Utente:Danteilperuaviano/Sandbox

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STILE JUVENTUS - INTERPRETAZIONE

Interpretazione[modifica | modifica wikitesto]

«Di stile Juventus parlano gli altri, non noi.»

Benché sia molto difficile di definire precisa e complessivamente il significato dello «stile Juventus» e tutto ciò che rappresenta,[2] nel corso degli anni esso è stato interpretato in diverse maniere, soprattutto dal cosiddetto «dopoguerra calcistico», sia con connotazioni positive che negative.[3][4][5] Alcuni analisi in ambito delle scienze sociali conclusero che il termine descrive contemporaneamente a un modello duraturo di gestione sportiva-aziendale caratterizzato da una cospicua capacità d'adattamento alla congiuntura nazionale[6] e alla continuità nel tempo dell'azionista di riferimento – iniziata nel 1923 e ininterrotta dal 1947 – e, di conseguenza, la sinergia tra la società sportiva e la FIAT (pur non essendo stata mai da essa direttamente gestita),[7] la pianificazione strategica e l'insieme di politiche amministrative introdotte con successo all'interno del club; nonché, dai principi e valori che esso persegue, a un ethos sportivo[8] riferito all'insieme di comportamenti, atteggiamenti e valori che fanno capo «all'eleganza, alla parsimonia, alla misura, alla disciplina e alla concretezza» che lo contraddistinguono agli occhi della popolazione media italiana,[9][10] espresse da varie personalità di rilievo legate alla Juventus, quali giocatori, allenatori, dirigenti e presidenti – principalmente dall'Avvocato Gianni Agnelli, il cui aggiunse il proprio stile personale[11] –, avendo anche qualche nesso con altri concetti inerenti al club quali «orgoglio gobbo»,[12] «fino alla fine»[13] e, più complessivamente, «emozione Juventus»;[14] oltre a far riferimento, per esteso, a qualsiasi aspetto della propria cultura sportiva, degli usi e dei costumi delle diverse personalità legate alla società, nonché alle caratteristiche dell'organizzazione interna[11] e, inoltre – in virtù delle origini del club nonché della stessa dinastia Agnelli –, correlato intrinsecamente al cosiddetto «stile sabaudo» strettamente affine alla cultura piemontese.[15]

Descritto spesso come un «modello di rigore, disciplina e stabilità»,[8] il termine è anche riconosciuto quale uno dei elementi che più contraddistingono l'identità del club piemontese assieme al conubbio con la dinastia proprietaria della FIAT, la notevole diffusione e trasversalismo della propria tifoseria e «e un'invidia [nei confronti del club] altrettanto diffusa»,[8] oltreché il riflesso dell'identità e cosmovisione a livello cittadino e regionale.[16]

Modello sportivo[modifica | modifica wikitesto]

Il presidente Giampiero Boniperti, il tecnico Giovanni Trapattoni e il portiere Dino Zoff ospiti del programma televisivo La Domenica Sportiva al termine del vittorioso campionato di Serie A 1980-81.

In una serie di studi comparativi sulla diversità di percezione del calcio in Europa, pubblicati a cavallo tra gli anni 1980 e 1990, l'antropologo francese Christian Bromberger affermò che il modo di fare juventino è «l'immagine ideale di una cultura aziendale rigorosamente organizzata», la cui simboleggiò con quello che lui definì come le 'tre S': «Semplicità, Serietà, Sobrietà» come il riassunto del progetto sociale del club indirizzo a ottenere la massima efficienza.[17][18] Bromberger sostenne, inoltre, che il funzionamento del club e le caratteristiche di gioco di squadra – definite come «[un stile di] 'realismo efficace' orientato alla vittoria, la cui consegue attraverso la semplicità tattica, il rigore difensivo e la concretezza verso la porta avversaria»[19] – riflette in gran parte quel modello di rigore imprenditoriale. Per farlo, le successive dirigenze del club a partire dagli anni 1920 hanno imposto una serie di regole di condotta per tutti i suoi dipendenti, compresi i calciatori, per rafforzare così l'immagine della società seguendo principi imprenditoriali già applicati nella FIAT e, proprio come essa assegnò diverse responsabilità di gestione dei propri concessionari per meritocrazia a i suoi antichi dipendenti, alcuni giocatori divenuti icone della Juventus compirono diversi ruoli dirigenziali all'interno del club una volta terminata l'attività agonistica.[17] Allo stesso modo, la particolare politica di arruolamento condotta dalla proprietà bianconera dalla fine degli anni 1940 divenne duratura e sostenibile perché riflette l'ideale della popolazione che il club rappresenta e, al di là degli obbiettivi societari, la storia istituzionale della FIAT: al gruppo di giocatori capaci di ergersi quali simboli del club e che indirettamente incidono alla promozione dell'azienda, i cui invece riflettono attraverso il proprio riconoscimento internazionale, l'universalità della Juventus – come Michel Platini, chi diventò un'icona del contegno bianconero «come modello di rigore professionista e intelligenza tattica»[20] – vengono regolarmente inseriti giocatori d'origine non italiana provenienti principalmente dall'Europa centrale e settentrionale in quanto sono ritenuti «più adattabili» alla realtà della capitale sabauda e alla disciplina della società[21] e, seppur con minor frecuenza, della regione orientale del continente e dell'America Meridionale seguendo le politiche d'espansione finanziaria della casa automobilistica,[22] oltreché un gruppo di giocatori provenienti dal Meridione italiano che nella squadra compirono una funzione analoga a quella svolta dalla classe operaia nel settore automobilistico quali Pietro Anastasi, Franco Causio e Sergio Brio considerando la situazione demografica a Torino negli anni 1960 e 1970.[22][23]

Un decennio più tardi, lo storico Valerio Castronovo sostenne che il modello di gestione introdotto con successo nel club dai fratelli Agnelli, seppur diverso al futuro mecenatismo italiano in quanto caratterizzato dall'intelligenza, professionalità e cautela applicata negli investimenti, nel rispetto della realtà socioeconomica della Nazione, fu usato da riferimento nelle politiche sportive adottate dal petroliere Angelo Moratti all'Inter durante gli anni 1960,[24] intanto che per il giornalista Gian Paolo Ormezzano influenziò, seppur in modo indiretto, nelle decisioni societarie assunte dal futuro politico Silvio Berlusconi durante il suo primo periodo alla testa del Milan sul finire degli anni 1980.[25] La leadership acquisita dai fratelli Agnelli, soprattutto dal Dottore Umberto, a fronte della massima carica dirigenziale della Juventus, fu altresì uno dei fattori che ispirarono il rinnovamento della struttura interna della FIAT a metà degli anni 1960,[24] cosa che permetterà alla compagnia di divenire la prima holding della Nazione nonché giungere a livelli di produttività e fatturato mai toccati fino a quel periodo da un'azienda sorta nella penisola italica.[26]

Nei primi anni del III millennio lo specialista in marketing sportivo Michel Desbordes considerò lo stile Juventus, dal punto di vista manageriale, il benchmark del calcio italiano, in ragione dei diversi cambiamenti e innovazioni amministrative condotte dalla società e la propria attività in campo sociale.[27] Ritenne, inoltre, che il legame tra la Juventus e gli Agnelli – in modo analogo ad altre associazioni tra club calcistici e corporazioni come le stabilite tra il PSV e l'azienda elettronica olandese Philips, il Sochaux e la casa automobilistica francese Peugeot e il Bayer Leverkusen e la compagnia chimica-farmaceutica tedesca Bayer AG e differenziandosi di casi di mecenatismo imposti nella seconda metà degli anni 1980 da futuri politici quali Silvio Berlusconi al Milan e Bernard Tapie e, tre lustri più tardi, dall'imprenditore Robert Louis-Dreyfus all'Olympique Marsiglia – cercò sia in ambito sportivo che finanziario e nonostante il concetto di cultura aziendale non era sviluppato all'inizio del Novecento, «occupare i lavoratori durante il loro tempo libero e garantire una migliore identificazione da un sistema di valori e comportamenti». Di conseguenza, il grado di soddisfazione dei dipendenti della FIAT varia in modo direttamente proporzionale agli allori ottenutti dalla squadra.[28]

Ethos[modifica | modifica wikitesto]

Il filosofo statunitense Ted Richards nel suo libro Soccer and Philosophy: Beautiful Thoughts on the Beautiful Game (2010) attestò che il modo di fare juventino funziona della stessa maniera di un marchio, gestito attraverso un lungo processo di costruzione e consolidamento durato decadi; tramutando la comprensione di tutto quello con cui viene associato. Così, l'ideale di essere juventino – definito come «un impasto fra una naturale eleganza e un portamento sereno» –, sviluppato dalla famiglia Agnelli tramite la distinta condotta pubblica, divenne un modello per il club e i propri simpatizzanti.[29]

«Così come Orfeo incantò il suo pubblico con la sua lira, la Juventus incanta ogni fan (e anche spesso gli avversari) con il suo stile.»[30]
(Ted Richards, Soccer and Philosophy: Beautiful Thoughts on the Beautiful Game, 2010.)

In virtù della gestione aziendale introdotta dalla proprietà nonché l'eleganza e serenità espressa dentro e fuori dall'ambiente sportivo da giocatori quali Giampiero Boniperti, John Charles, Dino Zoff, Roberto Bettega, Gaetano Scirea e Alessandro Del Piero, da allenatori come Giovanni Trapattoni e Marcello Lippi e anche da dirigenti quali il già citato Boniperti, Vittore Catella e Vittorio Caissotti di Chiusano; l'ethos bianconero acquisì una figura «potente, a tutto tondo e di lunga durata» che trasforma subitamente l'immagine della persona o gruppo associato all'entità,[29] per il quale il suo campo di applicazione in altri ambiti della vita quotidiana sostanzialmente non ha confini, divenendo uno dei simboli associati a una squadra più estesi e tradizionali nello sport contemporaneo.[29]

Richards, per concludere, sostenne che il contegno bianconero, reputato come «l'immagine stilizzata di una squadra», è stato riflettuto tra i membri della Famiglia, contribuendo decisamente a creare il proprio mito fuori dell'ambiente calcistico, sia nel mondo dei negozi – specialmente l'industria automobilistica – che nella società, «trattegiando la personæ dei propri giocatori, dei tifosi e, probabilmente, dell'intero calcio italiano» – a cui sviluppo ha decisamente contribuito – fino alla fine degli anni 1980, periodo in cui venne cambiato radicalmente la nozione e visione dello sport attraverso la costruzione di una nuova immagine diffusa massicciamente su scala nazionale dai mezzi di comunicazione audiovisuale privati, principalmente la televisione.[29][31]

Interpretazioni complementari[modifica | modifica wikitesto]

Il presidente onorario della Juventus, l'Avvocato Giovanni Agnelli, a colloquio con Cuccureddu, Marchetti, Zoff, Altafini e Anastasi a Villar Perosa (1972); l'Avvocato era spesso identificato come la personificazione stessa dello «stile Juventus»[32]

Paragonato al cosiddetto «stile sabaudo» legato alla Casa Savoia, la dinastia che governò l'omonimo ducato tra i secoli XV e XIX e, in seguito, il Regno d'Italia dal Risorgimento (1861), di cui la città di Torino divenne la prima capitale, fino all'ascesa della ditattura fascista (1925) rispettivamente; per lo storico Giovanni De Luna, l'atteggiamento dirigenziale all'interno del club è l'estensione sportiva delle politiche imprenditoriali della famiglia Agnelli – spesso riferiti quali gli eredi culturali dei Savoia –, acquisendo la sua iconografia con lo stile personale dell'Avvocato, caratterizzato, tra altri, dalla propria garbatezza, espressata da un particolare senso ironico nelle sconfitte e la non esibizione d'eccessivi entusiasmi nelle vittorie; durante la seconda metà del XX secolo e i primi anni di quello successivo.[32]

Secondo il parere di un altro accademico quale Aldo Agosti, l'atteggiamento societario bianconero, definito come «un modello efficiente di gestione ed educazione sportiva»,[33] progettato da diverse personalità all'epoca legate al club torinese, fu complessivamente uno dei punti cardine che generarono l'incremento esplosivo del tifo bianconero a partire dagli anni 1930 oltreché il massiccio sostegno verso la squadra nella regione meridionale della Nazione e che da allora la distingue del resto di società sportive provenienti dal Nord. I risultati sportivi della squadra come frutto della sua applicazione, fecero che il cittadino medio in quella zona geografica della Penisola idealizzerà la società e tutto ciò attorno a essa come modello per la crescita istituzionale delle squadre sportive locali per il successivo trentennio fino all'«avvicinamento» tra la società e la tifoseria sperimentato durante il cosiddetto «Boom economico».[33]

Infine l'economista specializzato in negozi familiari David Bain sostenne nel 2014 che la gestione – sia diretta che indiretta – della Juventus da parte degli Agnelli, consolidatasi con la seconda generazione da quando venne iniziato il sodalizio (1923) e che permise alla squadra del Piemonte di ottenere altri venti titoli di campione d'Italia, sette coppe nazionali, quattro Supercoppe LNP, due Coppe Intercontinentali, due Coppa dei Campioni e Champions League, una Coppa delle Coppe, tre Coppe UEFA, una Coppa Intertoto dell'UEFA e due Supercoppe europee, per un totale di 42 trofei ufficiali dal secondo dopoguerra al 2004[34] costituiscono il massimo caso a livello mondiale di una società calcistica a conduzione familiare al punto che il club e tale dinastia imprenditoriale sono de facto ritenuti sinonimi tra di loro.[35]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Massimo Mucchetti, I patron, in Hurrà Juventus, 3 [98], Juventus Football Club S.p.A., 3 aprile 1997, ISSN 1594-5189 (WC · ACNP).
  2. ^ Bernardini et al, «Film», 37 min 9 s
  3. ^ Il dott. Paul Dimeo, docente di studi dello sport presso l'Università di Stirling (Scozia) sostenne che «Le squadre di calcio sono un'opportunità per i fan per identificarsi in modo esplicito con un gruppo o un altro, dai quali derivano i conseguenti stereotipi o il comportamento tenuto dai tifosi che conferiscono un'altra dimensione alla conoscenza del 'sé' e dell''altro'.» (cit. orig. in lingua inglese: The football clubs are an opportunity to fans to identify explicitly with one group or another, resulting in stereotypes or fan behaviour that adds anoher dimension to knowledge of 'self' and 'other'.Cfr. idem.'Team Loyalty Splits the City into Two': Football, Ethnicity and Rivalry in Calcutta, p. 116). Daniele Cioni, autore del libro Dimensione ultras. Viaggio nel tifo organizzato italiano (2005), aggiunse: «[...] il football, oltre a creare una certa suspense negli spettatori per la sua fatidicità e per la sua imprevedibilità, favorisce con la sua natura agonistica e di gioco di squadra l'adesione del pubblico al modello 'amico/nemico', schema che finisce così per essere dominante non solo in campo ma anche sulle gradinate dello stadio. Rappresentando la partita un confronto rituale tra due appartenenze distinte e contrapposte, il tifoso tende ad autoidentificarsi in una delle due parti 'in conflitto' ed a tenere per le sorti di una squadra. Al sostegno totale ed incondizionato ai propri beniamini corrisponde però un'avversione ugualmente intensa nei confronti dell'altra formazione e – per estensione – dell'altra tifoseria, vista non come una semplice somma di individui accomunati da una diversa simpatia calcistica ma come un vero e proprio 'nemico da combattere'. In questo modo viene a crearsi tra i tifosi di una stessa squadra una 'comunità' di luogo e di spirito fondata su un sentimento di fraternità, una 'tribù' in netta contrapposizione a qualsiasi altro 'clan'. Contrapposizione notevolmente rafforzata dal forte campanilismo che pervade il nostro Paese e che divide ormai da secoli le singole realtà locali.» ( Idem., Calcio e tifo, dalle origini ad oggi (PDF), in Notiziario del Settore Tecnico, n. 3, ed. 21 luglio 2006, Firenze, Federazione Italiana Giuoco Calcio, maggio/giugno 2006, p. 46.). In tale modo, la connotazione positiva o negativa dello «stile Juventus» si ottiene mediante un processo di stereotipizzazione ponendo l'accento su alcune peculiarità associate al termine piuttosto che su altre in ragione ai diversi aspetti correlati al club torinese che possono, come ogni altra organizzazione, essere valutati favorevolmente o sfavorevolmente. Così, le connotazioni positive di tale locuzione sono valorizzate dai sostenitori bianconeri e dalla popolazione interessata nell'attività calcistica che non ha delle antipatie o alcun altro sentimento negativo verso la Juventus, mentre che le eventuali connotazioni negative sono messi in risalto dal percentaggio della sopracitata popolazione che ha una marcata tendenza antijuventina, spesso da una prospettiva moralista e/o, in conseguenza delle frammentazioni socioculturali presenti negli diversi stati siti nella penisola italica dai primi secoli del Medioevo – ancora vigenti –, campanilistica; cfr. Patrick Hazard, David Gould, Three Confrontations and a Coda: Juventus of Turin and Italy, pp. 200; 203-207
  4. ^ Per lo storico Giovanni De Luna, per quanto riguarda gli antagonismi inerenti al club, il solo nome ‘Juventus’ «non identifica nessuna città e riesce a travalicare i campanilismi» e aggiunge che «[...] la Juventus è da sempre il tifo della provincia contro il capoluogo.» Cfr. Guido Vaciago, Ecco perché la Juve o la si ama o la si odia, in Tuttosport, 12 aprile 2014.
  5. ^ Il sociologo Ilvo Diamanti scrisse nel songaggio sul tifo calcistico in Italia condotto dall'istituto statistico Demos & Pi e pubblicato nel settembre 2014 sul quotidiano la Repubblica che il calcio «è alimentato da ragioni diverse. Fra le altre: i campanilismi, l'attaccamento locale. E il risultato. Le vittorie. Insieme producono e riproducono un senso di identità, che si rafforza attraverso le affermazioni della squadra» e aggiunge che il calcio ha preso il posto della politica dopo la fine dei partiti di massa. In tale senso, «come nella politica di un tempo, il senso di antagonismo conta ancora molto. Quanto il senso di vicinanza. E forse anche di più. Come quando i muri della nostra politica erano segnati dall'anticomunismo e dall'antiberlusconismo. Così, oltre metà dei tifosi è fatta di antitifosi. Provano ostilità e risentimento verso una squadra. Soprattutto, la Juventus. Ma anche Inter e Milan. Le più amate e, per questo, le più detestate.» ( idem., Meno stadi, più TV e web: così cambia l'Italia del tifo (PDF), in XLII Osservatorio sul Capitale Sociale degli italiani – Il tifo calcistico in Italia, Demos & Pi, settembre 2014, pp. 3-4. Cfr. anche idem., pp. 6; 10-11).
  6. ^ (FR) Adrien Lelièvre, La Juventus, dernier rescapé d'un football italien en déclin, in Le Monde, 14 aprile 2015.
  7. ^ Paul Dietschy, Antoine Mourat, The Motor Car and Football Industries from the early 1920s to the late 1940s: The Cases of FC Sochaux and Juventus, p. 49
  8. ^ a b c Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Armstrong, Giulianotti
  9. ^ Per lo psichiatra Michele Cucchi, l'italiano medio «spesso cade sulla strada dei grandi successi causa della mancanza di costanza e della ridotta tranquillità emotiva, che sembra risultare ancora più fragile e labile quando salgono le aspettative [...]», cfr. Juve e Roma contro la Sindrome di Annibale, in Tuttosport, 3 novembre 2014.
  10. ^ Interruzioni: Giampiero Mughini, Un sogno chiamato Juventus. Cento anni di eroi e vittorie bianconere, Mondadori, 2004, su interruzioni.com, 13 settembre 2006.
  11. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Mura
  12. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Orgoglio gobbo
  13. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Fino alla fine
  14. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Emozione Juventus
  15. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Stile sabaudo
  16. ^ Bromberger, pp. 148-152
  17. ^ a b Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Bromberger
  18. ^ (FR) Laurent Flandre, Juventus de Turin, qui est cette «vieille dame» centenaire?, in l'Humanité, 15 gennaio 1997.
  19. ^ Bromberger, pp. 150-151
  20. ^ Bromberger, p. 151
  21. ^ Bromberger, p. 163. Tale politica di ingaggio in confronti dei giocatori stranieri sarebbe estesa al settore giovanile del club dal 1991, cfr. (EN) Rodney D. Fort e John Fizel (a cura di), International Sports Economics Comparisons, Westport (Connecticut), Greenwood Publishing Group, 2004, p. 95, ISBN 0-27598-032-4.
  22. ^ a b Bromberger, p. 37
  23. ^ Intervistato dal conduttore televisivo Giovanni Minoli in occasione al centesimo anniversario di fondazione della Juventus (1997), l'Avvocato Agnelli respinse l'ipotesi sull'ingerenza della FIAT nelle politiche di reclutamento della società torinese sostennendo che venivano considerate le caratteristiche tecniche e l'utilità del giocatore ingaggiato verso la squadra a prescindere dal proprio paese d'origine; cfr. Filmato audio Giovanni Minoli, 100 anni di Juventus, Speciale Mixer, RAI 3 (RAI Educational), 3 giugno 1997, a 0:34:21.
  24. ^ a b Valerio Castronovo, Agnelli. Aristocrazia senza sprechi, pp. 712-713
  25. ^ Gian Paolo Ormezzano, Il Milan è grande grazie alla Juve, in Stampa Sera, 20 dicembre 1989, p. 22.
  26. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Castronovo2008
  27. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Desbordes
  28. ^ (FR) Michel Desbordes, Football et paix sociale, in Le Monde, 1º giugno 2002.
  29. ^ a b c d Richards, The Orpheus of Soccer
  30. ^ Citazione originale in lingua inglese: As Orpheus enchanted his audience with his lire, Juventus charms any fan (and often opponents too) with his style. Cfr. Richards, The Orpheus of Soccer
  31. ^ Richards, The Gods of War: Berlusconi and Mars
  32. ^ a b Bernardini et al, «Film», 37 min 07 s e sqq.
  33. ^ a b Aldo Agosti, Juve anni 30. Il successo del pragmatismo, p. 915
  34. ^ Filmato audio Francesco Vecchi, Agnelli – Juventus Style, XXL, Sport Mediaset, 2012, a 1 min 8 s.
  35. ^ (EN) David Bain, Five Football Clubs Owned by Families, in Family Capital, 15 ottobre 2014.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Libri[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Gary Armstrong e Richard Giulianotti, Fear and Loathing in World Football, Oxford, Berg Publishers, 2001, ISBN 1-85973-463-4.
  • (EN) Alan Bainer, Jonathan Magee e Alan Tomlinson (a cura di), The Bountiful Game? Football Identities and Finances, a publication of the International Football Institute (IFI), Oxford, Meyer & Meyer Sport Ltd., 2005, ISBN 1-84126-178-5.
  • (FR) Christian Bromberger, Le match de football : ethnologie d'une passion partisane à Marseille, Naples et Turin, avec la collaboration d'Alain Hayot et Jean-Marc Mariottini, Parigi, Les éditions de la Fondation Maison des sciences de l'homme (MSH), 1995, ISBN 2-7351-0668-3.
  • Gianni Mura, Andrea Gentile e Aurelio Pino, Non gioco più, me ne vado: gregari e campioni, coppe e bidoni, Milano, Il Saggiatore, 2013, ISBN 88-4281-752-X.
  • Mario Pennacchia, Gli Agnelli e la Juventus, Milano, Rizzoli, 1985, ISBN 88-17-85651-7.
  • Italo Pietra, I tre Agnelli. Memorie, documenti, biografie, Milano, Garzanti, 1985, ISBN 88-1173-973-X.
  • (EN) Ted Richards, Soccer and Philosophy: Beautiful Thoughts on the Beautiful Game, Chicago, Open Court Publishing Company, 2013 [2010], ISBN 08-12-69682-4.
  • Marco Sappino (a cura di), Dizionario biografico enciclopedico di un secolo del calcio italiano, vol. 2, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2000, ISBN 88-8089-862-0.

Pubblicazioni varie[modifica | modifica wikitesto]

Videografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Roberto Buttafarro, Giovanni De Luna e Marco Revelli, episodio 1, Un fenomeno in bianco e nero, consulenza di Leone Piccione, RAI 3, 16 settembre 1986, a 59 min 58 s.
  • Roberto Buttafarro, Giovanni De Luna e Marco Revelli, episodio 2, Un fenomeno in bianco e nero, consulenza di Leone Piccione, RAI 3, 23 settembre 1986, a 60 min 00 s.
  • La grande storia della Juventus: episodio 1, 1897-1956 "Il segreto della Juventus", Roberto Saoncella (con la collaborazione di), RCS Quotidiani, RAI Trade, LaPresse Group, 2005, a 31 min 43 s.