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Battaglia di Sarno
Data7 luglio 1460
LuogoSarno, Campania
EsitoVittoria angioina
Schieramenti
AragonesiAngioini
Comandanti
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La battaglia di Sarno fu uno scontro armato avvenuto il 7 luglio 1460 presso Foce, località di accesso alla città di Sarno, tra l'esercito di Giovanni d'Angiò, duca di Francia, e Ferdinando I (Ferrante) d'Aragona, re di Sicilia al di qua del faro, per l'ascesa al trono di Napoli.
La battaglia, che vide trionfare gli Angioini, si collocava nel mezzo di un periodo burrascoso, ma di fondamentale importanza, per la storia del regno aragonese nel Meridione d'Italia: quello della guerra di successione per il trono di Napoli.

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L'ascesa di Ferrante al trono di Napoli[modifica | modifica wikitesto]

Ferrante d'Aragona

Con la morte del re Alfonso V d’Aragona, nel 1458, si apriva un periodo di crisi per la successione al trono di Napoli. I due pretendenti alla carica erano il nipote del re, Carlo de Viana, e suo figlio Ferdinando d’Aragona, duca di Calabria.
Alfonso, voleva come erede al trono il figlio Ferrante, mentre Papa Callisto III aveva un occhio particolare per Carlo.
Nel giugno del 1458 il re si ammalò di malaria e il 27 dello stesso mese morì, lasciando il regno di Sicilia al di qua del faro in eredità al figlio Ferdinando e gli altri possedimenti al fratello Giovanni II d'Aragona. A quel punto Ferdinando d'Aragona, detto Ferrante, rivendicò i suoi diritti di erede al trono e, in quanto figlio di Alfonso, prese l’amministrazione del regno.
Il 1° luglio 1458 il giovane re scrisse una lettera al Papa Callisto III, in cui si dichiarava devoto alla Chiesa e giurava obbedienza a Dio; egli la ignorò e dichiarò vuoto il trono di Napoli, poiché sosteneva che il regno spettasse a Giovanni II d’Aragona. Quando, però, Giovanni venne convocato per il possesso del trono, era impegnato nella guerra civile scoppiata nei regni di Navarra e Catalogna e riferì che non avrebbe lasciato la sua posizione, a condizione che venisse riconosciuto come suo sostituto il nipote Ferrante.
Il 6 agosto di quell’anno il pontefice morì e il 19 agosto venne eletto nuovo papa il cardinale Enea Silvio Piccolomini, sotto il nome di Pio II, il quale non ebbe alcun problema a riconoscere Ferdinando d’Aragona come re della Sicilia al di qua del faro, a patto che egli avesse restituito al papato le città di Benevento e Terracina.[1]

La politica interna di Ferrante[modifica | modifica wikitesto]

Dopo il parlamento di Capua nel luglio del 1458, il re Ferrante dovette fronteggiare il più potente barone del regno, Giovanni Antonio Orsini de Balzo principe di Taranto, affiancato da Marino Marzano duca di Sessa e principe di Rossano. Dopo numerosi scontri, Ferrante assecondò le richieste di Orsini e dovette cedere Teramo al duca d’Atri, Giosia d’Acquaviva. Anche Antonio Caldora conte di Trivento, alleato con Pietro Lalle Camponeschi e con il duca d’Atri, si scherò contro Ferrante, ma dopo diversi scontri in Abruzzo, fu costretto ad accettare un accordo col re: la restituzione delle terre prese dopo la morte di Alfonso V, per ottenere il castello di Acri. In questo periodo di esilio in Abruzzo Ferrante lasciò il governo del suo regno al primogenito Alfonso, che però, essendo troppo piccolo per soddisfare le pretese del re, venne affiancato dalla regina Isabella di Castiglia nel governo della città di Napoli; quest’ultima risultò abilissima nel suo compito e conquistò in poco tempo Sorrento, Vico e Massa.
Nel maggio del 1459 Ferrante si recò in Calabria per attutire la ribellione tra Alfonso d’Avalos e Carlo di Campobasso e Antonio Centelles: giunse in Sila i primi di settembre, attaccò Castiglione e ,conquistandola e bruciandola, pose fine alla rivolta.[2]
L’obiettivo del re Ferrante non era dunque la conquista, bensì l'egemonia politico-diplomatica in Italia, che avrebbe garantito la stabilità della propria dinastia sul trono.[3]

L'invasione di Giovanni d'Angiò a Genova[modifica | modifica wikitesto]

Stemma Giovanni d'Angiò

Genova, che dal 1454 conduceva un’aspra guerra contro gli aragonesi, riuscì nel 1455, guidata dal duca Pietro Fregoso (Campofregoso) e grazie alla mediazione del pontefice, a stabilire una lieve tregua con il re aragonese Alfonso V. Nel 1458 il Fregoso fu costretto, da incombenti attacchi, a cedere al re di Francia il dominio della città ufficializzando l’11 maggio dello stesso anno, alla presenza dell’antagonista di Alfonso, Giovanni d’Angiò, il giuramento di fedeltà a Carlo VII re di Francia. Tuttavia, i francesi rappresentavano una vera e propria minaccia per gli stati italiani, poiché reclamavano continuamente i propri diritti sul ducato di Milano e sul regno di Sicilia al di qua del faro; così, Ferrante d’Aragona e il duca di Milano Francesco Sforza, di comune accordo, decisero di corrompere Campofregoso per scacciare i francesi dalla penisola italiana. Quest’ultimo non esitò ad accettare l’offerta, mettendosi subito al servizio dei due per raggiungere l’obiettivo.[3]
Ad agosto Ferrante si ritrovò a dover affrontare gravi difficoltà economiche e gli avversari, il re Carlo VII e Giovanni d’Angiò, cercarono di approfittare di quel momento di debolezza per coinvolgere il duca di Milano e la Firenze di Cosimo de’ Medici nell’impresa di conquista del regno di Napoli, in quanto Giovanni d’Angiò, si era dichiarato legittimo successore al trono napoletano, come effetto dell'adozione fatta da Giovanna II di Napoli.[4] Entrambi rifiutarono la proposta degli angioini e lo Sforza dichiarò anche che, qualora Giovanni d’Angiò avesse attaccato Ferrante, sarebbe intervenuto in difesa di quest’ultimo.
Nel mese di novembre l’ambasciatore napoletano Bartolomeo da Recanati, con l’aiuto di Francesco Sforza, definì a Milano i patti tra Campofregoso e Ferrante e il 22 novembre vennero firmati a Novara i capitoli dell’accordo: Ferrante d’Aragona garantiva a Campofregoso 2000 fanti (400 in tempo di pace) e 400 cavalli (solo per due mesi) per riconquistare il dominio della città di Genova. Dall’altro canto, Giovanni d’Angiò si rafforzava sempre più e, finanziato dal senato di Genova e in accordo con il suo consigliere Marco della Ratta, stava programmando l’invasione del regno di Napoli per scacciare Ferrante dal trono.
Il 23 Gennnaio 1459 Campofregoso che non ne poteva più di aspettare i soccorsi, tentò un assalto a Genova, ma ne uscì sconfitto.
A marzo di quello stesso anno i francesi assaltarono Novi e Portofino, dove catturarono Bartolomeo de Recanati, si impossessarono di Sestri e Portovenere e si prepararono ad assalire Chiavari, dove Campofregioso era pronto a opporre resistenza.

La dieta di Mantova[modifica | modifica wikitesto]

Il papa, Pio II, era convinto che il re Ferrante, garantendo equilibrio e pace fra i diversi stati italiani, stabilisse le condizioni necessarie per indire una crociata contro i Turchi e liberare il mare Adriatico e l’Oriente bizantino della loro presenza.
Il 1° giugno 1459 venne inaugurata la dieta di Mantova, durante la quale tutti i principi ed i potenti d’Europa avrebbero organizzato l’armata contro gli ottomani. Parteciparono alla dieta anche il duca di Milano Francesco Sforza e Ferrante d’Aragona, appoggiando la scelta del papa.[5]

Gli Angioini verso Napoli[modifica | modifica wikitesto]

Da Milano, il 27 maggio 1459, Ferrante venne a conoscenza del piano di Giovanni d’Angiò, il quale, scacciato definitivamente il Campofregoso e messa al sicuro Genova, era pronto alla conquista del regno di Sicilia al di qua del faro.
Verso settembre la regina Isabella si impegnava ad organizzare la difesa delle coste campane dall’assalto della flotta genovese, mentre il controllo della costiera amalfitana era stato affidato a Marino Longo della città di Cava. Napoli venne fortificata con seimila uomini armati. Il 1° ottobre lo Sforza firmò l’Istrumentum in causa defensionis fidei, con il quale strinse un patto di solidarietà con Ferrante per la reciproca difesa dalla minaccia francese, al contrario Venezia e Firenze si dichiararono neutrali.
Il 25 ottobre 1459 la flotta degli angioini arrivò a Baia, poi a Pozzuoli, poi a Ischia, venendo sconfitti puntualmente dalla difesa aragonese. L’esercito di Giovanni d’Angiò era evidentemente in difficoltà e Marino Marzano duca di Sessa passò dalla parte angioina, consentendo alla flotta di sbarcare nel suo feudo tra marina di Sessa e Castello a mare del Volturno, un gesto che gli valse cento marche d’argento lavorato e quattro cape d’oro.
Il 24 novembre 1459 il re Ferrante rientrò a Napoli dalla Calabria, che aveva sottomesso per impedire ogni tentativo di attacco da parte degli angioini, ma dopo 6 giorni se ne uscì nuovamente andando alla volta di Calvi. Il 13 dicembre le truppe aragonesi assediarono e conquistarono il territorio calvese.
Nuovamente di rientro a Napoli, Ferrante dovette affrontare una dura crisi finanziaria che stava affliggendo la città, nella quale fu costretto a rimanerci per molto tempo non essendo in condizione di contrastare le flotte angioine. Nel frattempo Giovanni d’Angiò arrivava in Puglia, per congiungersi con il principe di Taranto, dove assalì numerose città: Presenzano, Vairano, Venafro, Isernia, San Severo. Verso marzo Ferrante andò a Capua e poi a Montefusco e Montesarchio e ben presto conquistò l’intera la contea. Qualche mese dopo il re decise di partire alla volta della Puglia per proteggere i pastori dalle vessazioni degli angioini e dei baroni ribelli. Tuttavia, il re di Taranto quando venne a sapere dell’arrivo di Ferrante, si rinchiuse nella terra di Troja e Giovanni d’Angiò si rifugiò a Lucera costringendo Ferrante, ancora non ben rafforzato, a tornare in Terra di Lavoro (Napoli). Sulla strada del ritorno l'aragonese conquistò San Paolo e Castro Pesclaro.
Angioini e principe di Taranto iniziarono a muoversi verso Napoli conquistando Ariano, Apollosa e dirigendosi poi verso Cancello e Maddaloni, dove si accampò con le sue truppe.
La regina chiamò da Gaeta il capitano Antonio Olzina che, con la sua fanteria di duecentodieci spingardieri e oltre un centinaio di balestrieri, l’avrebbe sostenuta nella difesa di Napoli.

La battaglia[modifica | modifica wikitesto]

Il luogo[modifica | modifica wikitesto]

La città di Sarno sorgeva ai piedi della collina del Saretto ed era sovrastata da un castello e protetta ai lati da due sorgenti del fiume Sarno e dalle mura, che circondavano il territorio. Sarno era suddivisa in tre parti: Episcopio, fra la sorgente detta della Foce e la collina, Borgo, sul quale si ergeva il castello, e Tabellara, un prolungamento del Borgo sulla via Popilia. Una porta situata sulla sorgente della Foce era l'unica via d'accesso ai tre siti. La terra di Sarno, infatti, occupava una posizione che rendeva quasi impossibile ogni comunicazione con l'esterno.[6]

La dinamica[modifica | modifica wikitesto]

Il 14 giugno 1460 Ferrante d’Aragona, insieme ai seguaci del pontefice, si stabilì nella selva di Vairano e il giorno successivo a Capua, da cui credeva di raggiungere i nemici, i quali invece si spostarono sulle sponde del fiume Sarno prendendo d'assedio il ponte (protetto dalla torre “la bastia”).
Ferrante sostò a Nola e il giorno seguente con la sua squadra raggiunse gli angioini al ponte, i quali, spaventati dall’esercito aragonese, diedero fuoco al collegamento e fuggirono verso la città di Sarno.
Il 19 giugno la flotta angioina tentò invano di riavvicinarsi a Napoli passando da Pozzuoli con 20 galee, che vennero però bombardate e costrette a tornare alla foce del fiume Sarno per provvedersi d’acqua. Grazie ad un suo soldato che si trovava sul posto, il re scoprì tutto e mandò verso la spiaggia alcune sue squadre guidate dal cavaliere Orsini. Il capitano si avvicinò alle navi e indirizzò un uomo travestito del principe di Taranto verso l'esercito nemico, fingendosi portatore di ambasciata. Non appena gli angioini avanzarono vennero aggrediti e costretti alla fuga in mare; alcuni di loro annegarono, altri vennero sopraffatti, uccisi e imprigionati.
Il re Ferrante fece ricostruire il ponte e la torre distrutti, e il 1° luglio ricevette da Felice Orsini principe di Salerno e conte di Nola il castello di Palma, di grande fama. Il borgo di Sarno era ormai completamente accerchiato: dal lato di Nola da Felice Orsini, dal lato della montagna che conduceva a Palma da Parente Orsini e da un presidio del re, dal lato destro della riva del fiume da alcune truppe del re, dal lato di San Severino e Nocera dalle squadre di Roberto Sanseverino conte di Marsico. La sola via di fuga era attraverso la montagna, piena di insidie.[7]
Nella notte tra il 6 e il 7 luglio 1460 l’esercito del re Ferrante partì dal bosco della Longola, a pochi chilometri di distanza da Sarno, per dirigersi verso la porta del Passo di Foce, l’unica via di accesso alla terra sarnese. Una volta arrivati, gli aragonesi debellarono i difensori della fortezza ed entrarono a Sarno, avanzarono lentamente verso le mura della città, espugnarono senza pietà la porta del castello e penetrarono nelle stradine sarnesi.[6] Le uniche persone a conoscenza dell’assedio erano Simonetto di Castel di Piero, il cavalier Orsini, Roberto Sanseverino e Diomede Carafa. Le squadre erano composte principalmente da provisionati e da coscritti, che subito si diedero al saccheggio dei luoghi dove abitavano gli angioini. Questi ultimi mandarono in difesa la cavalleria del principe di Rossano, che scagliandosi senza pietà contro Roberto Orsini, scatenò un combattimento acceso e lo costrinse, ferendolo al viso, a ritirarsi dalla battaglia. Simonetto di Castel di Piero fu colpito da una palla di schioppo che gli causò la morte. Le truppe angioine non ebbero quindi nessun problema a difendersi dall’attacco e respingere i nemici.[7]
I fanti aragonesi, oramai quasi completamente sconfitti, incominciarono a scendere verso Sarno, dove furono immediatamente attaccati dagli uomini del principe di Taranto. Il re fuggì verso Napoli, attraverso Nola, e a mostrargli la via di fuga furono i due cittadini cavesi Guglielmo S. Marco e Giovanni Catino, che ricevettero subito 50 ducati dal re, come ringraziamento.[8] Molti dei combattenti aragonesi lasciarono il campo di battaglia e si rifugiarono a Cava, mentre gli angioini fecero più di duemila cavalieri prigionieri.
In serata Ferrante d’Aragona inviava una lettera a Francesco Sforza in cui gli raccontava della disfatta, anche se con toni piuttosto leggeri.

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

La presa di Castellammare[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la battaglia di Sarno, nonostante ne fossero usciti vittoriosi gli angioini non erano nelle condizioni di tentare l’attacco alla città di Napoli, così il duca di Taranto Giovanni Antonio Orsini de Balzo decise di conquistare prima di tutto le terre circostanti per isolare la città. La regina Isabella e il re Ferrante, intanto, chiedevano denaro ai cittadini; anche il duca di Milano e il papa Pio II intervennero con un rifornimento di 20.000 ducati.
Gli Angioini si spostarono da Sarno a Cancello, mentre Ferrante si trasferì ad Acerra. Giovanni d’Angiò e il principe di Taranto erano sul procinto di ritornare in Puglia, quando il conte di Montesarchio e Felice Orsini si spostarono dalla parte angioina cedendogli la rocca di Arpaia e la fortezza di Nola, che gli avrebbero garantito le vettovaglie. Verso la fine di luglio anche il conte Sanseverino si accordò con il nemico fino a che gli angioini non ebbero il controllo di tutti i feudatari che dal principato di Salerno si allungavano fino a Cosenza. Tuttavia, questi ultimi ancora non riuscivano a sferrare a Ferrante il colpo finale così che egli rimaneva tranquillo al suo posto, sicuro che se non fosse più riuscito a difendere i suoi possedimenti avrebbe passato il tutto nelle mani dello zio Giovanni II d’Aragona. Solo quando, nell'agosto di quel 1460, il duca angioino e il principe di Taranto assediarono la città di Castellammare fu chiaro al re che il piano del nemico consisteva nel controllo della costa sorrentina, poi di quella amalfitana e solo alla fine l’attacco al golfo di Napoli. In pochissimo tempo, infatti, gli uomini del d’Angiò entrarono a Castellammare di Stabia e si misero ad assediare il castello[9] guadagnandosi l’appoggio delle città di Massa e Vico, solo Sorrento rimase fedele al re, alla quale inviò rinforzi. Trovandosi il d’Angiò ancora a Castellammare, Ferrante decise di attaccarlo via mare e via terra, riuscendo questa volta a trarne vantaggio.

L'Assedio di Cava e la consegna della pergamena in bianco[modifica | modifica wikitesto]

Gli angioini si diedero all’assedio della costa amalfitana, partendo dalla città di Cava de' Tirreni. La terra venne asserragliata tra il 20 ed il 28 agosto 1460 e il re Ferrante inviò immediatamente otto galee lungo la costa per prestare soccorsi. I cittadini di Cava opposero una dignitosa resistenza, dichiarandosi persino disposti a danneggiare se stessi e il loro territorio per dimostrare al re la loro intramontabile fedeltà; riuscirono anche a condurre alcune irruzioni nel campo angioino.[8]
Il 4 settembre 1460 Ferrante consegnò al sindaco di Cava, Onofrio Scannapieco, una buona lettera ed una pergamena in bianco, destinata agli abitanti della città, come ringraziamento per il loro fondamentale contributo[10], in cui affermava:
a) di essere appagato dalla fede conservatagli dai cittadini della città;
b) che i cavesi si erano vendicati della sconfitta di Sarno e che potevano acquisire, quanto già scritto nella precedente lettera sulla gloria del degno nome della città;
c) di concedere una pergamena in bianco, firmata e sigillata, su cui i cittadini potevano scrivervi qualsiasi richiesta da considerarsi già soddisfatta. Nella buona lettera di accompagnamento, infatti, la pergamena veniva definita dal re un privilegio in bianco sottoscritto di mia mano e sigillato con tutte le formalità richieste.[10]
Il 22 settembre dello stesso anno venne emesso dal re anche il privilegio di esenzione da dazi e altre imposte fiscali in favore del commercio del territorio di Cava.[8]

Gli Angioini tornano in Puglia[modifica | modifica wikitesto]

La flotta angioina era ripartita alla volta di Genova, mentre il principe di Taranto si ritirava in Puglia e questo rappresentava per Ferrante un buon momento per riprendere l’offensiva; tuttavia decise di aspettare rinforzi e di fare alcune concessioni al papa per assicurarsi la sua fedeltà.
Gli Angioini, nel contempo, scesero in Puglia e si stabilirono a Lucera e Troja.
Alla fine di ottobre Ferrante aveva ottenuto molte terre tra Capua, la riva del Volturno fino a Benevento, ma aveva perso uno dei suoi uomini, il quale si era piegato agli angioini per salvarsi dopo la sconfitta di Sarno: Roberto Sanseverino.[9]

La campagna di Ferrante in Calabria[modifica | modifica wikitesto]

Non appena Roberto Sanseverino riconquistò la fiducia del re, insieme definirono una spedizione in Calabria per riportarla in fedeltà. Il 21 settembre del 1459 il re Ferrante catturò e imprigionò il Marchese di Crotone Antonio Centelles, a Piano del Lago, che però riuscì ben presto a fuggire e riprese il tentativo di riconquista dei suoi feudi in Calabria, alleandosi con gli angioini di Giovanni Battista Grimaldi.[9]
L’8 febbraio 1461 il conte di Marsico Roberto Sanseverino, con l’aiuto di Luca Sanseverino, riuscì a liberare il castello di Cosenza dall’assedio degli angioini e conquistò anche le città di Scigliano, Martorano e Nicastro. Nel mese di giugno il Grimaldi ed il Centelles tesero un agguato alle truppe aragonesi uscendone vittoriosi e costringendo il re Ferrante a rinforzare le sue truppe, condotte ora da Maso Barrese, il quale sconfisse sia il Grimaldi ad Acri che, poco dopo, il Centelles a Catanzaro.
Nel novembre di quell’anno Antonio Centelles marchese di Crotone chiese perdono al re Ferrante, che gli concesse la restituzione dei feudi e l’indulto ricevendo in cambio, in sposa, la figlia Giovanna al Barrese.
Nell’aprile del 1463, a seguito di una sconfitta presso Plaisano da parte di Grimaldi, Maso Barrese fu rimpiazzato dal re con il suo primogenito Alfonso, duca di Calabria.

La campagna di Ferrante in Puglia[modifica | modifica wikitesto]

Verso la fine di maggio del 1461 Ferrante ordinò a Roberto Sanseverino e al capitano Roberto Orsini di andare in Puglia per portare aiuti a Venosa, presa dal principe di Taranto, e poi a Trani, Barletta e Giovinazzo.
Nel mese di giugno Genova scacciò i francesi e Giovanni d’Angiò, al quale seguì al trono Luigi XI. alleato, sin da prima della carica, con Francesco Sforza, contro Renato e Giovanni d’Angiò. A quel punto, Ferrante, incoraggiato dalla notizia, si diresse in Puglia per attaccare Giovanni d’Angiò e fece numerose conquiste, oltre a trovare oro e argento in gran quantità presso la chiesa di Monte S. Angelo in onore della quale fece subito battere una nuova moneta con l’argento rinvenuto. Tuttavia il re, non appena ricevette notizia che stava per ritornare il principe di Taranto, si ritirò a Canne e poi in Terra di Lavoro.

La fine della guerra[modifica | modifica wikitesto]

Nell’ottobre del 1462 Giovanni d’Angiò, dopo essere stato sconfitto dargli aragonesi nella battaglia di Troja (18 agosto 1462), si rifugiò presso Antonio Caldora conte di Trivento.
Il 16 novembre dell’anno successivo moriva ad Altamura Giovanni Antonio Orsini principe di Taranto, del quale Ferrante prese l’eredità che aveva lasciato alla regina Isabella. In una comunicazione dell’oratore sforzesco Antonio da Trezzo, venne dichiarata la consistenza del patrimonio sequestrato: 220.000 ducati circa. Ferrante aveva, però, ordinato al duca di Milano di mantenere segreta quell’informazione poiché si sarebbe diffusa, al contrario, la falsa notizia che il re avrebbe intascato un milione di ducati; la notizia avrebbe sconfortato gli avversari e facilitato l’avanzata di Ferrante.[11] Al re non restava altro che la conquista dell’isola di Ischia, difesa dagli angioini, per la quale fu necessario l’intervento di Giovanni II d’Aragona.
Ad aprile del 1464 Giovanni d’Angiò si ritirò in Provenza e nel maggio del 1465 Ferrante, dopo aver catturato Antonio Caldora, ultimo ribelle che gli era rimasto da sconfiggere, fu riconosciuto come l’indiscutibile padrone del regno di Sicilia al di qua del faro.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Massimo Buchicchio, La guerra tra Aragonesi e Angioini nel regno di Napoli. La battaglia di Sarno, Cava de' Tirreni (SA), Borgosiepi, 2009, pp. 45-50, ISBN 8890642904.
  2. ^ Massimo Buchicchio, La guerra tra Aragonesi e Angioini nel regno di Napoli. La battaglia di Sarno, Cava de' Tirreni, Borgosiepi, 2009, pp. 60-64, ISBN 8890642904.
  3. ^ a b Marco Sabatino de Filippo, Ferrante d’Aragona e la ricerca di un’egemonia politica napoletana in Italia (PDF), in Dottorato di ricerca in storia. Università degli studi di Napoli Federico II.
  4. ^ La battaglia di Sarno, su associazione-legittimista-italica.blogspot.it.
  5. ^ Massimo Buchicchio, La guerra tra Aragonesi e Angioini nel regno di Napoli. La battaglia di Sarno, Cava de' Tirreni (SA), Borgosiepi, 2009, pp. 64-67, ISBN 8890642904.
  6. ^ a b Marialuisa Squitieri, La battaglia di Sarno, in Poteri, relazioni, guerra nel regno di Ferrante d’Aragona, vol. 8, ClioPress, 2011.
  7. ^ a b Massimo Buchicchio, La guerra tra Aragonesi e Angioini nel regno di Napoli. La battaglia di Sarno, Cava de' Tirreni (SA), Borgosiepi, 2009, pp. 90-98.
  8. ^ a b c Francesco Senatore, Cava e la battaglia di Sarno. Un episodio di mitologia cittadina, in Rassegna storica Salernitana, XV/1, n. 29, 1998.
  9. ^ a b c Francesco Senatore, Pontano e la guerra di Napoli, in Condottieri e uomini d’arme nell’Italia del Rinascimento (1350-1550), 2001, pp. 281-311.
  10. ^ a b Francesco Senatore, La pergamena bianca, in Studi storici su La Cava, vol. 1, 2012.
  11. ^ Emilio Nunziante, I primi anni di Ferdinando d'Aragona e l'invasione di Giovanni d'Angiò: 1458-1464, Napoli, 1898.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Massimo Buchicchio, La guerra tra Aragonesi e Angioini nel regno di Napoli. La battaglia di Sarno, Cava de' Tirrenti (SA), Borgosiepi, 2009.
Emilio Nunziante, I primi anni di Ferdinando d’Aragona e l’invasione di Giovanni d’Angiò: 1458-1464, Napoli, 1898.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: La pergamena bianca.


Lo stesso argomento in dettaglio: Ferdinando I d'Aragona.


Lo stesso argomento in dettaglio: Cava de' Tirreni.