Museo dell'Accademia Etrusca e della città di Cortona: differenze tra le versioni

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=== ''Tabula Cortonensis'' ===
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{{Vedi anche|Tabula Cortonensis}}
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Nel 1992 vennero consegnati al comando dei Carabinieri di Camucia sette frammenti in bronzo, destinati a diventare famosi sotto l'unico nome di ''[[Tavola di Cortona|Tabula Cortonensis]]''. Sottoposti ad una pulitura piuttosto drastica, furono dati come rinvenuti in località le Piagge, presso Camucia; tuttavia, alla luce del fatto che ulteriori ed approfondite ricerche nella zona non portarono al ritrovamento di altre testimonianze archeologiche, si dubita fortemente del luogo di rinvenimento. Questi sette frammenti costituiscono una ''tabula'' di forma rettangolare sulla quale vi è un'iscrizione incisa tramite un'affilatissima sgorbia. Sulla sommità, si nota un manubrio a due ganasce con un pomello sferoidale. Molto probabilmente, la ''tabula'', esposta per qualche tempo in un luogo pubblico, era appesa mediante questo manubrio ad un binario che ne consentiva la lettura fronte-retro. Dopo essere stata asportata dal luogo della sua originaria collocazione, venne rotta in otto pezzi — l'ottavo non ci è pervenuto, ma questo non pregiudica in alcun modo la comprensione generale del testo, in quanto conteneva solamente alcuni nomi di una lista trascritta alle righe 24-32 della prima faccia e prolungata sulla prima riga della seconda faccia — e destinata all'occultamento. Conservata in un ambiente umido, la ''tabula'' riporta macchie e incrostazioni dovute alla compresenza di oggetti in ferro. L'incisione è stata evidentemente facilitata dal fatto che il bronzo utilizzato fosse alquanto tenero, perché contenente una percentuale piuttosto consistente di piombo. L'iscrizione è opistografa, occupa, cioè, tutta una faccia, con 32 righe di scrittura (recto), per proseguire sull'altra faccia con 8 righe (verso). Le lettere risultano essere state incise con grande peculiarità; l'alfabeto è quello usato nel cortonese tra la fine del III e il II secolo a.C.. Dunque, nel complesso il documento presenta 40 righe di testo per 260 parole, guadagnandosi così il pregio di essere il terzo testo etrusco per lunghezza, dopo quello della “[[Mummia di Zagabria]]” e della “[[Tabula Capuana]]”. Si riconoscono chiaramente due mani diverse: uno scriba principale ha inciso le prime 26 righe del recto e le prime otto del verso; a un secondo scriba si attribuiscono le ultime sei righe del verso. Nel testo della tabula si riconosce unanimemente un importante atto giuridico, cosa desumibile dalla presenza del ''zilath mechl rasnal'', ovvero il pretore di Cortona, sommo magistrato della città.
Nel 1992 vennero consegnati al comando dei Carabinieri di Camucia sette frammenti in bronzo, destinati a diventare famosi sotto l'unico nome di ''[[Tabula Cortonensis]]''. Sottoposti ad una pulitura piuttosto drastica, furono dati come rinvenuti in località le Piagge, presso Camucia; tuttavia, alla luce del fatto che ulteriori ed approfondite ricerche nella zona non portarono al ritrovamento di altre testimonianze archeologiche, si dubita fortemente del luogo di rinvenimento. Questi sette frammenti costituiscono una ''tabula'' di forma rettangolare sulla quale vi è un'iscrizione incisa tramite un'affilatissima sgorbia. Sulla sommità, si nota un manubrio a due ganasce con un pomello sferoidale. Molto probabilmente, la ''tabula'', esposta per qualche tempo in un luogo pubblico, era appesa mediante questo manubrio ad un binario che ne consentiva la lettura fronte-retro. Dopo essere stata asportata dal luogo della sua originaria collocazione, venne rotta in otto pezzi — l'ottavo non ci è pervenuto, ma questo non pregiudica in alcun modo la comprensione generale del testo, in quanto conteneva solamente alcuni nomi di una lista trascritta alle righe 24-32 della prima faccia e prolungata sulla prima riga della seconda faccia — e destinata all'occultamento. Conservata in un ambiente umido, la ''tabula'' riporta macchie e incrostazioni dovute alla compresenza di oggetti in ferro. L'incisione è stata evidentemente facilitata dal fatto che il bronzo utilizzato fosse alquanto tenero, perché contenente una percentuale piuttosto consistente di piombo. L'iscrizione è opistografa, occupa, cioè, tutta una faccia, con 32 righe di scrittura (recto), per proseguire sull'altra faccia con 8 righe (verso). Le lettere risultano essere state incise con grande peculiarità; l'alfabeto è quello usato nel cortonese tra la fine del III e il II secolo a.C.. Dunque, nel complesso il documento presenta 40 righe di testo per 260 parole, guadagnandosi così il pregio di essere il terzo testo etrusco per lunghezza, dopo quello della “[[Mummia di Zagabria]]” e della “[[Tabula Capuana]]”. Si riconoscono chiaramente due mani diverse: uno scriba principale ha inciso le prime 26 righe del recto e le prime otto del verso; a un secondo scriba si attribuiscono le ultime sei righe del verso. Nel testo della tabula si riconosce unanimemente un importante atto giuridico, cosa desumibile dalla presenza del ''zilath mechl rasnal'', ovvero il pretore di Cortona, sommo magistrato della città.


L'iscrizione fa particolare riferimento ad una compravendita di terreni tramite rivendicazione pubblica fatta dall'acquirente sulla cosa alla presenza del venditore e del pretore che ne sanzionava, a fine processo, la transazione. Di fatto, si testimonia la cessione da parte di Petru Scevas, uomo di umili origini ma arricchitosi con la mercatura, di terreni collinari affacciati sul lago Trasimeno ai membri di una famiglia aristocratica, i Cusu, in cambio di un miglioramento della posizione sociale. Come si desume dalla Tanella di Pitagora, la figlia di Petru Scevas avrebbe effettivamente sposato un membro della famiglia Cusu.
L'iscrizione fa particolare riferimento ad una compravendita di terreni tramite rivendicazione pubblica fatta dall'acquirente sulla cosa alla presenza del venditore e del pretore che ne sanzionava, a fine processo, la transazione. Di fatto, si testimonia la cessione da parte di Petru Scevas, uomo di umili origini ma arricchitosi con la mercatura, di terreni collinari affacciati sul lago Trasimeno ai membri di una famiglia aristocratica, i Cusu, in cambio di un miglioramento della posizione sociale. Come si desume dalla Tanella di Pitagora, la figlia di Petru Scevas avrebbe effettivamente sposato un membro della famiglia Cusu.

Versione delle 21:58, 29 giu 2012

Coordinate: 43°16′31.6″N 11°59′05.66″E / 43.275444°N 11.984906°E43.275444; 11.984906
Museo dell'Accademia Etrusca e della città di Cortona
Sede
Ubicazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
LocalitàPalazzo Casali
IndirizzoPiazza Signorelli 9,
52044 Cortona (AR)
Coordinate43°16′31.61″N 11°59′05.66″E / 43.275448°N 11.984905°E43.275448; 11.984905{{#coordinates:}}: non è possibile avere più di un tag principale per pagina
Caratteristiche
TipoArcheologia
Istituzione1727
FondatoriOnofrio Baldelli
Apertura1727
Visitatori25 328 (2022)
Sito web

Il Museo dell'Accademia Etrusca e della città di Cortona (MAEC) è uno dei più importanti musei della città di Cortona.

Sede del MAEC

Il palazzo Casali, sede del museo dell'Accademia Etrusca della città di Cortona, fu edificato probabilmente nel corso del XIII secolo e fu residenza della famiglia che dal 1325 resse la signoria della città di Cortona. Tra gli antenati di Ranieri Casali vi era quell'Uguccio che cacciò gli usurpatori aretini nel 1261, nei decenni successivi venne costruito l'edificio, il restauro delle mura e il recupero delle strutture pubbliche e private dopo i gravissimi anni subiti negli anni dell'occupazione. La signoria dei Casali durò fino al 1409 quando gli eserciti di Ladislao re di Napoli appena impadronitisi della città saccheggiarono il palazzo che fu confiscato insieme agli altri beni mobili e immobili della famiglia. Nel 1411 Ladislao cedette Cortona alla Repubblica fiorentina, i cui commissari apportarono un'ampia serie di modifiche al palazzo adeguandolo ai gusti architettonici fiorentini del XV secolo: impiego di archi, uso di pietre squadrate. Alla fine del Rinascimento il palazzo assunse l'aspetto attuale: infatti nei primi anni del Seicento furono rinnovate la facciata e la parte anteriore su progetto di Filippo Berrettini, la parte esterna verso via Casali invece non ebbe grandi trasformazioni. Per quanto riguarda l'assetto interno non ci sono state modifiche di grande portata se non per adattare i locali alle progressive rinnovate esigenze degli ospiti. Infatti dal 1531 i commissari, non più della Repubblica ma del governo prima mediceo e poi lorenese, lasciarono traccia della loro presenza nella lunga serie di stemmi collocati sul fianco verso via Casali e nell'atrio del cortile interno.

Nel 1727 nasce l'Accademia Etrusca e il Granduca di Toscana Giangastone de' Medici concesse in uso alcuni locali dell'ultimo piano del palazzo. I lavori cui gli ambienti furono sottoposti consentirono il sorgere del museo e della biblioteca. All'interno dell'edificio nel frattempo continuava ad esistere il teatro, ricostruito dopo l'incidente del 1511 e rinnovato nel 1666 dall'Accademia degli Uniti, rimasto in uso fino a metà Ottocento, quando fu costruito il Teatro Signorelli nel luogo in cui sorgeva la chiesa di S. Andrea.

Con la fine del dominio prima mediceo poi lorenese il palazzo cessò le sue funzioni di rappresentanza governativa e ne assunse delle nuove: nei locali al primo piano trovò la Pretura con gli uffici giudiziari e il comando dei Carabinieri, al pian terreno fu trasferito l'ufficio del dazio. Progressivamente durante il secolo scorso il palazzo ha perso la sua funzione di sede di pubblici uffici per diventare sempre più centro di sola cultura. Fra il 1928 e il 1929 furono concessi altri locali all'Accademia e nell'immediato dopo guerra l'intero primo piano fu destinato al rinnovato museo e, trasferitisi i Carabinieri, il piano ammezzato alla biblioteca comunale e accademica. Ormai libero da qualsiasi altra destinazione negli anni '80 il palazzo subì un radicale ripristino con il recupero di quasi tutti gli ambienti del pian terreno e ammezzato, destinati a un'imponente sede espositiva. Infine nell'ultimo decennio la volontà di incrementare le collezioni del museo con il deposito dei materiali provenienti dagli scavi più recenti del territorio cortonese e di altri materiali di origine più locale, portò ad una profonda ristrutturazione del pian terreno e dei piani seminterrati. Alla fine dei lavori il museo ha così potuto raddoppiare la sua estensione, ponendosi come una delle maggiori realtà espositive della regione. Oggi il palazzo Casali è il polo primario delle attività culturali della città di Cortona: ospitando la biblioteca, il museo, l'archivio storico, le sale di esposizione e gli uffici dell'assessorato comunale della cultura e la sede dell'Accademia Etrusca.

Opere più famose del museo

Maternità

La Maternità è sicuramente una delle opere più note del pittore futurista Gino Severini. Eseguita ad olio nel 1916, anno cruciale per le sorti del Futurismo e lo sviluppo del Cubismo, essa è una delle più compiute espressioni dell'esperienza classica dell'artista di origine cortonese, nonché prova della sua eccezionale perizia tecnica ed artistica. Lo stile del dipinto segna una brusca inversione di tendenza rispetto alle istanze d'avanguardia che avevano fortemente caratterizzato la produzione pittorica del tempo. La Maternità può essere semplicemente considerato il ritratto di Jeanne Fort, figlia del poeta francese Paul Fort, nonché moglie del Severini, con il quale si sposò nel 1913. La posizione e l'espressività della donna, della quale l'artista mette in evidenza le peculiarità fisionomiche, e che tiene tra le sue braccia il figlio secondogenito Antonio morto prematuramente, ricordano chiaramente le Madonne del Manierismo fiorentino. Quest'opera riscosse un grande successo, guadagnandosi un'infinita serie di apprezzamenti da parte di numerosi artisti, tra i quali il poeta e critico d'arte francese Guillaume Apollinaire, che ne fu talmente affascinato e conquistato, che chiese al Severini di realizzare per lui un ritratto nel medesimo stile. Il dipinto è stato protagonista di moltissime mostre sin dal momento della sua realizzazione, ma attualmente è collocata nel Museo dell' Accademia Etrusca di Cortona.

Lampadario etrusco

Il lampadario etrusco è uno dei pezzi più pregiati, noti e significativi appartenenti al Museo dell'Accademia Etrusca di Cortona. Considerato uno degli esempi più notevoli della bronzistica etrusca, e realizzato intorno alla metà del V secolo, il lampadario fu rinvenuto nei dintorni di Cortona, in località Fratta, nel 1840, ma venne acquistato dall'Accademia Etrusca solo in seguito ad una lunga e complessa trattativa. Grazie a degli esami radiografici eseguiti di recente, si è appurato che esso è stato realizzato con la tecnica delle cera persa; probabilmente il gorgoneion centrale, con la bocca spalancata e la lingua pendente, deriva da un unico stampo, mentre le restanti matrici del complesso decorativo vennero applicate al nucleo centrale e rimodellate solo in un secondo momento. La mancanza di saldatura è testimonianza del fatto che l'intera composizione venne fusa in un solo tempo. Dalla parte centrale del bacino si innalza un cono, sul quale era originariamente presente una decorazione a palmette e fiori di loto, oggi difficilmente visibile. Intorno al bacino si nota una serie di beccucci, di cui due vennero forati con chiodi di rame puro per l'applicazione di una targhetta metallica con iscrizione. Quest'ultima potrebbe indicare un uso nuovo e del tutto particolare del lampadario, originariamente considerato elemento decorativo di un tempio. I beccucci sono in numero di sedici, il che rimanda inevitabilmente alla tipica suddivisione etrusca del cielo in sedici regioni a scopi divinatori, cosa già largamente attestata da autori latini quali Cicerone, Livio e Varrone. La complessità dell'iconografia nelle decorazioni è ulteriormente confermata dalla presenza di sileni e sirene nella fascia esterna, che corrisponde al lato inferiore dei beccucci. I primi hanno una tenia sulla testa, e suonano la syrinx o il doppio aulòs; al di sotto dei piedi di questi si innalzano onde stilizzate sulle quali guizzano dei delfini. Le seconde potrebbero unire al suono dello strumento il proprio canto, ma in realtà non presentano il tipico atteggiamento del canto, con la testa leggermente all'indietro e la bocca aperta; figlie della terra e del fiume Acheloo, del quale tra l'altro vengono fatti sedici protomi in forma di toro androcefalo, le sirene hanno le braccia piegate sul petto in un gesto cultuale. Queste figure, oltre a custodire le sedi degli dei con il loro sguardo e la loro posizione rivolte verso il basso fanno riferimento ad una funzione apotropatica nei confronti dell'uomo che è al di sotto della barriera di luce e alla quale non deve avvicinarsi. Nella fascia più interna sono rappresentati animali in lotta, i quali, insieme ai sileni dalla posizione scosciata, confermano il generale valore apotropatico della struttura.

Tabula Cortonensis

Lo stesso argomento in dettaglio: Tabula Cortonensis.

Nel 1992 vennero consegnati al comando dei Carabinieri di Camucia sette frammenti in bronzo, destinati a diventare famosi sotto l'unico nome di Tabula Cortonensis. Sottoposti ad una pulitura piuttosto drastica, furono dati come rinvenuti in località le Piagge, presso Camucia; tuttavia, alla luce del fatto che ulteriori ed approfondite ricerche nella zona non portarono al ritrovamento di altre testimonianze archeologiche, si dubita fortemente del luogo di rinvenimento. Questi sette frammenti costituiscono una tabula di forma rettangolare sulla quale vi è un'iscrizione incisa tramite un'affilatissima sgorbia. Sulla sommità, si nota un manubrio a due ganasce con un pomello sferoidale. Molto probabilmente, la tabula, esposta per qualche tempo in un luogo pubblico, era appesa mediante questo manubrio ad un binario che ne consentiva la lettura fronte-retro. Dopo essere stata asportata dal luogo della sua originaria collocazione, venne rotta in otto pezzi — l'ottavo non ci è pervenuto, ma questo non pregiudica in alcun modo la comprensione generale del testo, in quanto conteneva solamente alcuni nomi di una lista trascritta alle righe 24-32 della prima faccia e prolungata sulla prima riga della seconda faccia — e destinata all'occultamento. Conservata in un ambiente umido, la tabula riporta macchie e incrostazioni dovute alla compresenza di oggetti in ferro. L'incisione è stata evidentemente facilitata dal fatto che il bronzo utilizzato fosse alquanto tenero, perché contenente una percentuale piuttosto consistente di piombo. L'iscrizione è opistografa, occupa, cioè, tutta una faccia, con 32 righe di scrittura (recto), per proseguire sull'altra faccia con 8 righe (verso). Le lettere risultano essere state incise con grande peculiarità; l'alfabeto è quello usato nel cortonese tra la fine del III e il II secolo a.C.. Dunque, nel complesso il documento presenta 40 righe di testo per 260 parole, guadagnandosi così il pregio di essere il terzo testo etrusco per lunghezza, dopo quello della “Mummia di Zagabria” e della “Tabula Capuana”. Si riconoscono chiaramente due mani diverse: uno scriba principale ha inciso le prime 26 righe del recto e le prime otto del verso; a un secondo scriba si attribuiscono le ultime sei righe del verso. Nel testo della tabula si riconosce unanimemente un importante atto giuridico, cosa desumibile dalla presenza del zilath mechl rasnal, ovvero il pretore di Cortona, sommo magistrato della città.

L'iscrizione fa particolare riferimento ad una compravendita di terreni tramite rivendicazione pubblica fatta dall'acquirente sulla cosa alla presenza del venditore e del pretore che ne sanzionava, a fine processo, la transazione. Di fatto, si testimonia la cessione da parte di Petru Scevas, uomo di umili origini ma arricchitosi con la mercatura, di terreni collinari affacciati sul lago Trasimeno ai membri di una famiglia aristocratica, i Cusu, in cambio di un miglioramento della posizione sociale. Come si desume dalla Tanella di Pitagora, la figlia di Petru Scevas avrebbe effettivamente sposato un membro della famiglia Cusu.

Madonna con bambino fra i santi protettori di Cortona

Inizialmente ed erroneamente attribuito a Francesco Signorelli, questo dipinto venne in realtà realizzato dal ben più noto Luca Signorelli alla fine del XV secolo (1510-1515 ca). Il tondo, proveniente da Palazzo dei Priori in Cortona, vede come figura centrale la Vergine che sorregge il Cristo Bambino. D'intorno vi sono i Santi protettori di Cortona. A sinistra si può notare San Michele Arcangelo, avvolto in una splendida armatura, e che con la mano destra regge la bilancia per pesare le anime, con la mano sinistra tiene la spada sguainata; ai suoi piedi atterra Satana, avvolto e stretto da serpenti e rettili. Alle spalle della Madonna, troviamo San Vincenzo e Santa Margherita da Cortona. Sulla destra, a figura intera, si trova San Marco che, avvolto in una veste gialla, regge una raffigurazione molto peculiare e realistica della città di Cortona vista dalla Valdichiana. Sono riconoscibili anche i principali edifici religiosi e civili dominati dalla Fortezza del Girifalco.

Tempietto dedicato alle glorie della Toscana

Il tempietto dedicato alle glorie della Toscana venne realizzato tra il 1751 e il 1757 da Gaspero Bruschi nella manifattura Ginori di Doccia. Carlo Ginori lo donò all'Accademia Etrusca di Cortona per commemorare il suo turno di presidenza, nell'anno 1756. L'opera si presenta come un perfetto e dolce sincretismo tra porcellana bianca e sottosmalto azzurro, bicromia che ricorda inequivocabilmente i capolavori robbiani. Si noti comunque come la porcellana non sia assolutamente bianca, ma si perda in qualche tocco grigiastro, cosa dovuta alla presenza nell'impasto di una particolare terra proveniente da Montecarlo di Lucca. Il tutto è rivestito da uno smalto lucido, sottile e non uniforme a causa della particolare porcellana e alcuni difetti di cottura. Nella parte più alta del tempietto si nota Mercurio in quanto messaggero degli dei, che con la mano destra solleva uno specchio e con la sinistra regge due ritratti rispettivamente raffiguranti Maria Teresa D'Austria e Francesco di Lorena, sovrani entranti in Toscana, e che avrebbero dato inizio alla dinastia degli Asburgo-Lorena, a seguito di quella medicea conclusasi nel 1737. Al di sotto della statuetta di Mercurio, vi sono quattro leoni Marzocco, i quali incarnano il simbolo ufficiale della città di Firenze. Alla metà del tempietto, e quindi in cima ai pilastri della struttura, siedono le tre Parche e il Tempo, evidenti allegorie dell'eterno scorrere delle cose e della caducità del tutto; più brevemente, possiamo definirle come espressione del destino dell'umanità. In basso troviamo le quattro Virtù Cardinali, facilmente riconoscibili dai loro attributi, e a cui sono legate le quattro parti del mondo: la Prudenza regge con la mano destra uno specchio e ai suoi piedi è una cerva, simboleggiante l'Europa; la Giustizia è accompagnata da uno struzzo che sta ad indicare le Americhe; la Temperanza vede ai suoi piedi un elefante, icona stessa della temperanza nonché personificazione dell'Asia; infine, la Fortezza, che indossa elmo e corazza, sta sopra un leone, evidente simbolo della forza, ma anche dell'Africa. Esattamente al centro dell'opera, è raffigurato il Tempo barbuto ed alato che rapisce la Bellezza, sotto lo sguardo attento di un puttino. Questo elegiaco centrale sta simbolicamente ad indicare come la Signoria dei Medici, ormai all'apice della notorietà, debba allontanarsi e lasciare posto ad un'altra dinastia, appunto quella degli Asburgo-Lorena. Tuttavia, la famiglia fiorentina non manca di essere alquanto celebrata: tutto il tempietto è tempestato da 73 delle 76 medaglie totali - poiché tre sono andate perdute - della serie medicea, tutte a fondo azzurro, modellate sugli originali in bronzo e rappresentanti, ovviamente, i membri della famiglia fiorentina. Tra questi, viene escluso Giangastone, ultimo componente dei Medici morto nel 1737; egli è però riportato sul rovescio della sua medaglia “ufficiale” realizzata da Lorenzo Maria Weber. Non è noto se questa mancanza sia intenzionale o meno, mancando comunque tre medaglioni per il completamento della serie. L'idea di applicare delle medaglie come decorazione su tutte le superfici libere della struttura è di chiara derivazione classica.

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