Triangolo della morte (Emilia)

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Tre diverse localizzazioni del triangolo della morte in Emilia

La locuzione Triangolo della morte (o Triangolo rosso), di origine giornalistica, indica un'area del nord Italia ove, tra il settembre del 1943 e il 1949, si registrò un numero particolarmente elevato di omicidi a sfondo politico, attribuiti a estremisti di sinistra e a militanti di formazioni di matrice comunista.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Secondo il giornalista Francesco Malgeri, l'espressione era originariamente riferita al triangolo di territorio compreso tra Castelfranco Emilia, Mirandola e Carpi[1], mentre il giornalista Giampaolo Pansa indica la zona del modenese, corrispondente al triangolo compreso fra Castelfranco Emilia e due sue frazioni, Piumazzo e Manzolino. In seguito, l'espressione è stata ripresa per indicare aree di volta in volta più ampie sia dentro che fuori dalla regione ma con epicentro l'Emilia, ad esempio il triangolo Bologna-Reggio Emilia-Ferrara: questa è l'area indicata già nel 1992 con l'espressione "Triangolo della morte" nel saggio dei Pisanò[2].

Giovanni Fantozzi, autore di libri sugli scontri postbellici nel modenese, sostiene che nel dopoguerra, dall'aprile del 1945 alla fine del 1946, nella provincia di Modena gli omicidi politici furono diverse centinaia, probabilmente oltre il migliaio, stando alle stime dell'allora prefetto di Modena Giovanni Battista Laura, del resto non molto dissimili da quelle dei Carabinieri. Sempre secondo Fantozzi i responsabili di tali delitti politici nel modenese furono, nella stragrande maggioranza dei casi, ex partigiani iscritti o militanti del Partito Comunista Italiano (PCI), ma solo una piccola parte tra le loro vittime era realmente fascista (quelle uccise cioè nell'immediato dopoguerra). Tra i delitti andrebbero inseriti anche quelli commessi da ladri e delinquenti comuni che approfittarono della confusione per compiere numerose azioni criminali, facendo cadere poi la colpa sui comunisti. Altri omicidi furono invece vendette personali.

Il numero dei morti resta indefinito: Ferruccio Parri, antifascista e presidente del Consiglio, valutò il numero degli uccisi in 30 000, il ministro degli Interni Mario Scelba in 17 000, Giorgio Bocca, più recentemente, in 15 000[3], Giorgio Pisanò indica in circa 34 500 i morti causati dalla "giustizia partigiana" scatenatasi alla fine della seconda guerra mondiale nel Triangolo della morte.[4][5]

Il particolare "clima emiliano"[modifica | modifica wikitesto]

La situazione politica emiliana nel periodo immediatamente precedente e successivo alla fine della guerra fu particolarmente violenta. Alla primitiva contrapposizione fra fascisti e antifascisti si aggiunse una forte istanza di trasformazione dei rapporti sociali tra detentori della proprietà fondiaria e i contadini, per lo più legati a contratti di mezzadria[6]. Le zone interessate dai delitti nel dopoguerra erano già state teatro di uno squadrismo agrario-fascista estremamente violento durante il biennio rosso e i primi anni di presa del potere del regime, e ciò aveva fortemente accentuato un conflitto di classe e ideologico che si scatenò nel dopoguerra, essendo viste la borghesia agraria e la chiesa corresponsabili in chiave anticomunista delle violenze fasciste.

Un particolare aspetto fu rappresentato dalla figura dei sacerdoti della Chiesa Cattolica che vede insieme esperienze come quella di don Zeno Saltini, che voleva una chiesa schierata con le istanze della sinistra[7], ma anche una visione più conservatrice che portò alcuni sacerdoti ad essere uccisi.

Alcune delle vittime[modifica | modifica wikitesto]

I sette fratelli Govoni (Dino, Emo, Augusto, Ida, Marino, Giuseppe, Primo), dei quali due soltanto, Dino e Marino, avevano aderito alla Repubblica Sociale, vittime dei partigiani nell'eccidio di Argelato
  • 13 aprile 1945: Rolando Rivi, seminarista di 14 anni ucciso da Giuseppe Corghi e da Delciso Rioli, partigiani della Brigata Garibaldi, appartenenti al battaglione Frittelli della divisione Modena Montagna (Armando) comandata da Mario Ricci[8] (i due furono poi condannati – in tutti e tre i gradi di giudizio – per omicidio a 22 anni di carcere, ma furono ridotti a sei per effetto dell'Amnistia Togliatti). Questa conclusione, confermata dalla magistratura ordinaria, viene confutata da una fonte, secondo la quale Rolando Rivi sarebbe stato una spia e informatore fascista infiltrato fra i partigiani e causa della morte di un plotone. Le testimonianze in questo senso, raccolte dall'avvocato Leonida Casali, difensore di Giuseppe Corghi e Delciso Rioli, furono considerate, nel rinvio a giudizio degli imputati fatto dal Procuratore Generale della Corte di Appello di Bologna, "Narrativa rimasta destituita di fondamento, a parte la sua inverosimiglianza dalle risultanze istruttorie,[...] contraddetta da precise deposizioni testimoniali". La fonte stessa che cita il Casali conclude "Anche di fronte al barbaro assassinio di un giovane ragazzo dovevano prevalere gli interessi di partito"[9];
  • 26 aprile 1945: Primo Rebecchi, artigiano di Cavezzo (Modena);
  • 27 aprile 1945: a Cernaieto di Casina furono uccise dalle locali formazioni partigiane 21 persone appartenenti ad una colonna formata dai militi del presidio di Montecchio Emilia della GNR più tre donne che erano con loro[10]. I resti vennero trovati nel bosco a ridosso della strada per Gombio solo nell'ottobre del 1946, ed è ancora incerta la paternità esatta della strage, i nomi degli esecutori materiali e il numero preciso delle vittime;
  • 9 maggio 1945: dodici fascisti o presunti tali, tra cui il podestà di San Pietro in Casale, Sisto Costa, con la moglie e il figlio nel primo Eccidio di Argelato;
  • 10 maggio 1945: dottor Carlo Testa, membro del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) per la Democrazia Cristiana, fu assassinato a Bomporto (Modena) con raffiche di mitra;
  • 11 maggio 1945: i sette fratelli Govoni e Giacomo Malaguti (sottotenente di artiglieria del Corpo Italiano di Liberazione, con il quale aveva combattuto contro i tedeschi a Cassino rimanendo ferito, aveva fatto la campagna in un'unità aggregata all'esercito inglese), quest'ultimo in licenza presso la famiglia, assassinati nel secondo Eccidio di Argelato;
  • 18 maggio 1945: Confucio Giacobazzi, agricoltore e partigiano non comunista, assassinato;
  • 2 giugno 1945: Ettore Rizzi, partigiano simpatizzante democristiano, sequestrato e ucciso a Nonantola;
  • 27 luglio 1945, Bruno Lazzari, impiegato democristiano di Nonantola, colpito da raffiche di mitra;
  • 28 agosto 1945: Giordano Monari e Dario Morara, ex partigiani comunisti, uccisi a rivoltellate da un ciclista lungo una strada di Bologna;
  • 26 gennaio 1946: Giorgio Morelli, partigiano e giornalista cattolico, vittima di un agguato dopo la pubblicazione di un'inchiesta in cui accusava il presidente comunista dell'ANPI di Reggio Emilia della morte di un altro partigiano cattolico, Mario Simonazzi. Morelli morì a seguito delle ferite il 9 agosto 1947;
  • 7 febbraio 1946: Gaetano Malaguti, attivista sindacale comunista e padre di partigiano caduto nella Resistenza, assassinato;
  • 19 maggio 1946; Umberto Montanari, medico condotto a Piumazzo ed ex-partigiano cattolico, assassinato;
  • 20 agosto 1946: Ferdinando Mirotti, capitano del Corpo italiano di Liberazione, assassinato sull'uscio di casa;
  • 24 agosto 1946; Ferdinando Ferioli, avvocato, assassinato in casa da persone conosciute (gli assassini furono aiutati dalla loro organizzazione a riparare in Cecoslovacchia);
  • 27 agosto 1946: Umberto Farri, sindaco socialista di Casalgrande, assassinato in casa da due uomini. Il caso non ha mai avuto una soluzione;
  • 5 novembre 1948: Giuseppe Fanin, sindacalista, assassinato a San Giovanni in Persiceto;
  • 17 novembre 1948: Angelo Casolari e Anna Ducati, membri del consiglio parrocchiale, assassinati nella canonica della parrocchia di Freto, a Modena.
  • 26 marzo 1955: Afro Rossi di Leguigno e Giovanni Munarini di Casina, assassinati in un agguato all'Osteria Vezzosi presso Colombaia di Carpineti, dove da una collina si fece fuoco sulle finestre della locanda piena di un raduno a festa di militanti democristiani.

Esiti giudiziari[modifica | modifica wikitesto]

Le indagini nei primi tempi languirono: l'uccisione di religiosi e laici, esponenti di partiti aderenti alla Resistenza ma su posizioni moderate, ebbe un consistente influsso nei rapporti tra i partiti che collaboravano nel governo espresso dal CLN. Con l'uscita dei comunisti dal governo De Gasperi ebbe un atteggiamento più fermo: furono inviati rinforzi di polizia, le indagini furono riprese e vari responsabili delle uccisioni furono individuati, anche se non mancarono clamorosi errori giudiziari come nel caso di Germano Nicolini ed Egidio Baraldi, condannati per gli assassini don Pessina e Mirotti, e riabilitati soltanto alla fine degli anni novanta.

Conseguenze politiche[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1947 la collaborazione tra i partiti aderenti al CLN non resse alla prova del dopoguerra. I mutati equilibri internazionali, con la rottura fra potenze occidentali e Unione Sovietica provocò anche in Italia la fine dei governi di unità nazionale e l'uscita dei comunisti dal governo.

Antonio Pallante, autore dell'attentato a Palmiro Togliatti del 14 luglio 1948, tra le motivazioni addusse il fatto di considerare il segretario del PCI come «mandante delle stragi di fascisti» e di «italiani al Nord», oltre che pericoloso per l'Italia.[11]

Oscuramento delle notizie[modifica | modifica wikitesto]

Nella primavera del 1990 alcuni parenti delle vittime scrissero una lettera aperta, chiedendo almeno di sapere dove fossero stati sepolti i loro familiari per poterli umanamente seppellire.

Alcuni mesi dopo, il 29 agosto il dirigente del PCI ex-partigiano ed ex-deputato Otello Montanari rispose con un articolo su Il Resto del Carlino nel quale sostenne che bisognava distinguere tra "omicidi politici", ovvero commessi in ragione del ruolo esercitato dalla persona uccisa, ed "esecuzioni sommarie", ovvero uccisioni indiscriminate di avversari politici e oppositori, e invitò chiunque sapesse come ritrovare le spoglie delle persone uccise a dare le necessarie informazioni. Per questo ebbe gravi difficoltà all'interno del partito, dove venne aspramente contestato[12], e venne inoltre escluso dal Comitato Provinciale dell'ANPI, dalla Presidenza dell'Istituto Cervi (a cui in seguito venne riammesso) e dalla Commissione regionale di controllo. Ci vollero diversi anni prima che la sua figura venisse ufficialmente riabilitata. L'invito ebbe in risposta una croce piantata nel comune di Campagnola Emilia, dove furono trovati i resti di alcune persone trucidate, vittime della guerra interna al CLN[13].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Francesco Malgeri, La stagione del centrismo: politica e società nell'Italia del secondo dopoguerra, 1945-1960, Soveria Mannelli, Rubettino, 2002, ISBN 88-498-0335-4.
  2. ^ Pisanò & Pisanò 1992.
  3. ^ Giorgio Bocca, La repubblica di Mussolini, Roma/Bari, Laterza, 1977, SBN IT\ICCU\REA\0013712.
  4. ^ Pisanò & Pisanò 1992.
  5. ^ Onofri 2007.
  6. ^ Antonio Saltini, Lo scontro mezzadrile nelle campagne bolognesi, in Cinquant'anni di storia dell'Unione degli agricoltori della provincia di Bologna, introduzione di Giorgio Cantelli Forti, Bologna, Unione agricoltori della provincia di Bologna, 1998, SBN IT\ICCU\RAV\0325662.
  7. ^ Antonio Saltini, Don Zeno: Il sovversivo di Dio, prefazione di Giuseppe Medici, Modena, Il fiorino, 2003, ISBN 88-7549-015-5.
  8. ^ Emilio Bonicelli, Rolando Rivi seminarista martire, prefazione di monsignor Luigi Negri, foto di Carla Canovi, Camerata Picena, Shalom, 2008, ISBN 978-88-8404-220-0.
  9. ^ Gianluigi Briguglio, Il caso Rolando Rivi, in Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, vol. 20, n. 4, 2014, DOI:10.4000/diacronie.1687. URL consultato il 21 giugno 2021.
  10. ^ Massimo Storchi (a cura di), Dossier Cernaieto. La cattura e l’uccisione del presidio GNR di Montecchio 22-24 aprile 1945, in Ricerche Storiche, n. 104, Reggio Emilia, Istoreco, ottobre 2007, pp. 123-137. URL consultato il 24 maggio 2023.
  11. ^ Alberto Custodero, Attentato a Togliatti le lettere segrete, in la Repubblica, 29 aprile 2007. URL consultato il 14 dicembre 2020.
  12. ^ Costantino Muscau, «Triangolo della morte, i Ds chiariscano tutto», in Corriere della Sera, 10 maggio 2005, p. 20 (archiviato dall'url originale il 10 giugno 2015).
  13. ^ Sconosciuto, in Avvenire, 7 gennaio 2004.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Simeone Del Prete, La giustizia nel dopoguerra: i processi ai partigiani e l'avvocato Leonida Casali (1948-1953), relatore Maria Malatesta, correlatore Luca Alessandrini, Bologna, Alma Mater Studiorum-Università di Bologna; Scuola di Lettere e Beni Culturali; Corso di laurea magistrale in Scienze Storiche; Tesi di laurea in storia delle istituzioni sociali e politiche europee. anno accademico 2014-2015, 2015, SBN IT\ICCU\UBO\4179830..
  • Daniela Anna Simonazzi, Azor: La Resistenza incompiuta di un comandante partigiano, Reggio nell'Emilia, Grafitalia/Age, 2004, SBN IT\ICCU\MOD\0922042.
  • Roberto Beretta, Storia dei preti uccisi dai partigiani, Casale Monferrato, Piemme, 2005, ISBN 88-384-8459-7.
  • Guido Crainz, L'ombra della guerra: il 1945, Roma, Donzelli, 2007, ISBN 978-88-6036-160-8.
  • Giovanni Fantozzi, Vittime dell'odio: l'ordine pubblico a Modena dopo la liberazione, (1945-1946), Bologna, Europrom, 1990, SBN IT\ICCU\CFI\0172447.
  • Giorgio Pisanò e Paolo Pisanò, Il triangolo della morte: la politica della strage in Emilia durante e dopo la guerra civile, vol. 181, Testimonianze fra cronaca e storia, Milano, Mursia, 1992, ISBN 88-425-1157-9.
  • Massimo Storchi, Uscire dalla guerra: ordine pubblico e dibattito politico a Modena, 1945-1946, Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, n. 32, Milano, Franco Angeli, 1995, ISBN 88-204-9130-3..
  • Nazario Sauro Onofri, Il triangolo rosso: la guerra di liberazione e la sconfitta del fascismo (1943-1947) (PDF), 2ª ed., Roma, Sapere 2000, 2007, ISBN 978-88-7673-265-2.

Altri riferimenti[modifica | modifica wikitesto]

  • Cristina Fratelloni (a cura di), 1945. Nodo di sangue, puntata del programma documentario La Storia siamo noi, in onda su Rai 2 il 26 aprile 2007.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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