Utente:Retignano/Sandbox

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Retignano
frazione
Retignano – Stemma
Retignano – Bandiera
Retignano – Veduta
Retignano – Veduta
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Toscana
Provincia Lucca
Comune Stazzema
Territorio
Coordinate44°00′17.65″N 10°16′24.73″E / 44.004903°N 10.273537°E44.004903; 10.273537 (Retignano)
Altitudine360-450 m s.l.m.
Abitanti381 [1] (2014)
Altre informazioni
Cod. postale55040
Prefisso0584
Fuso orarioUTC+1
Nome abitantiretignanesi
Patronosan Pietro
Giorno festivo29 giugno
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Retignano
Retignano

Retignano è una frazione di quasi 400 abitanti del comune di Stazzema, situata ad un'altitudine di 360-440 metri s.l.m. nella Versilia storica, in provincia di Lucca, Toscana, Italia.

Nato come insediamento dei Liguri Apuani, cadde poi sotto il dominio dei Romani, che lo fondarono nel 177 a.C.[1] e lo aiutarono a svilupparsi, rendendolo uno dei principali centri dell'Alta Versilia, sulle Alpi Apuane, nota roccaforte di avvistamento dei nemici provenienti dal mare e punto strategico di rifornimento di legname, vari materiali estrattivi e marmo. Dopo un periodo di indipendenza in veste di comunello, durato diversi secoli, nel 1776 il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo sottrasse al paese questo titolo, assoggettandolo al dominio di Lucca, della cui provincia oggi fa parte. Retignano tornò a prosperare nella seconda metà dell'Ottocento grazie all'apertura delle cave di marmo, siti estrattivi del pregiato "bardiglio fiorito", apprezzato soprattutto dagli inglesi, gli stessi finanziatori del progetto.

Nel periodo tra le due guerre mondiali, il paese conobbe un rapido spopolamento, causato dall'emigrazione verso le grandi città o verso l'estero, particolarmente il Nord America o l'Argentina. Assediato dai tedeschi e sfruttato per la sua posizione invidiabile, venne poi "riconquistato" dai soldati americani che vi posero una delle loro basi principali durante la fase di avanzamento presso la Linea Gotica.

Retignano gode del clima mite garantito dal versante delle Alpi Apuane e dalla costa versiliese bagnatadal Mar Tirreno.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

I primi insediamenti[modifica | modifica wikitesto]

Montalto, Retignano. Luogo di insediamento dei Liguri Apuani

Attraverso alcuni ritrovamenti si può sostenere che la zona dell'attuale Retignano fosse già popolata in epoca preistorica, dal periodo del Paleolitico fino all'Età del Bronzo e del Ferro.[2] Origini più certe del paese possono risalire al ventennio dal 580 al 560 a.C,[3] in epoca romana, quando gli abitanti delle Alpi Apuane erano i noti Liguri Apuani.[1] Si ritiene, infatti, che già allora esisteva un piccolo gruppo di casupole circondate da molti campi coltivati, alcuni dei quali in comune con gli altri insediamenti vicini di Terrinca e Levigliani, in cui sono stati anche rinvenute alcune tracce di questa popolazione.[4] Con Levigliani condivideva anche una piccola necropoli, in località "Le piane", nella zona alta del paese.[1][4]

I Liguri Apuani, o più semplicemente Apuani, erano una popolazione che si suddivideva in varie tribù, chiamate Nomen dagli storici romani; una di queste si stanziò tra i massicci montuosi del complesso di Montalto, un'area molto estesa, delimitata da confini naturali e piena di risorse, tra cui torrenti, piante medicinali e fauna. Qui gli Apuani conducevano una vita seminomade e sfruttavano le zone di Retignano come nucleo abitativo dai mesi primaverili fino al primo inverno. Nelle zone più riparate e le radure di "Gordici" e "Valimoni", località di Retignano situate nei boschi, a circa 700 metri s.l.m., chiamate dagli Apuani luki, sorgevano i resti di piccoli insediamenti. In caso di guerra, era previsto il ricorso ad una cima fortificata, una vetta da cui poter scorgere l'orizzonte e segnalare tempestivamente l'arrivo dei nemici. Per Retignano, tale vetta coincide con la sommità del monte "Castello", la cui etimologia probabilmente ha a che vedere con questo fatto.[5] Da lì è possibile vedere l'intera vallata versiliese, la costa e, nelle giornate serene, anche uno scorcio sull'arcipelago toscano. Le lacune lasciate dalla storiografia romana non hanno permesso di identificare la tribù che popolava Retignano. Si ritiene che fossero i Vasates, abitanti di Basati, località antistante Retignano e che da essi deriva il suo nome.[6]

Nel corso dei secoli, a causa del grande interesse mostrato dai Romani per le risorse della Versilia, i Liguri Apuani furono più volte attaccati dalle milizie romane. Dopo la sconfitta di Annibale, come racconta Tito Livio, nel 193 a.C. i Liguri presero l'iniziativa, contrattaccando i Romani ed avviando così un lungo periodo di guerra. Retignano fu una delle principali roccaforti dei Liguri Apuani, tanto osteggiata da Roma.[1]

I Romani disponevano di molti armamenti e di una cultura della guerra più sviluppata, per cui in più occasioni riuscirono a sopraffare i Liguri i quali, dal canto loro, potevano sfruttare la conoscenza del territorio per meglio organizzare offensive e ritirate.

Nel 186 a.C., i Liguri inflissero una pesante sconfitta alle truppe del console Quinto Marcio Filippo, attirando centinaia di legionari romani in una serie di strette gole e terreni scoscesi. Il luogo del disastro, secondo Tito Livio, prese poi il nome di Saltus Marcius, ovvero "il salto di Marcio".[1][7] Lo storico romano racconta che i Romani dovettero spogliarsi delle armi soltanto per battere ritirata più velocemente.[8][9][10]

(LA)

«Perfectis quaestionibus, prior Q. Marcius in Ligures Apuanos est profectus. dum penitus in abditos saltus, quae latebrae receptaculaque illis semper fuerant, persequitur, in praeoccupatis angustiis loco iniquo est circumuentus. quattuor milia militum amissa, et legionis secundae signa tria, undecim uexilla socium Latini nominis in potestatem hostium uenerunt, et arma multa, quae quia impedimento fugientibus per siluestres semitas erant, passim iactabantur. prius sequendi Ligures finem quam fugae Romani fecerunt. consul ubi primum ex hostium agro euasit, ne, quantum deminutae copiae forent, appareret, in locis pacatis exercitum dimisit. non tamen obliterare famam rei male gestae potuit: nam saltus, unde eum Ligures fugauerant, Marcius est appellatus.»

(IT)

«Terminate le inquisizioni, per primo Quinto Marcio andò a combattere i Liguri Apuani. Mentre li inseguiva ben addentro nelle fitte boscaglie che erano sempre state i loro ricettacoli ed i loro nascondigli, fu avviluppato in sito svantaggioso tra certe strettoie già occupate prima. Si son perduti circa quattromila soldati, e caddero in poter dei nemici tre bandiere della seconda legione, undici insegne degli alleati Latini e molte armi, le quali qua e là si gettavano via perché impacciavano la fuga per i sentieri boschivi; e cessarono prima i Liguri di inseguire che i Romani di fuggire. Il console, non appena uscì dalle terre dei nemici, affinché non si vedesse quanto fosse diminuito di forze [armate], fece passare l'esercito in un paese amico. Non poté però cancellare la memoria dell'onta ricevuta: infatti, l'angusto passo, per il quale i Liguri lo avevano costretto alla fuga, fu chiamato Colle Marcio.»

Alla base di questo dirupo si troverebbe il Saltus Marcius di cui parla Tito Livio

La zona, un colle denominato ancora oggi "Colle Marcio", è stata individuata lungo il sentiero che collega Retignano al paese di Volegno, una cresta boscosa che scende dal Monte Alto fino a sbarrare il Vezza nei pressi di Pontestazzemese.[11][12][13]

In ogni caso, la vittoria del Saltus Marcius ridiede nuova linfa agli Apuani che ripresero di buona lena le loro incursioni lungo il litorale versiliese, per limitare le quali Roma inviò il console di turno Marco Sempronio Tuditano che, nel 185 a.c., li costrinse a rientrare sulle montagne, ridando a Roma il controllo della fascia costiera da Pisa al Portus Lunae. Ma, anche in questo caso, la presunta vittoria non convinse per nulla il Senato, visto che negò il trionfo anche a quest’ultimo console.[13]

Cominciò così un periodo in cui la situazione rimase costante: gli Apuani continuarono con le loro incursioni ed i Romani li ricacciavano sui monti. Presumibilmente si trattava di piccoli agguati attraverso i quali uno dei contendenti cercava di attirare l’altro nelle gole montane dove avrebbe potuto tendere delle imboscate, mentre l’altro lo inseguiva fin quando il terreno non diventava pericoloso.[13]

Ma questa situazione di stallo e di continua guerriglia senza risultati concreti era inaccettabile per il Senato Romano. Per attuare i propri disegni espansionistici, esso necessitava di territori dove poter agire in tutta tranquillità, per cui fu presa la decisione di saldare il conto con gli Apuani una volta per tutte.[13]

Approfittando sembra di una tregua e anticipando una spedizione che gli Apuani si attendeva no soltanto con l’arrivo dei due consoli in carica, i due proconsoli Publio Cornelio Cetego e Marco Bebio Tanfilo presero di sorpresa i Liguri che dovettero arrendersi. Tra il 180 a.C. ed il 179 a.C. gli Apuani furono sopraffatti e in parte furono deportati nel Sannio (Macchia di Circello, vicino Benevento), in due scaglioni ed anni successivi composti, Tito Livio, di 40.000 e 7.000 individui.[8][9][13]

Nonostante nel corso dei secoli i Liguri Apuani abbiano affrontato diverse guerre contro i Romani, spesso subendo pesanti sconfitte, si ritiene che non tutti furono deportati durante il periodo 180 – 179 a.C e l'interesse di Roma nel tenere a freno questi nomadi si concentrava per lo più su quelli che abitavano la costa e la valle del Magra, ritenuti una minaccia per la sicurezza e il commercio nel porto di Luni.[14]

In ogni caso, dopo la deportazione dei Liguri Apuani, nel 177 a.C. i loro domini a Retignano, Levigliani e Seravezza furono suddivisi dapprima in coloniae, con centro a Luni per Seravezza e Querceta, a Lucca per le zone montuose di Stazzema e Pietrasanta. Le colonie vennero poi suddivise in villaggi, sorti su colline di facile accesso. Ognuno di essi, divenuto un accampamento romano, prese il nome dal suo fondatore o governatore. L'attuale posizione di Retignano deriva, dunque, dall'epoca di dominazione romana.[3][5][15]

Possiamo considerare, quindi, il 177 a.C. come effettivo anno di fondazione del borgo di Retignano in chiave romana.[1] La località era definita in latino arcifinius, ovvero un tipo di suddivisione del territorio, così chiamato dalla Roma repubblicana, che indicava un appezzamento non ben praticabile a causa della morfologia (località montanara) e dove si era già cominciato a costruire prima dell'autorizzazione romana. Inizialmente, arcifinius indicava un terreno non ancora soggetto alle leggi imperiali, bensì ad altre straniere (in questo caso, degli Apuani o chi per essi). Stando alle opere De agrorum qualitate ("La qualità dei campi") e De controversiis di Sesto Giulio Frontino, politico e scrittore romano, un arcifinius indica un confine curvo, come quello posto alla estremità di un campo coltivato, montagne, corsi d'acqua... Retignano, come altre località versiliesi, appariva proprio come un insediamento arcifinium, specialmente per come apparve dopo la deportazione dei Liguri Apuani nel Sannio, che lasciò l'area quasi del tutto spopolata. L'analisi di vari fattori (tra cui la toponomastica, alcune tradizioni popolari e l'etnografia) porta a credere che Retignano, in veste di stazione romana, insieme a Pomezzana e Gallena fu ricavato dal frazionamento di aree più vaste, da cui poi avrebbe avuto origine il comunello di Farnocchia da una parte e il comune di Seravezza dall'altra. Sembrerebbe una tattica romana per iniziare a sottrarre territori alle comunità "indigene" locali. L'arcifinius dunque era il modello demoterritoriale con cui i romani spartirono la Versilia tra i loro coloni. Un modello che i nobili feudatari medievali, di origine longobarda e non, mantennero intatto, facendolo riemergere nei secoli successivi in veste di Comunello. Una simile spartizione di aiuta anche a comprendere come il feudalesimo e la servitù si siano così radicati nelle zone di Retignano e dintorni.[16][17]

Nei primi secoli d.C., a causa delle incursioni di popoli barbari, furono costruiti diversi fortini nell'attuale zona di Retignano, molti dei quali ancora visibili, benché poco accessibili. Il fortino chiamato "Pineta" ancora oggi presenta le feritoie ed è visitabile, mentre gli altri (specialmente quelli del "roso" e il "casino") sono stati trasformati in marginette oppure metati.

La chiesa del paese risale invece all'VIII secolo d.C. e, secondo alcune fonti, fu edificata in data 29 dicembre, anche se l'anno non è del tutto chiaro.[18]

Alcune ricerche su un documento del 31 agosto 855 d.C. fanno risalire il nome a Retinius (Retinio), romano a cui fu affidato il distretto del paese che poi divenne Ratiniana, Ratiniano (954) Ratignano, San Pietro di Retignano (1200) ed infine Retignano[3][4][5]. Il riferimento al santo patrono risale al 700 d.C., quando la cristianità si diffuse maggiormente in tutta la penisola e Retignano, alle dipendenze di Roma, ne assunse lo stesso patrono (San Pietro). Il 1º luglio 932 d.C. il borgo, denominato Ratignano come testimoniano certi registri dell'arcivescovato di Lucca, fu donato dal re longobardo Lotario alla cattedrale lucchese.[4][19][20] Il 2 settembre 954 il paese era già di un certo livello e di lì a breve divenne comunello autonomo. All'epoca, la sua economia era largamente a sfondo agricolo. Una carta di quel periodo, depositata presso l'archivio arcivescovile di Lucca, rivela una permuta di beni, ovvero una casa con podere, posta a Retignano (Ratiniana prope Sala Vetitia, Retignano sopra Seravezza), tra il vescovo Corrado e suo nipote Giovanni del fu Rodilando.

Il Barbacciani Fedeli dice che il paese era sede di una rocca, su cui fu poi costruita la chiesa.

Castagno[modifica | modifica wikitesto]

Nei documenti dell'Alto Medioevo troviamo spesso il termine selva distinto da bosco, secondo l'usanza versiliese e apuana di indicare con la prima parola le coltivazioni di castagno. In un documento del 4 settembre 954 riguardo Ratiniano (Retignano) si nominano, tra le varie cose, "silvis e virgareis" (Santini V, 121) indicando presumibilmente le selve di castagno e piantonete di vernacchi per la produzione di tavole e pali. Lorenzo Veronese nel suo Liber Maiolichinus de gestibus pisanorum illustribus, dice che i boschi di Retignano e dell'Alta Versilia in generale furono ampiamente privati di alberi affinchè con quei tronchi si potesse allestire la flotta pisana, impegnata poi nella crociata balearica del 1113-1115. Furono abbattuti così tanti alberi che il Veronese ci dice "arboribus caesis remanet Corvara rara" (a causa dei numerosi alberi tagliati, Corvaia rimase rada). Nel 1100 le selve di Retignano erano sotto il dominio dei Nobili locali, alleati dei pisani, che detenevano il controllo anche del vino e dell'olio.

Prendendo a campione ancora Retignano, nella seconda metà del Duecento (Guido da Vallecchia, pag 17) il paese disponeva di un legname pregiato, conteso dai pisani e dai lucchesi, soprattutto castagno e quercia. Gli eredi di un tale Vite, abitante del paese, dovevano pagare come tassa al loro signore (Bonifacio di Bartolomeo dei Nobili di Massa) 4 staie (circa 100 litri di capacità) di grano, segale, orzo, panico e castagne.

Sotto i Medici e poi gli Asburgo-Lorena, i castagneti dell'Alta Versilia sono ulteriormente razionalizzati e nel paese di Retignano compaiono i primi terrazzamenti, seguiti da esperti della neonata Accademia dei Gergofili.

Il castagno divenne quindi fondamentale fonte di approvvigionamento alimentare e di combustibile, segno di un'economia di autoconsumo efficace. Permise anche alla popolazione di aumentare sensibilmente nel periodo 1500-800. Forniva approvvigionamento di carboidrati, dato che nei pendii scoscesi era a volte impervia la coltivazione di cereali o altri alberi da frutto. Forniva anche legna da ardere, per paleria e costruzioni edilizie, nonchè lettiera per bestiame.

Parla anche dei ciacci! Dei Metati. Prosegui con il castagno!

Dal Mille al Seicento[modifica | modifica wikitesto]

Retignano dall'alto, 2015

Il primo nucleo ad essere abitato, dopo il periodo dei Liguri Apuani, fu quello oggi chiamato "Caldaia" insieme anche alla “Corte”, così chiamata perché sede del primo Comunello autonomo verso la fine del 1100.[4][5]

Il Barbacciani Fedeli,[21] un saggio sulla storia e la configurazione politica della Versilia nei secoli, attesta che il monte che sovrasta Retignano, noto come “Castello”, un tempo fosse un'antica rocca di avvistamento di popoli nemici in avvicinamento e marcasse, inoltre, il confine tra la diocesi di Luni e quella di Lucca.

Il Comunello di Retignano comprendeva, oltre al paese stesso, anche i territori di Ruosina, Fornetto (Pontestazzemese), Iacco, Argentiera e Gallena, più una serie di insediamenti al di là del fiume, che gli abitanti oggi chiamano «dal fiume innà» (in versiliese, “al di là del fiume”), a sottolineare che non hanno un toponimo vero e proprio.[4][19]

Tra il 1014 e il 1022, Retignano era ancora sottoposto al governo lucchese. Nell'archivio parrocchiale di Lucca un documento attesta che Grimizio (o Grimizzo), il vescovo della città, aveva imposto al paese di cedere parte delle rendite a beneficio di Donuccio da Porcari, detto "Sirichello".[18] Retignano, data l'importanza assunta negli ultimi tempi, divenne ben preso Comunello autonomo (sul finire del XII secolo).[4]

Nel 1208 Retignano ottenne il titolo di parrocchia (La Chiesa Primaziale pisana, libro 1974. Giardini Editore). La chiesa era anche un ospizio per i malati e per i pellegrini. Faceva da confine tra le diocesi di Luni e Lucca.

Nel 1220 il villaggio venne eretto a Curia per volontà del vicario Bonifazio di Santa Felicita di Valdicastello, con la presenza dei gruppi religiosi di Corvaia, Seravezza.[22][18] In quel periodo, da dodici anni, il rettore della parrocchia era il diacono Bonaguida, che si occupava di quel luogo da 12 anni ma senza prendere l'ordine del sacerdozio. Nel febbraio 1222, dopo essere stato richiamato da papa Onorio III e dai canonici di Pisa, Taiperto e Suffredo, a comparire in giudizio davanti ad essi presso Seravezza, il diacono cominciò a temere per la propria incolumità e temendo le ritorsioni da parte del console di istanza a Valdicastello, si rifiutò più volte di presentarsi. Alla fine chiese di incontrarsi in un luogo "tranquillo", dove poteva non subire ritorsioni. Scelse quindi la località di "Lombrici", nei pressi di Camaiore. I parroci pisani accolsero la sua richiesta, ma Bonaguida non si presentò. Alla fine fu scomunicato con grande sdegno da parte della comunità locale.[23][1] Come era solito presso i Nobili della Versilia, fu il popolo stesso ad eleggere un nuovo parroco, nel giugno 1222. (Santini I, 74). Le carte che attestano ciò sono conservate all'arcivescovado di Lucca, estratte dal canonico Lorenzi nel Settecento e messe a disposizione del pubblico dal nipote Eduardo Dilani. (ne parla anche in dizionario geog vol4).

Guido da Vallecchia, nei suoi Libri Memoriales del 1264, ci racconta che nel borgo, già di proprietà dei Nobili di Versilia nel Duecento, si coltivavano grano, orzo, miglio e castagne. Sempre nel Duecento, i bacini minerari versiliesi erano già da tempo sfruttati e molti di essi costruiti in luoghi arroccati o comunque ben protetti, per evitare attacchi strategici alle attività estrattive. Tra il 1213 e il 1219, alcune famiglie longobarde si spartirono delle proprietà minerarie presso l'Argentiera e Farnocchia, all'epoca sotto il controllo di Retignano. Tuttavia, il lungo conflitto tra i feudatari locali e la signoria lucchese, si concluse con la distruzione, da parte di Lucca, di molti castelli e rocche al fine di danneggiare l'economia locale ed insediare i signorotti lucchesi nelle terrae novae di Pietrasanta e Camaiore.[24]

Sempre dai Libri Memoriales si possono ricavare informazioni sulla diffusione del castagno e il suolo ruolo nell'alimentazione dei popoli montanari. Sebbene in generale la storiografia a riguardo sia piuttosto scarsa, Guido da Vallecchia cita comunque diversi suoi possedimenti nello stazzemese dove i castagni spiccavano già tra la vegetazione. L'autore annota la produzione annuale di otto staia de castaneis pistis in un fondo di Farnocchia e di quattro staia in un fondo a Retignano, dicendo che i retignanesi producevano, tuttavia, un raccolto misto inter granum et ordeum et panicum et castaneas. Le testimonianze di Guido da Vallecchia ci danno un'idea del regime alimentare dell'area versiliese medioevale, con una stragrande maggioranza di campi coltivati a grano, orzo e castagno.

Tra il Duecento e la metà del Trecento, dai territori di invasione araba (sud Italia), giunsero in Versilia le piante di agrumi e il gelso, che diventerà poi una colonna portante dell'economia retignanese del Settecento.

Prima del dominio fiorentino e prima ancora dell'autonomia, il paese di Retignano era sottoposto al controllo dei Nobili di Corvaia e di Vallecchia, i quali riscuotevano dai vassalli residenti a Retignano canoni ben precisi: rendite in denaro per i terreni utilizzati a prato o a fieno, in natura per tutti gli altri possedimenti.

Nel 1250 alcune miniere d'argento e di mercurio, appartenenti ai confini geografici di Retignano, passarono nelle mani della potente famiglia Antelminelli. Un manoscritto conservato all'Archivio Storico di Lucca riporta che nel 1297 ci furono delle lotte civili nelle zone di Farnocchia, Stazzema e Retignano proprio a causa dell'esproprio delle attività estrattive.

Nello statuto della Repubblica di Lucca del 1308 era stabilito che Retignano (notate il cambio di nome) dovesse offrire, nel giorno di Santa Croce, un cero di quattro libbre. Questa offerta, di poco valore, qualificava Retignano come un paese dalla scarsa importanza nell'economia versiliese. Da altri registi emerge che nel 1401 a Retignano erano attivi 5 muratori e 5 tessitrici, mentre la maggioranza degli abitanti era dedita alle coltivazioni agricole.[25] La perdita di molte attività estrattive aveva danneggiato pesantemente l'economia di Retignano e del comunello. Soltanto nel 1316, quando il dominio versiliese finì nelle mani di Castruccio Castracani, fu possibile riprendere l'attività estrattiva.[24]

Nel 1366 il parroco Don Lotto, dopo aver rifiutato i sacramenti ad alcuni fedeli, fu minacciato dai suoi superiori di scomunica. Nel 1392 si ebbe un altro caso di imposizione gerarchica, quando gli amministratori di Retignano furono costretti a consegnare le chiavi della chiesa e della canonica al cappellano, in assenza del rettore. In quel periodi i sindaci erano Corsino Gherardi, Vanni Landi, Nicola Vanni e Bonaccorso Gualandi e, nel 1393, Giuseppe Consigli.

Nel 1401 a Retignano erano attivi 5 muratori e 5 tessitrici.

Tra il 1341 e il 1513, la Versilia e le attività minerarie videro l'alternarsi di periodi di attività e di inattività, causati dal continuo passaggio della zona tra i possedimenti di Pisa, Lucca, Genova ed infine Firenze. Vista la prosperità dell'area versiliese, i Medici si adoprarono parecchio ad assoggettare la zona al proprio dominio e difatti Retignano finì sotto Firenze nel 1484.[26] Con una bolla del 1516, papa Leone X dei Medici annetté l'enclave di Pietrasanta nel dominio fiorentino. Poiché Firenze godeva di una certa stabilità, Cosimo I diede importanza alle miniere, alle montagne e al marmo versiliese, avviando una serie di nuove attività e scavi, favorendo l'economia locale e spingendo i Medici a costruire una residenza a Seravezza. Saranno proprio i Medici ad aiutare Retignano a riprendere l'economia, mentre le prime estrazioni marmifere risalgono all'Ottocento.[24]

Sempre in epoca medicea, con lo sviluppo dell'artiglieria e di nuove tecniche belliche, l'incastellamento tipico dei borghi versiliesi cedette il passo a nuove, più piccole strutture, essenzialmente adoperate per l'avvistamento. In particolare Retignano, data la grande apertura su tutta la vallata versiliese e gli scorci sul Tirreno, fu dotato di versi forti di avvistamento. Nei boschi del paese, tra 500 e 600 metri slm, dominano i ruderi di una struttura fortificata di stampo medievale, relativi al dominio feudale dei consorti longobardi. Tra il 1255 il 1308 questo castello subì le sorti di tutti gli altri della Versilia, divenendo un rudere inutilizzato. Durante il dominio dei genovesi e dei fiorentini (Quattrocento-Cinquecento), la struttura era così diroccata da non essere nemmeno riconoscibile ed i nuovi governatori locali scelsero un nuovo edificio nei pressi della Chiesa di San Pietro, un luogo ancora oggi chiamato "Casino", ma di cui rimangono solo dei resti. La testimonianza di Gazzano, del 1405, sembrerebbe così spiegare il motivo per cui i retignanesi chiamano il loro monte "Il Castello".[27][28]

Presso gli archivi di Firenze, come riporta il Repetti (Dizionario Vol 5), un documento del 27 ottobre 1484 attesta che Retignano, insieme ad altri comunelli versiliesi, fu annesso al dominio fiorentino, da cui ottenne diversi benefici, come l'impulso alle attività estrattive. Il 19 novembre 1513 venne inglobato nel Capitanato di Pietrasanta.

Nel 1518 Giuseppe di Bernardino, originario di Retignano, definito dal Santini come "un uomo vagabondo e serafico", fu condannato a morte e l'esecuzione avvenne a Pietrasanta.

Nel 1527 il cappellano curato era il frate Alberto Calandrini, figlio di Ambrogio marito di Giacominetta Castelletto Bonaparte.

Il primo rettore versiliese della Chiesa di San Pietro a Retignano fu Giovanni Biagi da Pietrasanta, nel 1523.

Nel 1532 era attiva una fabbrica di ferro verso il Canale del Vezza. Nel 1535 in paese erano attivi 2 muratori, 2 bottai e un mugnaio. Passato nel frattempo sotto Firenze, il 17 settembre 1550 il nuovo statuto del Comunello, quando gli abitanti erano appena 213, venne approvato dal nuovo Governo Granducale. Sebbene non se ne conosca il motivo, nel 1558 molti uomini di Retignano, sostenuti da alcuni di Ruosina e Gallena, all'epoca un tutt'uno con Retignano, chiesero formalmente di passare sotto il comune di Pietrasanta, per godere di diversi benefici. Tuttavia, il consiglio popolare bocciò la proposta temendo che ciò avrebbe infastidito il granduca. Quando l'Alta Versilia era costellata da comunelli, il comune di Stazzema ancora non esisteva. Questa richiesta venne respinta dopo vari tentativi a causa di screzi interni al consiglio del comunello, tra chi era a favore di passare sotto Pietrasanta e coloro che preferivano l'autonomia.[4][19]

Nel 1540 giunse come rettore Marco Bracci, fiorentino, prelato della curia romana e scrittore dei Brevi Apostolici.

Il 17 settembre 1550 il comunello di Retignano promulgò un nuovo Statuto, in seguito approvato dal governo granducale di Firenze. Gli abitanti erano 213.

Nel 1565 Giovanni Pancetti di Pietrasanta, produttore di carbone in Canovaia (Pontestazzemese), aprì una bottega presso Retignano.

Il primo rettore proveniente dalla vallata stazzemese fu Santi Bertocchi, nel 1567.

Nel 1568 Matteo Inghirami, un procuratore delle miniere del Granduca di Toscana, scelse di abbattere alcuni edifici lungo il fiume (nella zona dell'attuale Ruosina) ed un mulino, al posto dei quali fece costruire una ferriera. Agli inizi del Seicento, quando il comunello di Retignano godeva di una certa prosperità, il borgo era utilizzato per controllare tutte le strade della Versilia e comunicare tempestivamente l'arrivo di bande nemiche, in particolar modo la cima del monte "il Castello" e le vette di Mont'Alto permettevano di tenere d'occhio tutte le altre frazioni.[4][19]

Nel 1580 la chiesa di Retignano divenne indipendente dai religiosi di Lucca poiché prese a battezzare i nuovi nati in piena autonomia. Questo lascia intendere che, sul finire del Cinquecento, il borgo di Retignano conobbe un nuovo periodo di prosperità.[22]

Nel 1590 il consiglio paesano, pronto ad emanare un nuovo Statuto, visti i recenti cambiamenti economici, si ritrovò a non avere un luogo ufficiale dove convocare le sedute popolari. Al costo di 30 scudi, il consiglio dei rappresentanti del popolo acquistò un'apposita sala, nella località Corte.

Nel Seicento, sopra la Chiesa di San Pietro Apostolo, si trovava il casino per le guardie (località ancora oggi detta Al Casino), posto in posizione sopraelevata per controllare le strade e comunicare tempestivamente l'arrivo di bande nemiche.

Tra il 1603 e il 1632, dopo alcuni liti con Farnocchia per questioni di confini, la granduchessa Maria Cristina risolse la questione limitando il comunello di Retignano ai primi insediamenti al di là del fiume e lasciandogli il pieno controllo del fiume a patto di garantire la sicurezza dei ponti e degli edifici lungo di esso.

Nel 1624 il rettore della Chiesa era un retignanese, Giovanni di Bartolomeo Bichi. Fu seguito da Giovanni Bichi (1670) e Giovanni Pietro Rossetti (1741).

Nel 1645 Giovanni di Biagio Corsetti, residente a Retignano, commise un terribile omicidio e per tale motivo il Consiglio decise di bandirlo dal comunello.

Un bando del 7 dicembre 1673 impedì ai retignanesi, così come al resto dei versiliesi di montagna, di tagliare alcuni alberi poiché le smodate attività di taglio erano responsabili di danni al corso del fiume. Poiché all'epoca si stava ancora cercando di bonificare la pianura, ogni attività di disboscamento poteva influire negativamente sull'operato.

Amilcare Verona così scrisse su Retignano:

«Questo paese conobbe dei periodi di prosperità derivata dalla ricchezza dei suoi boschi, dall'abbondanza delle acque, dalle fiorenti miniere dell’argento vivo ("mercurio", ndr) e del ferro, nonché da un copioso allevamento, in particolare ovini e bovini, affiancato da un’intensa attività agricola»

Con questa testimonianza sappiamo che già nel Seicento erano fiorenti le miniere dell'argento vivo, ovvero il cinabro (solfuro di mercurio), rimaste attive fino alla metà del Novecento ed oggi ancora ricche e visitabili, ma non più in attività.[29] NON E UNA TESTIMONiANZA...

Armaioli[modifica | modifica wikitesto]

Una delle attività artigianali-industriali di maggiore spicco nella Versilia del secondo millennio. Anche se non è chiaro il periodo di iniziale sviluppo delle armerie, alcuni documenti fanno risalire le botteghe dei primi maestri già al Trecento (Percivalle Vivaldi, 1339. Archivo Lucca). Il Santini testimonia che già nel Cinquecento le attività degli armaioli erano in costante aumento. Ruosina, allora sotto il dominio di Retignano, disponeva dei più superbi laboratori di armi offensive e difensive, accanto alla produzione di palle per bombarde e manifattura del ferro. Le botteghe degli armaioli a Retignano e Seravezza si diffusero nel periodo di Cosimo I (1537-1574) e nel Seicento passarono al servizio del Granduca. Si producevano archibugi, moschetti, pistole e acciarini. Nel Settecento l'arte degli armaioli retignanesi declinò e sopravvisse soltanto a Ruosina, ora diventata indipendente, e a Stazzema. Nell'Ottocento, la più redditizia industria del marmo soppiantò completamente le botteghe di produzione delle armi ed alcune di esse vennero riadattate a polverifici, luoghi di lavorazione dei blocchi marmiferi.

A Retignano erano presenti anche officine per la lavorazione del ferro, proveniente dai siti estrattivi della vallata. Il Santini dice che uno dei forni locali era gestito dal superbo artigiano Matteo Pellegrini. (1500)

Già al tempo dei Romani la Versilia era spesso assediata dai pirati che flagellavano la costa sottoposta ai consoli. Fino al periodo dei Medici i corsari erano chiamati "barbareschi", ossia stranieri provenienti da altri paesi del Mediterraneo. Nel Cinquecento le incursioni si fecero sempre più frequenti (grazie al dominio fiorentino l'area assunse un'importanza sempre più significativa) e si rese necessario rafforzare le misure di difesa. Per questo motivo sulla fascia costiera erano presenti diversi archibugi e milizie permanenti. I casottini di Terrinca e Retignano erano in contatto con il litorale. Il Santini (II, 226-228) dice che appena scorta la sagoma di qualche imbarcazione sospetta, i cavalieri si recavano sulla spiaggia per accendere dei fuochi. Le Guardie di Retignano (che fra i paesi della vallata, gode della migliore vista sull'entroterra versiliese) andavano così in paese ad allarmare la popolazione. La stessa cosa succedeva a Terrinca presso la Casa del Salvatore, di rimpetto al "Casino delle Guardie" di Retignano. (G Bertelli, il comunello di farnocchia, p 34). Nel Cinquecento Cosimo I, di fronte ai timori fondati delle devastazioni e per non perdere il predominio che i Medici avevano sul territorio, scelse di tenere preparati gli abitanti dando impulso alle attività di produzione delle armi. Nel perodo di fine Cinquecento, il Granducato affrontò un periodo di crisi che vide un'abbassamento della guardia, con conseguente aumento delle incursioni. Nel SEicento, il granduca Ferdinando aumentò i nuclei di difesa, costruendo altri casottini a Retignano, Stazzema, Farnocchia e Pomezzana.

Nel Settecento, come dice il Campana parlando delle fortezze militari che operavano in quel periodo nel Capitanato, i posti armati sulle montagne erano la Rocca di Corvaia (per Corvaia, Seravezza, Riomagno e i paesi vicini), Basati (per il paese, Giugstagnana, Minazzana, Cerreta e Valventosa), la Cappella (per Azzano e Fabbiano), Retignano (per se stesso, Terrinca, Levigliani, Ruosina e Pontestazzemese), Stazzema (per Pruno, Volegno e Cardoso), Pomezzana e Farnocchia. L'allarme scattava quando sulla costa cavalieri incendiavano dei falò. Prendere in tempo l'allarme era fondamentale. Le guardie costiere erano gestite da Pietrasanta. L'opera di tutte le guardie era regolarmente pagata prima per cinque mesi all'anno dal 12 maggio al 12 ottobre, poi dal 1716 in avanti, per soli tre mesi dal 12 giugno al 12 settembre.

Caccia[modifica | modifica wikitesto]

I Liguri Apuani, come testimonia Tito Livio, erano abili nella caccia. Poiché la pianura versiliese in origine era paludosa, soltanto nei mesi più caldi gli abitanti delle colline scendevano a valle per coltivare. Nel resto dell'anno sfruttavano quei terreni principalmente per la caccia. I vari dominatori della Versilia, tra il Quattrocento ed il Settecento, si interessarono molto alle battute di caccia locali. Nel Seicento, a Retignano erano presenti diversi cacciatori esperti, insieme ai fabbricanti di armi (scrittore anglosassone Georg Chrisoph Martini, Viaggio in Toscana, 1725-1745).

Secondo un estimo del Gazzano del 1405, nelle montagne davanti a Retignano (oggi la località detta "dal fiume innà", un tempo luogo di confine tra i comunelli di Farnocchia e di Retignano) esisteva un posto detto "nel Cagnolo" o "Cugnolo". Secondo il Pieri (nome?) era un luogo atto alla caccia di lepri che forse prese quel nome dal latrato dei cani impiegati nella caccia. (G Bertelli, "Il comunello di Farnocchia", pag 46 lo identifica presso Ruosina). Questo conferma che i retignanesi del cinquecento erano impegnati nella caccia.

1700[modifica | modifica wikitesto]

Giovanni Targioni Tozzetti fece visita a Retignano nel Settecento, come raccontato in Relazioni d'alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, 1773. Racconta dei diversi minerali rinvenuti a Retignano e del marmo.

Il Settecento si apre, per Retignano, con nuove opportunità ed una ritrovata prosperità economica che consente al comunello di restare in piedi. Nel 1712 il consiglio dei rappresentanti del popolo era composto da 50 persone, quando in paese erano attivi 4 muratori, 6 tessitori, 2 addetti ai mulini, una lucidatrice e coloro che lavoravano presso falegnamerie e segherie ad acqua. Ci si rende conto che la società del comunello di Retignano era gestita da un nucleo ristretto di lavoratori che tiravano avanti l'economia locale, mentre il fabbisogno principale del paese e dintorni era appannaggio dei contadini.[4][19]

Il conte Francesco Campana, nei documenti da lui lasciati riguardanti la storia dell'Alta Versilia, si legge che a Retignano erano attive diverse osterie, così come nei paesi confinanti. Secondo lui, queste osterie erano troppe e danneggiavano l'economia locale. A Retignano le osterie vendevano vino forestiero, non incoraggiando la produzione di quello locale, così come l'olio veniva venduto a ribasso nonostante le tasse imposte dal Capitanato.

La produzione della canapa[modifica | modifica wikitesto]

Fibre di canapa

La coltura della canapa in Versilia ha radici molto antiche. Si seminava all'inizio della primavera (fine marzo-inizio aprile) in un luogo pianeggiante, dove il terreno era umido. Il seme si spargeva come quello del grano ma molto più fitto, così da ottenere piante e dunque fibre più lunghe e resistenti. Le piante venivano svelte alla fine di luglio. Nella caligine di agosto, queste erano lasciate a seccare e poi portate a macerare nei cosiddetti "pozzi della canapa" (pozzi dalla canipe in dialetto), nei pressi di sorgenti d'acqua. Nel caso di Retignano, un luogo di coltivazione della canapa era il Canale di Rio, presso Montalto. Le piante restavano qualche giorno immerse in acqua, appesantite per evitare che restassero a galla. Dopodiché, esse venivano stese e lasciate al sole ad asciugare, le si legava in grandi fasci e si conducevano a casa. La lavorazione successiva era così divisa: agli uomini spettavano la stigliatura (ovvero il liberare le fibre, dette tiglio, dal nucleo legnoso degli steli) e la gramolatura, ovvero una seconda passata per liberare le fibre (la macchina impiegata era detta gramola); le donne erano in genere relegate le attività di pettinatura e successiva fattura dei "tozzi" e delle "roccate". Di solito, la filatura con la rocca la faceva la nonna. La lavatura e la sbiancatura era un lavoro affibbiato alle donne più giovani della casa. La riduzione a gomitolo la faceva il nonno ed infine la tessitura era praticata da una donna che disponeva di un telaio.

Con la canapa si potevano produrre diversi capi di abbigliamento, tovaglie e tovaglioli, sacchi eccetera. Il lavoro in sé non costava granché se non in termini di fatica e dedizione. Questo sfruttamento del territorio in tutte le sue sfaccettature era un'altra espressione dell'autarchia tanto radicata nella gente dei monti.

Francesco Campana testimonia che a Retignano la cultura della canapa era assai diffusa (infatti è rimasta in auge fino agli anni CInquanta del secolo scorso). Nel Settecento erano presenti ben sei telai, rendendo Retignano il quarto paese dell'attuale comune di Stazzema in termini di produzione di canapa (dopo Pomezzana, Le Mulina e Stazzema). Lo stesso Campana ci informa, però, che la produzione di canapa era destinata quasi esclusivamente ad uso proprio. Il commercio non era granché attivo e la produzione interna del capitanato di Pietrasanta era insufficiente, per cui diversi duchi della Toscana andavano a cercarla presso altri produttori regionali.

La produzione del baco da seta[modifica | modifica wikitesto]

Bachi da seta

Il baco da seta riguardava una delle forze motrici principali dell'economia versiliese, sviluppatasi prima dell'apertura delle cave di marmo e poco dopo l'avvio dei commerci di olio. Documenti del 1406 già attestano che Retignano era uno dei produttori.[16] Ad incrementare la coltivazione di gelso per l'allevamento dei bachi da seta furono i Fiorentini, a partire dal Cinquecento. Ad ogni modo, fu soltanto nel Settecento che la provincia di Lucca si distinse per la sua grande produttività. La lavorazione della seta affiancava quella più antica della lana e della canapa. Alcuni dati riportati dallo storico Francesco Campana dicono che Retignano, nel 1720, produceva in un anno 1530 libbre toscane di seta (corrispondenti, al giorno d'oggi, a circa 520 kg[30]).[22] [19] Il ciclo iniziava verso la fine di aprile quando le cosiddette "semine", cioè le larve piccolissime e bianche, venivano persino "covate" dalle donne impegnate nell'attività, le quali mettevano un po' di larve in una sacchetta e la appendevano sotto la veste, per tenerle al caldo. Dopo una ventina di giorni (21-22) i primi "bechini" iniziavano a nascere, bianchi, lunghi e con la testa nera. Venivano lasciati nei pressi di un angolino nei vari focolari, in modo tale che non si raffreddassero, dentro un cesto coperto da un panno umido. Il loro nutrimento principale era (ed è tutt'oggi) il gelso, un tempo sparso ovunque sul territorio versiliese. Dopo aver raggiunto certe dimensioni, i bachi erano messi su dei cannicci a castello, in una speciale stanza della casa esposta alla luce solare, lontano dai venti (via dalle finestre). Dopo un altro mese i primi bozzoli iniziavano a comparire e venivano raccolti, poi venduti a peso. Una piccola quantità, di prima scelta, era utilizzata per le proprie necessità, un'altra invece veniva deposta sopra una scopa, cosicché dopo un paio di settimane si avevano le farfalle. Le femmine di quest'ultime deponevano le uova sulla scopa e da lì le donne procedevano con il recuperarle, facendo poi ripartire il ciclo da capo.[16][28]

Nel 1743 il paese fu visitato da Giovanni Targioni Tozzetti, che raccontò:

«Partii dalla fabbrica di mercurio di Levigliani e, prima di raggiungere le prime case, in località detta Incontro, trovai molte zone di pietra morta»

"Pietra morta" (macigno) è un'espressione utilizzata in petrografia con il significato di roccia sedimentaria friabile, arenaria del periodo cretaceo o del paleogene, a grana media o fina, a cemento calcareo o calcareo-argilloso, di colore da grigio a grigio-giallastro o grigio-azzurrognolo, facilmente disgregabile per gelivazione. Si tratta di una pietra molto diffusa nell’Appennino, usata come materiale da costruzione e per macine da mulino.

Nel 1751 padre Bernardino Bichi di Retignano era rettore della chiesa locale, nonché direttore del convento di San Francesco a Pietrasanta.

Nell'anno 1720 Retignano era composto da 94 case con 436 abitanti, pari a 88 famiglie. Un dato insolito riguarda il censimento del 1750, in cui invece registriamo solo 42 famiglie per un totale di 212 abitanti distribuiti in 46 case. Questa discrepanza di dati lascia intendere che i precedenti registri si riferissero a tutto il comunello e non soltanto a Retignano. Sono le prime avvisaglie dell'imminente "chiusura" di comunelli, come quelli di Retignano e Levigliani la cui prosperità durò fino al 17 giugno 1776 quando, per volere del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, vennero eliminati i comunelli ed il fulcro delle attività si spostò a Ruosina e poi a Stazzema, facendo nascere l'attuale comune.[4][19]

Sempre lo stesso granduca, nel 1777, abolì alcune congregazioni retignanesi, tra cui la Compagnia del Corpus Domini, la Compagnia della Santissima Annunziata e quella del Santissimo Rosario, ripristinate solo un secolo più tardi. Le confraternite Dottrina Cristiana e di San Ginese non furono più ripristinate. Avevano tutte avuto impulso nel Cinquecento sotto l'impulso della controriforma e del concilio di Trento. Si occupavano della gestione delle chiese e degli oratori. (Sandra Pieri, Contributo al recupero delle fonti per la storia del territorio di Stazzema, 373-376).

Il 18 luglio 1789, su decisione di papa Pio VI, il comunello di Retignano, insieme ad altre zone della Versilia, passò dalla diocesi di Lucca a quella di Pisa. E' in questo periodo che si evidenziano i primi confini netti tra la Versilia propriamente detta e le comunità limitrofe, come Viareggio e Camaiore (rimaste nella diocesi lucchese). Sempre negli anni ottanta del 700 venne edificata un'altra chiesa, detta Chiesina, con il nome di Oratorio di Maria Santissima assunta in cielo. Nel 1787 Ruosina diventa parrocchia indipendente.

Sempre su volere di Pio VI, con una bolla del 16 luglio 1797, i territori versiliesi progressivamente furono sottratti alla diocesi di Lucca e uniti sotto la diocesi di Pisa. (Curia di Pisa, acta extraordinaria 1790-1804 fascicolo 35). Retignano finì sotto la diocesi di Pisa nel 1798.

Nel mese di agosto del 1793 il comunello di Levigliani riunì degli esperti per delineare i confini del proprio comunello.[31]Vincenzo Bertagna. Leggi bene la voce.

L'Ottocento[modifica | modifica wikitesto]

Le cave di Retignano a Mont'Alto, nel 1916. Cava detta "Messette"
Una delle varie cave di bardiglio fiorito

Verso il 1820, un gruppo di imprenditori francesi e britannici visitò la Versilia. Mentre il francese Boumond e famiglia si stabilirono a Riomagno, Seravezza, l'inglese James Beresford (negli archivi segnato come Belessforde) e il suo socio Gybrin preferirono Retignano. Con l'aiuto degli abitanti, nell'estate del 1820 trovarono nella cava della Canaletta un pregiato marmo disponibile solo nelle montagne di Retignano, un insolito mix di mischio, turchino e bardiglio fiorito. Decisero di avviare una sessione estrattiva e spedirono subito via mare diversi blocchi marmiferi in Gran Bretagna, presumibilmente a Londra, dove alcuni monumenti sono in marmo versiliese, come Marble Arch. I campioni inviati via mare in Gran Bretagna erano di marmo mischio, turchino e bardiglio fiorito. Questi marmi piacquero fin da subito agli inglesi che, riconoscendo le potenzialità dei siti marmiferi, misero in piedi una vera e propria compagnia e un'attività commerciale a Retignano.

Come ricorda Fabrizio Federigi, i retignanesi, popolo laboriosissimo, si impegnarono fin da subito per rimettere in sesto l'attività di estrazione marmifera nell'Alta Versilia, riattivando anche siti presso Levigliani.

Nel 1821 i due imprenditori, Beresford e Grybrin, con l'appoggio locale, fondarono una compagnia e presero in affitto da Francesco Guglielmi, per nove anni e con il canone di 6000 scudi, una cava (Messette) dalla quale spedirono marmo in Inghilterra. Gli abitanti di Retignano furono particolarmente attivi nel contribuire alla ripresa dell'industria marmifera in Versilia, impegnandosi nelle cave di Gabro, Ajola, Gordici e Messette, facenti parte del complesso delle cave di Mont'Alto di Retignano (vedi sezione in basso). Nel 1845 i retignanesi si opposero all'imprenditore inglese William Walton, in quanto i suoi traffici marmiferi danneggiavano i loro terreni destinati al pascolo e alla raccolta di castagne e legne. Al tempo dell'Unità d'Italia, nel 1861, gli abitanti del paese erano impegnati in buona parte nelle escavazioni e l'economia divenne principalmente legata al marmo, con un progressivo venir meno di metà della coltivazione dei castagneti e una riduzione dei terreni destinati alle coltivazioni.[4][19]

Nel 1854 il paese di Retignano fu investito dall'ennesima epidemia di colera che si diffuse nel Nord Europa. Secondo alcuni, la malattia si diffuse nel litorale versiliese dopo che alcuni marinai infetti sbarcarono ad Avenza, vicino Carrara. A Retignano morirono una cinquantina di persone nell'arco di un mese, come ricordato da una targa commemorativa del 1857, esposta all'ingresso del cimitero, che fu ampliato e recintato per contenere la malattia. Da un lato l'avvento della pestilenza fu positivo poiché rese urgente la necessità di dotarsi di nuove norme igieniche e, per la prima volta, il comunello di Retignano avviò pratiche sanitarie mai viste, volte a contenere la diffusione della malattia. Ad esempio, come nel resto della piana, i funerali si praticavano di notte, così che un minor numero di persone potesse parteciparvi (e quindi restare infettato). Il grande caldo anomalo di settembre peggiorò la situazione. L'odore emanato dai cadaveri divenne insopportabile e persino i medici avevano difficoltà a visitare gli infermi. Per fortuna l'epidemia si placò verso la fine di ottobre, permettendo agli abitanti di riprendere una vita normale. Il cordone sanitario, infatti, aveva costretto i retignanesi quasi a vivere isolati dagli altri borghi, nella speranza che non si ripresentassero casi di malattia. Ovviamente, questo aveva inciso sull'attività estrattiva alle cave e alla pastorizia, poiché certi territori non potevano essere raggiunti e, per precauzione ulteriore, le norme sanitarie si protrassero per qualche altro mese.

Nel 1861, al tempo dell'Unità d'Italia, buona parte degli abitanti del paese erano impegnati nelle escavazioni e questo comportò l'abbandono di molte coltivazioni nei castagneti. Nel biennio 1861-1862, stando ad alcune stime del leviglianese Emilio Simi, oltre metà della forza lavoro versiliese era impiegata nelle attività marmifere. A Retignano le estrazioni non erano sufficientemente redditizie e l'aver abbandonato campi e bestiame costrinse molte persone ad emigrare verso la pianura. Marino Bazzichi sostiene che a fine ottocento 3680 stazzemesi (di cui circa un centinaio di Retignano) andarono per il mondo in cerca di fortuna.

Alcuni documenti testimoniano che il marmo di Retignano fu adoperato anche nei lavori di ricostruzione del monastero di Montecassino.[22]

A cavallo tra il Settecento e l'Ottocento diversi membri della comunità scientifica e non solo si interessarono al complesso delle Alpi Apuane. Molti naturalisti ed appassionati di montagna si recarono in visita ai borghi dell'Alta Versilia, tra cui anche Retignano. Nel periodo di riscoperta del passato e di espansione della scienza, Emilio Simi (1820-1875), naturalista e scrittore di Levigliani, accompagnò alcuni studiosi dell'Università di Pisa sulle Alpi Apuane, a partire dal 15 luglio 1844. Nelle varie visite che ne seguirono, accompagnate dal ritrovamento di reperti archeologici, l'apertura di nuove cave e sentieri, sempre più persone si unirono alle escursioni. Molti botanici e geologi europei passeggiarono sulle montagne in quell'epoca, tra cui il naturalista Ludwig Rutimeyer e diversi alpinisti inglesi, quali Douglas William Freshfield e Francis Fox Tuckett. La presenza di molti intellettuali anglosassoni nel paese di Retignano è documentata da alcune annotazioni presenti in un libro conservato a Pontestazzemese.

(EN)

«On the end of a pleasant stay and a really good time in this village, we are glad to record our admiration of the lovely country and our warmest gratitude for the friendly attention of all the inhabitants of Pontestazzemese, Cardoso, Stazzema, Retignano, Ruosina… who have met with each other in the efforts to welcome us and render our visit a most agreable one.»

(IT)

«Alla fine di questo piacevole soggiorno e dei bei momenti in questo villaggio, siamo grati di annotare la nostra ammirazione per l'adorabile vallata e la nostra più sentita gratitudine è per le attenzioni amichevoli rivolteci dagli abitanti di Pontestazzemese, Cardoso, Stazzema, Retignano, Ruosina... che si sono incontrati tra loro nello sforzo di accoglierci e rendere la nostra visita di nostro gradimento.»

Al tempo stesso, altri intellettuali si lamentarono del disinteresse degli abitanti nei confronti delle meraviglie che il loro abitato offriva. In una delle spedizioni a fianco di Emilio Simi, l'ingegnere livornese Gustavo Dalgas, di origini danesi e autore di diversi articoli sulle Apuane, inveì contro i nativi del posto:

«Nei montanari si riscontra spesso un'ignoranza sorprendente dei luoghi e, tranne quelli ove li chiama la bisogna consueta di abbatter legna, far carbone o guidare le bestie al pascolo, pochi conoscono i dintorni del loro paese e delle vette più sublimi perfino non si ricordano i nomi.»

Nella metà dell'Ottocento gli abitanti di Retignano erano per la maggior parte analfabeti e molto legati alle terre natie. In questo clima, in pochi erano consapevoli della situazione politica italiana e in pochi conoscevano la famiglia dei Savoia. Solo i più istruiti (ecclesiastici) simpatizzavano per loro. In generale non si tendeva a volere l'unità nazionale, si preferiva seguire le usanze e leggi locali fissate da secoli. Fu così che nel 1858, quando la Toscana portò i cittadni al referendum per l'annessione del Granducato al Regno dei Savoia, pochi retignanesi, come anche rosinesi in generale, andarono a votare presso i seggi elettorali di Ruosina e al Fornetto. Il granducato fu annesso. Fonti ufficiali testimoniano che in varie località toscane le forze dell'ordine organizzarono una farsa, riempiendo le urne dei favorevoli con parecchie schede a favore dell'annessione. La gaffe fu che in alcuni piccoli paesini, probabilmente anche in Versilia, il numero di voti totali arrivò a superare quello dei votanti.

1833 erano famosi i chiodaroli retignanesi Evangelisti e Bertozzi.

La via d'Arni[modifica | modifica wikitesto]

La via d'Arni a fine Ottocento, Retignano

Nel Settecento l'unica strada che collegava la Garfagnana con Massa e la Versilia era la via Vandellii, una storica strada commerciale del Ducato di Modena. Il tracciato, però, si articolava sui monti e le pendici impervie del Tambura e altri rendevano il percorso tortuoso, spesso impraticabile nei mesi invernali a causa di neve e frane. Già nel 1844 si era proposto di creare una nuova via che collegasse tutta la regione Toscana al nord, ma gli accordi sembravano non andare mai in porto. I rappresentanti di Toscana, Lucca, Modena e Parma si erano più volte espressi a riguardo e finalmente, nel 1860, si riuscì a firmare un accordo tra le varie parti, ma di nuovo il progetto, per chissà quali ragioni, cadde di nuovo nell'oblio. Le cave di Retignano avevano attratto diversi capitalisti francesi ed inglesi che, unitamente alle attività di Seravezza, avevano investito parecchio nella Versilia. Ora che Seravezza, Retignano, Levigliani e Arni si prestavano ad essere ingenti fonti di ricchezza per la Versilia, ma anche per i capitalisti, finalmente si ripropose il progetto della "via d'Arni". Diversi studiosi, provenienti anche dall'Università di Firenze, furono incaricati di percorrere le vie interne versiliesi. Il sacerdote Antonio Stoppani, famoso geologo e letterato, partendo dalla stazione dei treni di Querceta salì verso Seravezza e poi Ruosina e Retignano. Da lì proseguì verso Terrinca e poi Arni, comprendendo l'importanza che una strada avrebbe avuto per l'economia e la popolazione locale. Henraux investì molto nel progetto, che venne redatto da Bernardino Poli nel 1873 ed approvato nel 1874. Trovati i fondi necessari, nel 1875 partirono i lavori, durati fino al 1877. Molto presto si presentò l'esigenza di cambiare il tracciato in corso d'opera. Inizialmente il progetto prevedeva di passare da Cansoli direttamente a Terrinca. Il terreno si mostrò troppo impervio e così si preferirono i più dolci e assolati pendii di Retignano, poiché in questo modo sarebbero state collegate anche le altre frazioni, decisione che fece sviluppare altre aziende marmifere lungo il fiume, come a Luchera. Nel 1879 si ebbe l'effettivo collaudo sotto la guida di ingegneri lucchesi, che stimarono un costo di circa due milioni di lire totali (una cifra pazzesca per l'epoca).

Il collegamento tra le frazioni della Versilia cambiò completamente i costumi dei vari paesi, tra cui Retignano, i cui abitanti erano ormai più dediti al marmo che alla pastorizia e all'agricoltura. La popolazione prese ad aumentare e altri capitalisti si interessarono al posto. Strada collaudata nel luglio 1880.

Il Novecento[modifica | modifica wikitesto]

METTI ROBA SULLA BANDA. La banda musicale di Retignano risale ai primi del Novecento, più tardi rispetto a quelle dei vicini paesi di Basati o Levigliani. Non potendo agevolmente raggiungere un paese o un altro, la banda di Retignano era composta essenzialmente dalla gente del paese e la frequenza delle prove era ostacolta dal duro lavoro nei campi o in cava. D'altra parte la vita aveva pochissime attività di svago e quindi la fanfara locale serviva per rendere più allegra una serata ogni tanto.

In paese sono presenti due associazioni che riuniscono la cittadinanza: la centenaria Misericordia di Retignano, fondata nel 1908, e il Circolo Ricreativo Sportivo, fondato originariamente come C. R. Operaio. Questo circolo, insieme ad un'altra osteria, erano in voga nel 1921, segno che Retignano era molto frequentato.

A cavallo tra l'Ottocento ed il Novecento, i terreni di Farnocchia, Pomezzana, Stazzema e Retignano erano coltivati prevalentemente a cereali. Ad ogni modo, a causa della forte emigrazione a cui si è accennato poc'anzi, quasi tutti furono destinati al solo uso di pascolo oppure rimpiazzati da sconfinati oliveti e vigneti.

Le tranvie versiliesi lungo la via d'Arni[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1903 diversi industriali e cittadini versiliesi fondarono un comitato per discutere in termini concreti la possibilità di realizzare una tranvia marmifera, dal momento che il trasporto con i buoi era diventato difficoltoso e soprattutto non era facile trasportare in tempo il materiale dalle cave fino ai luoghi di lavorazione o esportazione. Svariati capitalisti inglesi si interessarono al progetto e decisero di far confluire degli investimenti della loro società, la The English Electric Company Limited of London, in un nuovo gruppo chiamato The Carrara Electric Railway End Power Limited. La provincia di Lucca concesse i permessi di avvio progetto in data 22 ottobre 1911. Un primo tratto della linea tranviaria fu ultimato nel 1916, quando avvenne anche l'apertura al traffico passeggeri, nella sola pianura. Nella primavera del 196 la linea fu estesa con il tratto Iacco-Levigliani, ora che la società proprietaria era la TEV (Tranvie Elettriche della Versilia). Retignano era ora collegato alla rete tranviaria, permettendo ad alcune persone di spostarsi più agevolmente. Le cave di Retignano si trovano in una posizione scomoda per il trasporto dei blocchi marmiferi e le vie della "lizza" non erano sempre facilmente praticabili. La possibilità di spedire i blocchi più a fondo valle, da dove poi sarebbero stati subito caricati sui mezzi di trasporto, diede un nuovo impulso alle attività estrattive.

Sul tronco Iacco-Arni si incontrano tre rifornitori di acqua e successivamente, come a Retignano in località Alla Croce, saranno creati piccoli distributori di carburante.

La seconda guerra mondiale, oltre alle forti privazioni economiche, comportò per la rete tranviaria versiliese pesantissimi danni in relazione alla dislocazione nel territorio della Linea Gotica. Il 30 giugno 1951, con la circolazione dell'ultimo treno merci, la rete chiuse i battenti. Questo fattore si rivelerà cruciale per la definitiva chiusura delle cave di Retignano e Volegno, avvenuta un decennio più tardi.

Anni Trenta[modifica | modifica wikitesto]

Cartolina del paese risalente al 1920

Nel periodo fascista, l'abbandono delle campagne aggravò una situazione già drammatica: le popolazioni locali avevano diversi appezzamenti di terreno sparsi qua e là e questa frammentazione del territorio impediva coltivazioni estensive, dovendo tener conto che i contadini dovevano camminare molto per spostarsi da un luogo all'altro. L'asperità montanara favoriva solo certi tipi di coltivazione, spesso insufficienti al sostentamento familiare. L'agricoltura, nel Novecento, non era più di sussistenza, ma veniva accompagnata da altri lavori, per esempio l'estrazione del marmo nelle cave. Già nel 1922 si constatava un insopportabile aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e quando, con l'instaurarsi del fascismo, carni, pesce uova ed altri alimenti divennero prerogativa dei soli membri del partito, il malcontento popolare salì alle stelle. Tanto che il regime, il 17 gennaio 1930, emanò il Foglio d'Ordini n° 63 sui cui era scritto di "prendere a ceffoni non solo i dissidenti, ma anche i mormoratori". [32]

Gli allevatori locali gestivano greggi e bestiami più piccoli, poiché l'uso dei buoi come animali da traino era ormai stato sostituito dagli autoveicoli e dalle tranvie. La diffusione della corrente elettrica aveva cambiato anche il mondo della produzione artigianale, per cui la produzione di canapa e seta rimase più un'attività per i paesani piuttosto che una fonte di guadagno, dato che le fabbriche della piana potevano produrre molto di più in tempi più brevi. In questo clima generale, il podestà di Seravezza Massimo Bertoli aveva apertamente denunciato la drastica trasformazione dell'economia locale ed attraverso alcuni censimenti, il Partito Fascista si accorse della necessità di intervenire sul luogo. Per frenare le ribellioni e far aderire un maggior numero di uomini al partito, il 10 dicembre 1931 arrivò la disposizione per la quale "ai disoccupati e ai poveri si dovrà provvedere di preferenza mediante la distribuzione di buoni viveri". Anche alcuni anziani del paese ricordano come, per prendere il pane, fosse necessario mostrare la tessera del partito ed accompagnare ad essa un buono, con cui si poteva prelevare l'alimento d'interesse. Il 21 aprile 1932 il segretario generale del fascio di Lucca inviò dei buoni viveri ai segretari del partito sparsi nei vari comuni e borghi. Retignano ricevette, in prima battuta, buoni per un valore di 700 lire.[32][33] Giudicate insufficienti dalla popolazione, ben presto, il 26 dello stesso mese, Retignano ricevette ulteriori 400 lire. Come annotava il quotidiano La Nazione, nell'ottobre del 1932, negli esercizi commerciali non era possibile reggere il passo con l'aumento dei prezzi. Dopo la crisi economica del 1933 la popolazione operaia dovette di nuovo affrontare disoccupazione e miseria, con le cave di Retignano che subirono una prima battuta d'arresto. Questo ci fa capire come mai un elevato numero di uomini si offrì volontario per arruolarsi nell'esercito di Mussolini e partecipare a spedizioni internazionali, come quelle in Africa e successivamente sui fronti di battaglia. L'ufficio provinciale di collocamento di Lucca non riuscì ad assolvere ad una domanda così massiccia di visti per l'espatrio.[34] Se da un lato il Fascismo era sempre più acclamato, dall'altra i contadini versiliesi affamati non si facevano problemi a rubare dagli appezzamenti altrui. Scriveva così La Nazione il 5 ottobre 1935: "Questi branchi di predoni non temono neppure le reazioni dei proprietari [...] che in alcuni casi hanno preso a sassate o addirittura bastonato i ladri", in riferimento ad alcuni fatti avvenuti sulla via d'Arni e lungo le mulattiere tra Ruosina e Retignano. La situazione precipitò dal 1940 al 1943, a guerra già inoltrata, quando gli stessi fascisti di Pietrasanta si erano allarmati per la crescente demoralizzazione degli abitanti. La riduzione degli scambi commerciali voluta dalla politica autarchica di Mussolini, l'urbanizzazione e la diffusione di malattie come la tubercolosi spinsero molti versiliesi a ribellarsi al fascio. Mentre nella piana alcune persone venivano processate per i reati più banali, come il furto di una gallina, molti Retignanesi scelsero di emigrare finché fu loro possibile, generalmente tentando di ricongiungersi a parenti già andati via dall'Italia.

Molti scelsero di trovare la fortuna all'estero, disperdendo così le loro origini nei Paesi stranieri. La maggiore fonte di ispirazione fu il continente americano, considerando che in parecchi partirono alla volta degli Stati Uniti o dell'Argentina. In proporzione minore, molti emigrarono verso il Nord Europa in paesi come Germania e Svezia. Questo fenomeno di emigrazione riguardò anche l'Italia, in un periodo in cui, vicini alla Ricostruzione, si voleva migliorare le proprie condizioni di vita. Molti retignanesi cercarono lavoro nelle città e il fenomeno contribuì a ridurre notevolmente il numero degli abitanti.[35]

1944[modifica | modifica wikitesto]

Salvacondotto fornito dagli Alleati

Nell'estate del 1944, nel pieno della Seconda guerra mondiale, il dominio dei nazisti si era esteso anche all'Alta Versilia, comprendendo anche il paese di Retignano, sfruttato per la sua posizione strategica da cui è possibile osservare l'intera vallata e il Tirreno all'orizzonte. Inoltre, l'intera zona rientrava nella Linea Gotica. Alla fine di luglio del 1944, a Retignano arrivò l'ordine di sfollamento per rappresaglia da parte dei tedeschi. L'obiettivo era quello di allontanare gli abitanti dalle loro case e stanare i partigiani rifugiatisi nei boschi, nonché facilitare il passaggio della linea gotica e procedere poi con il bombardamento della montagna.

Soldato americano insieme ad alcuni bambini del paese, 1945.

Dal diario di Bettina Federigi si evince il clima che si respirava in quegli anni nel comune di Stazzema.

«Sabato 29 luglio 1944 Ieri verso le 18 i tedeschi hanno attaccato i fogli con l'ordine di sfollamento. Tempo: fino al 1º agosto '44. [...] Tutta la gente scappa con poca roba; i tedeschi principiano a sparare col fucile mitra [...], hanno già fatto saltare due case. [...] Quanta gente per le strade, chi piangeva, chi urlava, chi chiamava. Il Comando tedesco dove rilasciavano il foglio di sfollamento era pieno di gente e persone cariche di roba che non riuscivano a passare e che urlavano per avere il passo libero

In questa testimonianza si parla di passo libero come sinonimo di "lasciapassare". Si trattava di un documento in lingua tedesca, mal tradotto in italiano, su una carta velina firmata senza timbri, a sottolineare la necessità impellente di permettere alla gente del posto di allontanarsi. Uno dei tanti lasciapassare per i retignanesi, quello di Lorenzo Viti che viaggiava con la sua famiglia, così dice:

«Dichiarazione: Viti Lorenzo e i quatro famigliari viaggiano per ordine di evacuazione da parte delle FF. AA. Germaniche verso Parma. L'aiuto alla partenza e durante il viaggio sono da garantirsi al suddetto da parte delle Autorità. Stazzema, 31 luglio 1944. Il Comando Germanico»

Poco prima che lo sfollamento riguardasse anche Retignano, i vicini paesi di Farnocchia e Sant'Anna subirono degli attacchi dai primi soldati tedeschi giunti sul posto, presto respinti. A fine luglio, inoltre, buona parte di Farnocchia era stata data alle fiamme. Gli abitanti di Retignano, intimoriti dalle minacce nemiche e dagli orrori che si consumavano nei dintorni, si radunarono quella sera stessa nella chiesa principale, per pregare la Santissima Annunziata, considerata insieme a San Pietro patrona locale. Il parroco dell'epoca, Don Marco Giannetti da Azzano, compose un'invocazione alla vergine Maria per supplicarla di risparmiare il paese.

«O Maria, a Te che tutto puoi, affidiamo la protezione di questo paese. Salvalo, o Maria, nel periodo burrascoso che attraversiamo. 1º agosto 1944»

Mentre i retignanesi si apprestavano a lasciare le loro abitazioni — dai racconti degli anziani del posto — inaspettatamente giunse un contrordine che annullava la precedente richiesta di evacuazione. In segno di riconoscenza, gli abitanti di Retignano fecero offerte alla Madonna, da allora reputata protettrice del paese. La testimonianza di questi fatti si trova in una carta gloriae conservata nella sacrestia della chiesa. Fino a qualche anno fa, il 1º agosto, si scopriva l'immagine sacra in ricordo di tale avvenimento.

La piazza principale del paese, oggi nota come Piazza della Signoria, era dedicata a Padre Marcello Verona dei Carmelitani Scalzi, nativo di Retignano ed ucciso al Mirteto di Massa nel settembre 1944.

Da Retignano, infine, si potevano scorgere dei rivoli di fumo dietro le montagne, indice dell'eccidio avvenuto a Sant'Anna e dintorni il 12 agosto 1944.

Secondo dopoguerra[modifica | modifica wikitesto]

Un tipico metato per le castagne
Alcune donne di Retignano sui monti

Il paese di Retignano si è caratterizzato nei secoli per l'agricoltura di sussistenza, basata sulla coltivazione di orti, campi e specialmente estesi uliveti, il tutto grazie alla luce solare che favorisce molte coltivazioni. I boschi venivano adoperati e conservati come risorse per la legna da ardere, le castagne per la produzione di farina eccetera. Dopo la guerra e con le varie difficoltà della Ricostruzione, i retignanesi ebbero difficoltà a rimettere in sesto la propria "economia". Alle porte degli anni Cinquanta, grazie anche agli aiuti finanziari del piano Marshall, l'Italia organizzò un'amministrazione forestale, guidata all'epoca da Amintore Fanfani, il quale avviò una rigorosa politica di tutela dei boschi e delle foreste anche in Alta Versilia.

La politica forestale italiana, infatti, si distinse in quegli anni per il grande interesse dato al rimboschimento di alcune aree montane. In realtà, cenni di una politica boschiva convincente ed efficace si fanno risalire ai primi del Novecento, ma fu solo tra il 1948 e il 1983 che il governo si occupò della salvaguardia di ben 850'000 ettari di terreno nel Belpaese. La prima fase di questo rimboschimento riguardò le zone più colpite dalla guerra.[36]

I paesi di Retignano e Volegno, tradizionalmente legati alle attività nei boschi, furono tra i primi a beneficiare degli aiuti. Essenzialmente il riassestamento di tali territori fu effettuato per fini sociali quali protezione idrogeologica, migliorare l'accessibilità alle zone svantaggiate e così via. Il rimboschimento produttivo riguardò altre aree della Versilia.[36]

Lapide di Fanfani, 1949

Amintore Fanfani, in visita a Retignano, insediò nel 1949 un cantiere di rimboschimento fra il monte Castello e Montalto, dove ancora oggi sono visitabili i resti delle cave di marmo. Il ministro giunse in paese l'8 marzo 1949, come ricorda una targa di marmo commemorativa posta nel punto in cui iniziò il rimboschimento. Tale targa, nota ai paesani come "Lapide di Fanfani", recita:

Per ricordare nel tempo

la visita del ministro del lavoro Amintore Fanfani al cantiere di rimboschimento addi 8 marzo 1949

i dirigenti e gli allievi grati ed entusiasti

Non appena ci si inoltra nei boschi, prima della località Alla Fronte, si trovano i resti delle "pozze", punti di ritrovo delle donne di una volta, dove l'acqua corrente della Fontana di Cima permetteva loro di lavare i panni o raccogliere dell'acqua da portare a casa. Nel sentiero che conduce alle cave si incontrano il Canal Secco e Rio, le sorgenti principali dell'acquedotto di Retignano di un tempo.[37][38]

Dopo gli orrori della guerra, le economie locali faticavano a ripartire. Grazie al piano Marshall e all'impegno dei politici, le prime botteghe di Retignano riaprirono nel 1949 insieme ad altre attività. Furono infatti incoraggiate le famiglie a riprendere gli acquisti per rimettere in moto l'economia. Alle donne fu insegnato di tenere un libretto della spesa su cui annotare le spese con le percentuali di interesse di fine anno, al fine di ricevere delle sovvenzioni.

Nel 1953 in paese fu installata una stazione meteorologica che fornisce tutt'ora le statistiche climatiche per tutto il comune di Stazzema.

Nel secondo dopoguerra i retignanesi erano, perlopiù, contadini piuttosto poveri e i progressi fatti nei secoli precedenti erano stati vanificati da anni di terrore e bombardamenti. Nonostante nelle città il progresso era ormai alle porte, a Retignano le recenti invenzioni tecnologiche si fecero largo più tardi.

La prima televisione giunse in paese nel 1954 quando Euro, il contadino incaricato di coltivare i terreni di proprietà della chiesa, ne introdusse una nel salotto della canonica. Santina Pancetti, all'epoca sedicenne, racconta che in molti si recavano dal prete per seguire le prime trasmissioni televisive della RAI. Nei primi anni Sessanta le televisioni ancora scarseggiavano ed erano ancora un "bene di lusso". I due bar più importanti del paese le mettevano a disposizione del pubblico, con le donne che andavano a seguire i vari sceneggiati, affascinate da diversi attori. In molti acquistarono una televisione verso gli anni Settanta, per seguire eventi come lo sbarco sulla Luna o seguendo tg che annunciavano eventi storici come la morte del presidente Kennedy o di Marilyn Monroe.

Nonostante il telefono, ideato da Antonio Meucci nel 1874, fosse ormai comune nelle case degli italiani, nei primi anni Settanta poche case ne avevano installato uno. Tipicamente, la gente del paese si recava in Piazza della Signoria, presso una delle botteghe, dove c'era il telefono pubblico. L'insegna è visibile tutt'ora.

Anni Duemila[modifica | modifica wikitesto]

Tramonto visto dal campo da calcio
Squadra di calcio negli anni Sessanta

Si organizzano periodicamente manifestazioni paesane di rilievo sociale, religioso e turistico quali sagre in occasione delle feste paesane, processioni luminarie del "Gesu' Morto", che richiamano sempre centinaia di persone, piccole mostre, balli in piazza. Il paese è sede del torneo calcistico Alta Versilia, sfida che vede impegnate le formazioni dei paesi dello Stazzemese per la conquista del Trofeo Barsottini. Infine, d'estate, il giorno 29 giugno (la festa del patrono del paese) viene organizzata una sagra, detta Sagra del Tordello, di durata in genere di tre giorni. L'evento si ripete anche a metà luglio e richiama numerose persone, soprattutto per l'atmosfera tranquilla e rilassante delle montagne.

Nell'anno 2001 a seguito della fusione per incorporazione con la Polisportiva Retignano, il CRO prese l'attuale nome, CRS (Circolo Ricreativo Sportivo). Una propria squadra rappresentativa è militante nel campionato di calcio FIGC di terza categoria, dopo una stagione in seconda. In tutto, la squadra del paese si è aggiudicata ben 9 tornei, guadagnando così nove stelle sullo stemma (un gatto in primo piano su uno sfondo bianco-celeste).

Nel 2006 terminarono i lavori di ristrutturazione del vecchio complesso delle ex-scuole, sostituito da un bar-ristorante e, sulla sinistra, dalla sede del CERAFRI, un centro per la monitoraggio del rischio idrologico della Versilia sorto dopo le necessità emerse a seguito dell'alluvione del 1996.[39]

Nel mese di aprile 2008 il furto del noto quadro votivo dell'Immacolata Concezione ha suscitato grande sconforto nel paese.[23]

Nell'estate del 2013 si è tenuto il 1° Trofeo San Pietro: consiste in una corsa competitiva e in una non-competitiva con i percorsi che si snodano all'interno del paese e con difficoltà diverse a seconda della tipologia di corsa scelta. L'evento si è ripetuto nel 2014.[40][41]

Il 22 e il 23 marzo 2014, presso il campo sportivo di Retignano, oltre 500 volontari delle Pubbliche Assistenze toscane hanno testato nuovi protocolli per l'allestimento di campi base in caso di emergenze. Il progetto, che ha simulato il verificarsi di uno sciame sismico e diverse allerte meteo, ha coinvolto molti giovani ed anche la popolazione. Franco Gabrielli, capo della Protezione Civile, ha poi ricevuto la cittadinanza onoraria di Stazzema.[42][43] Nel giugno 2014 si è invece tenuto al CERAFRI un convegno sulla sicurezza della montagna e la tutela dell'ambiente.[44]

Nell'agosto 2015 Retignano è stato scelto come uno dei paesi ospitanti parte della mostra "I Colori per la pace", organizzata dall'omonima associazione al fine di promuovere la pace e la garanzia dei diritti civili alle popolazioni delle nazioni meno fortunate. La mostra consisteva nell'esposizione di oltre 400 disegni di bambini provenienti da Italia, Spagna, Colombia, Malawi, Armenia, Nuova Zelanda e Myanmar. I temi principali erano la pace e la libertà. Alla mostra ha partecipato anche l'ambasciatore dell'Armenia.[45]

Dal 2016, il campo sportivo del paese di Retignano è stato adibito a zona di atterraggio per l'elisoccorso, per facilitare il trasporto di infortunati verso le strutture ospedaliere.[46] Lo stesso campo è anche centro di raccolta per i paesani in caso di attività sismica.

Informazioni sparse, poi da integrare[modifica | modifica wikitesto]

Castelli e fortificazioni

L'incastellamento in Versilia ha radici molto antiche, di epoca apuana ma anche etrusca. Nel mondo dei Liguri Apuani il "castellum" (così passato poi in latino) aveva la valenza di "borgo fortificato o arroccato", piuttosto che l'accezione di edificio che tutti pensiamo. Si intendeva una cima fortificata o ben protetta preposta alla difesa comune in caso di pericolo. I castellari apuani erano spesso in prossimità delle cime di montagne particolarmente strategiche, morfologicamente ben protette, talvolta fianchi dirupati o semplici colline, ma sempre dotati di ottima visuale. Al giorno d'oggi sono rimaste poche località ad indicare località "castellari", presso Farnocchia o il "monte Castello" di Retignano. Nel periodo romano, l'arroccamento si diffonde anche a cime collinari più facilmente raggiungibili, su cui sorgono i primi insediamenti romani.

Nel Duecento i paesi-castello di Farnocchia, Retignano, Pomezzana, Pruno e Stazzema erano di proprietà dei Nobili versiliesi. Inizialmente costruiti con pietra murata a secco, divennero poi in muratura, costruiti con lastre di pietra. Furono distrutti e ricostruiti più volte e nel 1254-1255 furono definitivamente abbattuti per lasciare il predominio al castello di Pietrasanta (la "Rocca").

Nel 400 I casottini delle guardie di Retignano furono poi dotati di archibugi, nuovo metodo di fortificazione di stampo genovese. Nel 500 sotto i medici (discorso già fatto da aggiungere) l'incastellamento cedette il passo a strutture piccole, essenzialmente usate per l'avvistamento (due casini a Retignano). Ci vorrebbe la mappa di Pietrasanta e le sue rocche, figura 50, di F Buselli. Questo testo è di Lorenzo Marcuccetti.

Castello di Retignano

Ruderi di una struttura fortificata di epoca medievale (Duecento), in relazione con il periodo feudale delle consorterie longobarde. Tra il 1255 e il 1308 seguì la sorte di tutti gli altri della Versilia (distrutto). Altre cose già scritte mi sa. Campana, II, 93. Santini VII, 90. Un altro castello di Retignano sorgeva presso Ruosina, al confine con il comunello di farnocchia. Era detto Castello di Rotina (o Rosina) e andò distrutto nel medioevo.

Cattani

L'imperatore di Toscana Ferdinando I nel 1185 riorganizzò i confini, Ferdinando II, con un atto stipulato nel 1244, fissò i confini della Versilia tra Montignoso e Camaiore. Arrigo VII nel 1312 in un documento annette Retignano, Levigliani, Terrinca e Stazzema al capitanato di Pietrasanta.

I Bichi

I Bichi erano una antica famiglia senese, alcuni membri della quale si rifugiarono a Pietrasanta e nei paesi dell'Alta Versilia, particolarmente a Retignano, dopo il 1555, quando Siena venne espugnata dalle truppe spagnole e medicee.

Biagio Bichi, che visse a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento, proveniva da Retignano e di professione faceva il notaio e l'avvocato presso Pietrasanta. Ebbe due figli. Gaetano e Giovanni Battista. Fu fauture della cacciata di Ferdinando III e dell'istaurazione nel capitanato del potere napoleonico. Era un cattolico progressista che creò delle fratture all'interno del suo gruppo politico, quello dei clericali, tra conservatori e progressisti.

Bichi Gaetano (Pietrasanta 1810 - Motrone 1868) fu un patriota, amministratore e deputato nazionale. Nel 1836 Siena lo riconobbe come nobile e gli diede il titolo di Conte di Scorgiano. Si laureò in giurisprudenza a Pisa nel 1829, amico di Luigi Bonaparte Napoleone. Fu più volte arrestato insieme al fratello ed alcuni amici di università per aver inneggiato alla Francia e alla libertà, all'ugugaglianza, ad un rinnovamento sociale. Fu il primo sindaco di Pietrasanta. Votò a favore dell'annessione al Regno d'Italia e appoggiò molte idee francesi. Rimase in carica per 3 mandati. Sostenne il progetto di costruzione della ferrovia e della via d'arni, nonchè delle cave, appoggiando Emilio Simi.

Giovanni Battista (Pietrasanta 1796 - Pesaro 1872). Processato per essere un massone, a Modena. Il vicario di Pietrasanta.... facci un riassunto. Mettili in breve nella storia e poi mettili tra i personaggi di spicco.

Cave

Da leggere

Saggio storico, politico e agrario...

Si parla del bardiglio fiorito e dice perchè prese questo nome. Il più apprezzato era di Retignano. Pag 40 e 41. LEGGITI TUTTO.

Il 12 marzo 1494 Domenico di Retignano promette...[47]

Croce di San Pietro di Retignano, databile intorno al 1320.

LIBRO DEGLI ARCHIVI GIALLINO

L'attività deliberativa era funzione specifica di organi il cui numero e la cui composizione erano stabiliti dagli statuti locali. Nel periodo immediatamente precedente alla riforma comunitativa, le magistrature e gli uffici comunali erano costituiti, per Retignano, da quattro rappresentanti del popolo, il camerlengo, uno scrivano, un depositario dei pegni, l'ufficiale del sangue e dei malefici. Il camerlengo, come si legge nel Treccani, (anche camarléngocamerlingocamarlingo) s. m. [dal lat. mediev. camarlingus, che è dal franco kamerling «addetto alla camera o fisco del sovrano»] (pl. -ghi). – 1. Nel medioevo, persona addetta alla custodia del tesoro, all’amministrazione dei beni del sovrano, di una comunità civile o religiosa, ecc. Nella costituzione comunale era il tesoriere del comune. Lo scrivano e il depositario dei pegni redigevano i libri dei saldi, documenti in cui venivano registrate le singole partite di entrata e di uscita della comunità al fine di consentire ai ragionieri locali, al cancelliere e agli uffici fiorenti a ciò preposti il riscontro contabile della gestione finanziaria del camerlengo.

Esistevano anche i libri del danno dato, ovvero libri in cui si riportavano i danni arrecati da uomini o animali alle coltivazioni e le relative sanzioni. Sempre a Retignano sono conservati i registri dei viveri (le registrazioni contabili relative alla distribuzione di grano e grasce in momenti di carestia), dei terrilogi e campioni di beni (in cui è contenuta la descrizione del patrimonio fondiario comunitativo).

Il sistema fiorentino era efficiente ed i parroci di REtignano furono istruiti a mantenere i modelli fino al tardo Settecento. La dominazione napoleonica introdusse profonde innovazioni, dall'applicazione dei sistemi amministrativi vigenti in Francia al chiamare il comune "la comune" e il sindaco "mairie". In questo periodo, inizio Ottocento, i testi conservati a Retignano riportato alcune inflessioni linguistiche francesi sulla parlata locale. E' per me ragionevole pensare che fra i tanti motivi per cui noi versiliesi (e solo noi) abbiamo c e g molto dolci, una g quasi come una J, è proprio a causa dell'influenza francese. Ad esempio, rimembranze di tale periodo si hanno nelle parole dialettali come "sceminea" (da cheminee, ovvero camino) oppure "la comuna", usata fino a inizio Novecento, ovvero mettere "comune" come parola femminile.

Con la Restaurazione si ebbe il ripristino dei sistemi precedenti alla dominazione francese e anche questo passaggio è simboleggiato dai documenti in archivio a Retignano, che mostrano un cambiamento di stile nel modello adoperato per tener traccia di rendite, nati e morti... Nel periodo francese, l'aver delegato ai maires le funzioni di stato civile, sottraendole ai parroci che fino ad allora se ne erano occupati, ha comportato dei buchi nella storiografia locale. Nei registri di Retignano, infatti, alcuni testi sono riportati saltuariamente (se prima erano continui, poi si è cominciato a farli ogni 2 o 3 anni).

Il 14 gennaio 1779, come testimoniato da alcune lettere conservate all'Archivio storico comunale di Pietrasanta, si legge la richiesta da parte degli uomini di Fornetto, sottoposto alla curia di San Pietro di Retignano e San Paolo (Retignano-Ruosina) di poter svolgere le loro funzioni mortuarie presso l'Oratorio di Sant'Antonio da Padova (Pontestazzemese), utilizzando la casa annessa per tenere i cadaveri il tempo necessario allo svolgimento dei funerali.

Nel 1777, per volere del granduca, la Vicaria stazzemese era stata riunita sotto l'unico comune di Stazzema. Inizialmente la gente si rifiutava di sottostare a Stazzema e in molti si radunavano a Terrinca come principale borgo sede della comunità. Terrinca, infatti, era più facilmente raggiungibile per buona parte dei montanari. Anche a Retignano, dove era tanta la sofferenza di aver perso ogni potere, si faceva largo la richiesta di rimandare la deliberazione fino al momento in cui gli abitanti non si fossero "assestati" per decidere una nuova sede. Per questo motivo, nelle varie mappe e cartografiche dell'epoca, figurano ancora i nomi "comunello di..." a sottolineare la riluttanza dei paesani a sottostare ad un unico comune.

Le Opere erano enti fondati da laici e dotati di una propria organizzazione interna che avevano la finalità di amministrare una parte delle entrate della chiesa per il restauro o l'abbellimento dell'edificio e il sostentamento del culto.

Dall'Analisi storica, politica, economica sulla Versilia Granducale del Settecento, di Francesco Campana, apprendiamo che il Capitanato di Pietrasanta, enclave medicea tra la Repubblica di Lucca e il Ducato di Modena, era costuito da tre territori separati e distinto. Pietrasanta e i sobborghi (detti pertinenze), Seravezza e la Cappella (detti Vicinanze) e la Vicaria, formata dai comunelli di Stazzema, Farnocchia, Pomezzana, Cardoso, Pruno e Volegno, Retignano (con anche Ruosina, Gallena e Pontestazzemese), Levigliani e Terrinca. Ogni comunello aveva i suoi governatori che sottostavano ai quattro Sindaci della Vicaria (di Stazzema, Seravezza, due di Pietrasanta). I comunelli passano sotto il dominio di Pietrasanta, e quindi di Lucca, nella metà del Duecento. Nel Quattrocento Genova si interessò alla Versilia. Tutti i comunelli stazzemesi subirono la sua influenza (parla dei casottini delle guardie). Lucca si era indebitata con Genova per quindicimila fiorini e quei territori erano andati sotto la Repubblica Genovese come pegno. Dopoi tre anni prestabiliti Lucca non riuscì a restituire il denaro e così Genova, nel 1437. approfittando di sommosse popolari, se ne appropriò.

Il 27 ottobre 1484 Retignano, dopo giorni di assedio in tutta la Versilia, cadde, così come tutto lo Stazzemese fino a Pietrasanta, nelle mani della Repubblica di Firenze. Il predominio dei Medici subì rapidamente una battuta di arresto. Già nel 1494 Piero dei Medici vendette i comunelli stazzemesi e Pietrasanta a Carlo VIII di Francia (di nuovo inflessioni sull'accento). Nel marzo 1496 i francesi cedettero Pietrasanta a Lucca, che si riprese anche la vallata di Seravezza e Stazzema approfittando di debolezze interne allo stato fiorentino. Nel 1513, quando i Medici tornarono al potere, tutta la Versilia finì di nuovo sotto Firenze, restandovi a lungo (per circa tre secoli). I Lucchesi infatti, temendo rovinose incursioni e consci che avrebbero così ingaggiato una guerra contro uno stato più forte, rinunciarono alla Versilia. La questione fu però ufficialmente risolta da Papa Leone X che, ovviamente, restituì i territori a Firenze (il papa era dei Medici). Retignano fu quindi dotato di amministratori fiorentini che ne detenevano il controllo.

L'amministrazione del Danno Dato, settore strettamente legato al problema della difesa della proprietà terriera e dello sfruttamento delle terre collettive, alla regolamentazione degli usi civici, ai contrasti tra pastori e agricoltori e tra i diversi ceti rurali, rientrava tra le competenze degli Anziani, alle cui sentenze era possibile appellarsi, ntro quattro giorni, al capitano.

Gli Anziani erano anche competenti nella cognizione e nel giudizio di bande che regolamentavano le attività permesse agli abitanti. Tra queste si ricorda il bando al taglio degli ontani, considerato un reato per il quale si andava incontro a pene severe o multe salate. Il bando è del Settecento.

Il magistrato degli Anziani fungeva da corte d'appllo ed aveva il potere di decidere in seconda istanza su tutte le sentenze pronunciate in materia civile la cui pena non superava le cento lire. La sua decisione era incontrovertibile ed il verdetto poteva essere solo riesaminato, se presentata una mozione valida, da un consiglio apposito, una sorta di "avvocati difensori". Spesso la corte d'appello è giudice di secondo grado, chiamato a giudicare a seguito dell'impugnazione della sentenza pronunciata dal giudice di prima istanza, e la sua decisione può essere a sua volta impugnata davanti alla corte suprema o di cassazione, quale giudice di ultima istanza. In pratica è per fare ricorso.

Prendi foto pag 76.

Retignano e la Versilia furono annessi all'Impero francese con il Trattato di Fontainbleau del 1807.

Retignano entrò ufficialmente a far parte del Regno d'Italia con la legge del 20 marzo del 1865, in cui venne definitivamente abolito il comunello e riconosciuto il potere solo a Stazzema. Le proteste dei cittadini fecero però spostare la sede del comune a Pontestazzemese.

La bolla Maxima Vigilantia del 14 giugno 1727 di papa Benedetto XIII (detto il papa archivista) impose ai parroci dei comunelli di stazzema di redigere i libri parrocchiali in italiano, così da agevolarne la scrittura e la comprensione.

Nell'Ottocento i libri dovevano essere consegnati al Maire del territorio. Il 10 maggio 1814, liberi dalla dominazione napoleonica, si tornò alle precedenti legislazioni sotto Ferdinando III granduca e quindi tutti i libri tornarono alle parrocchie, dove sono ancora oggi.

Nel 1917 Pio X promosse il Codice di Diritto Canonico, vincolante a aprtire dal 1918, e quindi tutti i parroci doveva conservare diligenemente gli archivi, redigendone anche un adeguato inventario. Per Retignano non si ha più traccia di questo inventario, che potrebbe anche essere andato perso a causa dell'alluvione. Sono comunque ancora consultabili i libri.

Le compagnie ecclesiastiche furono soppresse da Pietro Leopoldo con un motuproprio del 21 marzo 1785 ed i loro beni furono usati per costruire o restaurare altre parrocchie.

Retignano perse Fornetto nel 1928, quando divenne parrocchia indipendente e da lì fu inglobata nel paese di Pontestazzemese. Retignano perse Ruosina a fine Ottocento e le località come "le selve" furono perse a causa del passaggio al comune di Stazzema, nei primi del Novecento.

Il 20 marzo 1812 i retignanesi consegnarono dei libri al Mairie "in quel tempo furono pigliati dal governo francese tutti i libri e allora ci convenne rifare alcuni fogli o scartafacci e così si duplicarono queste partite che consistono in almeno dodici o tredici volumi.

Nel 1891 la chiesa di Retignano concesse la costruzione di un camposanto in località Fornetto, come richiesto dai paesani. E' l'inizio dell'indipendenza del posto. Lo perde il 13 ottobre 1928.

Il 6 dicembre 1900 venne innalzata la croce in onore di Gesù Redentore in località Giravolta. E' questo anche il periodo in cui si iniziano le tradizionali luminare di Gesù Morto, anche se nelle prime edizioni si celebrava solo la processione con poche luci. Le cerimonie luminarie verranno riprese un decennio dopo dalla misericordia.

Il 21 giugno 1901 il parroco inaugura una nuova sacrestia, quella attuale, in occasione dell'imminente visita del 7 luglio 1901 dell'arcivescovo Ferdinando Capponi. La statua di San Pietro è stata ultimata a fine giugno 1902 ed eretta il 24 luglio 1902.

Sulla piazza della chiesa si trova un monumento in ricordo delle santissime missioni. METTICI LA FOTO, più la descrizione delle scritte. METTI INFO SULLE LAPIDI

Il 21 aprile 1812 fa visita l'arcivescovo Monsignore Ranieri Alliata di Pisa.Dà istruzioni su come registrare tutto.

Rettore Don Michelangelo Campana di Seravezza, rettore di Retignano 29 luglio 1697.

Vincenti Intaschi di Pomezzana regge Retignano nel 1681.

Libretto della nonna

  • Bonaguida fu scomunicato perchè lasciava morire alcuni fedeli senza sacramenti. 1208-1220.
  • Leonardo da Retignano, eletto dal popolo nel giugno 1220.
  • Lancillotto da... (1359-1386)
  • Antonio d'Ugone Cresci da Lucca (1386-1392)
  • Giovanni di Luca, dalla Sicilia. Durò solo un anno (1400-1401), poi rinunciò per cause sconosciute.
  • Francesco di Giovanni da Pisa (1401-1410)
  • Piero da Firenze (1410-1414)
  • Domenico da Antona (1414) poi rinuncia.
  • Francesco di Giovanni da Pisa (1414 o 1415-1417)
  • Urbano da Pistoia (1417-1427). Periodo incerto
  • Luchino di Alessandria (1427-1439)
  • Filippo (1439-1444)
  • Don Iacopo di Giovanni da Bibbiena (1449-1453)
  • Giovanni Visconti da Chiavari (1453-1454)
  • Michele dei Diversi da Lucca (1454-1455)
  • Bartolomeo (1455-1486)
  • Nivaldo da Retignano (1486-1519)
  • Giacomo del Poggio da Lucca (1519-1523)
  • Giovanni Biagi da Pietrasanta (1523-1529)
  • Iacopo Belloni da Ripa (1529-1540)
  • Monsignor Marco dei Bracci, fiorentino e prelato della Curia Romana (1540-1552?)
  • Lorenzo (1552-1567). Incongruenze storiche.
  • Nicola Bertocchi da Stazzema (1567-1587)
  • Iacopo Bertocchi da Stazzema (1588-1620)
  • Agostino Pancetti di Retignano (1621-1623)
  • Francesco Bichi di Retignano (1624-1640)
  • Raffaello Marsili da Pietrasanta (1640-1660)
  • Vincenzo Intaschi da Pomezzana (1661-1697)
  • Michelangelo Campana da Seravezza (1697-1715)
  • Iacopo Silvestri da Terrinca (1716-1758)
  • Michele Silicani da Pruno (1758-1804)
  • Pietro Carducci (1805-1837)
  • Pellegrino Mancini (1839-1886)
  • Agostino Salvatori da Gallena (1886-1928)
  • Dino Vannozzi da Pontedera (1930-1939)
  • Marco Giannetti da Azzano (1939-1945)
  • Nello Pochini da Farnocchia (1946-1956)
  • Velio Bresciani da Capezzano (1957-1985)
  • X
  • Antonio Ratti
  • Gaetano
  • Padre Saverio
  • Bernard Byczek (2004-oggi)

Annessione a Pietrasanta il 18 novembre 1018?

La statua di San Pietro è del 1902 di Antonio Bozzano.

L'organo è di Ferdinando Serassi di Bergamo, comprato nel 1890

Di nuovo l'almanacco. vol4

SINDACALISMO

Le condizioni in cui gli operai della Versilia vivevano a fine Ottocento erano disastrose. I primi a ribellarsi furono gli anarchici e i socialisti che, ritrovato uno spirito comune, manifestarono a Seravezza per reclamare l'aumento salariale e la riduzione dell'orario lavorativo. La protesta si estese a Pietrasanta nel 1901 e nel 1902 a Seravezza, il 19 gennaio, si tenne il primo congresso per le leghe operaie della Versilia e della Lunigiana, allo scopo di costituire un comitato per gestire le richieste dei lavoratori. Era presente anche la Lega dei Cavatori di Retigano che fece pressioni per ottenere stipendi più alti e una riduzione delle ore di lavoro da 9 a 7. La ditta Henraux, però, respinse la richiesta dati i tempi di crisi e il ricavato non proficuo dalla cave retignanesi (marzo 1908). Ciò non piacque ai Retignanesi. La protesta si inasprì e culminò in uno sciopero generale non preventivato. Molte Leghe di cavatori si divisero nell'interno e cominciarono a collaborare con altri siti estrattivi come Carrara. Per sanare le divisioni interne, il comitato di Seravezza fece un congresso nel 1910 senza successo. Dato che una delle cave di Retignano stava esaurendo il marmo, gli operai aderirono ad uno sciopero durato 45 giorni. Nel 1912 e nel 1913 ci furono altri scioperi che durarono mesi perchè molti lavoratori erano costretti a partire all'alba di lunedì e rientrare il sabato notte. Nel 1914 ancora mancava la previdenza sociale e si cercava di non infortunarsi. I retignanesi guadagnavano il minimo sindacale per la sopravvivenza (13 lire al giorno, paragonabili ad uno stipendio di pochi euro al giorno ai tempi d'oggi).Continua a leggere.

Nel dopoguerra, nel marzo 1947, si tenne a BAsati una riunione delle leghe dei cavatori locali. Quella di Retignano era stata ricostituita nel 1946. Un congresso a Seravezza dello stesso anno assecondò le richieste dei lavoratori (più soldi, orario di lavoro 7-8 ore).

Metti voce orologio a pendolo pesi.

SOPRANNOMI

Nel corso dell'Ottocento e fino alla seconda metà del Novecento, gli abitanti dei paesi versiliesi avevano ognuno il proprio soprannome, anche se l'origine etimologica non è sempre chiara. In un foglio anonimo del 1910, Silvio Belli ha ritrovato questo elenco:

  • FDM: Marinelli o Ignoranti; CARD: Mennai; RET: Poverelli o Gatti; RUO: gentilomeni; POM: gobbi o raspai; FARN: fagioloni o fagiolai; MUL: carbonai; SANN: saltapizzi; TERR: formaggiai, colombani o patatoni; LEv: teste grosse; Volegno: burrai; bas: limaconi; Ser: polverosi o gransignori.[48]

SPRIMONT: chiedi alla nonna chi è andato in Belgio

Nel 1946, dopo la guerra, l'Henraux era in crisi. La gente voleva ritrovare i soldi e quindi chiese lavoro. Per sbolognare dei lavoratori, l'Henraux affrontò la crisi in Belgio, dove la gente stava abbandonando certi lavori pesanti. La Sprimont arruolò diversi cavatori versiliesi, tra cui due di Retignano (NOMI), che nel 1996 versarono il proprio contributo per le popolazioni colpite dall'alluvione.

STAGI

Lorenzo Stagi ha fatto l'altare (lo dice Giuseppe Cordoni, Studi Versiliesi 1). Stagio Stagi invece, figlio di Lorenzo, ha fatto il pulpito, due candelabri e due altarini della Vergine e del Corpus Domini (a REtignano). Sono opere del 500.

Stazzema

Bruno Antonucci di Farnocchia fa realizzare l'acquedotto di Retignano negli anni Cinquanta. Nel 1429 il castello di Stazzema fu incendiato e distrutto. In esso erano stati posti gli uffici anche dei rappresentati del comunello di Retignano. Perdita di documenti e di altre info. La causa: le guerre di conquista. banco di san giorgio.

Tozzetti

Viene a Retignano nel 1743-1744 a cercare piante per conto della società botanica, per il giardino dei semplici di firenze e per far ricerche sulle miniere e i minerali su incaico del conte di Richecourt, ministro del granduca ferdinando 1.

TERRINCA

Molto legata a Retignano. I suoi boschie rano protetti per legge e molta legna per i forni di Ruosina veniva da Terrinca. Nel 1788 il magistrato del comune di Stazzema ordinò a tutti i comunelli di riorganizzare i proprio confini. Per vegliare sull'opera fu incaricato il perito Ranieri Ancillotti. Il suo estimo del 1793 è ancora in vigore. Terrinca si era separata da Levigliani nel 1572 ed aveva perso molto terreno utile. Esistendo, anche per via dello statuto ma non solo, leggi volte a salvaguardare i boschi, Terrinca si ritrovava con poco terreno utile. Quindi, in accordo con Retignano, le era permesso piantare alberi presso Retignano, nella zona del canale, al fine di preservare la qualità del proprio vino e di altre coltivazioni. Retignano, per evitare approfitti o danni del bestiamo, chiese in cambio che venissero istituite delle riserve dove poter far circolare liberamente il bestiame nei mesi di germinazione e fruttificazione (l'estate, fino alla vendemmia di settembre).

TOPARCHI

1225. Retignano e gli altri comunelli fondano la Lega di Stazzema, dei Nobili, così da contrastare Lucca, che è però più potente e con le sue rappresaglie ha la meglio, inglobando quel territorio.

TRADIZIONI: la conta pero pero

TRASPORTI

Nel 1883 il londinese Charles Preller Sheibner vuole mettere la ferrovia a scarto metrico. Non ha i soldi. Nel 1902 la Henraux contatta la The english electric railway company limited di Londra di William Edward Hooper. Nel 1903 nasce la The Carrara and Versilia electric Railway. Il genovese Virgilio Saligeri-Trucchi, ministro dei lavori pubblici, approva il progetto e riceve il consenso da Roma grazie al magristrato lucches Giovanni Montauti. Nascono le Tranvie Elettriche Versiliesi. Nel 1911 la TEV stipula con Lucca un accordo per arrivare a Stazzema. Nel 1913 l'impresa inglese Rhys Jones Mc Taggart & Burch inizia i lavori. Nel 1916-1917 arriva il tratto a Retignano. Le locomotive spesso faticavano a percorrere la Salita del Gatto e le più potenti erano chiamate Corchia e Sumbra. Nel periodo della guerra, quando scarseggiava il carbone, si usava cattivo legname e così dalle locomotive schizzavano lapilli e fiamme. Per questo gli abitanti la chiamarono CACAFOCO. Dal bivio di Iacco a Retignano ci voleva una mezz'oretta. Dal primo capolinea a Retignano ci volevano dunque (PIET-SER 22 m, SER-IACCO 28, IACCO-RET 30, circa un'ora e un quarto). Sempre a Retignano, presso la Pollaccia, il treno di fermava per fare rifornimenti d'acqua e pulire il forno

USI CIVICI

Gli usi civici erano quelle antiche proprietà comuni che gli abitanti dei villaggi montani coltivavano fin dal medioevo. essendo stata una concessione feudale, non poteva essere venduta nè ulteriormente spartita. E il popolo, rimasto fedele a questo impegno, si è ritrovato compatto nel difendere questo privilegio. La proprietà comunale, detta Comunello, che utilizzava questi terreni ad uso civico, trovò impulso sotto i vari governi Toscani, dapprima coi MEdici, che seppero sfruttare questa opportunità per far sentire le popolazioni montane parte di qualcosa, per dare loro i terreni per il sostentamento e quindi di evitare delle rivolte, gudagnando così la loro fiducia. Infatti, nel Rinascimento, il comunello di Retignano era privilegiata roccaforte di avvistamento per tutta la vallata e forniva manforte alle armate medicee. Il sentimento di avere terre comuni compattò gli abitanti della Versilia che, come ancora oggi, sono molto attaccati al territorio e ai confini (vedi la diatriba con i viareggini). Le riforme granducali (1790-1860) promossero i comunelli, ma dall'altra parte iniziarono a dindebolirli. Ad esempio, a fine Settecento l'Alta Versilia si riunì sotto l'unico comune di Stazzema, anche se i comunelli sopravvissero fino al 1861, con l'annessione al Regno d'Italia. Furono promosse le coltivazioni e le attività a rischio di abbandono. I popoli erano attaccati e interessati a difendere la proprietà collettiva nel rispetto reciproco. Infatti, sebbene Ruosina, Gallena, l'Argentiera, Iacco, Fornetto ed altre località non rientrassero nel centro abitato di Retignano, ma solo sotto il suo comunello, ognuno poteva sfruttare le risorse dell'altro, cooperando nel miglior modo possibile.

Nell'ottocento divenne fiorente l'attività marmifera e delle coltivazioni delle terre sociali. Gli usi civici erano quindi un mezzo di sussistenza per la soddisfazione di molti bisogni elementari della vita di gente montanara.

I Comunelli, secondo A Bartelletti e L Corfini (Studi Versiliesi IV, 19), erano costituiti da tre tipi di proprietà: beni privati, beni della comunità e beni comunali. Il scondo era solo per Retignano, il terzo era di tutti quelli che rientravano nel comunello e non solo.

I membri del comunello erano detti comunisti (da non confondere con l'accezione politica) e potevano disporre dei terreni secondo le proprie necessità, rispettando però le leggi dello statuto. Vi erano lo jus pascendi, jus lignandi e hus carbonis. Si potevano seminare piante in luoghi altrui pagando un canone e donando parte delle rendite.

Tra gli abitanti dei villaggi di Terrinca, Retignano e LEvigliani vigeva il principio di promiscuitàe reciprocità degli usi civici, che talvolta venivano concessi ad abitanti di altri comunelli. Vedi il caso citato prima con Terrinca. Questo sembra voler ripetere l'altica unità demoterritoriale dei Liguri Apuani, testimonianza viva della stretta fratellanza tra i popoli montanari, nonostante qualche asperità. In particolar modo, si sottolinea la cooperazione tra Terrinca, Retignano e Basati.

ALMANACCO VOL 2

  • Nel 1944 Eugenio Bazzichi capo della sezione locale del fascio, fu ucciso dai partigiani. Era di Retignano.
  • Silvestro Belloni venne eletto rettore di Retignano nel 1715 con la bolla di Clemente XI
  • Insieme a Gybrin mettici Tounnailay.
  • A fine Settecento, Vincenzo Bertagna di Retignano, deputato del comunello, aiuta a tracciare i confini con le comunità vicine. E' il rappresentante del comunello che aiuta Ancillotti. Nel 1793.
  • Nel 1523 Giovanni Biagi da Pietrasanta fu il primo rettore versiliese della chiesa di S. Pietro a Retignano.
  • Canale della Castagnuola, presso Gallena, dove Cosimo I aprì cunicoli per l'estrazione del ferro, in attività dal 1542 al 1593.
  • Il marmo di Retignano, bardiglio fiorito, fu usato per la cantoria dell'organo del duomo di Seravezza. Nel 1905 erano gestite da Vincenzo Bazzichi per conto della Henraux. Citato come pregiato nel 1927 sulla rivista Apuania, diGaribaldo Alessandrini e Giulio Paiotti.
  • I Celti popolarono la Versilia un po' prima dei Liguri Apuani, che si ritirarono sempre più sui monti perchè schiacciati dai Romani da un lato e dai celti dall'altro.
  • Augusto Dalgas, negli anni Trenta, era il proprietario delle cave di Montalto.
  • Retignano era nel 1260 sotto Lucca.
  • Nel 1878 in Versilia nacquero 77 bambini illegittimi, 32 di questi nel comune di Stazzema. Il periodico Eco della Versilia, diretto da Anselmo Bigongiari, riporta la notizia di una ventenne di Retignano che diventata mamma in maniera illegittima, stanca delle dicerie di paese sulla morale e sulla religione, uccise con le sue mani il figlioletto di appena dieci giorni e lo gettò in mare, presso il pontile caricatore di Forte dei Marmi. Lo stesso Bigongiari riporta il dialogo che udì tra la madre e il bambino e fu lui a denunciare l'atto tramite la pubblicazione. La ragazza non aveva ancora trovato marito, dopo tre anni di inutili spese per le bagnature. Era costantemente rimproverata dalla mamma che la minacciava di rinchiuderla in un convento. A quel punto la ragazza esclamò: Va bene, mettetemi in un convento o' madre, ma di frati almeno!. Fino a prima dell'Ottocento, per le donne l'istruzione era vista quasi come un peccato e infatti erano relegate alla vita dei campi e all'allevamento dei figli.
  • Nel 1616 la malaria, a causa della zona paludosa, colpì anche Retignano. La peste arrivò verso il 1630, causando morti, devastazioni e fughe di massa. Il Sabato del Voto è una ricorrenza indetta dalla granduchessa Maria Cristina di Lorena nel 1637, quando invitava le popolazioni della costa a ritirarsi sui monti a respirare aria sana. In quell'anno, grazie a questo stratagemma, si salvarono molte più vite e come ringraziamento fu indetta la festa.
  • 1854 colera a volegno.
  • Nel 1568 ripresero le liti di confine con Retignano e Farnocchia. Nel 1603 altre liti. Nel 1607 gli uomini di Ret, Far, Pom, Gal e Ruo furono processati per vicendevoli incendi e per aver violato le proprietà e trasgredito ad alcune regole dei rispettivi comunelli. Le divergenze continuarono. Farnocchia voleva il predominio di alcune miniere che, però, dagli estimi, risultavano del comunello di Retignano. Per ripicca gli abitanti di Farnocchia nel 1610 incendiarono nuovamente le selve di Retignano, sopra il Ponte, e poi alcuni delegati del comunello si recarono a cavallo a Firenze dal magistrato dei Nove, per chiedere una risoluzione definitiva della diatriba. La parola fine si pose solo trent'anni dopo, quando i confini furono ridisegnati. Retignano inizia a perdere terreno e il comunello arretra. Da alcuni documenti conservati a Farnocchia, questa era la più popolosa frazione nel 1881 (1006 abitanti), mentre Retignano era la quinta.
  • Silvio Verona era segretario della sezione del fascismo a REtignano.
  • Retignano possedeva la Ferriera del Gatto, edificio voluto da Cosimo I nel 1560, trasformato in forno fusorio. Fu acquistato da Piero di Giovanni di Scrica da Retignano al prezzo di 825 scudi. In seguito, fu restituito a varie famiglie rosinesi. La ferriera oggi è sede dell'officina meccanica G.A.M.
  • I nobili di Vallecchia e Corvaia, seguendo i sistemi amministrativi dei longobardi, controllavano Retignano a inizio Mille.
  • Cavol cacon, cacon nel pian, ci nascette Retignan, Retignan dalle sette colonne, cavoli cotti e zucche tonde. Tonio romito segava e prade, sette salacche mangiava a boccon, olio di sansa e pane ammuffito, qusta è la storia di tonio romito. CECCO RIVOLTA. Sotto il pero e sotto il melo sotto la coda dell'asino nero, l'asino nero scese al piano e ci nacque Retignano, Retignano ha tre colonne, cavoli gobbi e zucche tonde.
  • Nel 1453, caduta costantinopoli, il santini disse che i castelli delle montagne erano usati come avvistamenti contro la flotta turca. Nel 1543 scorribande causate da ottomani.
  • Il Santini (VII, 91) e il Campana (II, 121) lo attribuiscono a Retignano già nel 1640, nonostante ci fosse una chiesa a parte. Nel 1570 vi abitavano 74 persone. Aveva un forno per la fusione di ferro e argento, estratti nei siti vicini del comunello di Retignano.
  • Il forno di Ruosina è quello che diventerà la Ferriera del Gatto. Ci si fabbricavano anche le armi.
  • I funghi di Retignano sono citati in Ristretto del primo volume della toscana illustrata di Pier Antonio Micheli, Firenze 1706. Era un naturalista fiorentino docente a Pisa e fondatore della micologia. Anche in Flora alpium versiliensium di Emilio Simi.
  • Gallena è sempre stata sotto Retignano, tranne una breve parentesi durante le liti di confine con Farnocchia e per qualche anno nella seconda metà del Cinquecento (nel 1558 si separò, si riunì poi, prima del 1597. Perchè Pietrasanta non la prese.
  • Il geologo danese Nicola Stenone visitò Retignano e Levigliani nel 1650 per volere dei medici e individuò il cinabro presso Levigliani.
  • E' ragionevole pensare che anche i Goti abbiano devastato la versilia e abbiano sfruttato le alture per difendersi dagli attacchi nemici, specie nel conflitto con i bizantini. Siamo nel 500. Augusto Dalgas, Lopes Pegna (Appendice ai Commentarii, VIII, 177), G Bertelli. Giorgio Giannelli in (S Anna l'infamia continua) riporta che i nazisti, scoperto che i goti avevano perso in Versilia, per scaramanzia cambiarono il nome di Linea Gotica in linea verde (GrUnstellung) pag 145.
  • Voci sulla buca di gordici e della risvolta. Avevano una grotta anche a Le Mulina, nel 1821, di proprietà retignanese.
  • Guardie della costa. Casottino a Retignano. Inizialmente il servizio durava da maggio ad ottobre ma dopo la supplica inviata a Ferdinando I, passò a 10 mesi, aumentando il numero di militari coinvolti sia sulla costa che sulle montagne (1608). Lo dicono L. Belli e A. Tenerini e il Santini III.
  • A Montalto alcune cave erano nel 1845 di Henraux ma anche dei Guglielmi di Seravezza.
  • Hernaux arrivò in Italia durante la dominazione francese per "recquisire beni toscani" e trovare denaro per coprire le spese di guerra. Aiutato da Elisa Baciocchi, avviò le prime ditte marmifere in Versilia a Seravezza, espandendosi poi sui monti. Lasciò tutto al nipote Bernard Sancholle a condizione che rpendesse anche il cognome Henraux. A Retignano si estraeva anche la breccia.
  • Nel 1880, per volere dell società dei marmi e delle pietre litografiche di Parigi, il cui direttore in Versilia era Federico Schneider, furono censite nel comune di Stazzema ben 158 ditte: 49 bottegai (di cui 6 a Retignano), una cinquantina di mugnani (uno di Retignano), un bigonciaio (Fornetto), 9 muratori (di cui due a Retignano) e diverse attività estrattive del marmo (5).
  • Dagli statuti del comunello di Farnocchia si legge che la strada che da Ruosina arrivava a Le Mulina fu costruita nel 1569.
  • Liguri Apuani. Il Santini (I, 8) dice che Ligur in celtico vuol dire uomo di mare, così come Ligures in latino indica "abitanti della costa". Cicerone li definiva "animosi".
  • Linaio. A Retignano si coltivava il lino. La coltivazione del lino a Retignano risale all'epoca dei Cattani, siamo nel Trecento, anche se si hanno solo notizie frammentarie. I fiorentini inviavano verso genova i loro tessuti in lino prodotti in Versilia e i centri specializzati si trovavano a Retignano, Terrinca, Levigliani e Pietrasanta. Era usato pr la confezione di abiti femminili, insieme anche alla canapa. (Santini, II).
  • gli incendi e le liti di confine con Farnocchia sono citate da G Bertelli (Il com di far, Labiritno, 1988). Guerre FAR RET nel 1603. Processo 1607 grazie a Maria Cristina. Coinvolti anche a Gallena, RUO e POM. "Troppo arditi e temerari". Altre guerre nel 1622, stavolta interne, con Ruosina che in parte va a Seravezza. Il magistato Tommaso Masini, nei processi, sentenziò che: GLi uomini di Seravezza sono sempre i soliti, capaci solo di danneggiare le comunità. L'incarico di dirimere le questioni di confine tra i comunelli stazzemesi fu affidata al celebre pittore G. Battista Digerini che ridisegnò le piante del territorio. A Retignano, Farnocchia, Levigliani, Terrinca, Stazzema e Cardoso fu imposto di piantare nuovi cippi di confine per segnalare una volta per tutte i nuovi confini. Retignano aveva perso una parte del suo comunello. A fine Seicento qualche lite tra Retignano, Terrinca e Modena per la neve.
  • LONGOBARDI. Caduto l'Impero Romano d'Occidente, le scorrerie dei barbari divennero più frequenti. I Longobardi arrivarono in Versilia nel VI secolo d.C. e furono particolarmente stanziati a Terrinca. Treppicare dal tedesco trippen=calpestare.(Marino Bazzichi, Versilia Oggi, 1982). Il Santini, in un manoscritto dedicato alla famiglia Tomei-Albiani, disse che le famiglie longobarde possedevano terreni nelle località di Terrinca-Levigliani-Retignano, Stazzema-Pruno-Volegno. Nel 753 Astolfo re dei longobardi donò alcuni terreni al cognato Anselmo, con un trattato firmato a castello aghinolfi. Dopo i romani, anche i longobardi impartirono alle popolazioni locali dei nuovi sistemi di amministrazione e gestione del territorio. Furono costruite delle rocche e delle pievi. Secondo il (Barb Fed?) anche la chiesa di Retignano, che è segnata del periodo, in realtà era all'inizio una rocca che fu poi adibita a chiesa in seguito, grazie a Matilde di Canossa.
  • Secondo il Bar Fed a Luchera c'erano le migliori cave di bardiglio fiorito.

VOL 3

  • Abele Verona, anarchico di Retignano, definisce il giornale settimanale Versilia come £della cricca borghese e riformista", da troppo spazio al sindaco di seravezza.
  • Marginette: dette anche maestà o immaginette. costruite lungo i sentieri di montagna, spesso vecchi casottini ricostruiti, generalmente stavano ai margini dei sentieri (da qui il nome) o presso i bivi e crocevie delle mulattiere. servivano per la venerazione di alcuni santi protettori, specialmente la Madonna, e per il riposo o rifugio dei passanti specie in cattivo tempo. In genere sono dedicate a qualcuno del posto. Sono diffuse in Versilia già nel XVI-XVII, quando si cominciano a riaddatare i casottini delle guardie.
  • MARMO E INDUSTRIA DEL MARMO. LEGGILE BENE TUTTE A rendersi conto per primi che si stava aprendo una nuova epoca, gli abitanti di Retignano. contadini, legnaioli, boscaioli e pastori, attratti per lo più da una nuova fonte di guadagno, preferirono andare a lavorare nelle cave di Montalto, permettendo l'esportazione di molti blocchi di marmo verso la Gran Bretagna e l'America. Il Santini (VII, 149 e altre) sottolinea che la maggior parte degli antichi mulini e delle ferriere fu trasformata in segherie, dato che Ruosina era ancora in parte sotto Retignano, e così poteva contribuire alle cave. Furono infatti aperte altre cave retignanesi presso Luchera, Risvolta e Le Mulina. Il mamo versiliese è finito anche al Campidoglio di Washington (BArbacciani Fedeli).. 1839. Nel 1850 la fama dei marmi versiliesi e di Montalto era tale che furono esposti alle manifestazioni fieristiche di Firenze, come pietre ornamentali. Marmo di Montalto fu esposto anche a Londra. secondo Fabrizio Federigi, una prima battuta d'arresto delle cave di Montalto si ebbe nel 1861 con la nascita del regno d'Italia perchè i Lorena fecero andare la Versilia sotto Lucca e non Massa Carrara e così gli interessi shiftarono di là. Dopo il periodo di recessione e a causa delle guerre, le piccole cave di Retignano, Pruno e Volegno persero sempre più importanza e già negli anni Cinquanta estraevano poco. Dopo la chiusura della tranvia, furono definitivamente chiuse (anni Sessanta). Nel 1908 Sancholle su Apuania disse che il marmo versiliese era tra i più belli e che l'attivitò.
  • METATO: seccatoio per le castagne. coperti con piastre di lavagna, quattro vani. due sopra e due sotto pulaio per la pula delle castagne e per conservare i ceppi per il fuoco. graticcio al piano di sopra sostenuto da travi di legno (graticci: righelli quadrangolari di castagno, frasso o ontano). buchette: feritoie da chui esce il fumo. MEzzina=?
  • MONTALTO. Ai Tempi di Maria Cristina vi si scavava Pietra per scalini. SEcondo il Santini (III, 252) nel 1757 Michelangelo Graziani di Retignano scavava marmo statuario e mischi, in un luogo detto Sopra le Capanne. Lo stesso faceva il retignanese marco corbellini. Nel 1893 le cave di Retignano lavoravano per Henraux ed erano spesso considerate dai forestieri come "di seravezza". Walton ci prese bardiglio fiorito brecciato, mischio paonazzo lamellato bianco ceruleo, macchie di lilla di calcare talcoso di durezza uniforme. Secondo Emilio Simi, nel 1859, si poteva trovare pernice rossa.
  • MULATTIERE: costruite al tempo dei liguri, rimesse in sesto dai romani, abbandonat durante il primo meioevo e tornate in auge nel duecento.
  • In collegamento con il discorso sui marmi. Negli anni venti il Duce guadagnò consenso tra i montanagnini quando mostrò interesse nel fondare una nuova "macro area" detta APuania. I massesi infatti volevano inglobare i territori di Stazzema, Seravezza e Pietrasanta nela propria provincia, così da creare un blocco unico per l'escavazione del marmo. Mussolini era d'accordo, anche su pressioni dei repubblicani Eugenio Chiesa e Renato Ricci. MA cambiò idea su pressioni del gerarca lucchese Carlo Scorza e così nel 1924 andò tutto in fumo. La versilia era fascista.
  • Retignano va a Elisa Baciocchi nel tardo 1809.
  • NEVE. I medici apprezzavano la neve della Pania per farci varie cose. Terrinca, Levigliani, Retignano e altri aesi facevano a gara per andarla a prendere. Se la contendevano anche gli estensi. Nel 1678 vi fu una lite tra un abitante di Retignano, un tale detto SCricca, e due di Terrinca, il sergente Berti e il caporale Tognocchi, che volevano impedirgli di andare a raccogliere la neve della Pania. I due militari, avendo stipulato un contratto con un appaltatore pisano, sostenevano che solo Terrinca aveva il diritto di usare la neve in uno dei versanti più facilmente raggiungibili e più redditizio. SEcondo loro, Pisa aveva loro riconosciuto la licnza rilasciata dalle cominutò estensi di Eglio e Sassi in Gagafanan, alla cui giurisdizione apprteneva un lato della montagna. Citanto Mario aiuti, ritcorda quando Jacopo Benti venne inviato sul posto per volere del governo fiorentino per risolvere la questione: in realtà a Firenze non importava di chi fosse il diritto, voleva solo avere la sua neve e non drla agli estensi. Ci si chiedeva in effetti di chi fosse la "Buca della neve". Salito al Pesco, a mezzo cammino dalla etta della Borra di Canala, di buche ne trovò due. Una divisa in due parti. In seguito a questa ispezione, il territorio risultò completamente versiliese. Gli estensi non godevano di alcuna proprietà sul luogo e così la licenza concessa dai pisani era errata e lo Scricca aveva la possibilità di prndersi la neve che voleva, perchè il monte era tanto" rtignanese quanto terrinchese e versiliese in generale". Ma poi i confini fuorno ridisegnati per far sì che parte della pania finisse sotto gli estensi ed il commercio di neve ecreebe.(G. Giannelli, Uomini sulla apuane)
  • Alcune antiche croci nella chiesa di Retignano sono in argento rpeso all'Argentiera.
  • Nel seicento alcuni pastori retignanesi nei periodi più caldi scendevano a Pietrasanta per il pascolo perchè negli statuti dei comunelli vi erano periodi in cui dei terrenie rano banditi dalla pascolo.
  • Canale Petrico separa Retignano e Levigliani. Citato da TargTOzz nel 1792.
  • Statuto del 1308 porta Retignano nella vicaria di piet.
  • Nel 1018 e nel 1270 eravamo sotto la Pieve di Valdicastello.
  • RET: Fabrizio Feerigi (Studi versiliesi VIII-IX, 30) dice che i retignanesi sono un popol laboriosissimo che rimisero in piedi una fiorente attività marmifera.
  • La galleria abbattuta era del ribbiaio. lunga 22 m.
  • Nel 1521 il rosinese Leonardo Pieroni fu ambasciatore del comunello di Retignano a Firenze.

VOLUME 2

  • Vincenzo Bertagna, nel 1793, va ad aiutare con la definizione dei confini nei territori di Retignano, Levigliani, Terrinca, Pno e Volgegno.
  • NArciso Bertagna eletto segretario della misericordia di retignano nel 1924.

Geografia e clima[modifica | modifica wikitesto]

Panorama delle Alpi Apuane e della costa versiliese visti da Retignano
Le Alpi Apuane viste da Retignano

La massima altitudine è 913 metri s.l.m, sulle punte di Mont'Alto, dove esistono i resti di un'antica cava di "rosso rubino" (un marmo pregiato presente solo in poche zone) e luoghi di estrazioni di bardiglio e "bardiglio fiorito".

Gode di un clima mite grazie all'apertura sul mare, anche se d'inverno non mancano le nevicate, e, grazie alla sua posizione collinare, da Retignano è possibile vedere la valle dello stazzemese quasi al completo. Si possono vedere i rilievi del monte Pania, Corchia, Matanna, Nona, Procinto, Lieto, Cavallo e tutte le montagne attigue. Per questo motivo era sede di fortini di avvistamento che avvertivano i valligiani dei pericoli di attacchi nemici provenienti dalla costa.

Dati climatologici 1961-1990[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Stazione meteorologica di Stazzema Retignano.

In base alla media trentennale di riferimento (1961-1990), la temperatura media del mese più freddo, gennaio, è di 6,6 °C; quella del mese più caldo, luglio, si attesta +22,5 °C.[49]

Le precipitazioni medie annue nel medesimo trentennio si attestano a 1.914,5 mm, con elevato picco tra autunno e inverno e con minimo relativo in estate.[50]

Stazzema Retignano Mesi Stagioni Anno
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic InvPriEst Aut
T. max. media (°C) 10,110,512,916,420,924,427,727,524,620,214,911,810,816,726,519,918,5
T. media (°C) 6,67,19,112,316,319,722,522,219,715,711,28,27,312,621,515,514,2
T. min. media (°C) 3,13,75,28,211,614,917,416,914,811,17,44,73,88,316,411,19,9
Precipitazioni (mm) 235,0179,7180,4156,0139,996,253,0102,7145,9195,1230,7199,9614,6476,3251,9571,71 914,5
Radiazione solare globale media (centesimi di MJ/) 6108801 3501 7102 0902 2902 3101 9601 4901 0206404801 9705 1506 5603 15016 830

I dati delle precipitazioni sono aggiornati al Duemila.

Suddivisione di Retignano nei borghi principali. (Lorenzo Vannoni)

I diversi borghi[modifica | modifica wikitesto]

Suddividere esattamente il paese in borghi non è facile, tenendo conto dei numerosi rifacimenti, specie nel periodo post-bellico, accompagnati da un'espansione del centro urbano che ha alterato i confini, sia naturali che artificiali.

Al giorno d'oggi i principali borghi degni di nota sono i seguenti:

  • Borgo sovrano: il borgo principale del paese, il più antico, sede del vecchio Comunello e delle prigioni. Comprende la "Chiesetta" e una delle principali fontane del paese.
  • Vicinato
  • Chiesa
  • Boschetto
  • Il Colle, Valli, San Michele, Santa Lucia e "Chiasso".
  • In Piano, il Casino, Pian di Scala e la "Rossola".
  • Sanatoio e "La Fronte".
  • Pianatella, la Croce, Campeggioli (alto e basso), "la Lama" e il Furo.
  • Iacco

Luoghi e monumenti d'interesse[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di San Pietro (Stazzema).
La chiesa del paese

Alcune fonti datano la costruzione della chiesa di San Pietro a Retignano a prima dell'VIII secolo d.C. Inizialmente si trattava di un edificio di dimensioni ridotte, con una facciata rivolta sulla valle. Sulla fiancata sinistra si trovava un ingresso, in seguito murato, di cui oggi si possono ancora scorgere alcune tracce. Nel corso del Duecento venne ampliata e rivolta verso ponente e nel Trecento divenne parrocchia. (Santini VII, 447)[51][52]

Dal 1525 al 1530 venne ingrandita nella parte posteriore con l'aggiunta di un'abside circolare e finestre monofore.[53] Nel 1526 fu costruita la tribuna rivestita di marmo, come confermato da un documento presente in canonica secondo il quale, sotto il pulpito e sotto gli intonaci, è possibile leggere la scritta "Santus Petrus, tempore Nicolai opi hoperari MDXXIII. Nel 1563 si eseguirono altri abbellimenti quali la pila in marmo dell'acqua santa, opera di Giovanni detto Picchia da Sarzana, e l'occhio della facciata, realizzato con marmo della cava di Ceragiola (Seravezza), elaborato da Giovanni da Bedizzano. La struttura esterna, in sasso quadrilatero locale, è del Duecento-Trecento.

Ci sono due altari, uno detto del Sacramento e l'altro della Ss Annunziata,quest'ultimo in marmo bianco e finissimo ornato intagliato a tralci di fiori negli stipiti, opera attribuita a Donato Benti.

Secondo il Santini, nella seconda metà del 1500 fu collocato l'Altare del Santissimo, la cui lavorazione e in specie quella del battistero ci fa supporre che all'epoca la parrocchia fosse già indipendente e così importante da poter battezzare autonomamente (come testimoniano anche i documenti in canonica).

Nel 1581 i signori Nove autorizzarono l'acquisto di un parametro per l'altare, una pianeta e un ciborio, una somma per dorare il piede di una croce e il ciborio stesso. infine coprire i tetti. Nel 1588 l'Opera fece rinforzare la facciata della chiesa e la canonica, costruì il cimitero e ricoprì la tribuna. Nel 1603 vennero posti i sopracieli e si costruirono le vetrate.

Nel 1649 si incaricò Jacopo di Lorenzo Benti di perfezionare l'altare del SS Rosario. A lui è anche attribuito l'altare maggiore (1687). Lo stazzemese Guglielmo Tommasi realizzò la tela rappresentate i Santi Pietro e Paolo (1734). L'assetto moderno della chiesa risale all'Ottocento, Enrico Andreotti. Si trovano opere di Vincenzo Tedeschi e del professore Antonio Bozzano. Secondo Giuseppe Viner (Versilia Oggi, 1990) l'altare di S Pietro sarebbe di Lorenzo Stagi.

Nel 1581 il tetto, danneggiato, fu riparato e l'occasione fu colta anche per restaurare la canonica, il pavimento e la Tomba dei Parroci (1588). Poco prima dell'Unità d'Italia del 1861, la chiesa di San Pietro fu ulteriormente 'modernizzata': così facendo scomparvero in breve tempo gli ultimi elementi di notevole interesse storico delle facciate laterali. Per mancanza di fondi non fu neppure possibile realizzare un disegno dell'architetto Enrico Andreotti di Pietrasanta. Passò poi dalla diocesi di Lucca a quella di Pisa in seguito alla decisione di Pio VI il 18 luglio 1789.[20][51]

Nel 1902 la sacrestia venne restaurata e negli anni cinquanta furono aggiunte delle scalinate in marmo e trasferiti alcuni registri al piano superiore. Agli inizi del Terzo Millennio, il maltempo ha danneggiato le finestre monofore e le pareti interne. Di recente, inoltre, sono stati ritrovati dei vecchi fogli di progetti risalenti al periodo in cui l'edificio venne restaurato e innalzato. Una serie di colonne avrebbe dovuto fiancheggiare l'intero nuovo livello della chiesa, al fine di distogliere l'attenzione dalle vecchie finestre romane oggi murate. Ad ogni modo, il progetto ha avuto risvolti diversi ed è stato abbandonato.

Sull'architrave della porta laterale si legge "Ingredere in templum Dei, MDLXI" (entrare nel tempio di Dio, 1561). Nel pilastro esterno a destra si legge la frase misteriosa "Alt. D.P.I.B.R.". Alcuni beni della chiesa erano conservati a Querceta, secondo un estimo del 1337. Nel 1464 divenne una parrocchia importante e acquistò quattro appezzamenti nei comuni di Pietrasanta e La Cappella.

Gli arredi e le reliquie storiche[modifica | modifica wikitesto]

Tabernacolo

Fra gli oggetti di un certo valore spicca un'acquasantiera a calice, risalente al Cinquecento e attribuita alla scuola Stagio Stagi di Pietrasanta. È di circa cento anni prima la croce processionale interamente in argento. Il Battistero di Vincenzo Tedeschi da Seravezza, il Fonte Battesimale di Giovanni Sarzanese e il Rosone sulla facciata sono tutte opere databili intorno al 1562-1563. Due Tabernacoli, collocati negli altari laterali nel Seicento, furono ideati e realizzati nel 1480 da Lorenzo Stagi e dai suoi allievi, che ultimarono il lavoro alla fine del secolo, considerando che sull'altare stesso è stato inciso l'anno 1486.[54] Sopra il tabernacolo di destra si trovava un piccolo dipinto su tela, dedicato all'Annunciazione, e realizzato dal Tommasi nel 1734. Il 16 agosto 1964 fu incoronata da Antonio Angioni (vescovo ausiliare di Pisa) con una corona d'oro per lo scampato pericolo bellico. Nel 2009 il dipinto è stato rubato. Sotto entrambi gli altari, una lapide commemorativa scritta in latino parla delle operazioni di restauro degli stessi. Il priore Agostino Pancetti (Agustino de Pancettis sulla lapide) e Giovan-Battista de' Tognini (Ioe-Baptà de' Togninis) si occuparono del restauro nel 1680. All'interno della sacrestia si conservano oggi i registri dei matrimoni, dei defunti e dei battesimi, alcuni dei quali sono risalenti al tardo Quattrocento.[4][20][52]

Il 5 ottobre 1890 fu collocato in questa chiesa, al di sopra dell'ingresso principale, un organo dell'artefice Ferdinando Serassi di Bergamo, comprato al prezzo di 3700 lire dell'epoca e collaudato dal professor Enrico Barsanti, docente presso l'Università di Pisa. Per l'occasione fu anche costruita una cantoria in marmo policromo.[55]

Il cimitero[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1840 fu iniziato il progetto di realizzazione del cimitero. Fu successivamente ampliato nel 1930 ed adornato con cappelle e tombe particolari. Una cinquantina di anni dopo venne sviluppato un piano superiore del cimitero.

L'incisione dell'Ottocento

Nel periodo iniziale della costruzione, il progetto per la realizzazione del cimitero subì diverse modifiche, specialmente dovute alle recenti vittime di epidemie. In quest'ultimo caso, all'ingresso del cimitero è tuttora visibile una lapide su cui si parla dell'epidemia di colera che colpì il paese nel 1857 ed ebbe alcuni casi persino negli anni a seguire, causando grave scompiglio fra gli abitanti. Sebbene oggi la lapide sia stata parzialmente rovinata dagli agenti atmosferici e metà di essa sia caduta in rovina a causa di un cedimento del terreno circostante, si può ancora leggere quello che vi è scritto.

"Quando questo distretto fu invaso dalla malattia del colera, dal 5 settembre al 15 ottobre furono sepolti 45 cadaveri in questo terreno il quale poi, come destinato da quell'epoca alla tumulazione di tutti i defunti, venne convenientemente recinto da muri nell'anno 1857 e ridotto a campo santo regolare, essendo il maestro Giuseppe Graziani il solo esecutore di tale opera. La pace alle anime di quelle che qui giacciono, sia il pensier della morte nella mente di coloro che tuttora respirano le aure di vita..."

Monumento ai caduti[modifica | modifica wikitesto]

Il monumento
Lapide che reca i nomi dei caduti nella Prima guerra mondiale

Alla sinistra dell'entrata principale del cimitero, si trova un'area interamente dedicata ai caduti durante le grandi guerre del Novecento che segnarono profondamente il paese. La zona commemorativa, inaugurata il 4 ottobre 1992,[22] si compone di un vialetto che conduce al monumento principale (realizzato dal signor Alfieri Tessa), mentre intorno ad esso si ergono degli alberi a simboleggiare le vite degli uomini partiti per combattere e mai più tornati. Il monumento, realizzato nei decenni a seguire, vuole anche essere un ricordo perenne delle atrocità della guerra e un monito affinché non si ripetano più eventi simili. Sulla facciata principale è stata incisa una colomba, simbolo di pace, all'interno delle cui ali si trovano delle parole di conforto ed un invito alla fratellanza tra i popoli.[4][5][56]

Ai lati del cosiddetto "parco della rimembranza" troviamo una lapide con su incisi i nomi dei caduti nella Prima guerra mondiale. Vi è anche un invito perenne al celebrare il ricordo di coloro che servirono la patria, radunando i fedeli ogni 28 agosto per pregare per le loro anime e per invocare la pace.

Il campanile[modifica | modifica wikitesto]

Il campanile di Retignano nel 2010

Il campanile annesso alla chiesa dedicata a San Pietro fu realizzato nell'arco dei 17 anni che vanno dal 1599 al 1616. Le campane che vi furono inserite (tuttora esistenti e funzionanti), risalgono una al 1510 e l'altra al 1570-1571, sebbene entrambe vennero consacrate solamente nel 1843. Il 26 novembre 1961 fu aggiunta una terza campana, benedetta da Monsignor Ugo Camozzo, l'allora Arcivescovo di Pisa. A seguito delle Feste Centenarie per l'Unità d'Italia, nel 1964 Camozzo inaugurò il quadro elettrico che ancora oggi sincronizza le campane.[4][51]

Chiesina[modifica | modifica wikitesto]

Chiesina

In paese esiste una chiesa secondaria la quale, per le sue ridotte dimensioni, è nota ai paesani come "Chiesina". A differenza della chiesa maggiore, le origini di questo edificio sono alquanto incerte. Alcuni ritrovamenti di testi durante gli anni sessanta del secolo scorso lasciano presupporre che la Chiesina risalga al tardo XVIII secolo. Questo luogo sacro è dedicato alla Madonna, la cui festa ricorre ogni 15 agosto insieme ai festeggiamenti di Ferragosto. Nel 1910, cioè l'anno della propria fondazione, la Venerabile Misericordia insieme al parroco ha ufficializzato alcune celebrazioni all'interno della Chiesina. L'organo che si trova in questo posto fu acquistato da un gruppo di Padri Francescani di Retignano dalla Chiesa di S. Croce alle Piagge nei dintorni di Pisa, un acquisto che si fa risalire al 1810. Le maggiori opere che si trovano al suo interno sono di Lorenzo Stagi e risalgono al Quattrocento.[4]

Istituzioni religiose[modifica | modifica wikitesto]

Congregazione del Santissimo Rosario[modifica | modifica wikitesto]

Il 1º luglio 1640, padre Agostino Lorenzi da Lucca istituì in paese questa nuova organizzazione, come richiesto dal procuratore generale dei Domenicani, datato 2 aprile 1640. Fiorente fino alla metà del secolo scorso, la Congregazione aveva lo scopo di diffondere il cristianesimo tra la popolazione e di occuparsi degli edifici ecclesiastici.

Compagnia del Santissimo Sacramento[modifica | modifica wikitesto]

Sebbene non si conosca con l'esattezza l'anno della fondazione, dai registri parrocchiali emerge che Sua Eccellenza Monsignor Martino Bianchi, arcivescovo di Lucca, il 25 marzo 1773 indirizzò una lettera al parroco Don Michele Silicani, citando questa compagnia e chiedendo a questi di occuparsi delle entrate e delle uscite della stessa. Altri documenti citano l'organizzazione e risalgono al 1768, ragion per cui è lecito desumere che si sia sviluppata nella metà del Settecento.

Il 29 maggio 1866, il vicario generale di Pisa, Monsignor Della Fanteria, su richiesta, concedeva agli iscritti di indossare speciali indumenti nelle processioni, abiti da cerimonia riservati solo ad altre cariche ecclesiastiche.

Il 12 ottobre 1904 il cardinale Maffi, in visita pastorale alla comunità di Retignano, così lasciò scritto negli archivi della chiesa: "Visto e approvo, aggiungendo un plauso ed un ringraziamento per lo zelo che il paese dimostra nel promuovere il decoro delle Sacre Funzioni".

Venerabile Misericordia[modifica | modifica wikitesto]

Il primo statuto e le prime opere risalgono al 1908, tuttavia la cerimonia ufficiale per la fondazione della Venerabile Misericordia risale al 1910. Ancora oggi attiva, dopo generazioni, ricopre, tra le principali mansioni, quella di organizzare piccole attività in paese e di gestire le processioni religiose. Ha sede in via Impero 2.

Celebrazioni[modifica | modifica wikitesto]

Processione del Venerdì Santo: la Triennale di "Gesù Morto"[modifica | modifica wikitesto]

Le origini[modifica | modifica wikitesto]

La Chiesa illuminata in occasione della processione del 2014

In Versilia, in occasione del Venerdì Santo, si svolge una particolare cerimonia che richiama parecchie centinaia di persone: la processione di "Gesù Morto". Nonostante non si abbiano datazioni ben precise sulle origini di tale evento religioso, causa le pessime condizioni degli archivi parrocchiali, si ritiene che nelle città come Forte dei Marmi e Camaiore già dal Seicento si svolgesse una funzione simile, dopo che alcuni sacerdoti, riunitisi in un concilio durante la Settimana Santa, avevano deciso di rappresentare al meglio la passione del Cristo.

Riscuotendo un certo successo e suscitando interesse anche nelle popolazioni stanziate sulle montagne, questo tipo di processione fu accolto anche dalle comunità dei paesini di Retignano e Terrinca. Purtroppo per la datazione vale più o meno lo stesso discorso: le fonti sono inaccessibili o troppo sciupate per essere consultate. Per risolvere il problema, mi sono documentato attraverso delle interviste ai più anziani del mio paese, convinto che le loro testimonianze chiarissero un po' alcuni dubbi e riportassero con più concretezza i fatti.

Nel periodo compreso tra la seconda metà circa dell'Ottocento e i primi del Novecento, gli abitanti del paese di Retignano, insieme a quelli di Terrinca, diedero il via a una lunga serie di processioni in ricordo di Gesù, che si svolgevano in concomitanza con Seravezza. Questi tre facevano dapprima ognuno la sua processione, poi col passare del tempo si è arrivati ad una scelta più democratica, cosicché a turno ciascuno potesse avere la sua opportunità per la processione triennale. Furono costruite le pietà, ovvero opere raffiguranti Gesù in vari modi, a partire da quello accasciato sopra ai lenzuoli a quello inginocchiato e sanguinante sotto le vesti della Madonna.

In occasione del Venerdì Santo, il paese di turno si organizza ricreando un po' la giusta atmosfera. Durante il pomeriggio vengono disposti dei bicchierini di vetro contenenti delle candele lungo tutto il percorso che si seguirà durante la processione, passando in tutto il paese. In chiesa si organizzano tutte le luci e sul campanile vengono affisse delle croci illuminate così come sul monte ‘Il Castello', per quanto riguarda Retignano, dove sorgono le tre croci del Calvario.

Quando arriva la sera, ci si riunisce in chiesa e, dopo l'iniziale messa, si procede col giro nel paese. Gli uomini sorreggono la pietà, alcune persone leggono i passi più salienti narrati nella Bibbia e nel Vangelo mentre gli altri camminano in silenzio, con in mano delle candele accese.[57]

Una delle fontane di Retignano

Differenze fra le prime edizioni e il Duemila[modifica | modifica wikitesto]

  • Inizialmente, le croci sul monte del paese di Retignano venivano fissate molto più in basso, poiché non esistevano i cavi elettrici né tanto meno le prese multiple e quindi dovevano essere riaccese a olio di continuo, necessitando quindi di un luogo accessibile e non lontano dalla strada;
  • Al posto delle candele, troppo costose per essere distribuite gli abitanti, circa il triplo dell'ammontare attuale, si usavano lampade ad olio per illuminare la chiesa di notte e i bambini si costruivano una specie di lanterna utilizzando come bulbo una sfera di cartone e ponendo al centro un piccolo lumino, il tutto attorcigliato a un filo per essere dondolato;
  • Una buona parte della celebrazione si svolgeva in latino, ma non tutti lo parlavano, perciò si creava come un doppio coro, da un lato i latini e da un lato i ‘traduttori';
  • Tutti ci tenevano a rendere la celebrazione ogni anno sempre più bella; oggi, con l'avvento delle moderne tecnologie e il menefreghismo, sono sempre meno gli organizzatori e diventa difficile gestire un intero complesso se si è in pochi al comando.La tecnologia ha avuto effetti anche sul modo di rappresentare la Via Crucis: intorno alla metà degli anni '50 era stata creata una stella luminosa dove scorrevano all'interno dei disegni rappresentanti le scene principali. Oggi si è passati ai videoproiettori e ai computer, perdendo parzialmente quel tocco di artigianato che caratterizzava il simbolo.[57]

Cave di marmo[modifica | modifica wikitesto]

Sito estrattivo del bardiglio fiorito

L'Alta Versilia è caratterizzata da diversi siti di estrazione del marmo. In particolare, a Retignano è noto il complesso delle cave di Montalto. A seguito di un provvedimento di "liberalizzazione mineraria" del 1788 e grazie ai finanziamenti della Banca Elisiana di Elisa Bonaparte Baciocchi, diversi imprenditori sia italiani che stranieri scelsero di investire in Versilia e puntarono sull'acquistare dei terreni negli ex comunelli di Retignano e Volegno, compiendo le prive escavazioni marmifere in Versilia nel vivo della Rivoluzione industriale. Tra i più importanti imprenditori interessati a Retignano ricordiamo Sancholle, Beresford e soprattutto Henraux.

Le cave di Montalto divennero operative a partire dal biennio 1818-1820, quando fu possibile avviare l'estrazione di un marmo pregiato ed apprezzato anche all'estero: il "bardiglio fiorito". La produzione fu notevole grazie alla continua richiesta di tale marmo e alla sua qualità. Ad ogni modo, i cavatori erano costretti a lavorare in condizioni avverse, dovute alla posizione impervia delle cave e alla difficoltà di trasportare il marmo dal sito estrattivo ai centri di raccolta e ai laboratori. Sebbene la produzione di bardiglio fiorito ed altri marmi sia durata per oltre un secolo e mezzo, le difficoltà non furono poche e più volte le cave rischiarono la chiusura.

Durante la Seconda guerra mondiale e la conseguente occupazione nazista del comune di Stazzema, le cave di Retignano sospesero la propria attività estrattiva. I maggiori imprenditori, nel secondo dopoguerra, affidarono le cave alle comunità di cavatori locali, preferendo investire in altre fonti marmifere più proficue. Negli anni Sessanta il sistema di lizzatura del marmo venne abbandonato e le cave di Retignano non furono dotate di strade per gli automezzi adibiti al carico/scarico del materiale. Fu così che prima degli anni Settanta le cave iniziarono ad essere progressivamente abbandonate.

Oggi le cave sono visitabili al pubblico ed accessibili mediante dei sentieri che collegano i paesi di Retignano e Volegno.

Lungo il sentiero principale, che parte da Sanatoio-Prossaia, in località Canalettora si trova una casa diroccata e poco avanti la via di lizza delle cave di Mont'Alto. Dall'immagine si vede che oggi le cave sono state invase da piante varie e scepi, uno stato di totale abbandono dovuto anche al mancato consenso della ditta Henraux di tenere viva la memoria di quei posti. Come già sottolineato, le cave oggi non sono in attività ma sono ricche di quasi tutte le piante officinali tipiche del Mediterraneo: si trovano in abbondanza timo, asparagi, camugero, vinacciolo ed altre piante ancora.[37]

Dati demografici[modifica | modifica wikitesto]

Grafico della popolazione di Retignano

La tabella seguente riporta il numero di abitanti del paese in alcuni periodi storici:[25][58][59]

Anno Abitanti
1551 213
1581 233
1745 386
1767 218
1833 455
1840 519
1841 525[60]
1843 536
1845 559
1871 600
1905 595
1921 621
1928 800
1938 458
1951 508
1961 490
1964 550
1971 445
1981 444
1991 399
2003 366
2014 381

Come si può osservare, il numero degli abitanti è variato numerose volte nell'arco di cinque secoli e questo è dovuto in parte al progressivo miglioramento delle condizioni di vita e lavoro (in alcuni periodi), mentre il drastico calo del Novecento è conseguenza diretta delle Guerre mondiali, della migrazione verso il continente americano e dell'urbanizzazione.

Cultura popolare[modifica | modifica wikitesto]

A Retignano, come in tutta la Versilia, la Garfagnana e per esteso la provincia di Lucca, fanno parte dell'immaginario collettivo alcuni folletti ed altri esseri malefici provenienti dai boschi. Già i Liguri Apuani attribuivano ad ogni elemento naturale o fenomeno un proprio rappresentante, spesso una divinità. In questo caso si parla invece di "mostri" provenienti da racconti popolari. I più conosciuti sono il linchetto e il buffardello, talvolta erroneamente confusi uno con l'altro o visti come sinonimi.

Linchetto[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Linchetto.

Il linchetto è uno spirito non cattivo ma dispettoso, che va di notte, entra per le camere, scopre le persone, sconvolge, tramuta gli oggetti che ci sono e sghignazza delle burle che fa (definizione presente nel Vocabolario lucchese di Idelfonso Nieri). Il nome deriverebbe dal latino incubus con agglutinazione dell'articolo, attraverso le forme lincubetto, lincuetto. Secondo l'italianista Felice Del Beccaro, infatti, il linchetto sarebbe un relitto del dio silvestre Fauno che nel suo aspetto di Incubus spaventava la gente e tormentava gli uomini con sogni cattivi e apparizioni.

Buffardello[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Buffardello.

Secondo il Vocabolario lucchese di Idelfonso Nieri, il buffardello è un folletto, diavoletto curioso, presso a poco come il linchetto. Sebbene in alcuni casi si ignori che cosa sia esattamente e in altri lo si identifichi con il linchetto o con il diavolo, il buffardello è generalmente descritto come un essereantropomorfo di piccole dimensioni (attorno al mezzo metro, tanto che viene paragonato a uno gnomo o a un nano) e vestito di indumenti di colore rosso (a volte tutto il vestito, altre volte solo un berretto) e avrebbe anche delle scarpe a punta. In alcuni casi è descritto come un bambino o comunque senza barba, in altri come un vecchio con la barba (in certi casi definita di colore rosso). Le sue mani sono state bucate da San Giovanni affinché non soffocasse più le persone durante la notte. A volte lo si vede seduto su un mucchio di fieno o su un albero.

In molti casi però il buffardello viene descritto come un essere di piccole dimensioni, brutto e nero ma di fattezze animalesche non ben definite, genericamente un animale selvatico, una "bestiaccia" o una "bestia del bosco" o addirittura in un caso un "batuffolo grigio". Spesso viene paragonato ad un animale noto: volpe, gatto, cane, tasso, foionco(cioè una faina), un grosso uccello notturno o comunque un "uccellaccio"; talvolta invece è una creatura del tutto fantastica. Secondo Rodolfo Barberi, "ha la faccia di un uomo ma il corpo scimmiesco, molto elastico. Veste con calzoncini corti alla napoleonica, calze trinate e scarpette. Si diverte ad annodare le code dei cavalli di notte, nelle stalle.

Gatto[modifica | modifica wikitesto]

Gli abitanti del paese di Retignano sono anche spesso definiti "gatti", ironicamente parlando, in riferimento, si pensa, al grande numero di gatti che un tempo abitava le vie del paese e le zone boschive. Rimandi a questa tradizione sono ancora visibili nello stemma della squadra di calcio e nella mascotte, il "gatto Silvestro".

Curiosità[modifica | modifica wikitesto]

Retignano dall'alto, 2015
  • Nel 1640 papa Paolo V concesse delle indulgenze speciali a chi recitava in chiesa le quindici poste del Rosario.
  • La chiesa venne consacrata in un lontano 29 dicembre, sebbene l'anno non sia ancora chiaro.
  • Intorno alla metà dell'Ottocento, il poeta Giosuè Carducci visse i primi anni della sua infanzia in località Fornetto, oggi Pontestazzemese ma all'epoca sotto Retignano.
  • Il 21 dicembre 1959 la chiesa di San Pietro è stata elevata da Rettoria a 'Prioria' per ordine dell'Arcivescovo di Pisa.
  • In passato era teatro di diverse feste, quali il Retignano Moon Party e Retignano in the Woods.[61]
  • Nel 2008 presso il campo sportivo di Retignano si tenne l'evento "Rock ad alta quota", con la partecipazione della Roxy Band, una cover band di Vasco Rossi. Oltre a loro si esibirono anche i Fahrenheit99 (cover band dei Toto), i Discepoli (con canzoni del rock italiano anni '70) e dei Furious, band di heavy metal. L'evento fu organizzato con la collaborazione dell'assessorato alla cultura del Comune di Stazzema.[62]
  • Prima nel 2008[63] e poi nel 2009, il paese di Retignano è rimasto a lungo senza corrente elettrica e acqua corrente per problemi dovuti a temporali e cadute di alberi lungo i cavi elettrici nei boschi.[64][65]
  • Dal 2011 il paese è approdato anche in rete con un sito web interamente dedicato.
  • L'attuale sindaco di Stazzema, Maurizio Verona, proviene da Retignano.
  • Retignano è citato più volte nel libro Fughe da fermo, di Edoardo Nesi, edito da Bompiani nel 1995.[66]

Sport[modifica | modifica wikitesto]

Stemma della squadra di calcio

Calcio[modifica | modifica wikitesto]

Prima del 1996, il torneo di calcio tra le squadre del Comune di Stazzema si teneva presso il campo sportivo della piccola frazione di Cardoso. Dopo l'alluvione della Versilia del 19 giugno 1996, la regione Toscana stanziò dei fondi a favore delle zone colpite dalle esondazioni ed il comune distribuì una parte dei fondi anche ad altri paesi, tra cui Retignano, al fine di migliorare alcune strutture preesistenti. Dal momento che il vecchio campo da calcio era stato rovinato dall'alluvione, si optò per crearne uno nuovo nella località "in Piano" di Retignano. Il campo sportivo fu poi battezzato "Campo sportivo Ricci e Macchiarini, 1996" in ricordo di due ragazzi che persero la vita in quel tragico evento. Divenuto operativo a partire dai primi anni Duemila, il campo sportivo di Retignano è la sede degli allenamenti della squadra locale, dell'Alta Versilia ed ospita gli annuali tornei estivi ed invernali.

La principale squadra di calcio del paese è il C.R.S. Retignano, fondato nella seconda metà del Novecento, che milita nel girone A lucchese di 3ª Categoria. I colori sociali sono il bianco ed il celeste, con un gatto che simboleggia il paese.[67] La squadra si è aggiudicata fino ad ora ben 10 trofei nel Torneo Alta Versilia, il più recente di questi nel 2016.

Corsa e ciclismo

Ogni anno a Retignano si tiene il Trofeo San Pietro, due percorsi che si snodano attraverso le vie del paese.

Ogni anno fa tappa a Retignano la gara ciclistica del Gran Premio della Montagna.

Arrampicata[modifica | modifica wikitesto]

Alcune aree appartenenti al paese di Retignano sono sfruttate da escursionisti ed esperti come pareti da arrampicata.[68]

Come arrivare[modifica | modifica wikitesto]

Il monte Castello, fotografato dal campo da calcio
  • da Viareggio: Aurelia fino a Pietrasanta, poi dirigersi verso Seravezza, proseguire in direzione Castelnuovo Garfagnana lungo la provinciale di Arni.

Km tot: 25 Tempo di viaggio: 45 minuti

  • da Forte dei Marmi: dirigersi verso Seravezza, proseguire in direzione Castelnuovo Garfagnana lungo la provinciale di Arni.

Km tot: 16 Tempo di viaggio: 20 minuti

  • da Pietrasanta: dirigersi verso Seravezza, proseguire in direzione Castelnuovo Garfagnana lungo la provinciale di Arni.

Km tot: 16 Tempo di viaggio: 20 min

  • da Levigliani: seguire la strada che dal "Canale" porta fino al bivio e procedere in direzione del campo sportivo.

Km tot: 2 Tempo di viaggio: 5 min

  • da Castelnuovo Garfagnana: imboccare l'unica strada di collegamento col Comune di Stazzema, poi discendere la provinciale di Arni per Km 10 dopo la galleria del Cipollaio.
    Km tot: 29 Tempo di viaggio: 50 minuti

Da Retignano si può compiere un'escursione a piedi fino a Mont'Alto e accedere alle "Scalette" che portano al rifugio di Mosceta.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g Vincenzo Santini, Commentarii storici sulla Versilia centrale, Tipografia Pieraccini, 1º gennaio 1964. URL consultato il 10 marzo 2017.
  2. ^ Paolo Macchia, La Versilia storica, Pietrasanta, Banca di Credito Cooperativo, 1997.
  3. ^ a b c retignano, su web.tiscali.it. URL consultato il 27 agosto 2015.
  4. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p Comitato di Lucca, su comitatounplilucca.wordpress.com. URL consultato il 24 giugno 2015.
  5. ^ a b c d e Le notizie storiche del paese sono riportate in un libriccino di cui ogni abitante del paese ha una copia
  6. ^ Lorenzo Marcuccetti, I Liguri Apuani: una confederazione di popoli, in Abitare la memoria. Turismo in Alta Versilia, Lucca, 2007, pp. 39-43.
  7. ^ Saltus Marcius, in Centro Studi La Runa. URL consultato il 5 marzo 2017.
  8. ^ a b La storia romana, dalla Tip. di Giuseppe Antonelli, 1º gennaio 1842. URL consultato il 5 marzo 2017.
  9. ^ a b (LA) Ab Urbe Condita/liber XXXIX - Wikisource, su la.wikisource.org. URL consultato il 5 marzo 2017.
  10. ^ I Apui, su Gazzetta di Castelpoggio. URL consultato il 5 marzo 2017.
  11. ^ Lorenzo Marcuccetti, Saltus Marcius: la sconfitta di Roma contro la nazione Ligure-Apuana, Petrart, 1º gennaio 2002. URL consultato il 5 marzo 2017.
  12. ^ Saltus Marcius. La sconfitta di Roma contro la Nazione Ligure-Apuana, su www.ariannaeditrice.it. URL consultato il 5 marzo 2017.
  13. ^ a b c d e Escursioni Apuane - I Liguri Apuani, su www.escursioniapuane.com. URL consultato il 5 marzo 2017.
  14. ^ Lanfranco Sanna, I LIGURI APUANI storiografia, archeologia, antropologia e linguistica (PDF), su arsmilitaris.org. URL consultato il 27 agosto 2015.
  15. ^ Ivano Salmoiraghi, Il borgo di Retignano, Stazzema, su www.inversilia.org. URL consultato il 27 agosto 2015.
  16. ^ a b c Almanacco Versiliese I - Giorgio Giannelli. URL consultato il 14 marzo 2017.
  17. ^ (IT) Lorenzo Marcuccetti, La terra delle strade antiche. La centuriazione romana nella piana apuo-versiliese, Baroni, ISBN 9788885408562. URL consultato il 14 marzo 2017.
  18. ^ a b c (IT) Guglielmo Bogazzi e Pietro Marchini, Borghi paesi e valli delle Alpi Apuane. Origini e storia tra la valle del Magra e la valle del Serchio: 2, Pacini Editore, ISBN 9788863155945. URL consultato il 10 marzo 2017.
  19. ^ a b c d e f g h Ranieri. Barbacciani Fedeli e Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana, Saggio storico, politico, agrario e commerciale dell'antica e moderna Versilia., 1845. URL consultato il 24 giugno 2015.
  20. ^ a b c Sacrum Luce: arte sacra nel territorio lucchese, su sacrumluce.sns.it. URL consultato il 20 settembre 2015.
  21. ^ Ranieri Barbacciani Fedeli, Barbacciani Fedeli, Ranieri, su onlinebooks.library.upenn.edu. URL consultato il 24 giugno 2015.
  22. ^ a b c d e Giorgio Giannelli, Almanacco Versiliese, in Versilia Oggi, vol. 3, Querceta (LU), 2002.
  23. ^ a b Alice Barsanti, Diego Bertagna, Retignano: il diacono scomunicato nel 1200 e il recente furto, su galateaversilia.wordpress.com, 8 aprile 2013. URL consultato il 1º marzo 2015.
  24. ^ a b c Sergio Mancini, Le miniere, in Abitare la memoria. Turismo in Alta Versilia, Lucca, 2007, pp. 87-88.
  25. ^ a b Repetti, Retignano nella Versilia, su stats-1.archeogr.unisi.it. URL consultato il 24 giugno 2015.
  26. ^ Giuliano Valdes, Stazzema, in Guida al Parco delle Alpi Apuane, Felici Editore, 2005.
  27. ^ Michele Armanini, Ligures apuani. Lunigiana storica, Garfagnana e Versilia prima dei romani, libreriauniversitaria.it Edizioni, 1º gennaio 2014, ISBN 9788862925792. URL consultato il 14 marzo 2017.
  28. ^ a b Francesco Campana (conte), Analisi storica, politica, economica sulla Versilia granducale del '700, Edizioni del Testimone, 1º gennaio 1968. URL consultato il 14 marzo 2017.
  29. ^ Miniere Argento Vivo di Levigliani e Retignano, su archeominerario.it, 24 giugno 2015.
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  54. ^ Sabrina Mattei, Edifici religiosi nel comune di Stazzema, in Abitare la memoria. Turismo in Alta Versilia, Lucca, 2007, p. 82.
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  61. ^ Fulvio Paloscia, Notte di feste, in la Repubblica, 27 luglio 2002.
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  64. ^ «Retignano, Enel intervenga sulla linea», su ricerca.gelocal.it, Il Tirreno, 23 gennaio 2009. URL consultato il 1º marzo 2015.
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  66. ^ Edoardo Nesi, Fughe da fermo, Giunti, 2 maggio 2012, ISBN 9788858752968. URL consultato il 19 aprile 2017.
  67. ^ Scheda squadra Retignano - Tuttocampo.it, su www.tuttocampo.it. URL consultato il 27 agosto 2015.
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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