Commedia nuova: differenze tra le versioni

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Versione delle 03:09, 27 dic 2009

Per Commedia Nuova (o Commedia Nea) si intende, secondo la suddivisione ideata dalla tradizione filologica alessandrina, l'ultima fase della commedia attica dopo la commedia antica e la commedia di mezzo. Storicamente coincide pressappoco con l'età ellenistica, in cui il cittadino è ridotto al rango di suddito, ininfluente dal punto di vista politico. I temi della commedia si adattano alla nuova realtà, spostandosi dall'analisi dei problemi politici all'universo dell'individuo. I personaggi non riproducono che dei "tipi" secondo uno schema poi divenuto classico e adattato dalla commedia romana, con Plauto e Terenzio, e, più tardi, dalla commedia dell'arte: i giovani innamorati, il vecchio scorbutico, lo schiavo astuto, il crapulone. I tre commediografi della “nea” sono Difilo, Filemone e Menandro, grande fonte di ispirazione per Terenzio e Claudio. La “nea” è il tramite con la commedia borghese moderna. Abbiamo un indebolimento delle tecniche dell’ “arcaia”: il coro perde importanza, manca la parabasi, il linguaggio. La divisione è in cinque atti, separati da un intermezzo dove il coro canta e danza. Non ci sono quindi legami fra la trama e gli “embolima” (interludi) e i cori sono interscambiabili. Il tema di base è solitamente una vicenda d’amore: la trame e l’intreccio sono unitari, con varie peripezie e un lieto fine. È chiusa la cosiddetta “quarta parete”: se in Aristofane c’erano legami tra scena e pubblico e ipotesi dialogiche degli attori con gli spettatori (lo spazio era aperto, metateatrale), nella commedia viene eretto un muro e manca la partecipazione diretta allo spettacolo. C’è una contraddizione: perché una commedia realistica non dovrebbe coinvolgere il pubblico? I personaggi vivono vicende circoscritte allo spazio scenico e rimangono distaccati. Le trame sono: illusorie (l’attualità della vita cittadina è interrotta per far spazio a figure fittizie) e realistiche (le vicende mancano di infrazioni temporali e i personaggi hanno una psicologia profonda e sono caratterizzati per autonomia etica e affettiva; mancano le invenzioni fantastiche di Aristofane). È una commedia in evoluzione, specchio della mutazione politica in corso: Atene è una città decadente, manca un ruolo politico forte (basti pensare a Filippo e Alessandro) e la gestione del potere è affidata a pochi, i “kalokagathoi”, una sorta di borghesia ante-litteram, formata da militari, giovani della buona società, proprietari terrieri. Il pubblico è più interessato alle tematiche private che a quelle sociali. Si tratta di un ambito domestico, piccolo. È abolito il “teorikon”, il contributo dato dal governo per permettere a tutti i cittadini di andare a teatro: è persa la valenza pubblica e non si tratta più di un fenomeno di massa, ma elitario, che segue i gusti di una classe colta, educata e dotata di una certa sensibilità. È un teatro di evasione, perché, pur essendo realistico, tutto è rassicurante, tranquillo, privato: mancano le sovversioni e le fantasie di Aristofane, immaginarie ma ancorate nella realtà e critiche verso la società. Se il teatro di Aristofane era primitivo, legato alla sua orgine falloforica, Menandro è invece attentissimo all’unità temporale, bandisce musiche e danze, inserisce maschere fisse attinti da campionari di fisionomie. L’attore recita in modo realistico, seppur in versi (trimetro giambico).


Tragedia e “commedia arcaia” e differenze con la commedia nuova

C’è un rapporto importantissimo tra commedia nuova e teatro di Euripide: l’interesse profondo e critico sui rapporti familiari è comune ai due generi, e in particolare c’è molta attenzione alle relazioni tra genitori e figli, tra fratelli e tra moglie e marito. Le tragedie avevano prediletto quegli intrecci sperimentali che avevano come protagonista la Tuke ( che nella lingua greca significa " sorte, destino"). Menandro riprende e rinnova le tecniche euripidee: gli intrighi, le peripezie strategiche, i colpi di scena, i riconoscimenti. Però gli uomini che andavano a teatro nel v secolo a.C .credevano ancora nel ruolo imperialistico di Atene e nel suo esempio di città democratica. Con la creazione di una nuova civiltà da parte di Alessandro Magno la commedia dovette ripresentare un mondo diverso, con interessi diversi. Lo specchio della tragedia e della commedia “arkaia” era l’universo della polis e i temi trattati erano il destino umano, la giustizia, la fede negli dei e i problemi politici:gli Ateniesi andavano a teatro perché sapevano che ciò che era rappresentato era attuale e, anche se non mancavano le contestazioni e le critiche (basti pensare ad Aristofane), riguardava comunque la città. Il coro rappresentava quindi la collettività, era un tramite tra l’esperienza tragica dell’eroe straordinario e la visione dei “politai”ovvero i cittadini. Il coro comico, in epoca ellenistica, ha invece il compito di parlare a nome del poeta ed è investito quindi di un ruolo metateatrale, poiché il teatro parla di se stesso.

Il maggior esponente della commedia nuova pervenutoci è Menandro.

Differenze con il teatro del V secolo

Non c’è più legame tra Polis e Teatro , anche perché non c’è più vivacità politica essendosi instaurato un governo oligarchico che non permise la continuazione di questo genere teatrale: infatti si inscenavano spesso tutte le decisioni politiche apportandovi delle critiche provocando successivamente il riso del pubblico; privilegiando quindi la storia dell’individuo (aspetto pre ellenistico). Non c’è più l’eroe comico dalle imprese straordinarie, ma persone comuni, rappresentate nella loro sfera privata, con i loro atti minimi, mossi da motivazioni etiche. Non si realizzano progetti grandiosi. Il lieto fine è l’esito di un’azione difensiva contro gli imprevisti della Τυχη ( "sorte"), e ad esso partecipano tutti i personaggi, animati da una forza nuova: la solidarietà umana. inoltre la commedia può essere definita "Commedia borghese" a causa di personaggi semplici, legati alla famiglia. Infine La comicità rinuncia al linguaggio scurrile e all’oscenità e perde aggressività, cedendo a un riso più moderato