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Nella [[Storia della medicina]] esiste un equivoco assai diffuso e pervicacemente duraturo: che nel [[Medio Evo]] la [[Chiesa cattolica]] abbia ostacolato lo sviluppo della [[chirurgia]] attraverso una serie di [[Diritto canonico|canoni]] promulgati in diversi [[Concilio|concili]], e che vietasse la pratica della dissezione dei cadaveri per lo studio dell'[[anatomia umana]]. A questi argomenti sono stati dedicati specifici studi storici che hanno mostrato come questo resoconto dei fatti sia completamente infondato; tuttavia esso è ancora molto diffuso, non solo a livello popolare e al di fuori dell'ambito specialistico, ma compare talvolta anche in pubblicazioni accademiche i cui autori hanno probabilmente ignorato la documentazione specifica sull'argomento. In questo articolo si illustreranno le ragioni che permettono di confutare questo equivoco e si analizzeranno le cause che ne hanno permesso l'affermazione.
Nella [[Storia della medicina]] esiste un equivoco assai diffuso e pervicacemente duraturo: che nel [[Medio Evo]] la [[Chiesa cattolica]] abbia ostacolato lo sviluppo della [[chirurgia]] attraverso una serie di [[Diritto canonico|canoni]] promulgati in diversi [[Concilio|concili]], e che vietasse la pratica della dissezione dei cadaveri per lo studio dell'[[anatomia umana]]. A questi argomenti sono stati dedicati specifici studi storici che hanno mostrato come questo resoconto dei fatti sia completamente infondato; tuttavia esso è ancora molto diffuso, non solo a livello popolare e al di fuori dell'ambito specialistico, ma compare talvolta anche in pubblicazioni accademiche i cui autori hanno probabilmente ignorato la documentazione specifica sull'argomento. In questo articolo si illustreranno le ragioni che permettono di confutare questo equivoco e si analizzeranno le cause che ne hanno permesso l'affermazione.

Nella [[Storia della medicina]] è assai diffusa l'opinione che nel [[Medio Evo]] la [[Chiesa cattolica]] abbia ostacolato lo sviluppo della [[chirurgia]] attraverso una serie di [[Diritto canonico|canoni]] promulgati in diversi [[Concilio|concili]], e che vietasse la pratica della dissezione dei cadaveri per lo studio dell'[[anatomia umana]]. A questi argomenti sono stati dedicati specifici studi storici{{cn}} che hanno mostrato come questo resoconto dei fatti sia completamente infondato; tuttavia esso è ancora molto diffuso, a livello popolare e al di fuori dell'ambito specialistico, ma talvolta anche in pubblicazioni accademiche{{cn}} i cui autori hanno probabilmente ignorato la documentazione specifica sull'argomento. In questo articolo si illustreranno le ragioni che permettono di confutare questo equivoco e si analizzeranno le cause che ne hanno permesso l'affermazione.



==Chirurgia==
==Chirurgia==
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Se, seguendo Amundsen<ref>
Se, seguendo Amundsen<ref>
Darrel W. Amundsen, ''Medieval canon law on medical and surgical practice by the clergy'', Bulletin of the History of Medicine, '''52''' (1978) 22-44. Articolo poi ripubblicato in ''Medicine, Society and Faith in the Ancient Medieval Worlds'' (1996), capitolo 8</ref>, ci si pone la domanda ''«La Chiesa ha mai vietato la pratica della medicina e della chirurgia?»'', il primo approccio è quello di cercare la risposta all'interno di fonti secondarie, quali testi introduttivi alla storia della medicina. In questo modo si finisce però in un letterale "pantano" di confuse informazioni: un mare di approssimative citazioni di canoni promulgati in diversi concili, che vengono poi interpretati grossolanamente e senza tenere in considerazione il contesto in cui essi sono nati. Ci si trova allora di fronte ad affermazioni quali: «''sotto [[Papa Innocenzo II]] vennero promulgati editti (concilio di Clermont 1130, concilio di Reims 1131, concilio Lateranense 1139) contro la professione medica praticata dagli ecclesiastici''» <ref>Max Neuburger, ''History of Medicine'', traduzione di E. Playfar, London: Cambridge University Press, 1925</ref>; «''la pratica, e di fatto lo studio e l'insegnamento, della medicina furono vietati all'alto clero nei concili di Reims 1131, Lateranense 1139, Montpellier 1162, Tours 1163, Parigi 1212 e nel secondo Lateranense 1215. Infine le restrizioni riguardarono anche i monaci di livello più basso, e specialmente nel concilio di Le Mans 1247, furono loro vietate le pratiche che implicano il bruciare e il tagliare (chirurgia)''» <ref>J. H. Baas, ''Outlines of the History of Medicine and the Medical Profession'', traduzione di H. E. Anderson, New York: J. H. Vail, 1889</ref>. Questi sono solo degli esempi, ma Amundsen passa in rassegna molta altra letteratura. A questo punto si potrebbe ingenuamente concludere che storicamente la Chiesa si sia sistematicamente opposta allo sviluppo della medicina, ma in realtà l'analisi di Amundsen va oltre e dimostra come queste prime interpretazioni siano inaccurate e fuorvianti. Per ben capire la posizione della Chiesa medievale su questi argomenti è necessario esaminare direttamente le fonti primarie.
Darrel W. Amundsen, ''Medieval canon law on medical and surgical practice by the clergy'', Bulletin of the History of Medicine, '''52''' (1978) 22-44. Articolo poi ripubblicato in ''Medicine, Society and Faith in the Ancient Medieval Worlds'' (1996), capitolo 8</ref>, ci si pone la domanda ''«La Chiesa ha mai vietato la pratica della medicina e della chirurgia?»'', il primo approccio è quello di cercare la risposta all'interno di fonti secondarie, quali testi introduttivi alla storia della medicina. In questo modo si finisce però in un letterale "pantano" di confuse informazioni: un mare di approssimative citazioni di canoni promulgati in diversi concili, che vengono poi interpretati grossolanamente e senza tenere in considerazione il contesto in cui essi sono nati. Ci si trova allora di fronte ad affermazioni quali: «''sotto [[Papa Innocenzo II]] vennero promulgati editti (concilio di Clermont 1130, concilio di Reims 1131, concilio Lateranense 1139) contro la professione medica praticata dagli ecclesiastici''» <ref>Max Neuburger, ''History of Medicine'', traduzione di E. Playfar, London: Cambridge University Press, 1925</ref>; «''la pratica, e di fatto lo studio e l'insegnamento, della medicina furono vietati all'alto clero nei concili di Reims 1131, Lateranense 1139, Montpellier 1162, Tours 1163, Parigi 1212 e nel secondo Lateranense 1215. Infine le restrizioni riguardarono anche i monaci di livello più basso, e specialmente nel concilio di Le Mans 1247, furono loro vietate le pratiche che implicano il bruciare e il tagliare (chirurgia)''» <ref>J. H. Baas, ''Outlines of the History of Medicine and the Medical Profession'', traduzione di H. E. Anderson, New York: J. H. Vail, 1889</ref>. Questi sono solo degli esempi, ma Amundsen passa in rassegna molta altra letteratura. A questo punto si potrebbe ingenuamente concludere che storicamente la Chiesa si sia sistematicamente opposta allo sviluppo della medicina, ma in realtà l'analisi di Amundsen va oltre e dimostra come queste prime interpretazioni siano inaccurate e fuorvianti. Per ben capire la posizione della Chiesa medievale su questi argomenti è necessario esaminare direttamente le fonti primarie.

«La Chiesa ha mai vietato la pratica della medicina e della chirurgia?» è la domanda a cui [[Darrel W. Amundsen]], studioso del xxx che ha fatto xxx, cercò di rispondere passando in rassegna inizialmente fonti secondarie, quali testi introduttivi alla storia della medicina finendo in un "pantano" di confuse informazioni, un mare di approssimative citazioni di canoni promulgati in diversi concili, che vengono poi interpretati grossolanamente e senza tenere in considerazione il contesto in cui essi sono nati. Poi in realtà l'analisi di Amundsen va oltre e dimostra come queste prime interpretazioni siano inaccurate e fuorvianti. Per ben capire la posizione della Chiesa medievale su questi argomenti è necessario esaminare direttamente le fonti primarie.<ref>
Darrel W. Amundsen, ''Medieval canon law on medical and surgical practice by the clergy'', Bulletin of the History of Medicine, '''52''' (1978) 22-44. Articolo poi ripubblicato in ''Medicine, Society and Faith in the Ancient Medieval Worlds'' (1996), capitolo 8</ref>


====Alcune considerazioni di Diritto Canonico====
====Alcune considerazioni di Diritto Canonico====

Versione delle 02:09, 9 gen 2009

Nella Storia della medicina esiste un equivoco assai diffuso e pervicacemente duraturo: che nel Medio Evo la Chiesa cattolica abbia ostacolato lo sviluppo della chirurgia attraverso una serie di canoni promulgati in diversi concili, e che vietasse la pratica della dissezione dei cadaveri per lo studio dell'anatomia umana. A questi argomenti sono stati dedicati specifici studi storici che hanno mostrato come questo resoconto dei fatti sia completamente infondato; tuttavia esso è ancora molto diffuso, non solo a livello popolare e al di fuori dell'ambito specialistico, ma compare talvolta anche in pubblicazioni accademiche i cui autori hanno probabilmente ignorato la documentazione specifica sull'argomento. In questo articolo si illustreranno le ragioni che permettono di confutare questo equivoco e si analizzeranno le cause che ne hanno permesso l'affermazione.

Nella Storia della medicina è assai diffusa l'opinione che nel Medio Evo la Chiesa cattolica abbia ostacolato lo sviluppo della chirurgia attraverso una serie di canoni promulgati in diversi concili, e che vietasse la pratica della dissezione dei cadaveri per lo studio dell'anatomia umana. A questi argomenti sono stati dedicati specifici studi storici[senza fonte] che hanno mostrato come questo resoconto dei fatti sia completamente infondato; tuttavia esso è ancora molto diffuso, a livello popolare e al di fuori dell'ambito specialistico, ma talvolta anche in pubblicazioni accademiche[senza fonte] i cui autori hanno probabilmente ignorato la documentazione specifica sull'argomento. In questo articolo si illustreranno le ragioni che permettono di confutare questo equivoco e si analizzeranno le cause che ne hanno permesso l'affermazione.


Chirurgia

Analisi del Diritto Canonico Medievale

Introduzione

Se, seguendo Amundsen[1], ci si pone la domanda «La Chiesa ha mai vietato la pratica della medicina e della chirurgia?», il primo approccio è quello di cercare la risposta all'interno di fonti secondarie, quali testi introduttivi alla storia della medicina. In questo modo si finisce però in un letterale "pantano" di confuse informazioni: un mare di approssimative citazioni di canoni promulgati in diversi concili, che vengono poi interpretati grossolanamente e senza tenere in considerazione il contesto in cui essi sono nati. Ci si trova allora di fronte ad affermazioni quali: «sotto Papa Innocenzo II vennero promulgati editti (concilio di Clermont 1130, concilio di Reims 1131, concilio Lateranense 1139) contro la professione medica praticata dagli ecclesiastici» [2]; «la pratica, e di fatto lo studio e l'insegnamento, della medicina furono vietati all'alto clero nei concili di Reims 1131, Lateranense 1139, Montpellier 1162, Tours 1163, Parigi 1212 e nel secondo Lateranense 1215. Infine le restrizioni riguardarono anche i monaci di livello più basso, e specialmente nel concilio di Le Mans 1247, furono loro vietate le pratiche che implicano il bruciare e il tagliare (chirurgia)» [3]. Questi sono solo degli esempi, ma Amundsen passa in rassegna molta altra letteratura. A questo punto si potrebbe ingenuamente concludere che storicamente la Chiesa si sia sistematicamente opposta allo sviluppo della medicina, ma in realtà l'analisi di Amundsen va oltre e dimostra come queste prime interpretazioni siano inaccurate e fuorvianti. Per ben capire la posizione della Chiesa medievale su questi argomenti è necessario esaminare direttamente le fonti primarie.

«La Chiesa ha mai vietato la pratica della medicina e della chirurgia?» è la domanda a cui Darrel W. Amundsen, studioso del xxx che ha fatto xxx, cercò di rispondere passando in rassegna inizialmente fonti secondarie, quali testi introduttivi alla storia della medicina finendo in un "pantano" di confuse informazioni, un mare di approssimative citazioni di canoni promulgati in diversi concili, che vengono poi interpretati grossolanamente e senza tenere in considerazione il contesto in cui essi sono nati. Poi in realtà l'analisi di Amundsen va oltre e dimostra come queste prime interpretazioni siano inaccurate e fuorvianti. Per ben capire la posizione della Chiesa medievale su questi argomenti è necessario esaminare direttamente le fonti primarie.[4]

Alcune considerazioni di Diritto Canonico

Prima di procedere all'esame delle fonti primarie è opportuno fare alcune precisazioni. I concili possono essere regionali o generali (ecumenici), i provvedimenti dei primi si applicano solo alla specifica zona geografica interessata, quelli dei secondi si applicano a tutta la Cristianità. Ma per capire le leggi della Chiesa medievale non è sufficiente leggere i canoni approvati nei concili, bensì bisogna tener conto anche delle Decretali dei Papi e degli scritti dei Padri della Chiesa. Data la vastità e la complessità del materiale, nel corso dei secoli vennero compilate delle Colleptiones, ovvero raccolte di canoni, al fine di ordinare sistematicamente le leggi e di chiarire le contraddizioni che mano mano nascevano. La prima grande collezione è il Decretum di Graziano (1140), che non aveva carattere ufficiale ma che di fatto fu scrupolosamente utilizzato dai canonisti ed in seguito entrò nel Corpus Iuris Canonici. Per quanto riguarda invece le grandi collezioni ufficiali abbiamo la Compilatio tertia del 1210, la Compilatio quinta del 1226 (le altre compilationes non erano ufficiali) ed infine le fondamentali Decretales di Papa Gregorio IX promulgate nel 1234 e che entreranno a far parte del Corpus Iuris Canonici.

Per bene comprendere il significato esatto dei diversi canoni è inoltre importante tenere a mente le differenti classificazioni del clero. Per clero regolare si intendono coloro che fanno vita comune seguendo una regola (ad esempio i canonici regolari ed i monaci), mentre il clero secolare è composto da coloro che non fanno vita comune e continuano a vivere nella normale società. Esistono inoltre Ordini maggiori ovvero, vescovi, presbiteri, diaconi e suddiaconi (questi ultimi soppressi nel 1972), e Ordini minori (soppressi dal Concilio Vaticano II), ovvero ostiarii, lettori, esorcisti e accoliti. A volte gli Ordini maggiori vengono anche chiamati Ordini sacri essendo composti da coloro che hanno ricevuto il Sacramento dell'Ordine sacro.

I canoni

Si può ora passare ad esaminare la legislazione ecclesiastica relativa alla pratica della medicina e della chirurgia [5]. Nei concili regionali di Clermont (1130) e di Reims (1131), fu approvato il seguente canone, in seguito interamente accolto anche nel concilio ecumenico Lateranense II (1139)[6]

«Una prava e detestabile consuetudine, a quanto sappiamo, è cresciuta al punto che monaci e canonici regolari, dopo aver ricevuto l'abito e fatta la professione di fede, in spregio alla regola di Benedetto e di Agostino, studiano giurisprudenza e medicina al fine di ricavarne un guadagno temporale. [...] Inoltre, trascurata la cura delle anime e messi da parte gli obblighi del loro ordine, loro stessi promettono salute in cambio di vile denaro, diventando così medici dei corpi umani. [...] Pertanto, affinché i monaci ed i canonici siano piacenti a Dio preservati nei loro sacri doveri, proibiamo, in virtù della nostra Autorità Apostolica, che questa pratica continui ulteriormente. [...]»

Risulta pertanto chiaro che questo canone non è riferito a tutto il clero ma solo ad una ristretta parte di esso, monaci e canonici regolari, e non è specificamente diretto contro la pratica della medicina in sé, ma solamente contro il praticarla a fini di lucro. È pur vero che, in un altro passo, lo stesso canone spiega che la medicina è una pratica non particolarmente indicata per uomini di chiesa, dal momento che tale attività comporta la visione di cose imbarazzanti, ma la ragione principale del divieto resta il vile guadagno di denaro. Del resto nello stesso concilio Lateranense II viene condannata anche la simonia e l'usura. Inoltre, benché questo canone fosse entrato anche in un concilio ecumenico, la sua importanza fu di breve durata, infatti esso non venne mai inserito in nessuna delle collezioni successive. Pertanto fino a questo punto non si ha alcuna proibizione della pratica della medicina.

I concili regionali di Montpellier (1162) e di Tours (1163) contenevano il seguente canone[7]:

«L'odio dell'antico nemico non lavora insistentemente per far cadere le inferme membra della Chiesa, ma mette mano ai suoi membri più desiderabili [...] Pensa quindi di aver causato la caduta di molti quando egli riesca, con la sua astuzia, a trascinar via un prezioso membro della Chiesa. Ed è allora che egli persuade alcuni regolari a lasciare i loro chiostri per studiare le leggi e preparare medicine, con il pretesto di aiutare i corpi dei loro fratelli malati [...] stabiliamo allora, con il consenso del presente concilio, che a nessuno sia permesso di partire per studiare medicina o le leggi secolari dopo aver preso i voti ed aver fatto professione di fede in un certo luogo di religione [...] Se qualcuno parte e non ritorna al suo chiostro entro due mesi, che sia evitato da tutti come se fosse scomunicato [...]»

Benché contenuto in un concilio regionale, questo canone ebbe un impatto molto più profondo rispetto al precedente, infatti esso fu inserito subito in diverse collezioni di decretali ed infine entrò a far parte delle fondamentali Decretales di Papa Gregorio IX. Però anche questo canone non è riferito a tutto il clero, ma ovviamente soltanto a coloro che fanno vita comune e seguono una regola, come i monaci ed i canonici regolari, ed anche in questo caso non si tratta di una proibizione della pratica della medicina in sé, ma soltanto del divieto fatto ai regolari di lasciare i loro luoghi e doveri religiosi per altri scopi. Inoltre se si volesse intendere questo canone come una proibizione della medicina in sè, allora dovrebbe essere presa per buona anche la proibizione dello studio delle leggi secolari. Ma il diritto secolare era propedeutico al diritto canonico, pertanto è assurdo pensare che se ne potesse proibire lo studio. Nel 1213 il concilio regionale di Parigi adottò un canone dagli stessi contenuti del precedente[8].

Nel 1219, Papa Onorio III pubblicò la bolla Super speculam che in seguito entrò anch'essa nelle Decretales. Questa bolla aveva essenzialmente tre scopi: garantire benefici e prebende agli insegnanti di teologia e ai loro studenti; riaffermare ed estendere il canone del concilio di Tours; vietare lo studio del diritto civile all'università di Parigi. Le disposizioni del canone vennero estese a diaconi, priori ed in generale a tutti coloro che godevano di benefici, ed anche i preti rientrarono nel divieto di allontanamento. Anche in questo caso si è quindi di fronte ad un documento il cui scopo non era vietare la pratica della medicina o lo studio del diritto, ma che voleva soltanto promuovere lo studio della teologia (a Parigi gli studi secolari rischiavano di farne sparire l'insegnamento[9]) e richiamare i religiosi ai loro doveri principali. Nel Liber Sextus aggiunto alle Decretales nel 1298 da Papa Bonifacio VIII il divieto di allontanarsi viene esteso a qualunque tipo studio. Risulta pertanto chiaro che lo scopo di questi documenti non era quello di vietare lo studio della medicina in sé o di qualsiasi altra materia (non avrebbe avuto senso), ma soltanto quello di garantire che i religiosi non si allontanassero e trascurassero le loro mansioni principali. Inoltre era certamente permesso ai regolari di studiare medicina entro i confini dei luoghi religiosi cui appartenevano, e lo studio della medicina in sé non costituiva un ostacolo per la carriera ecclesiastica, infatti Papa Giovanni XXI era precedentemente stato un medico.

La pratica della medicina presentava però un importante rischio: che la morte del paziente avesse come causa diretta l'azione del medico. A questo proposito Papa Clemente III pubblicò una risposta ad un "canonico" che l'aveva interrogato sull'argomento. Il testo, che poi fu incluso nella Compilatio Secunda e nelle Decretales[10] così recitava:

«Alle nostre orecchie è giunto da te chiaramente che, essendo tu erudito nell'arte fisica (medicina), curasti molti con la diligenza propria della tradizione medica di questa arte, sebbene ad alcuni capitò il contrario, e coloro ai quali pensavi di applicare un rimedio, dopo aver preso la medicina, incapparono nella morte. Ma poiché, a quanto dici, tu desideri essere promosso agli ordini maggiori, hai pertanto voluto consultarci. Ti risponderemo brevemente che, se per le suddette premesse la tua coscienza ti rimorde, con il nostro consiglio tu non ascenda agli ordini superiori.»

La preoccupazione è quindi che l'essere, più o meno direttamente, responsabili della morte di qualcuno attraverso la pratica della medicina, possa costituire un impedimento al completo perseguimento delle funzioni spirituali del chierico, che pertanto è meglio non acceda agli ordini maggiori. Anche qui allora non c'è alcun divieto della medicina in sé.

Ma la pratica che maggiormente portava alla morte il malato, per azione diretta del medico, era certamente la chirurgia. Uno scritto di Papa Innocenzo III pubblicato nel 1212 ed inserito poi nelle Decretales[11] fa riferimento diretto al problema. Il testo illustra il pronunciamento del papa riguardo al caso di una donna, morta per non aver seguito scrupolosamente, durante la riabilitazione, le prescrizioni mediche di un monaco che l'aveva precedentemente operata. Il papa stabilì allora che se il monaco, che fosse davvero esperto e zelante nella medicina, avesse agito mosso soltanto dalla pietà e non dalla cupidigia, non avrebbe dovuto essere punito in alcun modo.

È comunque probabile che questa vicenda abbia influito, almeno in parte, sulla promulgazione del seguente canone in occasione del quarto concilio ecumenico Lateranense (1215)[12], successivamente incluso anche nelle Decretales[13]:

«Nessun chierico sottoscriva o pronunci una sentenza di morte, né esegua una pena capitale né vi assista. Chi contro questa prescrizione, intendesse recar danno alle chiese o alle persone ecclesiastiche, sia colpito con la censura ecclesiastica. Nessun chierico scriva o detti lettere implicanti una pena di morte; e quindi nelle corti dei principi questo incarico venga affidato non a chierici, ma a laici. Similmente nessun chierico venga messo a capo di predoni o di balestrieri, o, in genere, di uomini che spargono sangue; i suddiaconi, i diaconi, i sacerdoti non esercitino neppure l'arte della chirurgia che comporta ustioni e incisioni; nessuno, finalmente, accompagni con benedizioni le pene inflitte con acqua bollente o gelata, o col ferro ardente, salve, naturalmente le proibizioni che riguardano le monomachie, cioè i duelli, già promulgate.»

Questo canone viene citato spesso come divieto a tutti i chierici di praticare la chirurgia, ma ovviamente questa interpretazione è erronea, perché il canone è esplicito nel vietare la chirurgia soltanto a sacerdoti, diaconi e suddiaconi, ovvero gli Ordini maggiori. Una larga parte del clero non è toccata da questo divieto. Inoltre ancora una volta non si tratta di una legge contro la chirurgia in sé, ma soltanto di una proibizione di un'attività non ritenuta consona alla figura dei religiosi (negli Ordini maggiori), per i motivi più sopra spiegati. Infatti questo canone venne ripreso poi in molti concili regionali (Le Mans 1247, Sinodo di Nîmes 1284, Sinodo di Wurzburg 1298, Sinodo di Bayeux 1300[14]), sempre inserito in un contesto generale riguardante la condotta e le responsabilità dei chierici; del resto, anche nelle Decretales, il canone originale Lateranense è inserito sotto il titolo Né clerici vel monachi saecularibus negotiis se immisceant (ovvero Chierici e monaci non si immischino negli affari secolari).

In conclusione non è mai esistito un divieto ufficiale della Chiesa verso la pratica in sé della medicina e della chirurgia, né i divieti ufficiali riguardarono la totalità del clero, ma solo una parte di esso, che doveva attendere a ben altri obblighi spirituali e non immischiarsi negli affari secolari. Analisi superficiali (e talvolta faziose come quelle, ad esempio, di Andrew Dickson White[15]) hanno voluto interpretare le leggi finora esposte come espressione concreta dell'ostilità della Chiesa Cattolica verso la medicina e la chirurgia, e di conseguenza, in generale, verso la scienza; ma alla luce di un'analisi dettagliata del Diritto Canonico su questo specifico argomento, emerge chiaramente che si tratta di un interpretazione forzata e surrettizia, e pertanto completamente fuorviante.

«Ecclesia abhorret a sanguine» ovvero l'editto "fantasma"

Resta da sfatare un ultimo luogo comune sulla legislazione ecclesiastica relativa alla medicina e la chirurgia. In moltissima letteratura, specialistica e non, si asserisce che la chirurgia sarebbe stata vietata ai chierici sulla base del principio Ecclesia abhorret a sanguine (La Chiesa aborre dal sangue). Questa massima viene talvolta attribuita al canone del concilio Lateranense del 1215, altre volte al canone del concilio di Tours del 1163; ma questa attribuzione è inventata, infatti i due canoni non contengono affatto questo motto, né esso si trova in nessun altro documento. Vale allora la pena di riportare integralmente quanto lo storico C. H. Talbot ha scoperto in merito[16]

«Essa (Ecclesia abhorret a sanguine) è letteralmente un fantasma. Deve la sua esistenza a François Quesnay, storico acritico della Facoltà di Chirurgia di Parigi, che nel 1774, citando un passo dalle Recherches de la France di Étienne Pasquier ("et comme l'eglise n'abhorre rien tant que le sang") lo tradusse in latino e lo scrisse in corsivo. Di questa frase nessuna fonte precedente può essere trovata. E ancora Quesnay cita un registro degli archivi dei Chirurghi di Parigi, nel quale si asserisce che "al tempo di Bonifacio VIII (1294-1303) e di Clemente V (1305-14) un decreto fu promulgato ad Avignone e confermato dal consiglio di Filippo il Bello che la chirurgia fosse separata dalla medicina". Ma nessun decreto del genere si trova negli archivi di Bonifacio VIII, mentre tra i diecimila documenti contenuti nell'archivio di Clemente V solo uno parla di medicina, e questo si riferisce agli studi di Montpellier»

I fatti storici

Le ragioni storiche dei canoni analizzati

Durante i primi secoli del medioevo, i monasteri furono i principali luoghi di conservazione di importanti testi di medicina antica, come quelli di Ippocrate, Alessandro di Tralle, Oribasio e Galeno; e sempre nei monasteri la medicina veniva insegnata e praticata. Questa tradizione continuò indisturbata fino al XII secolo, quando poi cominciarono alcuni abusi. Era infatti facile per i monaci lasciare i loro chiostri per esercitare in giro la professione medica, e ciò li espose ad un triplo pericolo: oro, donne, ed ambizione[17]. Il lavoro di medici portava lauti guadagni, e da questi potevano nascere lusso nel vestire e nel mangiare, comportamenti frivoli, orgoglio, arroganza e lussuria. Per questi motivi si vietò ai monaci e ai canonici regolari di praticare la medicina in cambio di denaro, e successivamente si impose loro l'obbligo di non allontanarsi dai loro monasteri.

Ma queste proibizioni non riguardavano i membri del clero secolare. Questi avevano cominciato a studiare e praticare la medicina sin dal X secolo, e la loro opera era fondamentalmente legata agli ospedali associati alle cattedrali, dal momento che questi chierici avevano l'obbligo di attendere alle cerimonie religiose delle loro chiese e non potevano pertanto allontanarsi più di tanto. Ma quando ai monaci fu vietato di lasciare i loro monasteri, l'importanza e le responsabilità di questi chierici medici crebbero notevolmente, e fu così loro permesso di spostarsi e di viaggiare.

Infine arrivò, con le motivazioni già precedentemente esposte, il canone del concilio Lateranense del 1215, che vietò la chirurgia ai soli membri degli Ordini Maggiori

Le ragioni della separazione di medicina e chirurgia

Il canone del concilio Lateranense II del 1215 ed il falso motto Ecclesia abhorret a sanguine, vengono acriticamente utilizzati in molta letteratura per mostrare che da questo punto in avanti chirurgia e medicina furono separate, e la prima lasciata in mano a praticanti poco istruiti (i cosiddetti barbieri-chirurghi). Ma anche questa interpretazione, oltreché essere troppo semplicistica, non tiene conto di diversi fatti storici, e risulta pertanto, ancora una volta, fuorviante.

Innanzitutto, oltre a non tenere in conto il fatto che la proibizione di esercitare la chirurgia riguardava solo gli Ordini Maggiori, e quindi solo coloro che già normalmente attendevano a ben altri e sacri doveri e poco si dedicavano ad altre attività, questa lettura della storia dà per scontato che la medicina e la chirurgia fossero in precedenza completamente in mano ai chierici, ma in realtà c'erano anche moltissimi laici a studiarle e praticarle. All'interno dell'importantissima Scuola medica salernitana, la medicina era in quel periodo essenzialmente in mano ai laici. Questa scuola produsse uno dei più diffusi trattati di chirurgia medievali, la cosiddetta Chirurgia di Bamberg, che restò un testo di studio basilare fino a che non venne soppiantata, nel corso del XII secolo, dalla Chirurgia di Rogerio Frugardi, anch'egli un laico. Non si capisce come dei laici, che potevano leggere e scrivere in latino, si possano considerare uomini poco istruiti, eppure questo è ciò che sempre hanno assunto coloro che superficialmente hanno discusso la separazione tra medicina e chirurgia.

Ma la questione è ancora più complessa di così, e merita pertanto di essere ulteriormente approfondita. Per identificare il medico si utilizzavano nel medioevo due termini, medicus e physicus. Questi due non erano intercambiabili: medicus indicava colui che esercitava la medicina in pratica, visitando pazienti, facendo diagnosi e prescrivendo cure; physicus identificava invece colui che aveva un'approfondita conoscenza teorica della medicina e delle scienze naturali in generale, praticamente un filosofo. Chi esercitava essenzialmente la chirurgia, veniva chiamato, per l'appunto, cyrurgicus; il lavoro di questi era per lo più manuale, ed infatti venivano anche definiti practici, ma non erano certo persone meno istruite dei loro colleghi. Quelli che invece avevano un'istruzione inferiore erano i cosiddetti barbieri-chirurghi (barberus oppure rasorius), che si occupavano essenzialmente di salassi, cura delle ferite e semplici operazioni chirurgiche.

La separazione tra medicina e chirurgia la si ritrova già presso i Romani, e lo stesso Galeno ci testimonia infatti che a suo tempo esisteva una spaccatura tra medici e chirurghi. Questa tradizione passò poi ai medici arabi: Rhazes scrisse infatti come raramente fosse possibile trovare un medico che avesse studiato anche la chirurgia, che rimaneva essenzialmente in mano a degli ignoranti. Ibn Zuhr (conosciuto anche come Avenzoar) all'inizio del XII secolo scrisse che i medici non solo non volevano abbassarsi a fare operazioni manuali, ma evitavano anche di preparare essi stessi i medicinali.

Anche l'occidente fu pertanto influenzato da questa tradizione, che esaltava la nobiltà del physicus e disdegnava le pratiche manuali; e fu proprio per questa tradizione che chirurgia e medicina venivano separate. Johannes Jamatus, un commentatore della Chirurgia di Rogerio Frugardi, spiegava come la medicina fosse messa in pericolo proprio da coloro che disprezzavano la chirurgia e la separavano dalla physica, in quanto avrebbe dovuto essere ovvio a tutti come molte malattie richiedessero necessariamente operazioni chirurgiche. E continuava poi dicendo che molti medici pretendevano di nascondere la loro indolenza lanciando insulti contro una materia che non conoscevano, affermando di non essere questa degna di sporcare le loro mani. Niente a che vedere quindi con le proibizioni ecclesiastiche, che tra l'altro erano molto limitate come abbiamo visto, né ovviamente con l'"Ecclesia abhorret a sanguine" che non è mai esistito.

E resta infine da dire che questa separazione non era affatto assoluta e la chirurgia non era affatto universalmente disprezzata: in occidente, nel medioevo, la chirurgia divenne una scienza avanzata, insegnata e praticata all'interno di tutte le università. Anzi, il suo sviluppo fu più rapido rispetto al resto della medicina, in quanto il suo progresso era essenzialmente basato sull'osservazione e sulla pratica sperimentale, completamente libera da sofisticazioni teoriche. Inoltre in molti erano anche i medici completi, alcuni dei quali furono proprio i grandi maestri della medicina medievale, come ad esempio Guy de Chauliac, di cui si parlerà nel prossimo paragrafo.

Rendere giustizia alla medicina medievale

In molta letteratura, sulla base delle errate interpretazioni dei canoni sopra esposti e del falso motto Ecclesia abhorret a sanguine, viene asserito che la Chiesa si sia continuamente opposta allo studio della medicina e della chirurgia, rallentandone il progresso e lasciandole in balìa di rimedi e superstizioni popolari e nelle mani di ciarlatani (e il prototipo di tutte queste affermazioni è ancora l'opera di Andrew Dickson White[15]). Viene in pratica fornita un'immagine della scienza medica medievale perfettamente in linea con la concezione, ormai vecchia e completamente superata, del medioevo come Secoli bui. Ma la realtà storica è ben diversa. Non si può certo riassumere in un solo paragrafo tutta la complessità e l'organicità della medicina medievale, e ci si limiterà pertanto a fornire, più che altro, un semplice elenco di fatti[18].

Molti studenti all'interno delle scuole di medicina erano chierici, e chierici furono tre grandissimi maestri della chirurgia medievale, Guglielmo da Saliceto, Lanfranco da Milano e Guy de Chauliac. Quest'ultimo è considerato ormai da tutti gli storici della medicina uno dei più importanti chirurghi di tutti i tempi; Gabriele Falloppia lo paragonò, per importanza, allo stesso Ippocrate; la sua monumentale Chirurgia Magna, un trattato in tre volumi, restò uno dei più importanti testi di riferimento sulla chirurgia per almeno tre secoli. Solo a titolo di esempio, nel suo trattato Chauliac descrive i pericoli della chirurgia al collo, tra cui la possibilità di rovinare la voce a causa dell'incisione del nervo laringeo; prescrive diete leggere per i feriti; tratta approfonditamente le fratture del cranio; si occupa di ferite al petto che prescrive di richiudere a meno che non ci siano versamenti da rimuovere; descrive come fermare emorraggie attraverso suture, cauterio, legature od astringenti. Molti dei sui metodi e delle sue tecniche restano tuttora validi. Niente a che vedere quindi con strani rimedi e superstizioni, quali impiastri vari e frizioni con denti di cadaveri[15].

E la competenza di Chauliac non è certo un caso isolato, ma si inquadra perfettamente all'interno della grande tradizione medica medievale; egli stesso dedica la sua Chirurgia Magna

«... a voi miei maestri, medici di Montpellier, Bologna, Parigi ed Avignone, e specialmente a voi della Corte Pontificia, alla quale io sono associato al servizio del Romano Pontefice[19]»

L'insegnamento della medicina era infatti diffuso ed avanzato in tutte le università europee, che erano ampiamente supportate dalla Chiesa ed i suoi Pontefici. E vale allora la pena di concludere questa parte con una breve lezione di storia del medico e storico della medicina James Joseph Walsh[20].

Alcuni autori (e il riferimento di Walsh è sempre Andrew Dickson White[15]), affermando che storicamente la Chiesa si sarebbe opposta al progresso della medicina, portano avanti un ragionamento del genere: uomini che credono nei miracoli non possono portare al progresso scientifico di medicina e chirurgia; nel medioevo gli uomini, e in particolare la Chiesa, credevano nei miracoli; ergo nel medioevo non può esserci stato alcun progresso nella medicina. Inoltre, secondo White, promuovere lo studio della medicina sarebbe stato contrario agli interessi della Chiesa, dal momento che la fede nei miracoli, e di conseguenza i pellegrinaggi ed il culto e la vendita delle reliquie, le portavano notevoli vantaggi materiali. Scrive White[21]

«Sarebbe aspettarsi troppo dall'umana natura immaginare che i Pontefici, che ricavavano proficue entrate dalla vendita dell'Agnus Dei, [...] dovessero favorire lo sviluppo di una qualunque scienza che minasse i loro interessi.»

A prima vista questo ragionamento sembrerebbe funzionare, ma ad una corretta analisi le sue conclusioni sono completamente sbagliate. Il punto è che la storia non può fondarsi su delle assunzioni, ed i fatti storici non possono essere dedotti da un sillogismo; la storia si fonda sulla conoscenza dei fatti stessi. Per capire l'atteggiamento della Chiesa nei confronti della medicina bisogna partire dai fatti: i fatti sono che essa ha sempre sostenuto e finanziato gli studi di medicina in tutte le università e scuole mediche medievali; è un fatto che la medicina medievale era una materia vasta e complessa che procedeva di continuo verso nuovi progressi e sviluppi; ed è ancora un fatto che molti medici, anche tra i più importanti, furono essi stessi chierici, o comunque persone di fede che credevano nei miracoli e non vedevano in questi alcuna contraddizione con i loro studi scientifici. La semplice costatazione di questi fatti storici fa allora cadere immediatamente la premessa maggiore del sillogismo enunciato, invalidandone così le conclusioni. E pertanto, l'affermazione che nel medioevo la medicina e la chirurgia fossero studi arretrati e semi-abbandonati, e che la colpa di questo fosse l'opposizione della Chiesa, è da rigettare, semplicemente perché essa è in palese contrasto con i meri fatti storici.

Anatomia

Note

  1. ^ Darrel W. Amundsen, Medieval canon law on medical and surgical practice by the clergy, Bulletin of the History of Medicine, 52 (1978) 22-44. Articolo poi ripubblicato in Medicine, Society and Faith in the Ancient Medieval Worlds (1996), capitolo 8
  2. ^ Max Neuburger, History of Medicine, traduzione di E. Playfar, London: Cambridge University Press, 1925
  3. ^ J. H. Baas, Outlines of the History of Medicine and the Medical Profession, traduzione di H. E. Anderson, New York: J. H. Vail, 1889
  4. ^ Darrel W. Amundsen, Medieval canon law on medical and surgical practice by the clergy, Bulletin of the History of Medicine, 52 (1978) 22-44. Articolo poi ripubblicato in Medicine, Society and Faith in the Ancient Medieval Worlds (1996), capitolo 8
  5. ^ Gli atti completi dei concili trattati in questa pagina possono essere letti in: Gian Domenico Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Firenze e Venezia, 1758-98. Sia l'opera di Mansi, sia le Decretales possono essere liberamente scaricati dal sito www.documentacatholicaomnia.eu rispettivamente a questo e questo link
  6. ^ Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, volume 21, 1130 Concilium Claromontanum, canon V; 1131 Concilium Remense, canon VI; 1139 Concilium Lateranense II, canon IX
  7. ^ Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, volume 21, 1163 Concilium Turonense, canon VIII - Gli atti del concilio di Montpellier del 1162 sono andati perduti, però spiega il Mansi, nel 1195, in un altro concilio a Montpellier si fa riferimento al concilio del 1162 e si dice che esso avesse proibito a monaci, canonici regolari e agli altri religiosi di aver accesso allo studio della giurisprudenza e della medicina. Dato che il canone 8 del concilio di Tours tratta questa stessa materia, e dato che entrambi i concili sono stati presieduti dallo stesso Papa Alessandro III, è lecito arguire (Amundsen) che il canone contenuto nel Concilio di Montepellier del 1162 fosse identico a quello di Tours, così come erano uguali tra loro i canoni dei concili già citati di Clermont, Reims e Lateranense. Ad ogni modo fu il canone del 1163 che entrò nelle Decretales, pertanto è su questo che ci si deve basare nell'analisi del diritto canonico del tempo.
  8. ^ Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, volume 22, 1213 Concilium Parisiense, canon XX
  9. ^ Walter Ullmann, Honorius III and the Prohibition of Legal Studies, Juridical Review 60 (1948) 177 - Articolo ripubblicato in: Walter Ullmann, George Garnett, Law and Jurisdiction in the Middle Ages, Variorum Reprints, 1988
  10. ^ Decretalium Compilatio, Liber I, titulus XIV, capitulum VII
  11. ^ Decretalium Compilatio, Liber V, titulus XII, capitulum XIX
  12. ^ Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, volume 22, 1215 Concilium Lateranense IV
  13. ^ Decretalium Compilatio, Liber III, titulus L, capitulum IX
  14. ^ Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, volume 23, 1247 Statuta Cenomanensia (Le Mans), colonna 756 - volume 24, 1284 Synodus Neumausensis, colonna 542, 1298 Synodus Herbipolensis (Wurzburg), colonna 1190, 1300 Synodus Baiocensis, canon XXXV
  15. ^ a b c d Andrew Dickson White, History of the Warfare of Science with Theology in Christendom (1896). Questo libro è all'origine di molte errate concezioni moderne sulla cultura medievale. Ad esempio esso ha diffuso il mito che nel medioevo la Terra fosse ritenuta piatta ed ha avuto parte importante nell'affermarsi delle interpretazioni che in questo articolo vengono confutate. La moderna critica storica è ormai unanime nel valutare il libro di White come antistorico, tuttavia le sue tesi sono ancora molto diffuse al di fuori dell'ambito specialistico. La bibliografia in merito è vasta, pertanto ci limiteremo a citare solo alcuni dei titoli più importanti: James Joseph Walsh, The Popes and Science: the History of the Papal Relations to Science During the Middle Ages and Down to Our Own Time, Fordam University Press, New York 1908 -- David C. Lindberg, Ronald L. Numbers, God & Nature: Historical Essays on the Encounter Between Christianity and Science, University of California Press (April 29, 1986) -- Gary Ferngren (editore), Science & Religion: A Historical Introduction. Baltimore: Johns Hopkins University Press, 2002
  16. ^ Talbot, Medicine in Medieval England, pagina 55
  17. ^ Ildeberto di Lavardin (1055-1133), Vescovo di Le Mans e poi di Tours, scrisse una satira dal titolo Quam nociva sint sacris hominibus femina, avaritia, ambitio (Quanto siano dannosi agli uomini sacri le donne, l'avarizia e l'ambizione)
  18. ^ Per una trattazione approfondita della medicina medievale si rimanda ai riferimenti citati in bibliografia
  19. ^ Guy de Chauliac, Chirurgia Magna, Proemio [1]
  20. ^ Walsh, Popes and Science, capitolo: "Papal Physicians"
  21. ^ White, History of the Warfare of Science with Theology in Christendom, capitolo XIII, parte IV

Bibliografia

Riferimenti principali:

  • Darrel W. Amundsen, Medicine, Society and Faith in the Ancient and Medieval Worlds, London: John Hopkins University, 1996
  • Charles Hugh Talbot, Medicine in Medieval England London: Oldbourne 1967
  • James Joseph Walsh, The popes and science; the history of the papal relations to science during the middle ages and down to our own time, New York: Fordham University Press, 1908, ripubblicato nel 2003 da Kessinger Publishing
  • Plinio Prioreschi, Determinants of the revival of dissection of the human body in the Middle Ages, Medical Hypotheses 56 (2001) 229-234

Altri riferimenti consultati

  • Katharine Park, The criminal and the saintly body: autopsy and dissection in Renaissance Italy, Renaissance Quarterly, 22 marzo 1994
  • Piers D. Mitchell, Medicine in the Crusades: Warfare, Wounds, and the Medieval Surgeon, Cambridge University Press, 2004
  • Plinio Prioreschi, A History of Medicine volume V: Medieval Medicine, Horatius Press, 1996