Congedo parentale: differenze tra le versioni

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La sua funzione è quella di consentire la presenza del genitore accanto al bambino al fine di soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del minore.
La sua funzione è quella di consentire la presenza del genitore accanto al bambino al fine di soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del minore.


== Cenni storici ===
== Cenni storici ==
Il principio venne sancito dall’art. 37 della [[Costituzione della [[Repubblica Italiana]] prevede per essa “gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”, sancendo parallelamente che “le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Il principio venne sancito dall’art. 37 della [[Costituzione della [[Repubblica Italiana]] prevede per essa “gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”, sancendo parallelamente che “le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.


La prima normativa organica in materia è stata la legge 30 dicembre [[1971]], n. 1204 (poi abrogata dall'art. 86, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 151/2001), che prevedeva disposizioni solo per il congedo di maternità femminile. La legge 9 dicembre 1977 n. 903 estese con l’art. 6 l’astensione obbligatoria dal lavoro di cui all’art. 4, lett. c), della L. n. 1204/1971 (e il trattamento economico relativo), anche alle lavoratrici che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, dichiarando che possono avvalersi dei congedi, qualora il bambino non abbia superato al momento dell’adozione o dell’affidamento i sei anni di età. La norma è stata successivamente modificata alla legge 8 marzo 2000, n. 53, che ha introdotto per la prima volta la fruizione del congedo parentale maschile. La materia è stata infine raccolta nel d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 ("''Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53''").
La prima normativa organica in materia è stata la legge 30 dicembre [[1971]], n. 1204 che prevedeva disposizioni solo per il congedo di maternità femminile. La legge sanciva il divieto di licenziamento delle lavoratrici dall’inizio del periodo di gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. La lavoratrice licenziata nel suddetto periodo, presentata entro novanta giorni idonea certificazione da cui risultasse l’esistenza delle condizioni che lo vietavano, aveva diritto di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro, tranne che nei casi ''ex'' art. 2, co. 2, lett. a), b) e c)<!-- Art. 2, co. 2, L. n. 1204/1971: “Il divieto di licenziamento non si applica nel caso: a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta; c) di ultimazione della prestazione per la
quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine” -->. Similmente, si enunciava in tale legge il divieto di adibire le donne gestanti e fino a sette mesi dopo il parto “al trasporto e al sollevamento pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri”. Le lavoratrici dovevano essere addette ad altre mansioni (anche nel caso in cui fosse l’ispettorato del lavoro ad accertare che le condizioni di lavoro o ambientali erano pregiudizievoli alla salute della donna. Si specifica infine che, seppur adibite a mansioni inferiori a quelle abituali, conservavano la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originale.


La legge 9 dicembre 1977 n. 903 estese con l’art. 6 l’astensione obbligatoria dal lavoro di cui all’art. 4, lett. c), della L. n. 1204/1971 (e il trattamento economico relativo), anche alle lavoratrici che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, dichiarando che possono avvalersi dei congedi, qualora il bambino non abbia superato al momento dell’adozione o dell’affidamento i sei anni di età. La norma è stata successivamente modificata alla legge 8 marzo 2000, n. 53, che ha introdotto per la prima volta la fruizione del congedo parentale maschile. La materia è stata infine raccolta nel d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 ("''Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53''").
Anche i [[CCNL]] di comparto possono prevedere apposite disposizione in materia.


== Disciplina normativa ==
== Disciplina normativa ==
La materia è disciplinata dal d.lgs. 151/2001, e anche dai [[CCNL]] di comparto possono prevedere apposite disposizione in materia. Il ''congedo di maternità'' consiste in un periodo di 5 mesi di astensione obbligatoria dal lavoro, di cui 2 da usufruire prima della data prevista per il parto e 3 successivamente al parto stesso. Tale termine può essere eventualmente posticipato di un mese in seguito al rilascio di due attestati, uno del medico curante aderente al Servizio Sanitario Nazionale e l’altro del medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, che appunto dichiarino che non vi è alcun rischio per la salute del feto e della madre. In questo caso chiaramente, il mese non goduto prima del parto potrà essere goduto dopo di esso.
La legge del 1971 sanciva il divieto di licenziamento delle lavoratrici dall’inizio del periodo di gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. La lavoratrice licenziata nel suddetto periodo, presentata entro novanta giorni idonea certificazione da cui risultasse l’esistenza delle condizioni che lo vietavano, aveva diritto di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro, tranne che nei casi ''ex'' art. 2, co. 2, lett. a), b) e c)<!-- Art. 2, co. 2, L. n. 1204/1971: “Il divieto di licenziamento non si applica nel caso: a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta; c) di ultimazione della prestazione per la
quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine” -->. Similmente, si enunciava in tale legge il divieto di adibire le donne gestanti e fino a sette mesi dopo il parto “al trasporto e al sollevamento pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri”. Le lavoratrici dovevano essere addette ad altre mansioni (anche nel caso in cui fosse l’ispettorato del lavoro ad accertare che le condizioni di lavoro o ambientali erano pregiudizievoli alla salute della donna. Si specifica infine che, seppur adibite a mansioni inferiori a quelle abituali, conservavano la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originale.


Oltre a questo periodo di astensione obbligatoria di 5 mesi, è concessa alla lavoratrice di assentarsi dal lavoro, trascorso detto periodo, per altri sei mesi, entro il primo anno di vita del bambino, durante il quale le deve esser conservato il posto di lavoro (art. 7, co. 1 <!-- Non solo la lavoratrice non deve essere adibita a mansioni inferiori rispetto a quelle svolte precedentemente la gravidanza, ma può costituire violazione anche l’offerta, a seguito di una gravidanza, di un’occupazione più ampia e impegnativa che impedisca il sereno godimento della maternità, in quanto in contrasto con le previsioni della legge circa i riposi e i permessi spettanti alla donna. -->)<ref>{{Cita libro|autore = A. Enrichens - C. Manassero|titolo = Discriminazione per sesso vs. diritto umano della lavoratrice- madre alla conservazione del posto di lavoro e delle proprie mansioni al rientro dalla maternità. Una fattispecie ancora aperta...|anno = 2011|editore = |città = }}</ref>, a cui si aggiungono i periodo di malattia del bambino di età inferiore a tre anni, dietro presentazione di certificato medico (art. 7, co. 2).
Il vero e proprio “congedo di maternità” è disciplinato all'art. 16 del d.lgs. n. 151/2001, che afferma il divieto di adibire al lavoro le donne:

Il titolo II della medesima legge espone anche il trattamento economico, per il quale si statuisce, all’art. 15, co. 1, che le lavoratrici hanno diritto “ad un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli articoli 4 e 5 della presente legge”, e “ad un’indennità giornaliera del 30% della retribuzione per tutto il periodo di assenza facoltativa dal lavoro prevista dal primo comma dell’art. 7” della medesima legge. Si specificava inoltre all’art. 6 che “i periodo di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi degli articoli 4 e 5 della presente legge devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie”.

L'art. 16 del d.lgs. n. 151/2001, che afferma il divieto di adibire al lavoro le donne:


a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto;
a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto;
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È inoltre vietato far lavorare le donne in stato di gravidanza durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, a causa di parto prematuro, fruiti in prolungamento del congedo di maternità dopo il parto.
È inoltre vietato far lavorare le donne in stato di gravidanza durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, a causa di parto prematuro, fruiti in prolungamento del congedo di maternità dopo il parto.

Consiste in un periodo di 5 mesi di astensione obbligatoria dal lavoro, di cui 2 da usufruire prima della data prevista per il parto e 3 successivamente al parto stesso. Tale termine può essere eventualmente posticipato di un mese in seguito al rilascio di due attestati, uno del medico curante aderente al Servizio Sanitario Nazionale e l’altro del medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, che appunto dichiarino che non vi è alcun rischio per la salute del feto e della madre. In questo caso chiaramente, il mese non goduto prima del parto potrà essere goduto dopo di esso.

Oltre a questo periodo di astensione obbligatoria di 5 mesi, è concessa alla lavoratrice di assentarsi dal lavoro, trascorso detto periodo, per altri sei mesi, entro il primo anno di vita del bambino, durante il quale le deve esser conservato il posto di lavoro (art. 7, co. 1 <!-- Non solo la lavoratrice non deve essere adibita a mansioni inferiori rispetto a quelle svolte precedentemente la gravidanza, ma può costituire violazione anche l’offerta, a seguito di una gravidanza, di un’occupazione più ampia e impegnativa che impedisca il sereno godimento della maternità, in quanto in contrasto con le previsioni della legge circa i riposi e i permessi spettanti alla donna. -->)<ref>{{Cita libro|autore = A. Enrichens - C. Manassero|titolo = Discriminazione per sesso vs. diritto umano della lavoratrice- madre alla conservazione del posto di lavoro e delle proprie mansioni al rientro dalla maternità. Una fattispecie ancora aperta...|anno = 2011|editore = |città = }}</ref>, a cui si aggiungono i periodo di malattia del bambino di età inferiore a tre anni, dietro presentazione di certificato medico (art. 7, co. 2).

Il titolo II della medesima legge espone anche il trattamento economico, per il quale si statuisce, all’art. 15, co. 1, che le lavoratrici hanno diritto “ad un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli articoli 4 e 5 della presente legge”, e “ad un’indennità giornaliera del 30% della retribuzione per tutto il periodo di assenza facoltativa dal lavoro prevista dal primo comma dell’art. 7” della medesima legge. Si specificava inoltre all’art. 6 che “i periodo di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi degli articoli 4 e 5 della presente legge devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie”.


Riguardo ai lavoratori del settore pubblico, la [[Presidenza del Consiglio dei Ministri]] ha stabilito, con circolare prot. 8629 del 20 febbraio 2013 che l'applicabilità dell'art. 4 comma 24 lett. a) e b) della legge 28 giugno 2012 n. 92, è ''subordinata all’approvazione di apposita normativa su iniziativa del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione'' sancendo comunque l'aplicabilità delle disposizioni di cui al d.lgs 151/2001 e dei CCNL di categoria.<ref>[http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=17782 Circolare Presidenza del consiglio dei Ministri prot. 8629 del 20 febbraio 2013 su eduscuola.eu]</ref>
Riguardo ai lavoratori del settore pubblico, la [[Presidenza del Consiglio dei Ministri]] ha stabilito, con circolare prot. 8629 del 20 febbraio 2013 che l'applicabilità dell'art. 4 comma 24 lett. a) e b) della legge 28 giugno 2012 n. 92, è ''subordinata all’approvazione di apposita normativa su iniziativa del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione'' sancendo comunque l'aplicabilità delle disposizioni di cui al d.lgs 151/2001 e dei CCNL di categoria.<ref>[http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=17782 Circolare Presidenza del consiglio dei Ministri prot. 8629 del 20 febbraio 2013 su eduscuola.eu]</ref>

Versione delle 11:09, 8 giu 2015

Il congedo parentale (o astensione facoltativa), nel diritto del lavoro italiano, è un periodo di astensione dal lavoro di un genitore. La legge disciplina i tempi e le modalità di astensione, che per alcuni periodi può essere retribuita.

La sua funzione è quella di consentire la presenza del genitore accanto al bambino al fine di soddisfare i bisogni affettivi e relazionali del minore.

Cenni storici

Il principio venne sancito dall’art. 37 della [[Costituzione della Repubblica Italiana prevede per essa “gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”, sancendo parallelamente che “le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.

La prima normativa organica in materia è stata la legge 30 dicembre 1971, n. 1204 che prevedeva disposizioni solo per il congedo di maternità femminile. La legge sanciva il divieto di licenziamento delle lavoratrici dall’inizio del periodo di gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. La lavoratrice licenziata nel suddetto periodo, presentata entro novanta giorni idonea certificazione da cui risultasse l’esistenza delle condizioni che lo vietavano, aveva diritto di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro, tranne che nei casi ex art. 2, co. 2, lett. a), b) e c). Similmente, si enunciava in tale legge il divieto di adibire le donne gestanti e fino a sette mesi dopo il parto “al trasporto e al sollevamento pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri”. Le lavoratrici dovevano essere addette ad altre mansioni (anche nel caso in cui fosse l’ispettorato del lavoro ad accertare che le condizioni di lavoro o ambientali erano pregiudizievoli alla salute della donna. Si specifica infine che, seppur adibite a mansioni inferiori a quelle abituali, conservavano la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originale.

La legge 9 dicembre 1977 n. 903 estese con l’art. 6 l’astensione obbligatoria dal lavoro di cui all’art. 4, lett. c), della L. n. 1204/1971 (e il trattamento economico relativo), anche alle lavoratrici che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, dichiarando che possono avvalersi dei congedi, qualora il bambino non abbia superato al momento dell’adozione o dell’affidamento i sei anni di età. La norma è stata successivamente modificata alla legge 8 marzo 2000, n. 53, che ha introdotto per la prima volta la fruizione del congedo parentale maschile. La materia è stata infine raccolta nel d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 ("Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53").

Disciplina normativa

La materia è disciplinata dal d.lgs. 151/2001, e anche dai CCNL di comparto possono prevedere apposite disposizione in materia. Il congedo di maternità consiste in un periodo di 5 mesi di astensione obbligatoria dal lavoro, di cui 2 da usufruire prima della data prevista per il parto e 3 successivamente al parto stesso. Tale termine può essere eventualmente posticipato di un mese in seguito al rilascio di due attestati, uno del medico curante aderente al Servizio Sanitario Nazionale e l’altro del medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, che appunto dichiarino che non vi è alcun rischio per la salute del feto e della madre. In questo caso chiaramente, il mese non goduto prima del parto potrà essere goduto dopo di esso.

Oltre a questo periodo di astensione obbligatoria di 5 mesi, è concessa alla lavoratrice di assentarsi dal lavoro, trascorso detto periodo, per altri sei mesi, entro il primo anno di vita del bambino, durante il quale le deve esser conservato il posto di lavoro (art. 7, co. 1 )[1], a cui si aggiungono i periodo di malattia del bambino di età inferiore a tre anni, dietro presentazione di certificato medico (art. 7, co. 2).

Il titolo II della medesima legge espone anche il trattamento economico, per il quale si statuisce, all’art. 15, co. 1, che le lavoratrici hanno diritto “ad un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli articoli 4 e 5 della presente legge”, e “ad un’indennità giornaliera del 30% della retribuzione per tutto il periodo di assenza facoltativa dal lavoro prevista dal primo comma dell’art. 7” della medesima legge. Si specificava inoltre all’art. 6 che “i periodo di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi degli articoli 4 e 5 della presente legge devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie”.

L'art. 16 del d.lgs. n. 151/2001, che afferma il divieto di adibire al lavoro le donne:

a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto;

b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;

c) durante i tre mesi dopo il parto;

È inoltre vietato far lavorare le donne in stato di gravidanza durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, a causa di parto prematuro, fruiti in prolungamento del congedo di maternità dopo il parto.

Riguardo ai lavoratori del settore pubblico, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha stabilito, con circolare prot. 8629 del 20 febbraio 2013 che l'applicabilità dell'art. 4 comma 24 lett. a) e b) della legge 28 giugno 2012 n. 92, è subordinata all’approvazione di apposita normativa su iniziativa del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione sancendo comunque l'aplicabilità delle disposizioni di cui al d.lgs 151/2001 e dei CCNL di categoria.[2]

Note

  1. ^ A. Enrichens - C. Manassero, Discriminazione per sesso vs. diritto umano della lavoratrice- madre alla conservazione del posto di lavoro e delle proprie mansioni al rientro dalla maternità. Una fattispecie ancora aperta..., 2011.
  2. ^ Circolare Presidenza del consiglio dei Ministri prot. 8629 del 20 febbraio 2013 su eduscuola.eu

Voci correlate

Collegamenti esterni