Utente:Glauco92/Prove

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en:Lucius Domitius Ahenobarbus (consul 54 BC)

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  1. ^ a b [prova prova]. URL consultato il 20 giugno 2008.

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Cicerone[modifica | modifica wikitesto]

L<nowiki>'</nowiki>'''''Oratio ''''' (''Orazione''), meglio nota semplicemente come '''''{{subst:PAGENAME}}''''', è un discorso giudiziario/politico/epidittico pronunciato nel [[a.C.]] dall'[[:Categoria:Oratori romani|oratore romano]] [[Marco Tullio Cicerone]].

Guerre pirriche[modifica | modifica wikitesto]

Offese agli ambasciatori romani✔ Fatto
  • Eutropio (II, 11): Eodem tempore Tarentinis, qui iam in ultima Italia sunt, bellum indictum est, quia legatis Romanorum iniuriam fecissent.
  • Dionisio (XIX, 5): racconto delle offese
  • Appiano (III, 16): racconto delle offese
  • Floro (I, 13, 5: breve riferimento
  • Zonara (8, 2): racconto
  • Cassio Dione (IV, 39, 6-8): racconto

Albero giulio-claudia[modifica | modifica wikitesto]

Altro[modifica | modifica wikitesto]

Clodio

Appio Claudio Crasso, tra il 451 e il 449 a.C., aveva diretto i decemviri che avevano stilato le leggi delle XII tavole. Il ramo della gens Claudia a cui apparteneva la famiglia di Clodio, quello dei Pulcri, era nato dal figlio del censore Appio Claudio Cieco che si era battuto per favorire l'ingresso di plebei e liberti nella vita politica.[1]

I Claudi mantennero sempre una posizione di particolare influenza grazie alle vaste clientele di cui disponevano,[2] e raggiunsero, nel corso di tutta la storia repubblicana, per ben ventotto volte il consolato, per cinque la dittatura e per sette la censura.[3] In particolare, furono i Pulcri a raggiungere il consolato negli anni 249, 212, 185, 184, 177, 143, 92, 79, 54 e 38 a.C., e la censura negli anni 169, 136 e 50 a.C.[1]

==Note==

  1. ^ a b Fezzi, Il tribuno Clodio, p. 14.
  2. ^ E. Rawson, The Eastern Clientelae of Clodius and the Claudii, in Historia, vol. 22, 1973, pp. 219 - 239. E. Rawson, More on the Clientelae of the Patrician Claudii, in Historia, vol. 26, 1977, pp. 340 - 357.
  3. ^ Svetonio, Tiberio, 1.
Appio
console 79 a.C.
Ignota
Appio
console 54 a.C.
Clodia
Metello
console 60 a.C.
Gaio
pretore 56 a.C.
Publio
edile 56 a.C.
Clodia
Marcio Re
console 68 a.C.
Clodia
Lucullo
console 74 a.C.
Bellum Iugurthinum

==== Capitoli 5 - 16 ====

(LA)

«Bellum scripturus sum, quod populus Romanus[1] cum Iugurtha rege Numidarum gessit, primum quia magnum et atrox variaque victoria fuit, dein quia tunc primum superbiae nobilitatis obviam itum est.»

(IT)

«Mi accingo a raccontare la guerra che il popolo romano combatté con Giugurta, re dei Numidi, in primo luogo perché essa fu lunga, aspra e con alterne vicende, poi perché allora per la prima volta fu contrastata l'arroganza dei nobili.[2]»

Dopo aver introdotto la narrazione storica vera e propria, Sallustio racconta, affinché l'insieme degli avvenimenti risulti più chiaro e comprensibile,[3] la storia del regno di Numidia: durante la seconda guerra punica, il re numida Massinissa aiutò Publio Cornelio Scipione contro il cartaginese Annibale, e, dopo la battaglia di Zama e i successivi trattati, Roma decise di ricompensarlo concedendogli la sovranità su molte delle terre strappate ai Cartaginesi, dando così vita ad un forte rapporto di amicizia con la Numidia.[4][5] Alla morte di Massinissa, ereditarono il regno i suoi tre figli, Gulussa, Mastanabal e Micipsa, ma quest'ultimo rimase come unico sovrano a causa della prematura scomparsa dei fratelli. A sua volta, Micipsa lasciò il regno ai figli, Aderbale e Iempsale, ed al nipote Giugurta, figlio di Mastanabale e di una concubina.[6]

Dopo la breve digressione storica, la narrazione si sposta sul personaggio di Giugurta, di cui Sallustio fornisce un'accurata descrizione psicologica, e poi su quello di Micipsa: questi, vecchio e ormai prossimo alla morte, fu portato tanto ad esaltare Giugurta quanto a sospettare della sua buona fede:[7] per questo, nel 133 a.C. lo inviò da Publio Cornelio Scipione Emiliano, impegnato nell'assedio di Numanzia, nella speranza che il giovane morisse in guerra. Giugurta, invece, sopravvisse e si distinse per il suo coraggio, tanto da meritarsi numerosi elogi personali.[8][9] Pochi anni dopo[10] allora, Micipsa, sul letto di morte, convocò i suoi figli assieme a Giugurta, e li designò tutti e tre come suoi eredi, raccomandando loro di governare in armonia.[11]

Al contrario, i tre eredi disattesero fin da subito le raccomandazioni ricevute: divisero tra loro il tesoro dello stato e si spartirono le zone d'influenza; in particolare, però, nacquero dei forti contrasti tra Giugurta e Iempsale. Quest'ultimo, di natura molto orgogliosa, tentò di mettere il cugino in secondo piano, ma Giugurta, in risposta, lo fece uccidere.[12]

Le ripercussioni dell'atto furono gravissime: i più tra i Numidi, terrorizzati, si strinsero attorno ad Aderbale, che si vide costretto ad inviare ambasciatori a Roma e a scontrarsi con Giugurta sul campo. Dalla battaglia, però, Aderbale uscì sconfitto, ed dovette fuggire verso Roma, dove sperava di ricevere l'appoggio del senato; intanto, giugurta decise di inviare oro e argento a Roma, per farne dono ai senatori e attirarli così dalla sua parte.[13] Giunto nell'Urbe, Aderbale poté tenere un lungo discorso in Senato: per sensibilizzare l'uditorio tentò di far leva sul rapporto di amicizia e di fides che lega Roma alla dinastia numida,[14] di sottolineare la scelleratezza delle azioni di Giugurta e di rappresentarsi come infelice e sventurato.[15][16] Ascoltati anche gli ambasciatori di Giugurta, allora, i senatori, corrotti dalle somme di denaro ricevute, decisero di favorire l'usurpatore: si limitarono, dunque, ad inviare in Numidia una commissione, guidata da Lucio Opimio, che assegnò la zona confinante con la provincia romana d'Africa ad Aderbale, e quella, più fertile, al confine con la Mauretania a Giugurta.[17]

=====Note=====

  1. ^ La frase iniziale del quinto capitolo è un esametro: secondo E. Skard (Ennius und Sallustius: eine sprachliche Untersuchung, Oslo, 1933, p. 63), si tratterebbe di una citazione del VI libro degli Annales di Quinto Ennio. Benché l'uso di versi nella scrittura in prosa fosse considerata cosa da evitarsi, era tuttavia diffuso l'uso di esametri (che ricordavano la poesia epica) negli incipit di opere di argomento storico. Ne sono un esempio gli incipit con andamento esametrico degli Annales di Tacito:
    (LA)

    «Urbem Romam a principio reges habuere; [...]»

    (IT)

    «I re tennero per primi il governo di Roma.»

    e quello degli Ab Urbe condita libri di Livio:
    (LA)

    «Facturusne operae pretium sim [...]»

    (IT)

    «Non so se valga davvero la pena [...]»

  2. ^ Dopo il fallimento politico di Tiberio e Gaio Gracco, la nobilitas senatoriale aveva detenuto il potere ininterrottamente fino al periodo della guerra giugurtina e dell'ascesa di Gaio Mario.
  3. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 5, 3
  4. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 5, 4-5
  5. ^ L'alleanza con la Numidia divenne, in realtà, la vera chiave della politica africana di Roma: la presenza di un re amico permetteva infatti a Roma di evitare interventi militari diretti, ma, allo stesso tempo, anche di contenere un eventuale nuovo espansionismo cartaginese.
  6. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 5, 6-7
  7. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 6
  8. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 7-9
  9. ^ Lo stesso Scipione, in una lettera a Micipsa, si espresse così:

    «Nella guerra di Numanzia il tuo Giugurta ha dimostrato un valore davvero straordinario, e sono certo che la cosa ti farà piacere. Egli mi è caro per i suoi meriti: farò di tutto perché lo sia anche al senato e al popolo romano. Mi congratulo con te per la nostra amicizia. Hai un uomo degno di te e del tuo avo Massinissa.»

  10. ^ In realtà tra il ritorno di Giugurta da Numanzia e la morte di Micipsa trascorsero quindici anni, ma Sallustio non sembra essere interessato all'esattezza del dato storico.
  11. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 10
  12. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 12
  13. ^ Sallustio, Bellum Iugurthinum, 13
  14. ^ In realtà l'appellativo di amicus, che era stato concesso a Massinissa, non era un titolo ereditario, e doveva considerarsi, anzi, legato alla persona che lo riceveva (G. M. Paul, A Historical Commentary on Sallust's Bellum Iugurthinum, Liverpool 1985, p.56). Il Senato comunque, nell'ottica di una politica di non intervento in Africa, traeva grandi benefici dall'amicizia con la Numidia.
  15. ^ Rifacendosi così ad un tòpos letterario nato nella Medea di Euripide (vv. 502 e sgg.).
  16. ^ Nell'orazione di Aderbale, Sallustio sottolinea quelle caratteristiche fondamentali che la nobilitas, a causa della propria avidità, ha perduto, causando l'inarrestabile crisi della repubblica.
  17. ^ Sallustio insinua che l'assegnazione della zona più fertile e ricca della Numidia a Giugurta sia frutto della corruzione di Lucio Opimio; più probabilmente, invece, i senatori vollero assicurarsi la presenza di Aderbale, più fedele e meno potente, al confine con la provincia d'Africa.

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