Utente:DerfelDiCadarn87/Sandbox2

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Ordinamento dello Stato[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Politica del Giappone e Relazioni internazionali del Giappone.

Formalmente il Giappone è una monarchia parlamentare ereditaria, ma il ruolo dell'imperatore, l'unico al mondo che può fregiarsi di questo titolo, è esclusivamente simbolico, come stabilito dalla Costituzione rigida in vigore dal 1947, e il potere sovrano spetta al popolo. L'ordinamento istituzionale giapponese è quindi identificabile con le moderne democrazie parlamentari; in confronto vi è una più marcata differenziazione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario), dovuta all'influenza degli Stati Uniti durante la stesura della costituzione. All'imperatore, almeno nominalmente, spetta anche la nomina del Primo ministro, sulla base dell'esito delle consultazioni elettorali.[1]

Il potere legislativo è affidato alla Dieta, suddivisa in una Camera dei rappresentanti (465 membri eletti a suffragio universale per 4 anni) e in una Camera dei consiglieri (252 membri eletti per 6 anni, rinnovabili per metà ogni tre anni). L'attuale sistema elettorale è stata approvato nel 1993 e modificato marginalmente prima delle elezioni del 2000. I governi giapponesi durano in media sedici mesi: ve ne sono stati 42 dal novembre 1955 al 2012 e addirittura 8 dal maggio 1947 al novembre 1955 (si è trattato in genere di governi di minoranza). Vi sono stati anche primi ministri che hanno presieduto più governi: Eisaku Satō è restato in carica per quasi 8 anni dal novembre 1964; più recentemente Jun'ichirō Koizumi ha guidato l'esecutivo per più di cinque anni dall'aprile 2001. In Giappone vi sono oggi due principali partiti e numerosi altri minori ed è consuetudine che il segretario o presidente del partito di maggioranza diventi primo ministro. Il principale è il Partito Liberal Democratico (PLD) di tendenza conservatrice. Altri partiti importanti sono il Partito Costituzionale Democratico Giapponese e quelli Socialista e Comunista. In particolare il Partito Liberal Democratico ha governato ininterrottamente dal 1946 al 2009, riscuotendo sempre un grande consenso dal popolo. Il diritto di voto spetta a tutti i cittadini giapponesi che abbiano compiuto i diociotto anni.

Il potere esecutivo è esercitato dal primo ministro e dal Gabinetto, da costui nominato. Il primo ministro è scelto dalla Dieta e i ministri del Gabinetto devono essere in maggioranza membri della Dieta. Il potere giudiziario è del tutto separato e indipendente dal potere esecutivo: oltre che per ragioni di salute, i giudici possono essere allontanati dal loro incarico solo in caso di imputazione. È amministrato da una Corte suprema del Giappone e da corti inferiori, i cui giudici sono nominati dal Gabinetto per dieci anni. I giudici della Corte Suprema sono confermati o sfiduciati dagli elettori in occasione della prima elezione della Camera dei Rappresentanti successiva alla nomina. La Costituzione prevede altri tipi di tribunali: le alte corti, tribunali d'appello per i processi civili e penali condotti in primo grado da tribunali inferiori; tribunali circoscrizionali, che esercitano una giurisdizione sia d'appello sia di primo grado; tribunali di famiglia e inferiori, con giurisdizione esclusivamente di primo grado. Il Giappone è inoltre uno dei 47 paesi che che praticano la pena di morte.

Il Giappone è un membro del G8, dell'Asia-Pacific Economic Cooperation e dell'ASEAN Plus Three con ruolo di coordinatore nell'area di libero scambio dell'ASEAN, partecipando inoltre al Vertice dell'Asia orientale. Nel marzo 2007 ha siglato un patto di sicurezza con l'Australia,[2] e nell'ottobre 2008 ne ha siglato un altro con l'India.[3]

In seguito alla sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale e alla successiva occupazione statunitense, il Giappone e gli Stati Uniti sono legati da solide relazioni economiche e militari.[4]

Stato membro dell'ONU dal 1956, il Giappone ha servito anche come membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per un totale di 20 anni, più di recente nel 2009 e nel 2010.[5] Fa inoltre parte della coalizione denominata G4 (India, Germania, Giappone e Brasile).

Ci sono tuttora svariate dispute aperte con le nazioni vicine relative al controllo di determinate isole, solitamente concernenti interessi di tipo economico (estrazione di petrolio o gas naturale), tra le quali le isole Curili[6] con la Russia, le rocce di Liancourt con la Corea del Sud,[7] le isole Senkaku con Cina e Taiwan[8] e la disputa con la stessa Cina per quanto concerne l'amministrazione economica dell'isola di Okinotorishima.[9] Ultimamente poi i rapporti con la Corea del Nord sono nuovamente degenerati in seguito agli esperimenti nucleari di quest'ultima. A metà febbraio 2007 il governo giapponese ha messo in orbita due satelliti-spia militari per la sorveglianza dallo spazio della regione, con particolare attenzione alla penisola coreana.[10]


Nella mitologia giapponese, la creazione del Giappone (国産み?, Kuniumi, lett. “nascita o creazione del Paese”) è il mito sulla formazione dell'arcipelago giapponese come narrato nei testi Kojiki e Nihon Shoki. La leggenda narra gli avvenimenti successivi alla creazione del Cielo e della Terra; gli dèi Izanagi e Izanami furono incaricati di formare una serie di isole corrispondenti all'attuale Giappone. Questa genesi riguarda soltanto le isole dell'arcipelago, e racconta gli eventi precedenti alla creazione degli dèi.

Il mito[modifica | modifica wikitesto]

Secondo il Kojiki[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la creazione dell'universo, la Terra appariva come una massa informe di acqua salmastra e oleosa. I primi dèi dotati di poteri magici, conosciuti come kotoamatsukami, decisero allora di inviare qualcuno col compito di creare una terraferma che potesse essere abitata. Gli ultimi nati della stirpe divina, Izanagi e sua sorella Izanami, accettarono l'incarico e ricevuta dagli dèi la Lancia Gioiello del Cielo (天沼矛?, Ame-no-nuboko) scesero al di sotto della Pianura dell'Alto Cielo, fermandosi sopra il ponte celestiale che collegava il cielo con la terra (天浮橋?, ame-no-hashi-date).

Con la lancia donata loro rimescolarono l'acqua salmastra e tempestosa. Quando la ritrassero dalla punta gocciolò del fango, che rapprendendosi divenne la prima isola del mondo, Onogoro-shima (淤能碁呂島? lett. “spontaneamente coaugulata”)

Relazioni bilaterali tra Giappone e Paesi Bassi[modifica | modifica wikitesto]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Primi contatti[modifica | modifica wikitesto]

La flotta olandese inviata in Asia. Da sinistra verso destra: Blijde Bootschap, Trouwe, Het Geloove, Liefde e Hoope.

I primi rapporti tra il Giappone e i Paesi Bassi risalgono al 19 aprile 1600 quando la nave olandese Liefde arrivò nel Paese asiatico dopo essere salpata da Rotterdam il 27 giugno 1598. La Liedfe fu l'unica di una flotta composta da cinque navi a raggiungere il Giappone. La loro missione ufficiale era raggiungere le isole Molucche, allora facenti parte delle Indie orientali olandesi, per acquistare spezie, aprire nuove rotte commerciali per l'Asia e da lì esplorare per la prima volta il Paese nipponico. Tuttavia uno volta in alto mare furono comunicati loro altri compiti aggiuntivi, quali attaccare e saccheggiare le fortezze spagnole e portoghesi che avrebbero incontrato durante la traversata verso il continente asiatico. Durante il viaggio, che prevedeva il passaggio vicino alla costa occidentale dell'Africa, alla costa orientale del Sud America e alla costa del Cile, le cinque navi andarono incontro a numerosi inconvenienti e la flotta si disperse. La Het Geloove fece rotta inversa verso Rotterdam prima di oltrepassare lo stretto di Magellano,[11] mentre le altre tre imbarcazioni naufragarono: la Blijde Bootschap a causa di uno scontro con delle navi spagnole, la Trouwe con delle navi portoghesi e la Hoope a causa di una tempesta.[12][13]

L'unica imbarcazione ad arrivare in Giappone fu quindi la Liedfe, la quale attraccò fortunosamente presso il porto della città di Shashifu, nella provincia di Bungo, corrispondente all'attuale città di Usuki, nella prefettura di Oita. Dell'equipaggio originario, formato inizialmente da un centinaio di uomini, ne sopravvisse solo una ventina tra cui il capitano Jacob Quaeckernaeck, gli ufficiali Jan Joosten van Lodensteijn e Melchior van Santvoort e il timoniere inglese William Adams. Inizialmente i superstiti furono tenuti in uno stato di semi-prigionia, atta a impedire la loro partenza dal Paese. Tokugawa Ieyasu, allora daimyo di Edo (l'attuale Tokyo) e futuro Shogun del Giappone, fu informato dell'arrivo di una nave con un grosso carico e, interessato, ordinò di incontrare gli stranieri. L'imbarcazione trasportava principalmente artiglieria pesante e leggera, quali cannoni, fucili frecce incendiare e munizioni oltre a tessuti pregiati, specchi, vetri colorati, ambra e monete. I sopravvissuti vennero condotti a Osaka dove furono interrogati grazie all'ausilio di interpreti portoghesi e rimborsati per le perdite rimediate a Shashifu. In seguito essi, non potendo far ritorno in patria, iniziarono una nuova vita in Giappone, sposarono donne del luogo e si adattarono agli usi e costumi locali: van Lodensteijn e van Santvoort divennero commercianti vivendo rispettivamente a Edo e Sakai, mentre Adams si guadagnò la fiducia e la stima di Ieyasu diventando suo consigliere per gli affari esteri e prendendo il nome di Miura Anjin. L'opera di mediazione di quest'ultimo si rivelò decisiva per l'instaurazione delle basi delle prime relazioni tra Giappone e Paesi Bassi.[14][15][16]

Istituzione della base commerciale di Hirado (1609-1641)[modifica | modifica wikitesto]

Lo shogunato in quegli anni aveva appena iniziato la sua campagna contro il cristianesimo, cercando di arrestare l'opera evangelizzatrice dei gesuiti portoghesi che rischiava di minacciare la sua autorità, influenzando la dinastia imperiale, a quel tempo esautorata e relegata in una funzione meramente simbolica.[14] Di conseguenza fu apprezzato il comportamento degli olandesi i quali, nonostante la loro fede protestante, sembravano più interessati al commercio che al proselitismo religioso. Per questo motivo le relazioni nippo-olandesi iniziarono sotto il segno della fiducia reciproca.

Il secondo lasciapassare (in olandese handelspas) rilasciato da Tokugawa Ieyasu. Il testo recita: «Non si opponga alcun impedimento alle navi olandesi, qualora esse arrivino in un porto del Giappone. Si osservi d'ora in avanti questa decisione e si consenta che entrino ed escano senza ostacoli. Sia fatta la mia volontà. Keichō 14º anno, 7º mese, 25º giorno.[17]»

Nel 1602 gli olandesi avevano fondato la Compagnia olandese delle Indie orientali (VOC), con l'intento di unire il maggior numero di società commerciali più piccole in modo da formare un'organizzazione abbastanza potente da destreggiarsi più facilmente nel mondo del commercio. Jan Joosten van Lodensteijn e Melchior van Santvoort assunsero il ruolo di mediatori con le autorità giapponesi per conto della Compagnia, e una volta che quest'ultima ottenne le licenze ufficiali per commerciare con le nazioni straniere, iniziarono i primi scambi commerciali tra i due Paesi. Fu comunque William Adams, che attraverso un'accurata opera diplomatica, permise alla VOC di avviare regolari traffici col Giappone.[18] Nel 1605 Ieyasu concesse l'autorità alle navi olandesi di approdare in qualsiasi porto del Giappone e svolgervi scambi; questo primo permesso tuttavia non garantiva agevolazioni commerciali ai mercanti olandesi, negandogli di fatto la possibilità di concorrere ad armi pari con i mercanti portoghesi.[19] Al fine di stringere finalmente delle relazioni ufficiali tra i due Paesi, nel 1609 arrivò in terra nipponica la seconda spedizione olandese, la prima delegazione ufficiale della Compagnia in Giappone, guidata dall'ammiraglio Pieter Willemsz Verhoeff e costituita dalle navi Griffioen e Rode Leeuw met Pijlen. Nell'agosto di quell'anno Ieyasu incontrò a Shizuoka Abraham van den Broek, Nicolaes Puyck e Melchior van Santvoort, relatori della lettera ufficiale in cui Maurizio di Nassau, allora principe d'Orange, esprimeva il desiderio di stringere relazioni ufficiali sulla base di un rapporto di amicizia e tolleranza.[15][20][21] Ieyasu inviò una lettera di risposta nella quale si dichiarava disponibile ad avviare rapporti commerciali con gli olandesi:[22]

«Il Signore del Giappone, Tokugawa Ieyasu, in risposta a Sua Altezza il Signore d'Olanda.

Nel ricevere il messaggio speditomi da tanto lontano è come fossimo vicini e sono tanto più grato per i doni che mi sono stati recapitati. Dei capitani, ufficiali, e numerosi soldati delle navi da guerra inviate sui mari del Vostro Paese alcune sono giunte al porto dei Matsuura del mio Paese. È mio desiderio precipuo che vi sia pace e unione con il mio Paese. Se tutti i Paesi sono animati dagli stessi scopi, per quale motivo rifiutare visite annuali per le quali si devono attraversare migliaia anzi decine di migliaia di leghe di mare e di terra? Il mio umile Paese prevede a rendere innocui coloro che possono essere malvagi. Perciò i mercanti stranieri che attraversano i mari per giungere sino a qui convivono in pace. Lei puoi inviare i Suoi uomini nel mio Paese, farvi costruire agenzie e approdare a ogni porto. Pertanto manterremo relazioni amichevoli.»

Rappresentazione della base olandese di Hirado, XVII secolo. Lo scrittore olandese Arnoldus Montanus descrive dettagliatamente l'agenzia della Compagnia nei suoi scritti: l'edifico era in legno e malandato, diviso in quattro appartamenti più una cucina e una stanza per i viveri. La mercanzia sovente non era adeguatamente protetta dalla pioggia, né tanto meno dal fuoco e dai ladri.[23]

A questo lasciapassare ne seguì un altro stilato il 24 agosto del 1609, il quale consentì agli olandesi la costruzione di una base commerciale (オランダ屋敷?, Oranda yashiki, "residenza olandese") sull'isola di Hirado, sulla costa nord-occidentale di Kyushu. A questa si aggiunse l'istituzione di un'agenzia (商館?, shōkan, in olandese factorij) a cui a capo fu posto Jacques Specx, che così divenne il primo opperhoofd (オランダカピタン?, Oranda kapitan, secondo le fonti giapponesi) delle basi commerciali in Giappone.[24] Ciò sancì l'inizio ufficiale delle relazioni tra i Paesi Bassi e il Giappone.

Nonostante quello con gli olandesi fosse il primo accordo ufficiale tra il Giappone e un Paese occidentale, un altro popolo europeo, i portoghesi, intratteneva rapporti commerciali fin dal suo arrivo nel 1543, anno di inizio del periodo Nanban. In un primo tempo le operazioni commerciali degli olandesi coi giapponesi si rivelarono poco redditizie a causa dei limiti introdotti nell'accordo del 1609, che non prevedeva esenzioni fiscali né tanto meno la libera introduzione di articoli d'importazione.[24] Inoltre i contatti limitati con gli altri avamposti della VOC e l'assenza di un accordo commerciale tra quest'ultima e la Cina, precludevano la possibilità di rifornire di seta e di altri beni pregiati il Giappone. Questa mancanza veniva spesso colmata con atti di pirateria ai danni delle imbarcazioni portoghesi, fino a quando lo shogunato vietò questo tipo di azioni all'interno della acque giapponesi.[25] Tali avvenimenti, sommati alla preoccupazione per la proliferazione della fede cristiana, furono interpretati dallo Shogun come una minaccia alla stabilità del suo potere. Negli anni successivi fu adottata una politica gradualmente sempre più rigida riguardo ai rapporti con gli stranieri, che nel 1614 sfociò nell'ordine di sfratto dei missionari cristiani dal Paese.[14] Nel 1635 fu fatto divieto per la gente del luogo di lasciare il Giappone a bordo di navi straniere, e a partire dal 1639 nessun giapponese pote più lasciare il Paese, mentre chi già risiedeva all'estero fu costretto a tornare in patria.[26] Questa politica di restrizione e confinamento, varata dall'allora Shogun Tokugawa Iemitsu, è nota col nome di sakoku (鎖国? "Paese blindato"). A causa di questo decreto, che mirava a limitare sempre di più i contatti tra giapponesi e stranieri, anche i figli nati da coppie miste furono costretti ad abbandonare il Giappone e le loro famiglie. Molti dei figli nati da matrimoni tra olandesi e giapponesi si trasferirono nella città di Batavia, l'attuale Giacarta, nella vicina Indonesia, allora capitale delle Indie olandesi.[27]

La situazione comunque aveva assunto una piega favorevole per gli olandesi: negli anni precedenti erano stati interrotti i rapporti con gli inglesi (che chiusero la propria base commerciale di Hirado nel 1623) e gli spagnoli (cacciati dal Paese nel 1624), mentre i portoghesi furono esiliati sull'isola artificiale di Dejima, al largo della baia di Nagasaki, con l'accusa di aver fomentato la ribellione cristiana durante la rivolta di Shimabara e vennero successivamente espulsi dal Paese.[26][28] Nel 1640 gli olandesi si ritrovarono di fatto senza più concorrenza; essi non vennero espulsi dal Paese in quanto si schierarono dalla parte dello Shogun durante la rivolta, e poiché assicurarono di poter adempiere al rifornimento di tutti i beni di cui i portoghesi si erano fino ad allora fatti carico. Lo shogunato tuttavia trovò anche il modo di limitare la libertà di movimento degli olandesi. Iemitsu infatti, tramite un pretesto, un'accusa mossa ai danni del commerciante François Caron, reo di aver fatto incidere la data cristiana "ANNO 1640" all'interno di due capannoni in pietra di sua proprietà, spostò nel 1641 tutte le attività commerciali olandesi dalla base di Hirado sull'isola di Dejima, lasciata vacante dai portoghesi. Le relazioni del Giappone con l'estero negli anni seguenti si limitarono a un rapporto minimale con la Corea, con la Cina e con i Paesi Bassi, i quali costituirono l'unico Paese occidentale cui fu permesso di mantenere relazioni con i giapponesi durante il periodo di sakoku.[29]

Da Hirado a Dejima (1641-1853)[modifica | modifica wikitesto]

L'isola di Dejima aveva una superficie pari a soli 15 km² e fu collegata alla terraferma tramite un ponte in pietra. Vi furono costruiti circa sessanta caseggiati, tra cui un orto e altri edifici pubblici. Il numero degli olandesi sull'isola non superava quasi mai la ventina. Tra questi oltre all‘opperhoofd erano compresi gli operai addetti al lavoro nelle fabbriche, medici, falegnami e cuochi oltre a un numero non identificato di giavanesi che furono portati sull'isola come schiavi.[29][30]

A causa della politica che limitava i contatti tra giapponesi e stranieri anche gli olandesi di Dejima furono costretti a vivere sottostando a rigide regole. Essi non potevano assolutamente abbandonare l'isola e perfino le visite dei giapponesi sull'isola erano soggette a limitazioni, benché molti vi risiedessero in qualità di sopraintendenti, interpreti, guardie e commissari addetti all'approvvigionamento, i quali si occupavano di portare sull'isola cibo, lettere dei famigliari e prostitute.[30] L'unico periodo dell'anno in cui gli olandesi avevano il permesso di lasciare l'isola era durante le missioni tributarie a Edo (江戸参府?, Edo sanpu, in olandese hofreis), le quali si svolgevano durante periodi prestabiliti, in genere il primo giorno dell'ottavo mese di ogni anno, in corrispondenza dell'arrivo delle navi mercantili a Dejima, all'inizio dell'anno nuovo o durante speciali ricorrenze.[31] Durante le missioni gli opperhoofd avevano la possibilità di incontrare e rendere omaggio allo Shogun, come segno di ringraziamento per la possibilità di continuare l'attività commerciale. Inizialmente le missioni avevano una cadenza annuale, ma con il passare del tempo le visite furono ridotte a una volta ogni quattro anni, per un totale di 166 visite in circa 200 anni. Una volta davanti allo Shogun, all'ospite era posta ogni tipo di richiesta, come per esempio la descrizione dei propri usi e costumi. In alcuni casi alcuni opperhoofd ne approfittarono per avanzare proposte circa una maggiore qualità di vita su Dejima, come nel caso delle missioni di Andreis Frisius nel 1650 e di Zacharias Wagenaer nel 1657 e nel 1659. Poiché lo shogunato aveva fortemente limitato e monopolizzato il commercio estero e l'afflusso di informazioni provenienti da fuori il Giappone, le missioni erano l'unica occasione per le autorità giapponesi di venire a conoscenza degli avvenimenti storico-politici riguardanti l'Europa. Tali resoconti, noti col nome di Oranda fūsetsugaki (オランダ風説書? "rapporti olandesi sugli eventi mondiali", in olandese nieuws o tijdinken) erano documenti ufficiali redatti dai commercianti di Dejima e costituivano al tempo uno degli elementi di maggiore importanza politica e culturale nel rapporto tra olandesi e giapponesi. I primi fūsetsugaki risalgono ai primi anni di sakoku e trattano soprattutto l'evolversi della situazione degli spagnoli e dei portoghesi, tenuta sotto controllo in modo da stroncare ogni velleità di proselitismo cristiano in Giappone. I successivi trattano vari argomenti, dalla situazione politica europea, come l'ascesa al trono di un monarca, dichiarazioni di guerra e di pace o l'inizio di un conflitto, alle notizie riguardanti eventi naturali, come lo scatenarsi di un terremoto, l'inizio di una carestia o l'avvistamento di una cometa.[29][32][33]

Nonostante le forti restrizioni, lo spostamento delle attività commerciali da Hirado all'isola di Dejima ebbe l'inattesa conseguenza di far prosperare gli affari olandesi invece che limitarli. Gli sbarchi delle navi commerciali sull'isola avvenivano nel periodo compreso tra agosto e ottobre, quando le merci in arrivo dall'estero venivano scaricate sull'isola e le merci giapponesi imbarcate sulle navi di proprietà dei ricchi commercianti mercantili della VOC. In quel periodo i regolamenti governativi avevano reso gli affari meno proficui di quanto non fossero nel periodo di Hirado, quando era lecita una politica di libero scambio. Nel 1658 le merci dovevano essere vendute a prezzi prefissati decisi dallo shogunato, mentre quelle invendute venivano rispedite indietro. Di conseguenza diminuì anche l'afflusso delle navi verso la nuova filiale, che passò da una media di dodici navi all'anno del periodo di Hirado a un massimo di sei-sette, per poi ridursi ulteriormente a uno-due navi dopo il 1715.[34] Ciò nonostante i profitti della compagnia olandese continuavano a salire, grazie al commercio di seta, zucchero, legno e farmaci scambiati per oro, argento, rame e canfora. Lacche, porcellana e venivano acquistati e rivenduti a Batavia e in Europa. L'avamposto commerciale di Dejima conquistò ulteriore popolarità tra i membri della VOC quando il governo giapponese, oltre al commercio ufficiale, permise gli scambi personali tra gli stessi opperhoofd. Ciò permise ad alcuni di loro di percepire guadagni anche venti volte maggiori rispetto al loro salario ufficiale.[29]

Nel XVI secolo la lingua franca utilizzata nelle negoziazioni commerciali coi giapponesi era il portoghese e i primi contatti tra olandesi e nipponici furono possibili grazie a un interprete portoghese. Dopo l'estradizione di questi ultimi dal Giappone la lingua olandese divenne progressivamente sempre più importante all'interno della cultura nipponica, cosicché imparare a padroneggiarla assunse connotati fondamentali nelle mediazioni tra i due Paesi. L'interpretazione e la traduzione di documenti tra giapponesi e olandesi furono quindi affidate ai cosiddetti Oranda-tsūji (オランダ通詞? "interpreti olandesi"), dipendenti pubblici il cui compito principale era sopraintendere le operazioni commerciali, gestire i rapporti diplomatici e qualsiasi altro aspetto legato alle relazioni con l'estero.[35] La loro principale caratteristica era la loro robusta struttura ereditaria per la quale il figlio di uno tsūji finiva per succedere al padre.[36] Gli tsūji venivano inviati a Dejima in gran numero, circa 150, in modo da scongiurare la possibilità che gli olandesi imparassero la lingua giapponese.[30] Svolsero inoltre un ruolo importante nella divulgazione delle delle scienze occidentali in Giappone; alcuni di loro ricevettero una formazione accademica nel campo della medicina o della fisica, potendo così insegnare agli altri giapponesi le nozioni scientifiche assimilate nella traduzione dei libri olandesi. Nel 1720 Tokugawa Yoshimune aveva tolto il veto all'importazione dei libri stranieri, cosicché divenne chiaro alla classe dirigente giapponese che gli occidentali avessero un'ampia conoscenza in campi allora poco conosciuti, e che questa potesse essere sfruttata. Tra i più famosi e apprezzati per le loro opere di traduzione si ricordano Kōsaku Yoshio, Ryoei Motoki, Tadao Shizuki e Sajuro Baba.[29][37] Molte parole di origine olandese sono tuttora utilizzate nella lingua giapponese, ad esempio il vocabolo biiru (ビール? "birra") derivato dall'olandese bier.[38]

La delibera attuata da Yoshimune favorì la nascita del movimento culturale conosciuto come rangaku (蘭学? "studi olandesi") e da allora gli studi condotti sui testi in lingua olandese acquisirono notevole popolarità. Uno dei primi scritti tradotti in lingua giapponese è il testo di medicina anatomica Ontleedkundige tafelen, scritto dal tedesco Johann Adam Kulmus, tradotto da Genpaku Sugita e pubblicato con il titolo di Kaitai shinsho nel 1774. Circa la difficoltà nel tradurre quest'opera Sugita scrisse il libro Rangaku kotohajime, il quale insieme al Kaitai shinsho divenne materiale di studio di base per molte scuole rangaku in Giappone.[39]


Rangaku, gli studi olandesi[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Caroli, Gatti, p. 181; Karan, pp. 286-287
  2. ^ (EN) Japan-Australia Joint Declaration on Security Cooperation, su mofa.go.jp, Ministry of Foreign Affairs of Japan, 13 marzo 2007. URL consultato il 29 dicembre 2012.
  3. ^ (EN) Joint Declaration on Security Cooperation between Japan and India, su mofa.go.jp, Ministry of Foreign Affairs of Japan, 22 ottobre 2009. URL consultato il 29 dicembre 2012.
  4. ^ (EN) Michael Green, Japan Is Back: Why Tokyo's New Assertiveness Is Good for Washington, in Real Clear Politics, 19 marzo 2007. URL consultato il 29 dicembre 2012.
  5. ^ (EN) UK backs Japan for UNSC bid, in Central Chronicle, 10 gennaio 2007. URL consultato il 29 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 21 febbraio 2007).
  6. ^ Giappone: “Trattative con Mosca per le isole Curili”, in Euronews, 7 febbraio 2012. URL consultato il 29 dicembre 2012.
  7. ^ Corea e Giappone, quelle isole contese, in Corriere della Sera. URL consultato il 29 dicembre 2012.
  8. ^ Disputa Cina-Giappone: intellettuali contro l'isteria nazionalista, in La Stampa, 6 ottobre 2012. URL consultato il 29 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 22 settembre 2013).
  9. ^ (EN) The US-Japan-China Mistrust Spiral and Okinotorishima, in The Asia-Pacific Journal, 11 ottobre 2007. URL consultato il 29 dicembre 2012.
  10. ^ Emma Chanlett-Anvey, North Korea's Abduction of Japanese Citizens and the Six-Party Talks (PDF), su fas.org, CRS Report Congress, 19 marzo 2008. URL consultato il 29 dicembre 2012.
  11. ^ (EN) Gunnar Thompson, Commander Francis Drake and the West Coast Mysteries, Lulu.com, 2010, p. 124, ISBN 0-557-49486-9. URL consultato il 9 aprile 2014.
  12. ^ (EN) A Brief History of William Adams, su hsv.com, The Virtual Times. URL consultato il 9 aprile 2014.
  13. ^ (EN) De Liefde at Annobon, su geheugenvannederland.nl. URL consultato il 9 aprile 2014.
  14. ^ a b c Reinhard, 1987, p. 128.
  15. ^ a b (EN) Beginning of Exchange between Japan and the Netherlands, su ndl.go.jp, Dieta Nazionale del Giappone. URL consultato il 9 aprile 2014.
  16. ^ Iannello, 2012, pp. 28-32.
  17. ^ Iannello, 2012, p. 34.
  18. ^ Iannello, 2012, p. 31.
  19. ^ Massarella; Tytler, 1990, p. 200.
  20. ^ (EN) Trade pass 1609, su geheugenvannederland.nl. URL consultato il 9 aprile 2014.
  21. ^ Iannello, 2012, pp. 32-34.
  22. ^ Iannello, 2012, p. 33.
  23. ^ Montanus, 1680, pp. 23-24.
  24. ^ a b Iannello, 2012, pp. 34-35.
  25. ^ Iannello, 2012, p. 36.
  26. ^ a b Reinhard, 1987, p. 129.
  27. ^ (EN) The trading post on Hirado, su geheugenvannederland.nl. URL consultato il 9 aprile 2014.
  28. ^ Abbattista, 1998, p. 440.
  29. ^ a b c d e (EN) Dutch Factory on Deshima, su ndl.go.jp, Dieta Nazionale del Giappone. URL consultato il 9 aprile 2014.
  30. ^ a b c Goodman, 2013, cap. III.
  31. ^ Iannello, 2012, pp. 101-103.
  32. ^ Iannello, 2012, pp. 97-101.
  33. ^ (EN) Iwao Sei'ichi; Takayanagi Shun'ichi, Oranda Fusetsugaki Shusei (abstract), in Monumenta Nipponica, vol. 34, n. 3, Sophia University, autunno 1979, pp. 373-375. URL consultato l'11 aprile 2014.
  34. ^ Iannello, 2012, p. 86.
  35. ^ Cullen, 2003, pp. 60-61.
  36. ^ (EN) Kumiko Torikai, A brief history of interpreting/translation in Japan, in Voices of the Invisible Presence: Diplomatic interpreters in post-World War II Japan, Benjamins Translation Library, vol. 83, John Benjamins Publishing, 2009, pp. 28-29, ISBN 9027290024. URL consultato l'11 aprile 2014.
  37. ^ (EN) Dutch Interpreters, su ndl.go.jp, Dieta Nazionale del Giappone. URL consultato l'11 aprile 2014.
  38. ^ (EN) Leo J. Loveday, A Socio-linguistic Chronology of Early European Contacts, in Language Contact in Japan: A Sociolinguistic History, Oxford studies in language contact, Oxford University Press, 1996, pp. 52-56, ISBN 0191583693. URL consultato il 13 aprile 2014.
  39. ^ (EN) David John Lu, Knowledge of the west, in Japan: A Documentary History, M.E. Sharpe, 1997, pp. 263-266, ISBN 1563249065. URL consultato il 15 aprile 2014.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti primarie
Fonti secondarie
Pubblicazioni

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]