Palazzo Diomede Carafa: differenze tra le versioni

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L'interno vedeva un cospicuo numero di statue e rilievi che decoravano le pareti del cortile e della scalinata: di queste sono rimasti solo alcuni fregi lungo lo scalone e lo stemma nobiliare in alto nella parete di fondo, sotto il quale è il resto di un affresco entro una nicchia. Sulla sinistra del cortile dopo l'androne si apre lo scalone di accesso, mentre lungo la facciata interna si scoprono sotto l'intonacatura gli archi a tutto sesto con colonne ottagonali, elementi che rimandano al palazzo medievale preesistente e che sono riconducibili allo stile del cortile del [[Maschio Angioino]].<ref name=Mazz/>
L'interno vedeva un cospicuo numero di statue e rilievi che decoravano le pareti del cortile e della scalinata: di queste sono rimasti solo alcuni fregi lungo lo scalone e lo stemma nobiliare in alto nella parete di fondo, sotto il quale è il resto di un affresco entro una nicchia. Sulla sinistra del cortile dopo l'androne si apre lo scalone di accesso, mentre lungo la facciata interna si scoprono sotto l'intonacatura gli archi a tutto sesto con colonne ottagonali, elementi che rimandano al palazzo medievale preesistente e che sono riconducibili allo stile del cortile del [[Maschio Angioino]].<ref name=Mazz/>


==La testa Carafa==
[[File:Cavallodiomedecarafa.jpg|thumb|right|upright=0.8|La ''Testa di cavallo'' presente nel cortile]]
[[File:Cavallodiomedecarafa.jpg|thumb|right|upright=0.8|La ''Testa di cavallo'' presente nel cortile]]
Nel cortile del palazzo è custodita inoltre una ''Testa di cavallo'' in terracotta che una passata tradizione indicava come la testa di un cavallo di bronzo di antichissima fattura posto nella [[piazza Sisto Riario Sforza]] dove la basilica di Santa Stefanìa (che lì sorgeva prima che venisse demolita per far spazio all'attuale [[Duomo di Napoli|cattedrale]]) aveva il suo ingresso, e quindi fuso nel 1322 (tranne appunto la testa) per ottenere una campana per la cattedrale; secondo altri invece la testa fu donata da [[Nerone]] al pubblico napoletano per le sue delizie e ritrovata in qualche scavo quattrocentesco. Tuttavia la teoria più accreditata e confermata da studi recenti asserisce che la ''Testa di cavallo'' in terracotta sostituisce un originale in bronzo facente parte di un monumento equestre che [[Donatello]]<ref name=Mazz/> non ultimò mai per il re [[Alfonso V d'Aragona]], il quale la commissionò per collocarla al centro del livello superiore dell'[[Arco trionfale del Castel Nuovo|arco trionfale del Maschio Angioino]], all'interno della nicchia sopra la scena dell<nowiki>'</nowiki>''Ingresso trionfante di Alfonso d'Aragona in città''. Alla morte dello scultore, nel 1466, il monumento rimase pertanto incompiuto venendo realizzata soltanto la parte superiore; la [[protome]] equina fu quindi inviata a Napoli da [[Lorenzo de' Medici]] nel 1471 in dono all'amico [[Diomede I Carafa]], illustre rappresentante della corte aragonese in città, che la posizionò sulla facciata destra del cortile del palazzo così come vide che era collocata la ''Testa di cavallo'' di età ellenistica nel giardino di [[palazzo Medici Riccardi]] a [[Firenze]]. La scultura rimase in loco fino al 1809, quando l'ultimo principe Carafa di Colubrano la donò al [[Museo archeologico nazionale di Napoli]] sostituendo l'originale con la copia in terracotta, che fu in quest'occasione addossata alla parete di fondo del cortile.
Nel cortile del palazzo è custodita inoltre una ''Testa di cavallo'' in terracotta, replica di una protome equina bronzea che una passata tradizione indicava come la testa di un cavallo di bronzo di antichissima fattura posto nella [[piazza Sisto Riario Sforza]] dove la basilica di Santa Stefanìa (che lì sorgeva prima che venisse demolita per far spazio all'attuale [[Duomo di Napoli|cattedrale]]) aveva il suo ingresso, e quindi fuso nel 1322 (tranne appunto la testa) per ottenere una campana per la cattedrale; secondo altri invece la testa fu donata da [[Nerone]] al pubblico napoletano per le sue delizie e ritrovata in qualche scavo quattrocentesco. Tuttavia la teoria più accreditata e confermata da studi recenti asserisce che la ''Testa di cavallo'' fosse parte di un monumento equestre che [[Donatello]]<ref name=Mazz/> non ultimò mai per il re [[Alfonso V d'Aragona]], il quale la commissionò per collocarla al centro del livello superiore dell'[[Arco trionfale del Castel Nuovo|arco trionfale del Maschio Angioino]], all'interno della nicchia sopra la scena dell<nowiki>'</nowiki>''Ingresso trionfante di Alfonso d'Aragona in città''. Per la morte del sovrano, nel 1458, il monumento rimase incompiuto; la [[protome]] equina fu quindi inviata a Napoli da [[Lorenzo de' Medici]] nel 1471 in dono all'amico [[Diomede I Carafa]], illustre rappresentante della corte aragonese in città, che la posizionò sulla facciata destra del cortile del palazzo così come vide che era collocata la ''Testa di cavallo'' di età ellenistica nel giardino di [[palazzo Medici Riccardi]] a [[Firenze]]. La scultura rimase in loco fino al 1809, quando l'ultimo principe Carafa di Colubrano la donò al [[Museo archeologico nazionale di Napoli]] sostituendo l'originale con la copia in terracotta, che fu in quest'occasione addossata alla parete di fondo del cortile.


== Note ==
== Note ==

Versione delle 20:37, 4 dic 2016

Palazzo Diomede Carafa
Scorcio della facciata principale
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione  Campania
LocalitàNapoli
IndirizzoVia San Biagio dei Librai 121
Coordinate40°50′55.84″N 14°15′24.8″E / 40.848845°N 14.256888°E40.848845; 14.256888
Informazioni generali
CondizioniIn uso
CostruzioneXV secolo
Stilerinascimentale
UsoResidenziale
Realizzazione
ArchitettoAngelo Aniello Fiore (?)

Il palazzo Diomede Carafa è un palazzo monumentale di Napoli edificato nel XV secolo lungo il decumano inferiore.

Cenni storici

Il palazzo venne fondato nel XV secolo da Diomede Carafa primo conte di Maddaloni con lo scopo di ospitare i reperti dell'antichità rinvenuti nella città, ricostruendo sostanzialmente un preesistente edificio medievale probabilmente sempre appartenente alla famiglia Carafa.[1] La ricostruzione fu quindi completata nel 1466 ed è testimoniata anche da un'epigrafe latina sul cortile d'onore:

«HAS COMES INSIGNIS DIOMEDES CONDIDIT AEDES& CARAFA
IN LAUDEM REGIS PATRIAEQUE DECOREM& EST ET FORTE LOCUS MAGIS APTUS ET AMPLIUS IN URBE% SIT SED AB AGNATIS DISCEDERE TURPE PUTAVIT»

Secondo il Chiarini, che riprese notizie di Bernardo De Dominici, il progetto del palazzo medievale preesistente appartiene a Masuccio Primo,[1] mentre nell'attribuzione del progetto del palazzo vengono avanzate tuttavia anche altre teorie, tra le quali si ipotizza che la paternità dell'opera sia da ricondurre ad Angelo Aniello Fiore, scultore e architetto a cui si deve il progetto del palazzo Petrucci, con il quale ci sono diverse analogie architettoniche, e che lavorò con i Carafa per lungo tempo e che realizzò per loro un sepolcro alla famiglia nella chiesa di San Domenico Maggiore.

Il palazzo successivamente passò al figlio di Diomede e ancora dopo, poiché i conti di Maddaloni non ebbero eredi, divenne proprietà del ramo dei Carafa di Columbrano, che lo ristrutturarono riportandolo ai vecchi splendori dopo anni di abbandono. Dopo la morte della duchessa Faustina Pignatelli, moglie di Francesco Carafa di Columbrano, il palazzo ritornò di nuovo nell'oblio e nel 1815 venne acquistato dai Santangelo[1] che lo adibirono a museo privato.

Descrizione

Il palazzo è un "palazzo a blocco" privo di partizioni verticali ed interamente rivestito da bugne in tufo giallo e pietra grigia che si alternano tra loro, di gusto ancora medievale.

Il portale monumentale

La facciata si caratterizza anche per le finestre trabeate del piano secondo "nobile" e per il grande portale quadrato in marmo bianco, tipico del rinascimento napoletano nonché simile a quello di palazzo Petrucci. Il portale presenta una corona rotonda di foglie di alloro che sporge sul piano liscio dell'architrave mentre più sopra, nella fascia centrale della trabeazione sono presenti del fregi che riportano i simboli della famiglia Carafa, gli stemmi familiari e la stadera, che si ripetono anche sui dodici battenti del portone ligneo quattrocentesco sottostante mentre agli angoli interni del portale sono due angeli reggenti lo scudo familiare. La trabeazione è sorretta da mensole laterali e sostiene sulla cornice busti che raffigurerebbero gli imperatori Claudio e Vespasiano, mentre al centro si apre una nicchia con la statua di Ercole. Sui due vertici alti dell'edificio, infine, sono scolpiti agli spigoli della facciata principale i volti di Diomede Carafa e di sua moglie.

L'interno vedeva un cospicuo numero di statue e rilievi che decoravano le pareti del cortile e della scalinata: di queste sono rimasti solo alcuni fregi lungo lo scalone e lo stemma nobiliare in alto nella parete di fondo, sotto il quale è il resto di un affresco entro una nicchia. Sulla sinistra del cortile dopo l'androne si apre lo scalone di accesso, mentre lungo la facciata interna si scoprono sotto l'intonacatura gli archi a tutto sesto con colonne ottagonali, elementi che rimandano al palazzo medievale preesistente e che sono riconducibili allo stile del cortile del Maschio Angioino.[1]

La testa Carafa

La Testa di cavallo presente nel cortile

Nel cortile del palazzo è custodita inoltre una Testa di cavallo in terracotta, replica di una protome equina bronzea che una passata tradizione indicava come la testa di un cavallo di bronzo di antichissima fattura posto nella piazza Sisto Riario Sforza dove la basilica di Santa Stefanìa (che lì sorgeva prima che venisse demolita per far spazio all'attuale cattedrale) aveva il suo ingresso, e quindi fuso nel 1322 (tranne appunto la testa) per ottenere una campana per la cattedrale; secondo altri invece la testa fu donata da Nerone al pubblico napoletano per le sue delizie e ritrovata in qualche scavo quattrocentesco. Tuttavia la teoria più accreditata e confermata da studi recenti asserisce che la Testa di cavallo fosse parte di un monumento equestre che Donatello[1] non ultimò mai per il re Alfonso V d'Aragona, il quale la commissionò per collocarla al centro del livello superiore dell'arco trionfale del Maschio Angioino, all'interno della nicchia sopra la scena dell'Ingresso trionfante di Alfonso d'Aragona in città. Per la morte del sovrano, nel 1458, il monumento rimase incompiuto; la protome equina fu quindi inviata a Napoli da Lorenzo de' Medici nel 1471 in dono all'amico Diomede I Carafa, illustre rappresentante della corte aragonese in città, che la posizionò sulla facciata destra del cortile del palazzo così come vide che era collocata la Testa di cavallo di età ellenistica nel giardino di palazzo Medici Riccardi a Firenze. La scultura rimase in loco fino al 1809, quando l'ultimo principe Carafa di Colubrano la donò al Museo archeologico nazionale di Napoli sostituendo l'originale con la copia in terracotta, che fu in quest'occasione addossata alla parete di fondo del cortile.

Note

  1. ^ a b c d e Mazzoleni, pp. 40-41

Bibliografia

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Voci correlate

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