Peculato

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Delitto di
Peculato
Fonte Codice penale italiano
Libro II, Titolo II, Capo I
Disposizioni art. 314
Competenza tribunale collegiale
Procedibilità d'ufficio
Arresto
  • (comma 1) facoltativo;
  • (comma 2) non consentito;
Fermo
  • (comma 1) consentito;
  • (comma 2) non consentito
Pena

Il peculato, nel diritto penale italiano, è il reato previsto dall'art. 314 (Peculato) del codice penale, che recita:

«Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi.»

La disciplina del peculato è stata modificata con la Legge 86/1990, recante Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

Etimologia[modifica | modifica wikitesto]

Il reato di peculato, già presente nell'ordinamento giuridico romano, trae origine dalla parola latina pecus, gregge. In epoca arcaica, prima che questo termine acquisisse il significato di appropriazione indebita di denaro pubblico, l'accusa de peculato era infatti riservata al furto di bestiame pubblico.

Elementi[modifica | modifica wikitesto]

Bene giuridico tutelato[modifica | modifica wikitesto]

Oggetto specifico della tutela penale è non solo la tutela del regolare funzionamento e del prestigio degli Enti pubblici, ma anche quello di impedire danni patrimoniali alla pubblica amministrazione.

Condotta[modifica | modifica wikitesto]

Il delitto di peculato si configura con l'indebita appropriazione di denaro o altra cosa mobile che si trova, al momento della consumazione del reato (ovvero al momento del tentativo di consumazione), nel possesso o comunque nella disponibilità del soggetto attivo, in ragione del suo ufficio o del suo servizio.

Anche l'indebita alienazione, distruzione, semplice detenzione, utilizzo di denaro o di altra cosa mobile integra questa fattispecie delittuosa.

Soggetto[modifica | modifica wikitesto]

Trattandosi di un reato proprio, soggetto attivo del delitto di peculato può essere solo un pubblico ufficiale oppure un incaricato di pubblico servizio. Sono escluse, pertanto, forme di responsabilità per quanti esercitino un servizio di pubblica necessità.

Elemento soggettivo[modifica | modifica wikitesto]

Per l'integrazione del delitto è sufficiente il dolo generico, mentre è necessario il dolo specifico per la configurabilità del peculato d'uso.

Il cosiddetto peculato d'uso[modifica | modifica wikitesto]

Il comma 2 dell'art. 314 del Codice Penale prevede l'ipotesi del cosiddetto "peculato d'uso": tale fattispecie si configura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio si appropria della cosa al solo scopo di farne uso momentaneo e, dopo tale uso, la restituisce immediatamente.
Va da sé che oggetto di tale fattispecie possono essere solo le cose mobili non fungibili (ad esempio: un'automobile di servizio), e non anche il denaro o cose generiche (beni fungibili).
La pena per il peculato d'uso è la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

Il cosiddetto peculato di vuoto cassa[modifica | modifica wikitesto]

Tale fattispecie si configura quando l'agente si appropria di una quantità di denaro o cose fungibili con l'intento di restituirle entro il termine del rendiconto.

Il peculato mediante profitto dell'errore altrui[modifica | modifica wikitesto]

L'art. 316 del Codice Penale introduce un'ulteriore fattispecie delittuosa che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio integra quando, nell'esercizio delle sue funzioni, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità.
La pena per il peculato mediante profitto dell'errore altrui è la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

È necessario che l'errore del soggetto passivo sia spontaneo e non causalmente riconducibile ad artifizi o raggiri del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio: in tal caso si configurerà il delitto di truffa aggravata o di peculato ex art. 314, 1°co. c.p. Inoltre l'errore del soggetto passivo deve vertere sull'an o sul quantum debeatur e non sulle competenze del pubblico ufficiale.

Giurisprudenza[modifica | modifica wikitesto]

Non esclude il reato di peculato la circostanza che il pubblico ufficiale abbia trattenuto somme di denaro pubblico in compensazione di crediti vantati nei confronti dell'amministrazione di appartenenza (Cass. 20940/2011).

"Il peculato d'uso costituisce un reato autonomo, non attenuante del peculato" (Corte di cassazione, sentenza del 29 aprile 1992).

La Corte di cassazione ha ribadito la natura plurioffensiva del reato di peculato ritenendo oggetto di tutela il patrimonio della pubblica amministrazione e la legalità, il buon andamento e l'imparzialità della stessa (sentenza n. 8009 del 24 agosto 1993).

L'espressione "uso momentaneo" non va intesa come sinonimo di uso istantaneo, bensì temporaneo, cioè protratto per un tempo limitato, così da comportare una sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale, tale da compromettere seriamente la funzionalità della pubblica amministrazione (Corte di cassazione, sentenza n. 4651 del 16 aprile 1997).

Nel peculato mediante profitto dell'errore altrui, se l'errore del soggetto passivo anziché ricadere sull'an o sul quantum debeatur cade sulla competenza del pubblico ufficiale, la condotta sarà qualificata come peculato ex art. 314, 1° comma c.p. (Cass., sez.VI, 13 maggio 1992 - 13 ottobre 1992, n. 9732).

Per differenziare fra truffa e peculato quando il pubblico ufficiale abbia agito con artifizi o raggiri è necessario guardare alla formazione del possesso del bene, presupposto del delitto di peculato: infatti se il possesso è stato procurato con artifizi e raggiri si avrà truffa aggravata dalla qualità del pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio del soggetto attivo, mentre si avrà peculato se tali comportamenti truffaldini siano stati posti in essere con l'obiettivo di occultare il delitto senza che questi interferissero sul possesso, che invece trova causa nella ragione dell'ufficio o del servizio (Cass., VI, 4 giugno 1997 - 8 giugno 1998, n. 6753).

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Testi normativi[modifica | modifica wikitesto]

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