia, l’estetica e gli studi di carattere sociale. Ispirandosi al lavoro svolto da Kamo no Mabuchi, il quale aveva analizzato la lingua antica presente nel Man'yōshū, Norinaga decise di intraprendere un’analisi storico-filologica del Kojiki. La sua innovazione risiede proprio nello studio congiunto del contenuto del testo e della forma in cui è stato riportato: esaminò sia la terminologia sia l’uso delle particelle e preposizioni, considerate dal filologo la caratteristica principale che distingue la lingua giapponese da quella cinese. Dedicherà 35 anni a realizzare questo commento che terminerà nel 1798 con il nome di Kojikiden (Commentario al Kojiki, 44 maki, scritto tra il 1764 e il 1798), considerato ancora oggi un testo critico fondamentale per chiunque voglia approcciarsi a questa opera. Parallelamente al Kojiki si concentrò sull’analisi di un altro caposaldo della letteratura giapponese: il Genji Monogatari. Il suo pensiero riguardo all’opera di Murasaki Shikibu è espresso in due scritti giovanili, Shibun yōryō e Genji Monogatari Nenki kō, entrambi completati nel 1763. Riunì, infine, le sue considerazioni nella sua opera più matura, il Genji Monogatari Tama no Ogushi, che ultimò nel 1796, a pochi anni dalla morte.

I primi tre elaborati: Aware ben, Shibun yōryō e Isokami Sasamegoto[modifica | modifica wikitesto]

Norinaga ci ha lasciato come eredità storica un numero considerevole di scritti su vari temi e argomenti, e non solo aveva la tendenza a rimetterci mano e sistemarli, ma anche a crearne di nuovi con contenuti presenti in opere passate. Questo è il caso anche dell’aware a cui dedica molto spazio nella sua carriera letteraria e che tratta in tre dei suoi elaborati giovanili: Aware ben (1758), Shibun yōryō (1763) e Isokami Sasamegoto (1763). Il motivo per cui Norinaga si affeziona tanto all’aware è riscontrabile nella critica che rivolge alla società in cui viveva, nella quale si stavano legittimando i canoni di comportamento e la condotta promulgati dal Confucianesimo. Esprimere le proprie emozioni e provare un sentimento erano considerate caratteristiche dell’animo femminile (memeshiki) contro la rigidità morale e l’austerità maschile. Il filologo trova in questa libertà di pensiero tutto lo spirito autoctono che nella sua epoca si stava perdendo. Gli antichi, che erano in grado di giudicare positivamente un sentimento espresso anche da un uomo, erano i modelli da seguire per poter ritrovare la vera autenticità d’animo.

Aware ben[modifica | modifica wikitesto]

La prima opera in cui Norinaga analizzò apertamente tale concetto è il saggio intitolato Aware ben (sulla’Aware) datato 1758. Il filologo è da poco tornato nella sua città natale dopo il soggiorno a Kyōto e oltre ad aver intrapreso la professione di medico ha iniziato a tenere lezioni sui classici giapponesi. In questo breve saggio critico ci racconta che un suo allievo un giorno gli domandò il significato della parola aware, presente in una poesia di Fujiwara no Shunzei. In quel momento non riuscì a rispondere al discepolo e così gli disse che capiva nel profondo del cuore il suo significato ma che non era in grado di spiegarglielo a parole. Si scusò dicendo che il concetto era così ampio che avrebbe fatto meglio a rispondergli in un secondo momento. Dopo quell’episodio intraprese una ricerca sui significati del termine in tutte le opere in cui era stato usato, studiando testi di varie epoche. Capì presto che non è un concetto di limpida e immediata comprensione: non si associa, infatti, ad un unico significato, ma ne possiede un gran numero. Ebbe così inizio la sua celeberrima teoria: la poesia giapponese, composta nel passato e nel presente, nasce dalla comprensione del mono no aware. Oltre alla poesia, anche il romanzo (monogatari) ha una sola e unica natura, l’aware. Opere come il Genji Monogatari e l’Ise Monogatari rappresentano esse stesse il mono no aware e sono in grado di farlo percepire a coloro che li leggono.

Shibun yōryō e Isokami Sasamegoto[modifica | modifica wikitesto]

Si comprende già nel suo primo lavoro, Aware ben, l’innovazione e la sensibilità dello studioso che diventerà in un secondo momento l’argomento d’analisi di due elaborati datati 1763: Shibun yōryō (L’essenza della storia del Genji) e Isokami Sasamegoto (La mia visione personale della poesia). Mentre nel primo si concentrò sull’analisi del termine nella prosa e in particolare nel Genji Monogatari, il secondo ebbe come tema la poesia, rivolgendo particolare attenzione alle raccolte del Man'yoshū, del Kokinshū e del Shikokinshū.  Il primo dei due è considerato un lavoro frettoloso e sbrigativo forse a causa della necessità per Norinaga di utilizzarlo come testo di supporto durante le lezioni. Infatti, lo rivisiterà tra il 1768 e il 1779 cambiandogli il titolo in Genji Monogatari Tama no Ogoto, per poi incorporarlo a quella che sarà la sua opera ultima: il Genji Monogatari Tama no Ogushi. Mentre i primi due capitoli di tale opera racchiudono il contenuto dell’intero Shibun yōryō è innovativo il pensiero espresso nel secondo testo: l’Isokami Sasamegoto. In principio, ci presenta la poesia (歌 uta), scritta non a caso con il kanji di canzone, come espressione scritta dell’animo umano e quindi del mono no aware. Poesia è tutto ciò che viene cantato con parole appropriate e belle frasi, dalle ballate popolari alle più raffinate composizioni tanka. Certo le poesie antiche e quelle moderne differiscono in forma e contenuto ma sono definite tutte alla medesima maniera. La poesia è un canto che proviene dal cuore e perciò non solo un’espressione degli uomini ma anche degli animali. Se si possiede un sentimento allora si è in grado di trasmetterlo esteriormente, e così come l’uomo anche gli insetti e gli uccelli hanno la capacità di farlo. Per avvalorare la sua tesi cita passi tratti dal Kokinshū asserendo che conoscere la realtà delle cose e provare in risposta sentimenti di gioia, felicità, dolore, turbamento e così via significa conoscere il mono no aware (mono no aware o shiru). L’uomo però è in grado di percepire l’essenza delle cose e provare queste emozioni in maniera più raffinata e profonda rispetto agli altri essere viventi. La sensazione di sollievo e beatitudine alla vista di un fiore sbocciato è più intensa nell’uomo rispetto a un animale. Tuttavia, non tutti gli uomini sono in grado di comprendere l’aware delle cose e captare la loro essenza. Chi non ne è capace non è considerato degno di nota. Se invece si ha nell’animo questa abilità non si può far altro che esprimerla. Essa non può rimanere segregata nel profondo del cuore. La massima forma di espressione è quindi la poesia. Ma essa non ha come scopo quella di dettare una norma di comportamento, secondo i canoni confuciani, al contrario ha solo l’obiettivo di essere letta e ascoltata. Quindi se una persona possiede la capacità di provare un sentimento è necessario farlo uscire e non sopprimerlo, e cosa più importante deve essere espresso per poter arrivare a uno spettatore. In seguito si sofferma sulla differenziazione tra uta, poesia giapponese, e shi (詩), poesia cinese, e i diversi scopi e tematiche che le due tipologie trattano. Come ogni cosa proveniente dal continente durante il periodo Nara, anche la shi ha influenzato sia la scrittura che i canoni stilistici in Giappone. Sebbene sia considerata la più pregiata forma artistica e quindi un classico letterario degno di essere tramandato, i suoi temi rimangono ancorati al pensiero confuciano, come il bene e il male e il rigore morale. La uta, invece, mostra i sentimenti più profondi, le esperienze più genuine, la vera volontà del cuore mostrando così l’espressione più pura dell’animo umano. Molte cose sono cambiate rispetto ai tempi antichi a causa dell’influenza cinese. Solo la uta ha mantenuto lo spirito che vi era prima dell’arrivo del Confucianesimo e del Buddhismo, mantenendosi inalterata dall’epoca degli dei antichi (kami). La sua superiorità è avvalorata dalla concezione che Norinaga ha dello Shintoismo come unica reale religione. Ogni cosa, buona o cattiva proviene dagli dei e se questo è vero allora la poesia che consola uomini e animali è frutto del loro volere ed è anche in grado di portare sollievo nel loro cuore. La uta diventa così un precetto di vita: essere sensibili vuol dire essere consci di ciò che ti circonda e quindi essere onesti, corretti e attenti verso l’altro. Non esiste un uomo buono o cattivo ma solo un uomo sensibile o insensibile. Non è importante l’etica morale ma solo la percezione delle cose, il conoscere il mono no aware. Conclude con un elenco di situazioni tipiche che spingono un uomo a comporre una poesia: l’infatuazione amorosa, uno scontro sul campo di battaglia o un lutto in famiglia. Questi suoi primi tre lavori saranno poi rimaneggiati e rielaborati per costituire il corpus centrale dell’opera che incarna e sintetizza la sua teoria sul mono no aware: Genji Monogatari Tama no Ogushi.

Genji Monogatari Tama no Ogushi[modifica | modifica wikitesto]

Il Genji Monogatari Tama no Ogushi 源氏物語玉の小櫛 (Genji Monogatari: il pettinino prezioso) è il commento conclusivo di Norinaga alla famosa opera di Murasaki Shikibu. Dopo aver studiato a Kyōto, Motoori Norinaga all’età di 29 anni ritornò nella sua città natale, Matsuzaka, e intraprese oltre al mestiere di medico anche quello di insegnante, organizzando letture rivolte ai suoi pazienti sul Genji Monogatari, considerato dal filologo come una delle opere autoctone più intrise di spirito giapponese. Il suo studio sul testo iniziò nella capitale ma è nel periodo successivo al ritorno a Matsuzaka che esso venne approfondito e ampliato. Quest’opera è il frutto delle sue ricerche e degli insegnamenti impartiti ai suoi allievi nell’arco di 40 anni. Infatti, Norinaga pubblicò Genji Monogatari Tama no Ogushi ufficialmente solo nel 1799 all’età di 67 anni. Secondo il suo discepolo Fujī Takanao 藤井 高尚 fu la richiesta del signore feudale Matsudaira Yasusada 松平康定 (1747-1807), daimyō dell’han Hamada provincia di Iwami, a spingerlo a comporre questo testo. Pare che a Yasusada sia giunta la voce dell’abilità di Norinaga a spiegare e a commentare i testi antichi e per constatarlo decise di mandare a Matsuzaka due suoi sottoposti confuciani: Ozasa Min e Okada Motoyoshi. Costoro gli parlarono così bene del filologo da spingerlo, durante un pellegrinaggio a Ise, a partecipare di persona ai suoi corsi. A seguito del loro incontro, Yasusada chiese a Norinaga di realizzare un’opera che contenesse tutte le sue riflessioni inerenti al Genji Monogatari. Nascerà così il Genji Monogatari Tama no Ogushi, che come vedremo sintetizza molti dei suoi lavori precedenti. Si ipotizza che il titolo derivi da un tanka presente all’inizio dell’opera, composto dallo stesso Norinaga:

「そのかみのこゝろたづねてみだれたる すぢときわくる玉のをぐしぞ」

[Interroga l’animo dei fogli di carta oh pettinino prezioso che dividi le ciocche in disordine]

Era consuetudine utilizzare nelle poesie il gioco di parole tra due lessemi omofoni, in questo caso la parola kami che in giapponese designa sia i capelli (髪) sia i fogli di carta (紙) ma anche la divinità (神). Il componimento consta di 9 volumi e 9 libri: il primo e il secondo volume costituiscono l’introduzione generale; il terzo la cronologia del romanzo; il quarto la lista di correzioni testuali al Kogetsushō compilate del 1763 e 1772; gli ultimi volumi, dal quinto al nono, sono i commenti di ciascuno dei 54 capitoli del Genji Monogatari. Il contenuto dell’opera è una collezione di materiali provenienti da opere diverse rivisitati rapidamente per volere di Yasusada. Gli scritti da cui attinge maggiori informazioni sono lo Shibun yōryō 紫文要領, il Genji Monogatari nenki kō 源氏物語年紀考, Isokami sasamegoto 石上私淑言e il Kogetsushō 湖月抄. I primi due volumi corrispondono al Shibun yōryō, scritto nel 1763 e rivisitato nel 1779. Nel terzo volume viene usata la cronologia del Genji Monogatari nenki kō, scritto nel 1763 e rivisitato tra il 1778 e il 1781. Infine, negli ultimi sei volumi viene utilizzato sia il Kogetsushō sia appunti e commenti al testo che Norinaga aveva elaborato per le sue lezioni. La parte più interessante dell’opera risiede nei primi due capitoli, che possiamo schematizzare dividendoli in quattro temi: il rifiuto della dottrina confuciana e buddhista (jūbutsudō 儒仏道), la natura del romanzo, le intenzioni della scrittrice, il mono no aware.
Il primo tema riassume la critica di Norinaga ai commentari del Genji Monogatari composti nei secoli antecedenti, che vedevano nei valori buddhisti e confuciani gli argomenti fondanti del romanzo. La novità risiede infatti nella formulazione di una teoria alternativa ai concetti dominanti. Gli autori dei precedenti testi di commento avevano presentato l’opera di Murasaki Shikibu come un rilevante esempio letterario di lezioni morali e codici di comportamento. Secondo il filologo, questo pensiero era molto distante dal reale intento della scrittrice, che è invece quello di rappresentare l’animo giapponese (yamato kokoro) e la sensibilità delle cose (mono no aware). La funzione del romanzo non è quella di dettare norme di comportamento, come l’allontanamento dal desiderio e la rettitudine morale, ma quella di raccontare una semplice storia ed allietare il lettore.
Il secondo tema riguarda il monogatari, il “racconto di fatti”, il romanzo. Norinaga si pone dei quesiti innovativi per l’epoca: cos’è un romanzo? qual è la natura del romanzo? Perché le persone leggono i romanzi? Quale soddisfazione traggono nel farlo? Mentre le antologie precedenti si erano solo soffermate sulla’etimologia del termine, lui si interroga sulla sua natura e sulla sua funzione. Dopo una discussione sull’origine del termine arriva alla conclusione che il romanzo sia un genere letterario che, rispetto agli altri, differisce nella forma ma non nella funzione. Così facendo riprende la sua teoria, già presentata nel Isokami Sasamegoto, la quale afferma che si possa mettere sullo stesso livello romanzo e poesia. Entrambi i generi letterari sono composti per rendere nota l’emozione e i sentimenti che hanno travolto lo scrittore. Essi hanno poi il compito di trasmetterla e suscitarla anche in coloro che leggeranno l’opera. La funzione del romanzo, dunque, non è quella di istruire o educare il lettore ma solo di suscitare sollievo e piacere.
Il terzo tema, l’intenzione dell’autrice, è strettamente legato alla natura del romanzo. Come i poeti, anche coloro che compongono romanzi non possono astenersi dal farlo se provano determinate emozioni. Se qualcosa gli sta a cuore è necessario esprimerlo, sia esso un sentimento gioioso, triste o malinconico. Il fine ultimo è quello di esteriorizzarlo e farlo ascoltare a qualcuno. Così non solo si rasserena il cuore di colui che compone un romanzo ma anche di chi lo legge. Lo scrittore trae massimo beneficio se il lettore, catturato dalla storia e dai personaggi, è in grado di immedesimarsi con essi e con i loro sentimenti.
Infine, l’ultima parte del primo volume e la totalità del secondo si concentrano sul tema del mono no aware. Norinaga tentò di riunire tutti i suoi scritti e tutti i suoi pensieri a riguardo creando un quadro generale che potesse essere il più esaustivo possibile. Lo scopo era quello di far diventare la sua opera un testo didascalico per tutti coloro che avevano intenzione di approcciarsi all’opera di Murasaki Shikibu. La sua teoria letteraria è valutata ancora oggi come la svolta decisiva che ha permesso l’emancipazione dalla visione legata alla moralità confuciana instauratasi durante il periodo Heian. Ci si riferisce spesso alla sua teoria col nome di mono no aware ron 物のあわれ論. Essa è strettamente legata alle intenzioni dell’autrice che secondo lui sarebbero state quelle di farci comprendere ciò che viene definito il “conoscere l’aware delle cose” (mono no aware o shirashimuru koto). Analizza così l’applicazione del termine nel romanzo e la sua definizione in base agli usi che ne vengono fatti. Il secondo capitolo inizia con l’analisi del termine aware. Esso rappresenta in pieno l’animo giapponese (Yamato kokoro) ed è ciò che accomuna i giapponesi e li differenzia dalle altre etnie. Spiega che il termine aware nelle poesie antiche denotava una diretta espressione dell’emozione, una sensazione nell’animo che era impossibile trattenere. Col tempo il suo significato è poi mutato assumendo varie connotazioni. Si sofferma in particolare sul suo uso nel Genji Monogatari, dove nella maggior parte dei casi viene usato nelle situazioni che hanno mosso in maniera incisiva il cuore dei suoi personaggi. Un uomo è giudicato in maniera positiva solo se è un uomo sensibile, quindi in grado di comprendere il mono no aware e di provarlo in prima persona. Non sono le sue qualità morali, il suo buon comportamento, il distacco dal desiderio a renderlo un uomo retto. Provare emozione alla vista di un ciliegio in fiore oppure udendo il canto degli uccelli, questa è la sola cosa degna di nota. Percepire con tutti i cinque sensi le cose del mondo che ci circondano, e farle nostre comprendendole nel nostro animo, significa conoscere sia esse sia il mono no aware. Chi vedendo i fiori di ciliegio fioriti percepisce la loro bellezza nel profondo dell’animo conosce l’aware delle cose. Chi invece non è mosso da queste cose e non si interessa a questo argomento, costui non conosce il cuore profondo delle cose. Tali persone non sono sensibili alla vista di un bel fiore. Tali persone non comprendono il mono no aware.

L’originalità della sua teoria è insita nel suo tentativo di espandere il significato e codificarlo come termine estetico per definire i canoni della letteratura autoctona. Esso viene usato come strumento per esprimere aspetti letterari, come la natura del romanzo o le intenzioni dell’autrice, che fino ad allora non erano stati mai affrontati. Il mono no aware viene così definito dal filologo come l’essenza estetica insita nelle fondamenta del romanzo.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Katō, 1987, p. 76.
  2. ^ Adriana Boscaro, Letteratura giapponese, I. Dalle origini alle soglie dell'età moderna, Torino, Einaudi, 2005, ISBN 978-88-06-17821-5.
  3. ^ * Aldo Tollini, Aspetti linguistici e semantici del termine aware dal Kojiki al Kokinwakashū, in Asiatica Veneziana, vol. 3, 1998, p. 183-199.
  4. ^ * Aldo Tollini, Aspetti linguistici e semantici del termine aware dal Kojiki al Kokinwakashū, in Asiatica Veneziana, vol. 3, 1998, p. 183-199.
  5. ^ Kokin Wakashū,Nihon Koten Bungaku Zenshū, Tōkyō: Shōgakukan, 1971, p. 49.
  6. ^ * Aldo Tollini, Aspetti linguistici e semantici del termine aware dal Kojiki al Kokinwakashū, in Asiatica Veneziana, vol. 3, 1998, p. 183-199.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Murasaki Shikibu, La Storia di Genji, a cura di Maria Teresa Orsi, Torino, Einaudi, 2012, ISBN 978-88-06-14690-0.
  • Luisa Bienati e Adriana Boscaro, La narrativa giapponese classica, Venezia, Marsilio, 2010, ISBN 978-88-317-0561-5.
  • Katō Shūichi, Storia della letteratura giapponese, dalle origini al XVI secolo, a cura di Adriana Boscaro, Venezia, Marsilio, 1987, ISBN 88-317-4965-X.
  • Katō Shūichi, Storia della letteratura giapponese, dal XVI al VIII secolo, a cura di Adriana Boscaro, Venezia, Marsilio, 1989, ISBN 88-317-5176-X.
  • Adriana Boscaro, Letteratura giapponese, I. Dalle origini alle soglie dell'età moderna, Torino, Einaudi, 2005, ISBN 978-88-06-17821-5.
  • Calvetti Paolo, Introduzione alla storia della lingua giapponese, Napoli, Pesole, 1999.
  • Laurel Rasplica Rodd, Mary Catherine henkenius, Kokinshū: A Collection of Poems Ancient and Modern, Tokyo, Princeton University Press and University of Tokyo Press, 1984, ISBN 978-0887272493.
  • Yoshikawa Kōjirō, Jinsai, Sorai, Norinaga: three classical philologists of mid-Tokugawa Japan, Tokyo, Tōhō Gakkai, 1983, ISBN 9784924530027.
  • Luisa Bienati e Adriana Boscaro, La narrativa giapponese classica, Venezia, Marsilio, 2010, ISBN 978-88-317-0561-5.
  • Kato Kazumitsu, Some Notes on Mono no Aware, in Journal of the American Oriental Society, Ottobre-Dicembre 1962, p. 558-559.
  • Masuda Katsumi, Waka to Seikatsu, in Genji Monogatari I, Tokyo, Yūseidō Shuppan, 1974.
  • Hideo Kobayashi, Kobayashi Hideo Zenshū. 13: Motōri Norinaga, Tokyo, Shinchōsha, 1979.
  • Shigeru Matsumoto, Motōri Norinaga: 1730-1801, Cambridge Mass, Harvard University Press, 1970.
  • Mark Meli, "Aware" as a Critical Term in Classical Japanese Poetics, in Japan Review, 2001, p. 67-91.
  • Ivan Morris, Il mondo del principe splendente: vita di corte nell'antico Giappone, a cura di Piero Parri, Milano, Adelphi, 1984, ISBN 978-8845905834.
  • Motōri Norinaga, Motōri Norinaga Zenshū 4, Tokyo, Chikuma Shobō, Shōwa 44.
  • Nicoletta Spadavecchia, Il "mono no aware" di Motōri Norinaga nell'Isokami Sasamegoto, in Il Giappone, 1985, p. 67-82.
  • Hino Tatsuo, Motōri Norinaga Shū, Tokyo, Scinco-sha, 1983.
  • Aldo Tollini, Aspetti linguistici e semantici del termine aware dal Kojiki al Kokinwakashū, in Asiatica Veneziana, vol. 3, 1998, p. 183-199.
  • Tomiko Yoda, Fractured Dialogues: Mono no Aware and Poetic Communication in the Tale of Genji, in Harvard Journal of Asiatic Studies, dicembre 1999, p. 523-557.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

  Portale Giappone: accedi alle voci di Wikipedia che parlano del Giappone

[[Categoria:Cultura del Giappone]]