Kundalini: differenze tra le versioni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
→‎Il risveglio della Kundalini: comincio a sistemare quest'altra sezione
→‎Bibliografia: +Feuerstein
Riga 104: Riga 104:


==Bibliografia==
==Bibliografia==
*[[(Georg Feuerstein]], ''Tantra. The Path of Ecstasy'', Shambhala publications, 1998.
*[[Gavin Flood]], ''L'induismo'', traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006.
*[[Gavin Flood]], ''L'induismo'', traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006.
*Gavin Flood, ''The tantric body'', Tauris & Co., 2006.
*Gavin Flood, ''The tantric body'', Tauris & Co., 2006.

Versione delle 20:41, 2 nov 2013

Kuṇḍalinī (devanagari: कुण्डलिनी; adattato in Kundalini) è un termine della lingua sanscrita adoperato originariamente in alcuni testi delle tradizioni religiose dello shivaismo kashmiro per indicare quell'aspetto della Śakti presente nel corpo umano, l'energia divina che si ritiene risiedere in forma quiescente in ogni individuo.[1] Il concetto di kundalini è stato ultimamente reso oggetto di interesse sia nella comunità medica, sia nei movimenti New Age.

Disegno schematico che rappresenta i cakra e la Kundalini quiescente nel corpo umano

Origine del termine e contesti d'uso

Sebbene la nozione di un corrispettivo dell'energia divina nel corpo umano e delle pratiche relative per gestirla si trovi già espressa e discussa in alcuni testi del corpus dei Bhairava tantra, quali a esempio il Netra Tantra, il Kubjikāmata Tantra e il Vijñānabhairava Tantra[2], sembra che la prima menzione del termine compaia nel Tantrasadbhāva, altro testo del medesimo corpus, risalente all'VIII secolo circa.[3]

Il passo è citato dal filosofo kashmiro Kṣemarāja (X-XI sec.) nel suo commento agli Śivasūtra:

«Questa potenza è chiamata suprema, sottile, trascende ogni norma di comportamento. Avvolta intorno al punto luminoso (bindu) del cuore, all'interno giace nel sonno, o Beata, in forma di serpente addormentato e non ha coscienza di nulla, o Umā. Questa Dea, dopo aver immesso nel grembo i quattordici mondi insieme con la luna il sole i pianeti, cade in uno stato di obnubilamento come di chi è offuscato dal veleno. È risvegliata dalla suprema risonanza naturale di conoscenza, [nel momento in cui] è scossa, o Eccellente, da quel bindu che sta nel suo grembo. Si produce infatti uno scuotimento nel corpo della Potenza con un impetuoso moto a spirale. Dalla penetrazione nascono per prima i punti splendenti di energia. Una volta levata Essa è la Forza (kalā) sottile, Kuṇḍalinī.»

I Bhairava tantra sono un insieme di opere, 64 per l'esattezza, che la tradizione vuole rivelate dal Dio Śiva nel suo aspetto Bhairava. Questi testi espongono una dottrina monista (ā-dvaita, "non-dualista"), cioè una visione metafisico-religiosa nella quale ogni aspetto nel cosmo, individui compresi, sono una manifestazione, un'espansione dell'Assoluto, Śiva. Molti di questi testi non ci sono pervenuti, ma ne abbiamo menzioni e citazioni sia in quelli attualmente conosciuti sia nei numerosi commenti che ne sono seguiti.

Lo stesso argomento in dettaglio: Tantra (testi induisti).

Occorre qui ricordare che la concezione di una relazione fra l'umano e il divino non è certo una prerogativa delle tradizioni in oggetto, tradizioni essenzialmente tantriche, ma risale, nella letteratura, a un'epoca antecedente, quella del brahmanesimo. Nella Chāndogya Upaniṣad (IX-VII secolo a.C.), ma anche in altre Upaniṣad, troviamo già espresso il concetto dell'identità fra l'essenza individuale e quella divina, fra ātman e brahman: «Quello sei tu»:

Lo stesso argomento in dettaglio: Ātman.

I testi del Bhairava tantra costituiscono il corpus canonico di opere sacre cui fanno riferimento alcune tradizioni religiose popolari per lo più sorte nella regione indiana del Kashmir, e confluite poi in quel sistema esegetico etichettato come Shivaismo del Kashmir. Queste tradizioni e scuole sostengono l'identità fra gli individui, l'universo e Dio, che, come già detto, è qui identificato con Śiva[4] o una sua ipostasi (come Bhairava, per esempio):

Lo stesso argomento in dettaglio: Shivaismo kashmiro.

Śiva è qui considerato causa materiale ed efficiente dell'universo, e il suo riflesso nel mondo è Śakti, l'energia divina che gli esseri e le cose nel mondo sperimentano come causa di ogni trasformazione. Sostantivo femminile, śakti è termine il cui significato è proprio "energia", "forza", e indica generalmente il potere, o l'insieme dei poteri di un dio, quelli che agiscono nel mondo fenomenico e sono la causa di ogni trasformazione, creazione e distruzione. Nella mitologia, questa śakti è spesso personificata come Dea e variamente denominata, oggetto di culto nelle correnti devozionali. Come Pārvatī, la "Figlia della montagna", per esempio, raffigurata come sposa di Śiva; o come Kālī, "Colei che domina il tempo".

Lo stesso argomento in dettaglio: Shakti e Devi.

Da questo punto di vista, Kuṇḍalinī non è che uno dei nomi della śakti, della Dea cioè: uno degli aspetti, in ultima analisi, di Dio. Così, prima di entrare nel dettaglio delle pratiche, si rivolge alla Dea Kuṇḍalinī il filosofo kashmiro Abhinavagupta (X-XI sec.), sistematore di queste tradizioni:

«O visione d'ambrosia immortale e suprema che splendi di luce cosciente scorrendo dalla Realtà assoluta, sii il mio rifugio. Grazie a essa ti adorano coloro che conoscono il mistico arcano.»

Il passo dal Tantrasadbhāva sopra citato procede lasciando intendere che il nome Kuṇḍalinī derivi da kuṇḍalī, generalmente tradotto con "ricurva"[5], o anche con "attorcigliata"[6]:

«Scossa dal bindu, l'immortale Ricurva (Kuṇḍalī) si drizza in una linea; essa è conosciuta allora come Diritta (Rekhinī).»

Il nome deriverebbe quindi dallo stato in cui normalmente si trova questa energia; "dormiente", "addormentata", "quiescente", "inattiva", "sopita", "inconscia": sono questi i termini che generalmente si trovano in letteratura per riferirsi alla kuṇḍalinī di cui non si è ancora preso coscienza tramite una delle pratiche canoniche. Il riferimento al serpente come immagine simbolica della kuṇḍalinī rende bene l'idea di qualcosa che normalmente è in stato di riposo, arrotolato su sé stesso come spesso il serpente giace fintanto che non venga stimolato o non si muova in cerca di cibo.

Il corpo yogico, o corpo sottile

Illustrazione del XIX secolo raffigurante nel corpo fisico un complesso costituito da tredici cakra del corpo yogico, le tredici tappe del percorso yogico di Kuṇḍalinī verso Śiva. È altresì rappresentata Kuṇḍalinī stessa in forma di serpente bianco arrotolato attorno alla vita.

Il seguace di queste tradizioni, che come si è detto sono spiccatamente tantriche, il tāntrika, ovvero l'adepto che guidato dal suo guru segue un percorso spirituale vòlto al conseguimento della liberazione (mokṣa) dal ciclo delle rinascite (saṃsāra), è ritenuto possedere una struttura complessa che convive col corpo fisico. Si tratta di un corpo immateriale, una struttura somatica inaccessibile ai sensi che l'adepto crea immaginandola e visualizzandola attraverso una serie di pratiche complesse.[7] Nella letteratura critica moderna a questo corpo è stato dato il nome di "corpo sottile"[8], per distinguerlo dal corpo fisico, che per contrasto è spesso detto "grossolano". Il termine non è soltanto adoperato per le dottrine in oggetto, ma lo si usa anche per rendere concetti simili pertinenti ad altre tradizioni, sia religiose che non, come quelle esoteriche. André Padoux, indologo francese esperto di tantrismo, fa però notare che questo termine, "corpo sottile", è improprio, perché è la traduzione letterale di sukṣmaśarīra, che si riferisce invece al corpo trasmigrante: il "corpo sottile" è quello che sopravvivendo alla morte è destinato a reincarnarsi (se non c'è stata liberazione). Padoux utilizza pertanto il termine "corpo yogico". Similmente, Gavin Flood utilizza il termine "corpo tantrico". David Gordon White usa anche il termine "corpo alchemico".

«Vivere, esistere consapevolmente come tāntrika, è vivere in un universo che si avverte penetrato dall'energia divina, un complesso energetico nel quale il corpo è immerso, facendone parte e offrendone un riflesso nella propria struttura: un corpo in cui sono presenti le forze sovrannaturali, le divinità, che lo animano e lo legano al cosmo, un corpo che ha una struttura e una vita divino-umane, e che è, inoltre, un corpo yogico.»

Yoga vuol dire letteralmente "unione"[9], e qui fa riferimento all'unione di Kuṇḍalini con Śiva, attraverso un viaggio di Kuṇḍalini stessa nel corpo dell'adepto, dal punto in cui giace come addormentata, alla base della colonna vertebrale, fino alla sommità del capo, dove si unisce a Śiva, donando la beatitudine della liberazione.[10]

«Il corpo tantrico non è un corpo dato e che viene poi riscoperto, ma un corpo costruito con l'impegno derivante da pratiche dedicate, con un lavoro che dura anni e anni.»

La comprensione reale di questo corpo da parte di noi occidentali, prosegue Gavin Flood, di cosa esso realmente significhi e di come sia vissuto dal tāntrika, dei suoi rapporti col cosmo in ultima analisi, è impresa velleitaria. Il corpo tantrico è fondamentalmente un testo nel senso lato del termine, uno strumento cioè per concettualizzare l'universo, le divinità, la lingua sanscrita e il linguaggio, la tradizione scritta stessa: qualcosa che la cultura di massa moderna al di fuori della tradizione certo non può comprendere né rendere. La visione del corpo tantrico da parte della civiltà occidentale è cosa emblematica, e rappresenterebbe un argomento in sé.[12]

Gli elementi principali di questo corpo sono i "canali" (nāḍī), i "centri" o "ruote" (cakra), i "punti" (bindu), il soffio vitale (vāyu). Va subito detto che non esiste una fisiologia univoca per il corpo yogico: il numero, le caratteristiche e le funzioni dei suoi componenti variano da tradizione a tradizione, da testo a testo. È in questo corpo che Kuṇḍalinī vive e si muove.

La fisiologia più diffusa per il sistema di cakra e nāḍī è quella che deriva dalle tradizione tantrica che fa riferimento alla dea Kubjikā, la Dea gobba, tradizione attestatasi nell'XI secolo. In questa sono descritti sette cakra, collocati rispettivamente nelle zone del: perineo (mūlādhāracakra), genitali (svādhiṣṭhānacakra), plesso solare (maṇipuracakra), cuore (anāhatacakra), gola (viśuddhacakra), fronte (ājñācakra), sommità del capo (sahasrāracakra) Le nāḍī principali sono tre: una centrale, la suṣumnā, e due laterali: iḍā e piṅgalā.[13]

Lo stesso argomento in dettaglio: Chakra.

Kubjikā è raffigurata nell'apparenza di una vecchia donna incurvata dagli anni: kubjika significa "curva"; questa Dea è infatti associata con Kuṇḍalinī. La tradizione in oggetto è la cosiddetta tradizione kaula occidentale, originaria dell'Himalaya occidentale, e attestata con certezza nel XII secolo in Nepal, dove ancora sopravvive[14]. Il Kubjikāmata Tantra è il testo più antico nel quale si trova menzione del sistema dei sei cakra, quello attualmente più noto e diffuso: testi precedenti menzionano un numero differente di cakra variamente collocati nel corpo sottile.[15]

Il serpente

Statua di Esculapio presso il Teatro di Epidauro, Grecia. Esculapio era il dio della medicina; il serpente, attorcigliato attorno a un bastone, animale a lui sacro e simbolo di rinnovamento.

«Il serpente, temibile per il suo veleno, simboleggia tutte le forze malefiche; allo stesso modo la kuṇḍalinī, finché riposa inerte in noi, corrisponde alle nostre energie inconsce, oscure, allo stesso tempo avvelenate e velenose. Inversamente, queste stesse energie, risvegliate e dominate, diventano efficienti e conferiscono una potenza reale.»

Simbolo ctonio, il serpente è il più usato per rappresentare la kuṇḍalini, associazione suggerita dagli stessi testi indiani appartenenti alla tradizione, come il sopra citato Tantrasadbhāva. In quanto abitatore del sottosuolo, questo animale simboleggia una forza occulta, misteriosa e pericolosa. Ma, come spesso avviene nel mito, le cose pericolose, quando conosciute, perdono quest'aspetto per svelarne un altro opposto, benefico. La kuṇḍalinī, quando riposa è come un serpente raccolto su sé stesso, pronto a scattare per mordere e così iniettare il suo veleno; ma quando è risvegliata è come il serpente dritto sulla punta della coda, rigido come un bastone, inoffensivo.[1]

Questo simbolismo del serpente come energia cosmico-divina trova analogia in quello ravvisato nell'analisi di Carl Gustav Jung per l'energia psichica, la libido:

«Il serpente rappresenta la libido che si introverte. Attraverso l'introversione si viene fecondati da Dio, ispirati, ri-procreati e rigenerati»

Fin dall'antichità, il serpente è stato considerato simbolo di trasformazione grazie alla sua capacità di mutare pelle, ed è stato associato al benessere fisico, spirituale e all'illuminazione. Il Bastone di Asclepio, simbolo della moderna medicina, e il Caduceo di Hermes, messaggero degli dèi (cioè mediatore fra l'umano e il divino), presentano rispettivamente uno e due serpenti che si avvolgono attorno ad un bastone. Quest'associazione fra bastone e serpente compare anche in altre narrazione mitologiche, come quella descritta nell'Antico Testamento:

«Il Signore gli disse: "Che hai in mano?". Rispose: "Un bastone". Riprese: "Gettalo a terra!". Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente, davanti al quale Mosè si mise a fuggire. Il Signore disse a Mosè: "Stendi la mano e prendilo per la coda!". Stese la mano, lo prese e diventò di nuovo un bastone nella sua mano.»

Sculture in pietra rinvenute presso templi del Sud dell'India, che testimoniano la sopravvivenza, in epoca più recente, dell'antico culto dei serpenti.

Il culto dei serpenti era, in India come altrove, diffuso già prima del V secolo p.e.v. I Nāga erano un popolo di esseri metà uomo metà serpente, depositari di un'antica conoscenza, e tuttora sopravvivono, presso alcuni templi indiani, raffigurazioni di questi esseri mitologici. Gli stessi Asura, una classe di dèi vedici erano raffigurati anche come dèi-serpente.[16]

«Il Veda è in realtà il sapere dei serpenti.»

Śiva è sempre raffigurato come ornato di serpenti; ma anche Viṣṇu è associato al serpente cosmico Śeṣa. L'iconografia canonica del filosofo buddhista Nāgārjuna lo vuole assorto in meditazione all'ombra di un serpente (nāgā) a una o più teste.

Nell'antica Creta il culto dei serpenti rivestiva un aspetto importante, e così pare anche in alcuni culti dionisiaci. Il serpente, come simbolo variamente significato, compare in molte altre civiltà e manifestazioni a carattere religioso, e a tutt'oggi se ne trovano ancora esempi, come nella festa di San Domenico di Sora in Abruzzo.[16]

La visione occidentale di Kuṇḍalini

In Occidente l'immagine del serpente come simbolo della kuṇḍalini è molto diffusa e la si deve a Sir John Woodroffe, magistrato britannico presso la Corte suprema del Bengala e appassionato di tantrismo che, con lo pseudonimo di Arthur Avalon, pubblicò nel 1919 un testo sull'argomento[17] dal titolo Il potere del serpente. A lui si deve la diffusione di massa di questo fondamentale argomento delle tradizioni tantriche, così come di altri, quali i cakra: nel medesimo testo, infatti, egli presenta una parziale traduzione di due testi, lo Ṣatcakranirūpaṇa e il Pādukāpañcaka, il primo sul sistema dei sei cakra, il secondo sulla struttura a cinque strati del corpo tantrico. A lui va l'indiscusso merito di aver presentato questi argomenti alla cultura occidentale e di aver così suscitato interesse verso quell'insieme di variegati e controversi aspetti dell'induismo che, in occidente stesso, è stato etichettato come "tantrismo", termine inesistente nella cultura hindu.[18]

La decontestualizzazione di questi concetti, la kuṇḍalini e il suo risveglio, i cakra, il corpo sottile, ma anche i mantra e forse soprattutto le pratiche sessuali tipiche di alcune tradizioni tantriche, ha però creato, cosa inevitabile, una serie di fraintendimenti, favorendo di riflesso la diffusione di manipolazioni e letture personalizzate. La Società Teosofica prima[19] e i movimenti New Age poi, si sono appropriati dell'argomento kuṇḍalini, rivestendolo di aspetti impropri.

Ma la kuṇḍalini ha interessato anche studiosi quali lo psicoanalista Carl Jung[20], che ha cercato paralleli con la struttura e il funzionamento dell'inconscio, trovando corrispondenze dei suoi concetti di anima e animus con Kuṇḍalini e Śiva rispettivamente.[19]

Jung, che aveva letto il testo di Avalon nel 1930, seguito i seminari dell'indologo tedesco Wilhem Hauer sullo Yoga, e si era già espresso affermando di aver trovato interessanti corrispondenze fra la propria visione e quella dello Yoga stesso, ebbe però un atteggiamento ambivalente nei confronti della kuṇḍalinī, ravvisando, nelle tecniche di risveglio della stessa, il pericolo di essere sommersi dalle forze dell'inconscio, qualcosa che quindi si opponeva alla realizzazione della personalità. Interessante è la sua visione della disposizione anatomica dei cakra: il primo cakra, quello dove riposa Kuṇḍalinī, il mūlādhāra, dovrebbe essere situato in alto, e l'ultimo in basso.[21]

Il risveglio della Kundalini

Disegno moderno che simbolizza il mūlādhāracakra, nel quale Kuṇḍalini riposa. Al centro, il mantra monosillabico (bījamantra) associato al cakra in scrittura devanagari: LAṂ, corrispondente all'elemento grosso "terra".

Come accennato, nelle tradizioni tantriche la liberazione dal ciclo dlle rinascite è vista come il "risveglio" di Kundalini seguito dalla relativa ascesa (śat chakra bedhana) nel corpo sottile fino all'ultimo chakra, dove stabilmente deve permanere in unione con Śiva. In questo stadio l'adepto ha definitivamente abbandonato il suo ego individuale (ahmakara) per identificarsi col Soggetto universale (aham).[22]

Secondo gli yogi, tale energia si risveglia e dinamizza attraverso il sadhana (pratica della disciplina) ed entra nella direttrice centrale, detta Sushumna o Shusumna, nella fisiologia sottile delle tre principali nadi del corpo umano, così da risalire i chakra superiori fino alla sommità del cranio.

Lungo il suo percorso, la Kundalini attraversa i chakra risvegliandoli e potenziandoli. Giunta al settimo chakra, detto Sahasrara o anche "loto dai mille (petali)", essa si connette con l'energia onnipervadente universale e questa connessione è detta yoga, termine che significa appunto unione; a questo livello l'individuo raggiunge uno stato che viene comunemente definito Realizzazione del Sé o risveglio secondo la tradizione indiana.

Secondo gli adepti del Sahaja Yoga, l'innalzarsi di questa energia permetterebbe di sperimentare, in piena consapevolezza, nuovi stati di coscienza e sarebbe solitamente accompagnato da una serie di fenomeni particolari che possono essere di tipo fisico, sensoriale, percettivo. L'effettiva manifestazione del risveglio della Kundalini è la consapevolezza e la conoscenza del passato presente e futuro, e un'espansione della coscienza. Grazie all'azione benefica della Kundalini sui chakra e sul sottile in genere, si può raggiungere uno stato di benessere completo, un senso di gioia ed armonia incondizionati. Il risveglio della Kundalini non può essere forzato. Anticamente esso poteva avvenire solo e soltanto quando tutti i chakra del praticante erano perfettamente purificati e quindi aperti: non offrendo più ostacolo, la Kundalini poteva salire e attraversarli. Il risveglio della Kundalini può avvenire anche per risonanza (come avviene nella risonanza acustica)[senza fonte], ovvero essa si risveglia nell'individuo quando questi si trova in presenza di un'altra persona la cui Kundalini è già risvegliata. Una volta avvenuto il risveglio, si può percepire la Kundalini come dell'aria, o brezza, fresca sulla sommità della testa e sui palmi delle mani.[senza fonte]

Secondo la maggioranza degli studiosi, la realtà delle affermazioni precedenti è piuttosto semplicistica e tutta da verificare e secondo molte altre scuole esoteriche (non solo yogiche in senso stretto, ma cristiano-esoteriche come l'Archeosofia di Tommaso Palamidessi) il risveglio della kundalini è da farsi con estrema cautela. Il motivo è il seguente: si tratta di una forza primordiale, poderosa, molto utile per trarne energia per lo sviluppo dei singoli chakra, per le pratiche tantriche, e per i lavori ascetici in genere, ma deve essere sviluppata gradualmente e con attenzione, con spirito puro e scevro da passioni e vizi, e soprattutto deve essere ben controllata, perché può essere un buon servitore ma cattivo padrone.

Note

  1. ^ a b Silburn 1997.
  2. ^

    «Il soffio ascendente esce, il soffio discendente entra, di sua propria volontà, in forma sinuosa. La Grande Dea si estende dappertutto, Suprema-Infima, supremo luogo sacro.»

    "Con l'espressione «forma sinuosa» si allude alla kuṇḍalinī": nota di Raniero Gnoli, p. 119, cit.
  3. ^ Così l'indologo David Gordon White; cfr.: Flood, The tantric body, Op. cit., p. 160 e segg.
  4. ^ Flood, L'induismo, Op. cit., p. 227.
  5. ^ Così appunto traduce Raffaele Torella nel testo citato.
  6. ^ Così è tradotto in David Gordon White, Il corpo alchemico, traduzione di Pasquale Faccia, edizioni Mediterranee, 2003, p. 277. Anche Lilian Silburn traduce così (Silburn 1977, cit., p. 181).
  7. ^ Padoux 2011, p. 97.
  8. ^ In lingua inglese è subtle body.
  9. ^ Mircea Eliade, Lo Yoga. Immortalità e libertà. Milano, Rizzoli, 1997, p. 20.
  10. ^ Flood, L'induismo, Op. cit., p. 218 e segg.
  11. ^ «The tantric body is not a given that is discovered but a process that is constructed through dedicated effort over years of practice.»
  12. ^ Flood, The tantric body, Op. cit., p. 5 e segg.
  13. ^ Flood, L'induismo, Op. cit., p. 134.
  14. ^ Padoux 2011, p. 79.
  15. ^ Flood, L'induismo, Op. cit., pp. 253-254.
  16. ^ a b Alain Daniélou, Śiva e Dioniso, traduzione di Augusto Menzio, Ubaldini Editore, 1980, p. 106 e segg.
  17. ^ Arthur Avalon, The Serpent Power, London, Luzak & Co, 1919.
  18. ^ Padoux 2011, pp. 225-226.
  19. ^ a b Robert Beér, The Encyclopedia of Tibetan Symbols and Motifs, Serindia Pubblications, 2004, p. 134.
  20. ^ Vedi: La psicologia del Kundalini-Yoga, seminario tenuto nel 1932, a cura di Sonu Shamdasani, edizione italiana a cura di Luciano Perez, Torino, Bollati Boringhieri, 2004.
  21. ^ «In the East the unconscious is above, while with us is below, so we can reverse the whole thing». Citato in Ronald Hayman, A Life of Jung, Bloomsbury Publishing, 2002 (1999), p. 301 e segg.
  22. ^ Feuerstein 1998, p. 183

Bibliografia

  • (Georg Feuerstein, Tantra. The Path of Ecstasy, Shambhala publications, 1998.
  • Gavin Flood, L'induismo, traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006.
  • Gavin Flood, The tantric body, Tauris & Co., 2006.
  • André Padoux, Tantra, a cura di Raffaele Torella, traduzione di Carmela Mastrangelo, Einaudi, 2011.
  • Lilian Silburn, La kuṇḍalinī o L'energia del profondo, traduzione di Francesco Sferra, Adelphi, 1997.

Voci correlate

Altri progetti