Montedison: differenze tra le versioni

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Montecatini Edison, Montedison
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StatoBandiera dell'Italia Italia
Fondazione
Chiusura2002
Sede principaleMilano

La Montecatini Edison S.p.A., dal 1966 al 1969, abbreviata poi in Montedison S.p.A., è stata un grande gruppo industriale e finanziario italiano, conosciuto con questo nome fino al 2002; attivo prevalentemente nella chimica, aveva però interessi in numerosi altri settori (farmaceutica, energia, metallurgia, agroalimentare, assicurazioni, editoria).

Costanti della sua storia sono stati il dualismo con il polo chimico pubblico dell’ENI, l’influenza da parte di Mediobanca ed un capitale sociale frammentato, spesso privo di un azionista di controllo e soggetto a frequenti scalate in Borsa.

Nel 1975 la Montedison aveva un fatturato di 5,41 miliardi di dollari e 150.555 dipendenti.[1] La parabola della Montedison, nata come uno dei maggiori gruppi chimici mondiali e gradualmente ridimensionata, è stata vista da molti commentatori come esemplificativa del declino industriale dell'Italia, incapace di esprimere multinazionali di dimensioni adatte a competere sui mercati mondiali.

Storia

Origini: Montecatini ed Edison

La Montedison nacque nel 1966 dalla fusione tra Montecatini ed Edison; la Montecatini fu costituita nel 1888 a Montecatini Val di Cecina (PI) per lo sfruttamento delle locali miniere di rame; negli anni dieci del XX secolo entrò nel settore chimico e nei decenni successivi diventò, a colpi di brevetti e di acquisizioni, la maggior azienda chimica italiana, pressoché monopolista in alcune produzioni come l’acido solforico, i concimi, i coloranti (tramite la controllata ACNA); nel 1936, in collaborazione con l’AGIP, costituì l’Anic (Azienda Nazionale Idrogenazione Carburanti), con lo scopo di produrre benzina sintetica, e che sarebbe stato il primo nucleo dell’industria petrolchimica italiana. La Edison nacque nel 1895 a Milano e fu una delle prime aziende a sfruttare in Italia quell’energia idroelettrica che fu alla base della prima industrializzazione italiana, costruendo dighe lungo l’arco alpino, in particolare in Lombardia; già ai primi del ‘900 la Edison era uno dei gruppi industriali dominanti in Italia, suddividendosi il controllo del mercato elettrico nell’Italia del Nord con la SIP - Società Idroelettrica Piemontese, concentrata in Piemonte e Liguria, e la SADE, forte nel Nord Est.

Il dopoguerra e la fusione

Già nell’immediato dopoguerra in Italia si ipotizzava la nazionalizzazione dell’industria elettrica, fino ad allora in mano ad aziende private come la stessa Edison; la prospettiva di subire un esproprio delle proprie attività indusse le aziende elettriche a diversificare: la Edison scelse di investire prevalentemente nella petrolchimica, attratta anche dagli incentivi concessi dallo Stato. Negli anni ’50 così gli interessi della Edison entrarono in collisione con quelli della Montecatini, in difficoltà finanziarie per i forti investimenti richiesti dalla costruzione del polo petrolchimico di Brindisi, ma all’avanguardia nella ricerca sui nuovi materiali (il polipropilene isotattico), grazie all’industrializzazione dei brevetti derivanti dalle ricerche del chimico Giulio Natta, premio Nobel nel 1962. Nel 1962, con la costituzione dell’Enel, la nazionalizzazione dell’industria elettrica ebbe effettivamente luogo; le aziende private dovettero conferire i loro impianti al neonato ente elettrico, ricevendo in cambio dei cospicui indennizzi. La stessa Montecatini nel 1963 acquisì l’ex azienda elettrica SADE, con il solo scopo di appropriarsi degli indennizzi; ma il dissesto finanziario della Montecatini trovò soluzione solo il 7 luglio 1966 con la fusione per incorporazione di Montecatini - Società generale per l'Industria Mineraria e Chimica in Edison, anch’essa forte degli indennizzi ricevuti dallo stato in seguito alla nazionalizzazione; la fusione fu progettata da Mediobanca, che affidò la guida della Montedison ai dirigenti della “vecchia” Edison. Nel 1968, sempre con la supervisione di Mediobanca, la Sogam (finanziaria a controllo congiunto IRI-ENI) rastrellò in borsa un pacchetto di azioni pari al 15-20% del capitale, sufficiente a garantire la qualifica di azionista di riferimento.

Gli anni Settanta

Nel 1971 Eugenio Cefis, già presidente dell’ENI, fu nominato presidente della Montedison, carica che avrebbe mantenuto fino al 1977; la stampa dell’epoca vedeva la Montedison più come uno strumento di Cefis per realizzare non meglio precisati disegni politici (anche di tipo golpistico)[2] che non come un gruppo industriale collegato con l’ENI, che ne deteneva congiuntamente all’IRI il pacchetto di controllo. Il sospetto era avvalorato dall’acquisizione del quotidiano Il Messaggero e dalle mire di Cefis sul Corriere della Sera: i quotidiani sarebbero dovuti servire per aumentare il peso politico di Cefis e del suo referente politico Amintore Fanfani[3]. A prescindere da ciò, negli anni ’70 la Montedison infilò una lunga serie di bilanci in rosso, appena mitigati da proventi finanziari ricercati proprio con lo scopo di “abbellire” i risultati fiaccati dal cattivo andamento della gestione industriale[4]. Nonostante la presenza dell’ENI nel capitale, la Montedison ne era di fatto autonoma, comportandosi con l’ente petrolifero come un concorrente, entrandovi in collisione specialmente per l’assegnazione dei cospicui aiuti pubblici che in quegli anni erano erogati a fronte degli investimenti industriali nel Mezzogiorno. All’IRI Montedison poté cedere alcune aziende alimentari (come la Pai e la Pavesi) acquistate dalla Edison nel decennio precedente, mentre approfittò della creazione dell’EGAM per cedergli le poco redditizie attività minerarie ereditate dalla Montecatini[5].

Gli anni Ottanta

Nel 1981 ebbe luogo la “riprivatizzazione” della Montedison: sotto la regia di Mediobanca un consorzio partecipato dai gruppi Agnelli, Pirelli, Bonomi e Orlando acquisì il pacchetto di controllo in mano agli enti pubblici. Grazie anche ad una congiuntura favorevole i conti della Montedison andarono migliorando, ed il presidente Mario Schimberni se ne avvantaggiò perseguendo una politica di autonomia dai maggiori azionisti, compiendo operazioni come l’acquisizione della compagnia assicurativa Fondiaria, nonostante il parere contrario di Mediobanca. Anche per questo i maggiori soci uscirono progressivamente dall’azionariato, mentre vi entrarono gruppi “emergenti” come il gruppo Varasi (vernici), la Inghirami (abbigliamento), la Maltauro (costruzioni) ed il gruppo Ferruzzi (agroalimentare); quest’ultimo, guidato da Raul Gardini, venne ad assumere una posizione via via predominante tramite gli acquisti in Borsa e nel 1987 deteneva più del 40% del capitale, diventando il socio di comando. Il disegno imprenditoriale del gruppo Ferruzzi, attivo soprattutto nel settore agro-alimentare, non sembrava del tutto coerente con le attività della Montedison: secondo alcune interpretazioni la Ferruzzi aveva cominciato ad intuire le potenzialità della “chimica verde” (ad esempio nei biomateriali o nelle bioenergie)[6], intravvedendovi possibili sbocchi di mercato per le materie prime agricole.

La nascita di Enimont

Nel 1988 ENI e Montedison conferirono alla joint venture Enimont (40% ENI, 40% Montedison, 20% flottante) le proprie attività chimiche: si realizzava così quell’alleanza tra chimica pubblica e chimica privata che molti auspicavano da anni. La vita di Enimont fu breve e travagliata: nel 1989 la Montedison sembrò in un primo momento mirare alla maggioranza assoluta del capitale, ma già nel 1990 finì col cedere la totalità delle attività chimiche all’ENI, ricevendone in cambio 2.805 miliardi di lire[7], un prezzo valutato in seguito come esorbitante; in seguito intorno alla gestione ed alla trattativa per la cessione di Enimont emersero episodi di corruzione[8].

Gli anni Novanta

Con l’uscita quasi totale dal settore chimico e con la riorganizzazione del gruppo Ferruzzi, la Montedison era diventata una semplice holding di partecipazioni che controllava (attraverso complesse architetture societarie) aziende come la Eridania Beghin Say (zucchero), la Fondiaria (assicurazioni), la Cereol (semi oleosi) e la Carapelli (olio d’oliva), nonché la “nuova” Edison, capogruppo per le attività nell’energia ricostituita nel 1991 per sfruttare le opportunità prospettate dalle tendenze emergenti verso la liberalizzazione dei mercati energetici. Nel 1993 Montedison si trovava con un indebitamento insostenibile che costrinse i Ferruzzi a cedere il controllo del gruppo alle banche creditrici, capeggiate dalla “solita” Mediobanca. Il decennio fu caratterizzato dal risanamento societario e dalle cessioni e riorganizzazioni finalizzate alla riduzione dell’indebitamento. Artefice di questa rinascita è il "chimico" Enrico Bondi, che avrà poi modo di confermare le sue grandi qualità nel salvataggio di altre realtà scricchiolanti, ultima delle quali Parmalat.

L’OPA di EDF e la fine della Montedison

Ancora una volta gli azionisti “di controllo” della Montedison non avevano forza per proteggere la società da scalatori di borsa. Nella primavera del 2001 furono il finanziere Romain Zaleski e l’ente elettrico di stato francese EDF a rastrellare azioni Montedison; EDF arrivò a detenere il 30% circa del capitale, ma il governo italiano si oppose alla presa di potere del colosso di stato francese, adducendo la mancanza di “reciprocità” per le aziende italiane di scalare le aziende energetiche francesi. In effetti ciò che interessava ad EDF erano le centrali elettriche e le quote di importazione per il gas di Edison, nella prospettiva di liberalizzazione del mercato energetico italiano. Lo stallo che si era creato fu risolto con la costituzione della holding Italenergia, partecipata da Fiat, EDF e Zaleski e che controllava la maggioranza di Montedison, che nel 2002 mutò nome in Edison e cedette tutte le partecipazioni ereditate dalla vecchia Montedison, diventando a tutti gli effetti un gruppo energetico.

Le attività ex-Montedison

A partire dalla vicenda Enimont e proseguendo con la crisi finanziaria del gruppo Ferruzzi, la Montedison cedette molte attività, ciascuna delle quali seguì destini diversi; negli anni Duemila vi sono tuttora alcune aziende che portano nel nome la loro precedente appartenenza al gruppo Montedison:

  • Edison: scomparsa dopo la fusione del 1966, la denominazione fu ripresa nei primi anni ’90 come filiale della Montedison per le attività energetiche, e sostituì la SELM; dopo avere assorbito le attività elettriche nel gruppo Falck, nel 2001 era diventato l’asset più importante del gruppo ed era ciò a cui in realtà mirava EDF quando scalò la Montedison. Ha ereditato dalla “vecchia” Edison la sede storica di Foro Buonaparte a Milano.
  • Tecnimont: operante nel settore dell’ingegneria civile ed industriale, nel 2005 è stata ceduta dalla Edison al gruppo Maire Engineering (già Fiat Engineering), dando origine a Maire Tecnimont.
  • Novamont: con sede a Novara, è un’azienda specializzata nella produzione di bioplastica a partire dal mais, che ha ottenuto riconoscimenti a livello internazionale per la sua produzione di materiali biodegradabili.[9]
  • Montefibre: nome del vecchio raggruppamento Montedison attivo nella produzione di tecnofibre; conferita alla Enimont passò successivamente all’EniChem; nel 1997 la proprietà fu rilevata dal gruppo tessile Orlandi. L’azienda porta ancora il vecchio nome ed è quotata in Borsa.

Altre attività sono state invece cedute e quindi assorbite da altri gruppi industriali, da cui il cambio della denominazione. La maggior parte delle attività chimiche “tradizionali” in effetti passarono all’EniChem nel 1991, dopo la vicenda Enimont; non così però le attività tecnologicamente più avanzate, come quelle raggruppate in Ausimont ed Himont, che rimasero “in pancia” a Montedison fino al 2002, quando l’azienda completò il processo di rifocalizzazione sull’energia:

-il ramo agrofarmaci (insetticidi, erbicidi, fungicidi) è stato ceduto nel 1992 ad una società neocostituita, la Isagro, tuttora attiva e quotata in Borsa;

-il ramo fertilizzanti fu ceduto alla Norsk Hydro nel 1996;

  • Ausimont: specializzata nella chimica del fluoro e delle tecnoplastiche, rimase controllata dal gruppo Montedison fino al 2002, quando fu ceduta ed assorbita dal gruppo chimico Solvay.
  • Himont: joint-venture tra Montedison e l’americana Hercules, l’azienda, che produceva polipropilene, era considerata uno dei “gioielli” tecnologici del gruppo, che infatti non volle conferirla ad Enimont al momento della sua costituzione; subentrata alla Hercules la Shell (da cui la denominazione Montell), la Montedison la cedette completamente nel 1997. Successivamente, dopo l'entrata di BASF nel 2000 divenne Basell). Nel 2005, sia Basf sia Shell vendettero l'azienda ad una cordata di aziende, tra cui Access Industries e Chatterjee Group per circa 4,4 miliardi di euro[10]. Attualmente (Dicembre 2007), dopo l'ennesima fusione (stavolta con l'americana Lyondell) ha acquisito il nome di LyondellBasell.
  • Farmitalia: neanche il polo farmaceutico della Montedison entrò nell’affare Enimont, ma fu comunque ceduto pochi anni dopo alla Pharmacia (oggi Pfizer); Montedison ne conservò però il ramo aziendale denominato Antibioticos, specializzato nella sintesi di principi attivi antibiotici, che fu venduto alla Fidia Farmaceutici solo nel 2003.

Singoli stabilimenti specializzati in produzioni di nicchia sono stati assorbiti da aziende chimiche emergenti come quello di Pallanza (già Montefibre), che tuttora produce PET e che venne rilevato nel 1989 dal gruppo Mossi & Ghisolfi, o quello di Novara (già Montedipe), che produce principalmente fibre poliammidi e che passò invece al gruppo Radici.

Aree ex-Montedison

L'avventura industriale della Montedison non ha però lasciato solo attività produttive, ma anche numerosi impianti che sono stati chiusi o notevolmente ridimensionati, creando aree "ex-Montedison" in tutta Italia:

In ognuno di questi siti la cessazione dell’attività ha determinato per le popolazioni difficoltà occupazionali e la complessa ricerca di soluzioni per destinare a nuovi usi le enormi aree dismesse, che richiedono anche interventi di bonifica dall’inquinamento di origine industriale.

Esistono varie versioni sull'origine del logo che identificava la Montedison e le sue filiali:

  • il sito della Edison ([2]) riporta che fu creato appositamente dalla società statunitense Landor nel 1972 per identificare la Montedison e tutte le altre società del gruppo;
  • un'altra versione sostiene che il logo sia stato realizzato casualmente: scarabocchiando l'interno di un fermaglio per fogli in vari punti, un grafico notò il suo alto valore comunicativo e pensò che potesse essere quello il logo per rappresentare la Montedison;
  • una terza versione sostiene che il logo del gruppo Montedison, fu disegnato durante una riunione generale nel Petrolchimico Nord di Porto Marghera dall'ingegner Cesare Niero (classe 1925), responsabile d'impianto dei fertilizzanti azotati e dell' acido nitrico (Dipa: Agrimont, Fertimont, Montecatini, Azotati (ex FIAT), disegnando 4 fermagli da fogli, disposti a 45 gradi quasi ad indicare "un'aquila che spicca il volo", ricordata poi come L'aquila (il più regale tra i volatili) della Montedison, la più regale industria nel settore chimico e di raffineria.
Logo Standa nel periodo Montedison usato dal 1973 al 1988

Nel 1992, quando la Montedison era già nei suoi ultimi anni, il suo logo era riportato sulla fiancata de Il Moro di Venezia, la barca di Raul Gardini, prodotta presso Tencara che arrivò fino alla finale dell'America's Cup.

Inoltre esso servì per alcuni anni a identificare la Standa, quando essa fu di proprietà Montedison.

Presidenti

Voci correlate

Personaggi

  • Enrico Bondi fu amministratore delegato della Montedison negli anni '90
  • Enrico Cuccia incoraggiò la fusione tra Montecatini ed Edison

Luoghi

Aziende del gruppo Montedison

Note

  1. ^ dalla classifica di Fortune, citata in Le società multinazionali, Rizzoli Editore, 1975, pagg. 206-207
  2. ^ P. Ottone riporta in Il gioco dei potenti, Longanesi, 1985, che Cefis avrebbe riferito ad amici che Cuccia si sarebbe rivolto a lui nel momento in cui abbandonò la presidenza della Montedison dicendo "Questo da Lei non me l'aspettavo. Credevo che Lei avrebbe fatto il colpo di Stato." Citato in G. Galli, Il padrone dei padroni, pag. 112, nota 19. In un'intervista pubblicata dopo la sua morte, Cefis confermò in sostanza la frase rivoltagli da Cuccia, a cui disse di avere risposto "Ma lei è matto", non capendo quando e come avesse potuto dare a Cuccia questa sensazione; Dario Di Vico, Non ho mai capito di che golpe parlasse Cuccia, Corriere Economia, 5 giugno 2006. Per i retroscena politici della scalata di Eni alla Montedison si veda E. Scalfari, G. Turani, Razza padrona. Storia della borghesia di stato, Feltrinelli, 1974, pagg. 153 e seguenti
  3. ^ G. Galli, Il padrone dei padroni, pagg. 107-108
  4. ^ G. Baldi, I potenti del sistema, pag. 117
  5. ^ G. Baldi, I potenti del sistema, pagg. 117 e 167
  6. ^ così ad esempio già in C. Peruzzi, Il caso Ferruzzi, Edizioni del Sole 24 Ore, 1987, pag. 177
  7. ^ V. Zamagni, L'Eni e la chimica, da Energia n°3/2003, pag. 21
  8. ^ G. Galli, Il padrone dei padroni, pagg. 191-197
  9. ^ La costituzione di Novamont risale al 1990, quando Montedison era controllata da Ferruzzi; ciò fa pensare che effettivamente esistessero delle possibili sinergie tra i due gruppi, anche se il settore delle bioenergie era all'epoca ancora agli albori. Vedi anche il sito web di Novamont([1])
  10. ^ *Notizia dell'acquisto su Polimerica.it
  11. ^ http://www.bathroomdesign.it/CS12-BATHROOM.pdf

Bibliografia

  • Franco Briatico, Ascesa e declino del capitale pubblico in Italia. Vicende e Protagonisti, Il Mulino, 2004
  • Gianni Baldi, I potenti del sistema, Arnoldo Mondadori, 1976
  • Giorgio Galli, Il padrone dei padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti Editore, 1995, ISBN 88-11-73851-2
  • N. Crepax, Storia dell'industria in Italia, Il Mulino, 2002
  • A. Marchi, R. Marchionatti, Montedison 1966-1989. L'evoluzione di una grande impresa tra pubblico e privato, Franco Angeli, 1992
  • Massimo Mucchetti, Licenziare i padroni?, Feltrinelli, 2004
  • Cesare Peruzzi, Il caso Ferruzzi, Edizioni del Sole 24 Ore, 1987