Rapporti tra il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista Italiano: differenze tra le versioni

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Più in generale i ''carristi'' erano contrari alla politica di centro-sinistra, contro ogni collaborazione diretta o indiretta con la [[Democrazia Cristiana]], definito il partito della conservazione.
Più in generale i ''carristi'' erano contrari alla politica di centro-sinistra, contro ogni collaborazione diretta o indiretta con la [[Democrazia Cristiana]], definito il partito della conservazione.


Su di essi il [[Partito Comunista Italiano|PCI]] puntava per mantenere un qualche legame con il PSI, anche se non esitavano a contraddirli clamorosamente. È quanto avvenne alla costituzione del governo di centro-sinistra, quando lo stesso [[Palmiro Togliatti]] li accusò di fare del ''[[massimalismo]] sterile''.
Su di essi il [[Partito Comunista Italiano|PCI]] puntava per mantenere un qualche legame con il PSI, anche se non esitavano a contraddirli clamorosamente. È quanto avvenne alla costituzione del governo di centro-sinistra, quando lo stesso [[Palmiro Togliatti]] li accusò di fare del ''[[Massimalismo (politica)|Massimalismo]] sterile''.


==Voci correlate==
==Voci correlate==

Versione delle 02:28, 21 nov 2012

Nella storia politica italiana, il termine social-comunismo è stato usato per indicare la stretta collaborazione manifestatasi nei primi anni del secondo dopoguerra, in Parlamento e nel paese, fra il Partito Socialista Italiano (PSI) e il Partito Comunista Italiano (PCI).

La politica dei due partiti si sviluppò, in un primo tempo, sulla base di un patto di unità d'azione che, sottoscritto nel 1934 per la comune lotta contro il fascismo, venne rinnovato il 25 ottobre 1946.

Molti furono i livelli e i settori nei quali tale collaborazione si sviluppò:

Crisi del socialcomunismo

La stretta collaborazione tra i due partiti cominciò ad incrinarsi seriamente dal 1956. Tre furono i fatti che accentuarono il progressivo distacco del PSI dal PCI:

  1. il riesame della situazione politica italiana e la crescente consapevolezza della sterilità della politica frontista;
  2. la crisi seguita al XX Congresso del PCUS, il clamoroso rapporto Khruščёv contro lo stalinismo e i crimini di Stalin e la critica sempre più rigorosa cui Pietro Nenni e i socialisti autonomisti sottoposero la destalinizzazione;
  3. lo choc provocato dalla spietata repressione della rivolta popolare ungherese da parte dell'URSS.

Con il 1957 l'esperienza del socialcomunismo ebbe termine: il PSI, nei suoi organi e nei suoi esponenti autonomisti ormai proclamava l'accettazione della democrazia come metodo e sistema, il rifiuto del frontismo e l'impossibilità di un'alleanza generale con il PCI per la conquista del potere.

A questo seguì il pratico affossamento del Patto di consultazione, l'abbandono dell'associazione dei Partigiani della pace e l'ammissione della possibilità e di un interesse ad avvicinarsi ai partiti liberali.

Tutto ciò avvenne non senza contrasti con la minoranza carrista (che in quegli anni rappresentava circa il 40% del Comitato centrale del partito).

Ma il progressivo distacco del PSI dal PCI era ormai irreversibile e nel giro di qualche anno avrebbe portato ai primi esperimenti di centro sinistra (alleanza con la Democrazia Cristiana) con l'obiettivo di isolare il PCI.

I "carristi"

Durante la Guerra Fredda, in particolare fino a tutti gli anni anni sessanta-settanta, erano chiamati Carristi, per distinguerli dagli Autonomisti, quei socialisti i quali approvarono l'intervento dei carri armati sovietici in Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia.

Più in generale, i carristi erano per la conservazione del frontismo, per il mantenimento dell'alleanza con il PCI. Tale alleanza si era manifestata nel 1948 con la presentazione alle elezioni del "Fronte Democratico Popolare". Il Fronte assunse come proprio simbolo il volto di Giuseppe Garibaldi e assunse come stendardo bandiere di un rosso meno acceso di quello in uso presso i comunisti. Lo scopo era quello di contendere il primato alla Democrazia Cristiana dimostarando una certa "autonomia" dai comunisti russi. La spegiudicata campagna elettorale della DC, che puntò sul rischio della sovietizzazione del Paese, determinò il fallimento del progetto del Fronte. La DC si portò al 48,5%, incrementando del 13% i suoi voti, mentre il Fronte ottenne il 31% dei voti, il 10% in meno di quello che PSI e PCI avevano ottenuto appena due anni prima alle elezioni per l'Assemblea Costituente. Non irrilevante fu anche il risultato ottenuto dai socialdemocratici di Giuseppe Saragat, che conquistarono il 7,1% dei voti e che nel 1946 si erano presentati insieme al PSI. Nonostante il fallimento alle elezioni del 1948 i carristi ritenevano necessario mantenere intatto il "fronte proletario".

Essi rappresentavano una minoranza cospicua all'interno del partito, arrivando a raggiungere anche circa il 40% dei voti congressuali. I loro maggiori esponenti (Tullio Vecchietti, Dario Valori, Lucio Libertini, Lelio Basso) si opposero in tutti i modi all'unificazione socialista, chiedendo anche il ripristino del patto di unità di azione con il PCI, continuando ad accettare acriticamente le tesi sovietiche e comuniste.

Ad es. il socialista carrista Vecchietti, in occasione del blocco statunitense intorno a Cuba, tenne un discorso alla Camera dei deputati anche più violento di comunisti come Giancarlo Pajetta, giungendo ad affermare che le documentazioni fotografiche, rese pubbliche dagli Stati Uniti per dimostrare l'esistenza dei missili atomici sovietici nell'isola di Fidel Castro, erano dei falsi ottenuti con fotomontaggi.

Più in generale i carristi erano contrari alla politica di centro-sinistra, contro ogni collaborazione diretta o indiretta con la Democrazia Cristiana, definito il partito della conservazione.

Su di essi il PCI puntava per mantenere un qualche legame con il PSI, anche se non esitavano a contraddirli clamorosamente. È quanto avvenne alla costituzione del governo di centro-sinistra, quando lo stesso Palmiro Togliatti li accusò di fare del Massimalismo sterile.

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