Il ragazzo selvaggio: differenze tra le versioni
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Versione delle 04:30, 25 nov 2013
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Truffaut in una scena del film | |
Paese di produzione | Francia |
Durata | 83 min |
Genere | drammatico |
Regia | François Truffaut |
Soggetto | da Jean Itard, Memoire et rapport sur Victor de l'Aveyron |
Interpreti e personaggi | |
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Il ragazzo selvaggio (L'enfant sauvage) è un film del 1970 diretto e interpretato da François Truffaut.
Il film, che segna la prima di una serie di collaborazioni tra Truffaut e il grande direttore della fotografia cubano Néstor Almendros, fu girato dal luglio al settembre 1969 in Auvergne e a Parigi, e fu proiettato in pubblico la prima volta il 26 febbraio 1970. Il film è realisticamente ispirato a una storia accaduta e raccontata da Jean Itard, che ebbe un forte impatto nella nascita della cosiddetta "pedagogia speciale".
Trama
Nel 1800, nel dipartimento francese dell’Aveyron, dei cacciatori trovano e catturano in una foresta un bambino. Questi, nudo e dall’aspetto sudicio, viene accolto in un piccolo villaggio destando l’interesse e la curiosità degli abitanti. La sua condotta si rivela ben presto incompatibile con il vivere del paese: egli graffia e morde chi gli si avvicina, non comunica se non con ringhi e ruggiti. Il caso accende e delude la curiosità di Parigi, che richiede il ragazzo nell’Istituto dei Sordomuti, sotto l’osservazione di psichiatri e psicologi. Il medico Itard, rifiutando la tesi dei colleghi che reputano il bambino un ritardato mentale irrecuperabile, decide di approfondire lo studio tentando un’educazione. Il bambino viene così condotto a casa del medico che inizierà a prendersene cura cercando un possibile reinserimento del selvaggio nella vita sociale. Così, insieme alla governante Madame Guérin, ogni azione diviene motivo di apprendimento, con le rispettive ricompense e punizioni. Pochi i progressi del ragazzo: la parola “lait” (latte) la pronunciava soltanto nel momento in cui, dopo richieste attraverso urla e crisi convulse, aveva ottenuto ciò che voleva (il latte), senza stabilire per questo una effettiva comunicazione. È proprio durante una prova di apprendimento dei suoni delle vocali che il bambino viene chiamato Victor, per il suo strano modo di girarsi nel momento in cui sentiva “oh”. I progressi di Victor si riassumono nella comprensione di piccole domande abbinate a dei compiti come “portami dell’acqua”. È forte il timore, da parte del medico, di una possibile fuga del ragazzo, dal momento in cui si legge in lui un’irrefrenabile voglia di libertà; la Luna lo rasserena quando è alta in cielo, e niente gli dà più sollievo che bere dell’acqua osservando pacificamente la foresta innanzi a lui.