Utente:Shardan/....

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Lo stesso argomento in dettaglio: Ballo sardo, Launeddas, Canto a tenores e Cantu a chiterra.

- La musica tradizionale sarda sia cantata che strumentale è una delle più ricche ed antiche del Mediterraneo. La forma canora più originale è il canto a tenore (chiamato in sardo su concordu, su tenore, su contratu, su cussertu o s'agorropamentu), un canto corale a quattro voci maschili, tipico dell'area barbaricina [1]. La voce solista chiamata boghe sviluppa il motivo musicale e le frasi del solista sono intercalate da un modulo di grande ritmicità intonato dagli altri tre. Il canto accompagna balli, serenate, preghiere ed è una tradizione molto radicata nel nuorese. Tale forma di canto è ritenuto un'espressione artistica di pura matrice sarda, esente da condizionamenti o influssi esterni, pura espressione dell'immaginario agro-pastorale, substrato sociale che simboleggia l'Isola sotto ogni punto di vista e sul quale il popolo sardo ha radicato le proprie origini e identità. Nel 2005 è stato riconosciuto dall'Unesco come Patrimonio orale e immateriale dell'Umanità [2].

La tipica danza de su ballu tundu, secondo l'etnologo Francesco Alziator, possiede delle caratteristiche che fanno pensare ad una origine molto antica, non solo perchè accompagnato dalle launeddas, ma soprattutto per l'associazione tra la danza ed il fuoco: al centro del cerchio formato dai danzatori infatti anticamente era acceso un fuoco. Secondo lo storico dell'arte Carlo Aru, una rappresentazione del tipico ballu tundu sarebbe raffigurata in un dipinto risalente al 1291 e custodito nella chiesa medioevale di San Pietro a Zuri. Questa danza veniva accompagnato dal suono delle launeddas, un antico strumento formato essenzialmente da tre canne palustri e suonato con la tecnica del fiato continuo. Su questo strumento sono stati fatti diversi studi negli anni 1957-58 e 1962 dal musicologo danese Andreas F. Weis Bentzon, il quale ha registrato e filmato diverse esecuzioni musicali che poi ha catalogato e trascritto su pentagramma.

Canto ad una sola voce è invece quello dei cantadores che improvvisano versi su un tema assegnato in gare che si svolgono nelle feste patronali di tutta l'Isola. Altre forme canore diffuse sono i muttos dell'area logudorese-barbaricina e i muttettos diffusi nel Campidano e generalmente di contenuto amoroso o satirico.

Il cantu a chiterra è una tipica espressione artistica nata in Logudoro (probabilmente a Ozieri) e sviluppatasi successivamente anche in Gallura, dove ha avuto grande diffusione. Si suppone che abbia avuto origine dal contatto tra le tradizioni musicali spagnole e quelle sardo-logudoresi. Ha avuto una gran diffusione a partire dal XX secolo grazie alle numerose feste paesane durante le quali si svolgevano (e si svolgono attualmente delle vere e proprie competizioni tra cantadores) accompagnati da un chitarrista e spesso anche da un fisarmonicista [3].


Costante resistenziale sarda.


Con il concetto di Costante resistenziale sarda l'archeologo Giovanni Lilliu riassume la lotta millenaria condotta dal popolo sardo contro le potenze coloniali che di volta in volta si sono affacciate sulle coste dell' Isola. Una lotta dai forti connotati nazionali ma anche, almeno in tempi moderni, sociali e progressisti. L'illustre studioso sintetizza in questo modo il suo concetto:

«..La Sardegna, in ogni tempo, ha avuto uno strano marchio storico: quello di essere stata sempre dominata (in qualche modo ancora oggi), ma di avere sempre resistito. Un'Isola sulla quale è calata per i secoli la mano oppressiva del colonizzatore, a cui ha opposto, sistematicamente, il graffio della resistenza. Perciò, i Sardi hanno avuto l'aggressione di integrazioni di ogni specie ma, nonostante, sono riusciti a conservarsi sempre se stessi. Nella confusione etnica e culturale che li ha inondati per millenni sono riemersi, costantemente, nella fedeltà alle origini autentiche e pure. Questo è stato, ed è certamente, un miracolo, a pensare che l'Isola, per la sua posizione geografica, è tracciata in ogni senso, è un terminal da ogni parte; e che la vasta solitudine dei suoi spazi (si parla di essa come di un continente) ha invitato e invita a riempirli gente d'ogni sangue e colore.»

[4].

Evo Antico sardo[modifica | modifica wikitesto]

Dopo cinquemila anni di culture prenuragiche sparse inizialmente in varie parti, l'Isola si unifica culturalmente sotto la Cultura di Ozieri. Dal 1000 a.C. inizia l'Evo antico sardo che termina nel 900. In questo periodo fiorisce la Civiltà nuragica, si intensificano i commerci verso l'area mediterranea orientale e verso il continente peninsulare italiano e iberico. l'Isola si apre a sua volta a influenze culturali esterne che lasceranno importanti vestigia, mentre l'elemento conservativo indigeno rimane sulle montagne custodendo gelosamente la propria cultura originaria. La costante resistenziale si origina in questo periodo rifiutando costantemente i governi alieni e le loro leggi [5].

Moti resistenziali nel periodo punico[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Sardegna fenicia e cartaginese.

La Costante resistenziale sarda (che è stata attiva o passiva a seconda dei casi) esordì sconfiggendo i Cartaginesi che invasero a più riprese la Sardegna con un imponente corpo di spedizione (secondo gli studiosi non di vera dominazione punica si dovrebbe parlare, bensì di federazione sardo-punica, cementata dalla comune avversione per l'avanzata romana nel Mediterraneo).

  • Nel 540 a.C. Cartagine invia in Sardegna il generale Malco, già conquistatore della Sicilia. La spedizione falli e i punici furono sconfitti in battaglie campali ed in azioni di guerriglia.
  • Nel 535 a.C., i fratelli Amilcare e Asdrubale tentano la conquista della Sardegna.
  • Nel 510 a.C., si conbatteva ancora nell'interno dell'Isola, ma le coste erano controllate dalla flotta punica.
  • Nel 368 a.C., tutta la Sardegna punica si ribella: i Cartaginesi sono costretti a lunghe campagne militari che dureranno anni.
  • Nel 348 a.C., nei territori nuragici liberi, i confini dei cantoni di frontiera vengono fortificati con recinti (muras). Un limes che andava dal Sarrabus al Goceano e al Montiferru divideva l'Isola.

Moti resitenziali nel periodo romano[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Sardegna romana e Amsicora.

Le rivolte contro il dominio romano furono numerose in periodo repubblicano, ma vennero schiacciate nel sangue e permisero di riversare a più riprese sui mercati dell'Urbe un ingente flusso di schiavi (un destino che accomunava i Sardi di allora agli altri popoli conquistati militarmente). Cicerone non mancò mai di sottolineare l'infedeltà delle città sarde nei confronti del potere romano.

  • Nel 236 a.C., i Sardo-nuragici si sollevano contro l'occupazione romana.
  • Nel 234 a.C., la ribellione provoca dure repressioni.
  • Nel 232 a.C., le rivolte ancora non sono domate.
  • Nel 226 a.C., le legioni romane sono ancora impegnate a sedare le rivolte.
  • Nel 225 a.C., continuano le campagne militari contro i sardo-nuragici.
  • Nel 215 a.C., inizia la rivolta di Amsicora e di Osto.
  • Nel 181 a.C., iniziano le rivolte degli Iliensi e dei Bàlari.
  • Nel 178 a.C., inizia l'occupazione della Barbaria.
  • Nel 174 a.C., i soldati romani impeganti con 2 legioni in combattimenti nelle montagne e nelle pianure.
  • Nel 162 a.C., ancora sollevamenti antiromani.
  • Nel 126 a.C., si hanno notizie di ribellioni con l'impiego di due legioni per domarle.
  • Nel 122 a.C., le ribellioni proseguono ancora.
  • Nel 115 a.C., Marco Cecilio Metello interviene contro le scorrerie dei Galillensi. La campagna militare durerà sino al 112 a.C.
  • Nel 104 a.C., viene documentata l'ultima ribellione organizzata.
  • Nel 100 a.C., iniziano le bardane che proseguiranno costantemente nel periodo imperiale.
  • Nel 06, Dione Cassio racconta che l'intera Isola era teatro di disordini.
  • Nel 19, l'esercito di stanza nell'Isola viene potenziato con 4000 legionari per domare le sollevazioni dei barbaricini.
  • Nel 69, rivolte dei Galillensi contro gli alleati romani dei Patulcensi campani.
  • Nel 73, nuovi fermenti e ribellioni sotto Vespasiano.
  • Nel 115, Nerva potenzia il caposaldo militare di Aquae Hypsitanae.
  • Nel 456, fine della dominazione romana in Sardegna. Dopo sette secoli di occupazione romana, secondo gli studiosi ancora il territorio isolano veniva distinto tra Romània e Barbària; in quest'ultima si suppone vivesse un terzo della popolazione dell'Isola.

Durante la dominzione vandalica[modifica | modifica wikitesto]

I Vandali restarono sull'Isola per ottant'anni. La Barbària non fu mai conquistata e si suppone neppure completamente la Romània. L'occupazione vandalica si manifesta prevalentemente sulle coste.

Durante l'occupazione Bizantina[modifica | modifica wikitesto]

Il 13 aprile 534 Giustiniano costituisce la prefettura d'Africa. A tale prefettura apparteneva anche la Sardegna. Il prefetto d'Africa si stabili a Cartagine, mentre la residenza del praesides di Sardegna era a Caralis. Tra le tante attribuzioni del praesides, vi era quella di garantire l'ordine e la giustizia. Giustiniano dispose tramite Belisario che ogni provincia fosse retta da un dux alle dipendenze del magister militum di Cartagine. Per la Sardegna dispose espressamente: «...sia istituito un dux e che risieda presso i monti dove stanno i Barbaricini, detenendo per la salvaguardia dei luoghi tante truppe quante tu (Belisario) ritieni opportune». Forum Traiani (Fordongianus) fu il balurdo fortificato ed una guarnigione di soldati limitanei controllava la frontiera tra Romània e Barbària.

Secondo lo storico Francesco Cesare Casula «da parte bizantina vi era una implicito riconoscimento di una Sardegna barbaricina, già in qualche modo statualmente conformata, dove continuava ad esistere una civiltà o almeno una cultura d'origine nuragica, certo mutata ed evoluta per influenze esterne romane e vandaliche di cui nulla conosciamo tranne alcuni tardi effetti politici» [6].


  • Nel 594 si hanno testimonianze storiche di Ospitone dux barbaricinorum.
  • Nel 703 primo attacco arabo contro la Sardegna. I Bizantini si difendono dagli Arabi lungo le coste e dai Barbaricini sui monti.
  • Gli attacchi si susseguono. Il dux recluta milizie tra le famiglie locali di possessores di terre. Due di queste, una famiglia di Laconi, ai confini della Barbagia e una di Gunali o Unali in Gallura si distinsero ed iniziarono ad avere una certa influenza.
  • Nel 718 si hanno notizie di nuove incursioni arabe. Questo perodo è particolarmente buio per le scarse notizie disponibili. Si suppone che il potere di Bisanzio iniziò ad affievolirsi vista la lontananza da Costantinopoli e i conflitti con Longobardi e Arabi. Si suppone che in questo periodo il dux provinciae divise la provincia in partes (merèie) e ognuna di queste partes fosse retta da un luogotenente (lociservatores), tutti provenienti dalle famiglie dei Lacon e dei Gunale, imparentate tra loro. Queste famiglie formeranno le dinastie che reggeranno i futuri Giudicati.
  • Nell' 806 continuano le aggressioni arabe. Secondo gli Annales Loiseliani i Sardi respinsero da soli gli assalitori, infliggendo loro molte perdite.
  • Nel 873 la lettera del pontefice Giovanni VIII spedita ai principes di Sardegna dimostra che sull'Isola in quegli anni si era realizzata la presenza di nuove autorità sovrane e indipendenti da Bisanzio.

Medio Evo sardo[modifica | modifica wikitesto]

Il Medio Evo sardo inizia nel 900 e dura fino al 1420.

I governi giudicali e guerre di liberazione contro gli Aragonesi[modifica | modifica wikitesto]

Nel Medioevo, la nuova unità suscitata dalla lotta contro le scorrerie arabe permise al popolo sardo di dotarsi di istituzioni uniche nel loro genere nell' Europa del tempo. Il Giudicato di Arborea rappresentò l'ultimo bastione tanto contro l'egemonia delle repubbliche marinare genovese e pisana, quanto contro l'invasione dei re aragonesi-catalani, cui fu ceduto il Regno di Sardegna costituito artificialmente dal papato. Il Regno di Arborea reagì con veemenza contro il governo iberico e riunì sotto le insegne dell'albero eradicato tutta l'Isola. Dopo aver aiutato - per errato calcolo politico - gli aragonesi a costituire una testa di ponte sull'Isola e cacciare i Pisani, per cento anni poi li combatterono accanitamente, riportando importanti successi ma perdendo la battaglia decisiva.

Evo moderno e contemporaneo sardo[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1420 in poi. Con la scomparsa dell'ultimo regno giudicale inizia in Sardegna l'Evo moderno e contemporaneo.

Durante il periodo spagnolo[modifica | modifica wikitesto]

Nel periodo spagnolo, la frattura tra nobiltà sarda ed iberica si aggravò ulteriormente, in sostanza non vi furono mai costumi e modi di vita particolarmente comuni tra l'una e l'altra [7]

  • 21 giugno 1668, il marchese di Laconi Don Agostino di Castelvì, esponente di spicco della nobiltà sarda, primavoce dello Stamento feudale del Parlamento, fu assassinato a colpi d'arma da fuoco.
  • 21 luglio 1668, il vicerè di Sardegna Don Emanuele de los Cobos, marchese di Camarassa, mentre rientrava i carrozza dai festeggiamenti della Madonna del Carmine a Cagliari, fu ucciso a schioppettate. Questo fatto di sangue, aggravato dall'importanza della persona uccisa, fu interpretato dalla Corona come una palese ribellione e provocò l' immediata reazioni di Madrid. Furono subito inviate truppe di rinforzo. L'inchiesta fu molto severa e furono condannati il marchese di Cea, don Giacomo Artal di Castelvì, i marchesi di Albis e di Monteleone, l'arcivescovo di Cagliari ed il vescovo di Ales. Il nuovo vicerè il duca di san Germano, non sentendosi sicuro che completa giustizia fosse stata fatta, pagò dei sicari che uccisero altri nobili implicati nell'omicidio del suo predecessore: don Silvestro Aymerich, don Francesco Cao e don Francesco Portogues.

Nel Regno di Sardegna[modifica | modifica wikitesto]

I Savoia trovarono un'Isola tutt'altro che docile al loro comando. Nel 1793-'94 i moti antifeudali ed antipiemontesi guidati dal magistrato Giovanni Maria Angioy allontanarono i Piemontesi dalla Sardegna gettando le basi per una repubblica giacobina, ma ben presto furono soffocati dai nobili e possidenti sardi impauriti dalle rivendicazioni sociali espresse dal movimento angioiano.

  • Nel 1794 inizia la rivolta anti-piemontese.
  • Nel 1796 Moti antifeudali angioiani.
  • 30 ottobre 1812, congiura antipiemontese di Palabanda, i congiurati più compromessi furono scoperti, processati e giustiziati.
  • 6 ottobre 1820, viene emanato l' editto delle chiudende.
  • 25 marzo 1821, scoppia ad Alghero una rivolta popolare ferocemente repressa.
  • Nel 1822 tumulti e repressioni in tutta l'Isola, specialmente nel nuorese. Il malcontento è generale nel mondo agro-pastorale. Molti rivoltosi andranno sulle montagne ad ingrossare le file dei banditi.
  • 1832, dura repressione militare, arresti ed impiccagioni senza processo.
  • Nel 1836 per combattere il banditismo furono istituiti i Cavalleggeri di Sardegna. Ai miliziani venne affidato il compito di mantenere l'ordine pubblico nelle strade ed alle compagnie barracellari il servizio di guardia nelle campagne.
  • Nel decennio 1831 - 1840 le statistiche sulla criminalità destarono molto preoccupazione: furono migliaia gli omicidi commessi e oltre 527 le grassazioni [8].

Nel Regno d'Italia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Rivolta de Su Connottu e Banditismo sardo.

L' Ottocento vide il sorgere di un pensiero federalista originale negli scritti di Giorgio Asproni e Giovanni Battista Tuveri, ai quali si ricollegò dopo la prima guerra mondiale il Partito Sardo d'Azione di Camillo Bellieni e Emilio Lussu, sotto le cui insegne vennero organizzate le rivendicazioni dei contadini e pastori sardi, dopo più di un secolo di acquiescenza forzata. Nel Novecento la penetrazione del Fascismo in Sardegna fu tutt'altro che facile e il regime ebbe numerosi ed agguerriti oppositori (come Gramsci e Lussu, per esempio).

  • 1858: Continuano le ribellioni contro l' Editto delle chiudende.
  • 1868: Rivolta de Su Connottu.
  • A cavallo del Novecento, grave disagio sociale e sommosse con recrudescenza delle bardane.
  • Nel 1894, primo clamoroso rapimento. Due mercanti francesi vengono sequestrati e viene chiesto un riscatto di 15.000 lire.
  • 4 settembre 1904, iniziano gli scioperi nelle miniere. A Buggerru la polizia spara sui minatori in rivolta uccidendone sei.
  • Maggio 1906, rivolta popolare a Cagliari. Manifestazioni su tutta l'Isola dall'Iglesiente alla Gallura. Dieci vittime a Gonnesa, a Nebida ed in altre zone durante gli assalti ad uffici del dazio ed ai negozi alimentari.

Nella Repubblica italiana[modifica | modifica wikitesto]

L'Assemblea Costituente inserì nell'art 116 della Costituzione italiana la Sardegna fra le regioni alle quali veniva attribuita forme e condizioni particolari di autonomia. L'autonomia fornita dallo Statuto speciale per la Sardegna conferisce all'Isola un regime molto differente rispetto alle altre regioni italiane di diritto comune, in ragione del fatto della sua millenaria cultura autoctona, con singolari peculiarità etniche e linguistiche che nel contesto storico e culturale italiano è prettamente considerata un'area a sé stante. L'autonomia regionale è stata spesso messa in discussione per le carenze dei più importanti progetti di riforma economica e sociale (Piani di Rinascita; industrializzazione calata dall'alto). Oggi la lotta contro le basi militari, contro la prevaricazione dei gruppi economici italiani ed esteri, contro la distruzione dell'identità nazionale sono nuove tappe di questo processo di resistenza del popolo sardo.

  • Nel 1967, rivolta delle zone interne con manifestazioni popolari nei paesi della Sardegna centrale.
  • Anni settanta. Gli Anni di piombo interessano anche la Sardegna. Recrudescenza del banditismo. Secondo lo storico Francesco Cesare Casula:

«..in quel tempo, questi dati (sul banditismo) furono spesso interpretrati da intellettuali e partiti di sinistra come il prodotto di un banditismo che affondava le radici nell'atavica resistenza sardista al dominatore esterno ed alle sue leggi, una sorta di guerriglia, un movimento di liberazione nazionale, anticolonialista, del popolo sardo contro il governo italiano. Perfino il noto terrorista Giangiacomo Feltrinelli visitò Cagliari, comparò la Sardegna alla Cuba castrista, tentò di contattare il famoso latitante orgolese Graziano Mesina.»

Altre interpretazioni[modifica | modifica wikitesto]

  • Per lo studioso Manlio Brigalia, : La sardità è l’insieme degli elementi che compongono, prima di tutto nello stesso immaginario collettivo di chi è nato nell’Isola, il carattere proprio dei sardi. «La Sardegna è diversa», dicono i sardi quando devono spiegare la loro terra (e se stessi) a chi viene da fuori. In effetti, la sardità non è una mera invenzione, come del resto non lo è, in ogni parte del mondo, il carattere regionale, anche se vi si mescolano risultati di un modo di essere lungo la storia e riflessi d’un’autostima consolatoria (terapeutica). É indubbio infatti che i sistemi di organizzazione della società agro-pastorale, in un’isola che ha avuto per millenni la maggioranza di abitanti fatta da pastori e contadini (solo nel censimento del 1971 gli addetti all’agricoltura risultarono meno degli addetti all’industria e molto meno, naturalmente, degli addetti al terziario), hanno influito sul carattere: per esempio, la gestione comune delle terre adibite alla coltura del grano e al mantenimento del bestiame da lavoro, durata sino agli anni Quaranta dell’Ottocento, e l’istituto de s’incarica che già nella Carta de logu d’Arborea obbligava la comunità a rispondere in solido di reati commessi nel suo territorio di cui non si fossero scoperti i colpevoli, hanno sicuramente modellato il carattere dei singoli, non solo dei villaggi, attraverso i secoli, sviluppando contrapposizioni ma anche solidarietà. Peraltro, il dominio politico e sociale che la societa pastorale (la montagna) ha sempre esercitato sulla societa` contadina (la pianura) porta ogni sardo a immaginarsi come un pastore, severo abitatore delle alture, custode implacabile delle virtù della stirpe, alto sul mare: in realtà l’Isola e` paese di colline, la cima più alta non arriva ai 2000 metri. Ma il sardo è anche ospitale, ha un forte senso della giustizia, un attaccamento profondo ai propri diritti: sarà un po’ oleografico, ma pure esiste. La lingua sarda è parte fondamentale della sardità. Non tanto per l’ovvia importanza che ha nella comunicazione quotidiana quanto per la quantità di valori propri dell’identità storica dei sardi che essa è capace di veicolare. In altri termini, c’è la storia secolare di centinaia di comunità locali che è stata vissuta ed espressa in questa lingua. La consapevolezza di questo si è fatta più viva negli ultimi decenni – a partire, si può calcolare, dagli anni Sessanta del Novecento – , in cui essa è venuta scomparendo dall’uso sotto la spinta dei modi di pensare, di lavorare, di consumare, in una parola di vivere, introdotti nell’isola da fenomeni comuni a ogni altra periferia dell’Occidente capitalistico.

Manlio Brigaglia, Enciclopedia della Sardegna – Volume 8 pag. 370

  • Lo studioso Michelangelo Pira, parlando del mondo barbaricino diceva che era una società di liberi e di eguali, un mondo che non aveva conosciuto nel lungo percorso della sua storia, gerarchie o stratificazioni sociali. E cita Fernand Braudel come lo storico che aveva capito bene questo mondo: « Marc Bloch, segnando le originalità del passato sardo, a proposito di studi sulla Sardegna, nota che il Medioevo vi conobbe una società largamente signorilizzata, non feudalizzata, poiché l'Isola a lungo sottratta alle grandi correnti d'influsso che percorrevano il continente. Ciò torna a porre l'accento sull'insularità della Sardegna, una forza permanente e decisiva nel passato sardo. Al suo fianco però, non meno potente, c'è la montagna responsabile, quanto se non più del mare, dell'isolamento delle popolazioni. Se in Sardegna, come in Lunigiana, come in Calabria, l'osservazione (se possibile) ci rivela un hiatus con le grandi correnti della storia, l'arcaismo sociale (e tra gli altri quello della vendetta.) perdura, lo si deve anzitutto alla semplice ragione che la montagna è la montagna. Cioè un ostacolo. Ma in pari tempo anche un rifugio, un paese per uomini liberi» [9]. Per Michelangelo Pira: « ..le caratteristiche della società pastorale non sono ancora state tutte individuate. Certo tra di esse vi era l'aspirazione a capi che avessero uno spiccatissimo e trasparentissimo senso della comunità e che quanto alla eventualità che potessero usare a scopi personali il potere (prestigio, rispetto, attribuzioni etc.) ad essi riconosciuto fossero assolutamente immuni da ogni possibile sospetto, come la moglie di Cesare. E nell'ambito angusto dei villaggi questo genere di capi evidentemente non doveva scarseggiare, forse anzi era addirittura sovrabbondante, al punto che, riconoscendo ognuno il capo nel proprio padre, restava poco spazio per la crescita del potere degli altri. Ma non è da escludere che anche nella generazione dei padri ad alcuni fossero riconosciute capacità normative maggiori che ad altri. Si era anche capi dei capi, re dei re, a seconda del genere di impresa nella quale doveva impegnarsi la comunità: probabilmente al più abile nel canto e nel ballo non si affidava il compito di guidare il gruppo nelle razzie in pianura, né a chi aveva questa capacità si affidava il compito di dirigere i grandi riti della fecondità. La cheflerie però non doveva essere né stabile, né unica, né tanto meno ereditabile. Questo fatto ha sempre messo in imbarazzo le sovranità esterne quando hanno cercato alleati locali per la propria penetrazione in Barbagia. Gli invasori della Sardegna non conoscevano la parola d'ordine attribuita a Malinowski per la nazionalizzazione della colonizzazione inglese attraverso l'amministrazione indiretta mediante l'utilizzazione delle strutture tradizionali: Find the chief!. Tuttavia cercarono anch'essi i capi barbaricini coi quali accordarsi. Ma li cercarono invano: in ogni modo gli eventuali accordi stabiliti con qualcuno, non valevano per tutti gli altri; e questi altri erano tanti che non si poteva trattare con tutti. Gregorio Magno poteva intrecciare una corrispondenza con Ospitone, ma costui quale potere reale aveva e quanti lo riconoscevano come loro capo? Come Ampsicora era stato a suo tempo un capo fantoccio dei cartaginesi, forse Ospitone fu un capo fantoccio inventato dal Papa. E per un capo che tradiva, o che si accordava anche in buona fede, cento altri erano pronti a prenderne il posto per seguire un'altra strada [10].
  • Per lo studioso Francesco Cesare Casula, le costanti lotte armate contro gli invasori costituiscono quelle che lui chiama moti resistenziali, questi moti con periodiche cadenze costelleranno il percorso storico delle popolazioni sarde.
  • Per lo studioso Roberto Bolognesi, la costante resistenziale sarda non è riscontrabile nella lingua, nel vestire, nei costumi alimentari e nella religione delle popolazioni barbaricine attuali. Secondo la sua interpretazione, Giovanni Lilliu intenderebbe dire che è stato piuttosto lo spirito delle antiche popolazioni nuragiche a sopravvivere nei secoli nei cuori delle genti barbaricine [11].
  • Per lo studioso Antonello Mattone «la teoria della costante resistenziale è figlia della temperie culturale e politica degli anni Cinquanta e Sessanta. È debitrice dell'elaborazione di Antonio Pigliaru sul complesso di norme consuetudinarie grazie alle quali la comunità barbaricina ha potuto fare a meno dello Stato, delle idee di Emilio Lussu sul brigantaggio sociale antagonista, dell'indagine di Renzo Laconi sul rapporto tra questione sarda e questione meridionale, delle tesi di Umberto Cardia sul filo rosso autonomistico che attraversa la storia della Sardegna, dell'analisi di Michelangelo Pira sul bilinguismo, delle ricerche di Maurice Le Lannou sulla conflittualità contadini-pastori, dell'attenzione di Fernand Braudel per l'opposizione tra spazio della pianura e spazio della montagna, e di altri ancora»[12].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Documento audio su un esempio di canto a tenore.[1]
  2. ^ Altre notizie sul canto a tenore[2]
  3. ^ Documento audio sul canto alla corsicana[3]
  4. ^ Giovanni Lilliu, La costante resistenziale sarda, Ilisso, Nuoro 2002 ISBN 8887825424 e versione pdf
  5. ^ Francesco Cesare Casula, Breve storia di Sardegna, pag 5
  6. ^ Francesco Cesare Casula, Breve storia di Sardegna, pag 64
  7. ^ Giancarlo Sorgia, La società in Sardegna nei secoli - il periodo spagnolo; pag. 164
  8. ^ Lorenzo Del Piano, La società in Sardegna nei secoli, dal 1815 al 1870, pag 213
  9. ^ Fernand Braudel, Civiltà e imperi, cit., pp. 22-23
  10. ^ Michelangelo Pira, La rivolta dell'oggetto. 6.2 Capi e padroni nell'ideologia pastorale.[4]
  11. ^ Il pensiero di Roberto Bolognesi è espresso in questo sito in lingua sarda:[5]
  12. ^ Antonello Mattone, Prefazione Costante resistenziale sarda di Giovanni Lilliu, pag 87

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]



«Ma si può giungere a veder chiaro nella confusione attuale?
Questione di metodo, questione di punto di vista.
Quale punto di vista?
Osservare anzitutto il contemporaneo, guardare non avanti ma indietro;
considerare il presente come il compimento del passato, e del passato remoto;
cercare nel passato le cause di cui oggi subiamo gli effetti.
Questo è il solo punto di vista da cui si possa tentare la storia del contemporaneo.
Come, dall'oggi, misurare l'importanza degli avvenimenti attuali?
Ciò che ci può dare la misura dei fatti contemporanei, indicarci la loro direzione
e insegnarci il loro significato storico è il legame che li unisce a fatti anteriori,
la linea su cui si situano gli avvenimenti oppure le idee di cui sono la conseguenza.
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