Giovanni Roveda: differenze tra le versioni

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Si trasferì giovanissimo a Torino, dove trovò lavoro come operaio in [[Litografia (arte)|litografia]]. Nel [[1909]] entrò nella [[Gioventù socialista]]. Attivo in politica e nel sindacato, nel [[1919]] diventò segretario nazionale della ''Federazione italiana lavoranti in legno''. In seguito diventò dirigente della sezione socialista di [[Torino]] e collaboratore de ''[[L'Ordine Nuovo]]''. Nel [[1920]] capeggiò l'occupazione delle fabbriche e, nel [[1921]], fu tra i fondatori del [[Partito Comunista Italiano|Partito Comunista]]. Segretario generale della [[Camera del Lavoro]] di Torino, con l'avvento del [[fascismo]] fu aggredito ripetutamente dagli [[squadrismo|squadristi]].
Si trasferì giovanissimo a Torino, dove trovò lavoro come operaio in [[Litografia (arte)|litografia]]. Nel [[1909]] entrò nella [[Gioventù socialista]]. Attivo in politica e nel sindacato, nel [[1919]] diventò segretario nazionale della ''Federazione italiana lavoranti in legno''. In seguito diventò dirigente della sezione socialista di [[Torino]] e collaboratore de ''[[L'Ordine Nuovo]]''. Nel [[1920]] capeggiò l'occupazione delle fabbriche e, nel [[1921]], fu tra i fondatori del [[Partito Comunista Italiano|Partito Comunista]]. Segretario generale della [[Camera del Lavoro]] di Torino, con l'avvento del [[fascismo]] fu aggredito ripetutamente dagli [[squadrismo|squadristi]].


In seguito alle ''[[Leggi eccezionali fasciste]]'' del [[1926]], Giovanni Roveda, che faceva parte del Comitato centrale del [[Partito comunista d'Italia]], venne arrestato. Il 20 febbraio [[1928]] fu condannato dal Tribunale speciale (con [[Antonio Gramsci]], [[Umberto Terracini]] ed altri dirigenti del partito) a vent'anni e quattro mesi di carcere.
In seguito alle ''[[Leggi eccezionali]]'' del [[1926]], Giovanni Roveda, che faceva parte del Comitato centrale del [[Partito comunista d'Italia]], venne arrestato. Il 20 febbraio [[1928]] fu condannato dal Tribunale speciale (con [[Antonio Gramsci]], [[Umberto Terracini]] ed altri dirigenti del partito) a vent'anni e quattro mesi di carcere.


Dopo undici anni di carcere Roveda fu scarcerato per un'amnistia, ma «per mancanza di segni di ravvedimento» il 14 aprile [[1937]] fu mandato al [[confino]] a [[Ponza]]. Fu poi trasferito a [[Ventotene]], dove rimase fino al marzo del [[1943]], quando riuscì a fuggire approfittando di un permesso per visitare la moglie malata. Durante l'incarcerazione e il confino aveva perso oltre quaranta chili di peso.
Dopo undici anni di carcere Roveda fu scarcerato per un'amnistia, ma «per mancanza di segni di ravvedimento» il 14 aprile [[1937]] fu mandato al [[confino]] <ref>Commissione di Torino, ordinanza del 14.4.1937 contro Giovanni Roveda (“Condannati dal Tribunale Speciale, a fine pena confinati per "mancanza di segni di ravvedimento"). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, ''L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943'', Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. I, p. 99</ref> a [[Ponza]]. Fu poi trasferito a [[Ventotene]], <ref>Commissione di Littoria, ordinanza del 24.3.1939 contro Giovanni Roveda (“Riassegnati al termine della pena precedente per la persistente pericolosità politica”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, ''L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943'', Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. IV, p. 1297</ref> dove rimase fino al marzo del [[1943]], quando riuscì a fuggire approfittando di un permesso per visitare la moglie malata. Durante l'incarcerazione e il confino aveva perso oltre quaranta chili di peso.


Inizialmente si nascose nel [[provincia di Biella|Biellese]]. Dopo il 25 luglio 1943 e la caduta del fascismo si spostò a [[Roma]], dove insieme con il [[Partito Socialista Italiano|socialista]] [[Bruno Buozzi]] e il [[Democrazia Cristiana|democristiano]] [[Gioacchino Quarello]] si impegnò a preparare la Confederazione generale del lavoro unitaria. I tre furono inoltre designati dal ministro del lavoro [[Leopoldo Piccardi|Piccardi]] al vertice dell'"Organizzazione dei lavoratori dell'industria" (che, come tutti i sindacati di origine corporativa, il [[governo Badoglio I|governo Badoglio]] intendeva ricostruire affidandolo alle forze democratiche): Buozzi divenne commissario, Roveda e Quarello vicecommissari.
Inizialmente si nascose nel [[provincia di Biella|Biellese]]. Dopo il 25 luglio 1943 e la caduta del fascismo si spostò a [[Roma]], dove insieme con il [[Partito Socialista Italiano|socialista]] [[Bruno Buozzi]] e il [[Democrazia Cristiana|democristiano]] [[Gioacchino Quarello]] si impegnò a preparare la Confederazione generale del lavoro unitaria. I tre furono inoltre designati dal ministro del lavoro [[Leopoldo Piccardi|Piccardi]] al vertice dell'"Organizzazione dei lavoratori dell'industria" (che, come tutti i sindacati di origine corporativa, il [[governo Badoglio I|governo Badoglio]] intendeva ricostruire affidandolo alle forze democratiche): Buozzi divenne commissario, Roveda e Quarello vicecommissari.

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Template:Membro delle istituzioni italiane Template:Membro delle istituzioni italiane Giovanni Roveda (Mortara, 4 giugno 1894Torino, 17 novembre 1962) è stato un antifascista, sindacalista e politico italiano. Fu il primo sindaco di Torino dopo la Liberazione, segretario generale del sindacato FIOM, membro della direzione nazionale del PCI, che aveva contribuito a fondare, e Senatore della Repubblica.

Biografia

Si trasferì giovanissimo a Torino, dove trovò lavoro come operaio in litografia. Nel 1909 entrò nella Gioventù socialista. Attivo in politica e nel sindacato, nel 1919 diventò segretario nazionale della Federazione italiana lavoranti in legno. In seguito diventò dirigente della sezione socialista di Torino e collaboratore de L'Ordine Nuovo. Nel 1920 capeggiò l'occupazione delle fabbriche e, nel 1921, fu tra i fondatori del Partito Comunista. Segretario generale della Camera del Lavoro di Torino, con l'avvento del fascismo fu aggredito ripetutamente dagli squadristi.

In seguito alle Leggi eccezionali del 1926, Giovanni Roveda, che faceva parte del Comitato centrale del Partito comunista d'Italia, venne arrestato. Il 20 febbraio 1928 fu condannato dal Tribunale speciale (con Antonio Gramsci, Umberto Terracini ed altri dirigenti del partito) a vent'anni e quattro mesi di carcere.

Dopo undici anni di carcere Roveda fu scarcerato per un'amnistia, ma «per mancanza di segni di ravvedimento» il 14 aprile 1937 fu mandato al confino [1] a Ponza. Fu poi trasferito a Ventotene, [2] dove rimase fino al marzo del 1943, quando riuscì a fuggire approfittando di un permesso per visitare la moglie malata. Durante l'incarcerazione e il confino aveva perso oltre quaranta chili di peso.

Inizialmente si nascose nel Biellese. Dopo il 25 luglio 1943 e la caduta del fascismo si spostò a Roma, dove insieme con il socialista Bruno Buozzi e il democristiano Gioacchino Quarello si impegnò a preparare la Confederazione generale del lavoro unitaria. I tre furono inoltre designati dal ministro del lavoro Piccardi al vertice dell'"Organizzazione dei lavoratori dell'industria" (che, come tutti i sindacati di origine corporativa, il governo Badoglio intendeva ricostruire affidandolo alle forze democratiche): Buozzi divenne commissario, Roveda e Quarello vicecommissari.

Dopo l'armistizio dell'8 settembre trovò rifugio nel "Seminario Pontificio Lombardo", che godeva dell'extraterritorialità vaticana, ma nel dicembre del 1943 vi fu arrestato dalla banda Koch. Fu poi trasferito nel Carcere degli Scalzi a Verona. Come ricorda il giornalista Carlo Silvestri i tedeschi ne volevano la condanna a morte per l'attività politica e sindacale svolta dopo la caduta di Mussolini[3] ma in suo favore si mosse il ministro Guardasigilli della RSI Piero Pisenti che esaminato il caso lo sottopose a Mussolini. Mussolini e Pisenti giunsero alla conclusione che contro Roveda non si sarebbe sporta denuncia e pertanto non sarebbe stato processato[4]. Roveda fu mantenuto sotto custodia nel carcere di Verona che era gestito dalle autorità della RSI e non fu consegnato ai tedeschi. Fu liberato il 17 luglio 1944 da un gruppo di sei militanti dei GAP guidati dal comandante garibaldino Aldo Petacchi. Dopo essere riusciti a liberare Roveda, i partigiani dovettero impegnare un aspro scontro a fuoco contro i militari fascisti repubblicani durante il quale tutti vennero feriti e due, Lorenzo Fava e Danilo Pretto, furono uccisi. Nonostante queste perdite l'azione ebbe successo, i superstiti riuscirono a fuggire e Roveda venne trasferito prima a Milano e poi a Torino[5].

Roveda non voleva essere liberato in quanto sapeva che questo avrebbe scatenato una scia di sangue dietro di lui e raccomandava alla moglie, in contatto con i partigiani veronesi, di non prestarsi a questa azione che invece avvenne. Infatti, non fu riconoscente di questa liberazione ai partigiani veronesi, come si lamentò in alcune interviste all'Arena di Verona uno dei protagonisti, Emilio Moretto detto Bernardino. Lo stesso Moretto riconosce in questo assalto il forte segnale politico e di rivolta.

Giovanni Roveda, in primo piano a destra, in piazza Vittorio a Torino il 6 maggio 1945. A sinistra Franco Antonicelli e al centro il Generale Alessandro Trabucchi

Nell'aprile 1945 partecipò alle cinque giornate di Torino, la liberazione della città ad opera dalle formazioni partigiane. Il 28 aprile 1945, nel pieno dell'insurrezione, il CLN della regione Piemonte (CLNRP) nominò Roveda sindaco di Torino a capo di una "Giunta Popolare" rappresentativa di tutte le forze politiche democratiche, mentre il socialista Pier Luigi Passoni venne nominato prefetto e Giorgio Agosti, esponente di spicco del movimento "Giustizia e Libertà", questore. Dopo l'ingresso in città del comando militare alleato (1º maggio 1945) e la resa del generale tedesco Schlemmer, il 3 maggio 1945 avvenne l'insediamento ufficiale della nuova giunta. La nuova amministrazione popolare della città comprendeva tra gli altri Ada Gobetti (vedova di Piero), Gioacchino Quarello (democristiano) e Domenico Chiaramello (socialista), vicesindaci, e il futuro premio Nobel Renato Dulbecco (azionista).
A partire dal 1923, con l'avvento del fascismo, Torino aveva subito sei anni di commissariamento e sedici di governo dei podestà: le ultime elezioni municipali si erano svolte un quarto di secolo prima, nel 1920.

Roveda rimase sindaco di Torino fino al 1946, quando fu eletto deputato alla Costituente. Nel frattempo era ritornato all'attività sindacale: diresse prima la Camera del Lavoro di Torino, poi (dal 1946 al 1956) la FIOM nazionale e infine, dal 1956, la "Federazione sindacale mondiale dei metallurgici". Fu anche membro della Direzione del PCI, senatore (di diritto dal 1948, rieletto nel 1953), presidente dell'INCA (Istituto Nazionale Confederale di Assistenza) dal 1953 al 1956.

Morì il 17 novembre 1962 a Torino in seguito a una flebite, provocata da un proiettile che l'aveva colpito durante l'evasione dal Carcere degli Scalzi e che non era stato possibile estrargli.

In molte città italiane gli sono state intitolate strade e associazioni di lavoratori, prima fra tutte nella sua Torino, dove gli è stata dedicata una via nel costruendo quartiere al momento della sua morte di Mirafiori Sud.

Note

  1. ^ Commissione di Torino, ordinanza del 14.4.1937 contro Giovanni Roveda (“Condannati dal Tribunale Speciale, a fine pena confinati per "mancanza di segni di ravvedimento"). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. I, p. 99
  2. ^ Commissione di Littoria, ordinanza del 24.3.1939 contro Giovanni Roveda (“Riassegnati al termine della pena precedente per la persistente pericolosità politica”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. IV, p. 1297
  3. ^ Carlo Silvestri, Mussolini Graziani e l'antifascismo, Longanesi, Milano, pag. 326
  4. ^ Carlo Silvestri, Mussolini Graziani e l'antifascismo, Longanesi, Milano, pag. 327:Dalla lettera inviata da Piero Pisenti a Silvestri il 20 marzo 1944: "Dopo aver personalmente esaminato gli atti del fascicolo Roveda, ho esposto le mie conclusioni a Mussolini. le accuse che la polizia gli muove si riferiscono tutte, senza eccezione alcuna, all'attività sua nel campo politico e sindacale durante il periodo 25 luglio-8 settembre, quando cioè il fascismo era caduto e Mussolini non era più capo del Governo, soggetto di particolari diritti. Dunque niente è incriminabile e tutto si attiene ad una manifestazione di pensiero che deve essere riconosciuta lecita.... Concludendo: Mussolini s'è convinto e Roveda non sarà denunciato né quindi processato per quanto fece nei 45 giorni. Di altro non credo egli abbia a rispondere"
  5. ^ P.Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol. V, pp. 379-380.

Bibliografia

  • Carlo Boccazzi Varotto, in I deputati piemontesi all'Assemblea Costituente, Milano, Franco Angeli, 1999
  • Berto Perotti, Attilio Dabini, Assalto al carcere. La storia e il racconto della liberazione di Giovanni Roveda dal carcere veronese "degli Scalzi", Verona, Cierre, 1995
  • Ferruccio Borio, I sindaci della libertà – Torino dal 1945 ad oggi, edizioni Eda, 1980

Collegamenti esterni



Predecessore Sindaco di Torino Successore
Michele Fassio 28 aprile 1945 - 17 dicembre 1946 Celeste Negarville