Buddhadharma: differenze tra le versioni

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Il termine [[sanscrito]] '''Buddhadharma''' (बुद्धधर्म), indica, in [[India]], l'insegnamento predicato dal [[Buddha Shakyamuni]] così da distinguerlo da quello di altri maestri indiani e dal ''[[Sanātanadharma]]'' (सनातनधर्म) ovvero l'insegnamento proveniente dalla letteratura [[vedica]] che, secondo le dottrine di origine vedica, non essendo stato pronunciato da alcun maestro non può che esserci sempre stato ed essere quindi ''sanātana'' (eterno). In un significato più allargato, ''Buddhadharma'' indica il [[Buddhismo]] con i suoi progressivi e contraddittori sviluppi.
Il termine [[sanscrito]] '''Buddhadharma''' (बुद्धधर्म), indica, in [[India]], l'insegnamento predicato dal [[Buddha Shakyamuni]] così da distinguerlo da quello di altri maestri indiani e dal ''[[Sanātanadharma]]'' (सनातनधर्म) ovvero l'insegnamento proveniente dalla letteratura [[vedica]] che, secondo le dottrine di origine vedica, non essendo stato pronunciato da alcun maestro non può che esserci sempre stato ed essere quindi ''sanātana'' (eterno). In un significato più allargato, ''Buddhadharma'' indica il [[Buddhismo]] con i suoi progressivi e contraddittori sviluppi.
[[Immagine:Dharma wheel.svg|left|thumb|Ruota del Dharma (''[[Dharmacakra]]''), simbolo per eccellenza della religione buddhista. Gli otto raggi rappresentano il nobile [[Ottuplice sentiero]] (sans. ''Ārya 'ṣṭāṅga mārgaḥ'').]]
[[Immagine:Dharma wheel.svg|left|thumb|Ruota del Dharma (''[[Dharmacakra]]''), simbolo per eccellenza della religione buddhista. Gli otto raggi rappresentano il nobile [[Ottuplice sentiero]] (sans. ''Ārya 'ṣṭāṅga mārgaḥ'').]]
Infatti, come ricorda Mario Piantelli, non è possibile parlare di "un" Buddhismo quanto piuttosto di un "fascio di Buddhismi". <ref>Mario Piantelli. ''Il Buddhismo indiano'' in Giovanni Filoramo (a cura di), ''Buddhismo''. Bari, Laterza, 2001, pag. 5 </ref> Il tema, oggetto di numerose ricerche, è cosa di questo ''fascio di Buddhismi'' possa essere ascritto alla figura storica del [[Buddha Shakyamuni]]. Ovvero quali fossero le caratteristiche del Buddhismo delle origini. Un tema molto disagevole da trattare in quanto i testi scritti più antichi su cui tale ricerca può basarsi risalgono a poco prima l'inizio della nostra Era, successivi quindi, e di diversi secoli, alla morte del suo fondatore, il [[Buddha Shakyamuni]]. È del tutto impossibile avere la contezza di quale fosse il suo effettivo insegnamento e qualsiasi ricerca possa essere condotta su tale argomento deve ricordarsi i limiti stessi da cui essa procede. Ciò premesso, alcune considerazioni possono essere fatte. È certo, ad esempio, che prima della loro messa per iscritto i sermoni del [[Buddha Shakyamuni]] venivano recitati oralmente e quindi trasmessi da monaci (''bihkhu'') denominati ''bāṇaka''. È certo anche che vi siano stati dei [[Concili buddhisti]] in cui questi testi venivano recitati ma la cui ortodossia fu presto messa in discussione, producendo delle divisioni dottrinali (sul [[Dharma]]) e disciplinari (sul [[Vinaya]]) nel ''[[sangha]]'' buddhista. Ma la stesura di un primo vero e proprio [[Canone buddhista]], andato perduto, può essere ascritta al periodo di [[Asoka]]. Occorre infatti ricordare che, frammenti archeologici a parte, i [[Canoni buddhisti]] di cui disponiamo alcune edizioni integrali appartengono tutti alla nostra Era: il [[Canone pali]] è in una edizione risalente al V sec. e.v., il [[Canone cinese]] è la traduzione, in [[cinese]], operata nei primi secoli della nostra Era a partire da testi [[sanscriti]], mentre le traduzioni in [[tibetano]], sempre dal [[sanscrito]], del [[Canone tibetano]] sono decisamente più tarde.
Infatti, come ricorda Mario Piantelli, non è possibile parlare di "un" Buddhismo quanto piuttosto di un "fascio di Buddhismi". <ref>Mario Piantelli. ''Il Buddhismo indiano'' in Giovanni Filoramo (a cura di), ''Buddhismo''. Bari, Laterza, 2001, pag. 5 </ref> Il tema, oggetto di numerose ricerche, è cosa di questo ''fascio di Buddhismi'' possa essere ascritto alla figura storica del [[Buddha Shakyamuni]]. Ovvero quali fossero le caratteristiche del Buddhismo delle origini. Un tema molto disagevole da trattare in quanto i testi scritti più antichi su cui tale ricerca può basarsi risalgono a poco prima l'inizio della nostra Era, successivi quindi, e di diversi secoli, alla morte del suo fondatore, il [[Buddha Shakyamuni]]. È del tutto impossibile avere la contezza di quale fosse il suo effettivo insegnamento e qualsiasi ricerca possa essere condotta su tale argomento deve ricordarsi i limiti stessi da cui essa procede. Ciò premesso, alcune considerazioni possono essere fatte. È certo, ad esempio, che prima della loro messa per iscritto i sermoni del [[Buddha Shakyamuni]] venivano recitati oralmente e quindi trasmessi da monaci (''[[bhikkhu]]'') denominati ''bāṇaka''. È certo anche che vi siano stati dei [[Concili buddhisti]] in cui questi testi venivano recitati ma la cui ortodossia fu presto messa in discussione, producendo delle divisioni dottrinali (sul [[Dharma]]) e disciplinari (sul [[Vinaya]]) nel ''[[sangha]]'' buddhista. Ma la stesura di un primo vero e proprio [[Canone buddhista]], andato perduto, può essere ascritta al periodo di [[Aśoka]]. Occorre infatti ricordare che, a parte le testimonianze archeologiche indirette, i [[Canoni buddhisti]] scritti di cui disponiamo edizioni integrali o almeno non frammentarie appartengono tutti alla nostra era: il [[Canone pāli]] è in una edizione risalente al I sec. [[Era volgare|EV]] e poi riedito nel V, il [[Canone cinese]] è la traduzione, in [[cinese]], operata nei primi secoli della nostra era a partire da testi [[sanscrito|sanscriti]], mentre le traduzioni in [[tibetano]], sempre dal sanscrito, del [[Canone tibetano]] sono decisamente più tarde.
Prima di passare in rassegna i possibili più antichi raggruppamenti testuali del primo, possibile, [[Canone buddhista]] e i relativi insegnamenti riportati successivamente negli [[agama-nikaya]], e forse persino nei più antichi [[Prajnaparamitasutra]], fonte di intepretazione e di divisione dottrinale nel [[Buddhismo dei Nikaya]] e nel [[Buddhismo Mahayana]], occorre affrontare il tema delle lingue usate nelle più antiche predicazioni e nella stesura orale dei primi insegnamenti buddhisti <ref>Per un approfondimento sul tema vedi: H. Bechert, ''The Language of the Earliest Buddhist Tradition'', Vandenhoeck and Ruprecht, Gottingen, 1980; L. O. Gomez, ''Language: Buddhist views of language'', In: Eliade M (ed.) ''Encyclopaedia of Religion'', Vol. 8, pp. 446-51. New York, Macmillan, 1987; O. von Hiniiber ''Pali as an artificial language''. Indologia Taurinensia, 1982, 10, 133-40; K. R. Norman ''Pali Literature'' Harrossowitz, Wiesbaden, 1982.</ref>.
Prima di passare in rassegna i possibili più antichi raggruppamenti testuali del primo, possibile, [[Canone buddhista]] e i relativi insegnamenti riportati successivamente negli [[Āgama-Nikāya]], e forse persino nei più antichi [[Prajñāpāramitā Sūtra]], fonte di intepretazione e di divisione dottrinale nel [[Buddhismo dei Nikāya]] e nel [[Buddhismo Mahāyāna]], occorre affrontare il tema delle lingue usate nelle più antiche predicazioni e nella stesura orale dei primi insegnamenti buddhisti <ref>Per un approfondimento sul tema vedi: H. Bechert; L. O. Gomez, Eliade M., Vol. 8, pagg. 446-51; O. von Hiniiber, 10, pagg. 133-40; K. R. Norman</ref>.


== La lingua di predicazione del primo Buddhadharma ==
== La lingua di predicazione del primo Buddhadharma ==
È molto probabile che la lingua utilizzata dal [[Buddha Shakyamuni]] fosse una lingua facilmente comprensibile per l'uditorio dei suoi sermoni che, facendo riferimento ad una dottrina interclassista, non poteva consistere solo di persone della casta dei [[brahmana]] o degli [[kshatrya]] ma appartenere ad ogni ceto sociale. Ciò si evince da alcune parti degli ''[[Agama-Nikaya]]'' dove il Buddha sconsiglia, se non proibisce espressamente, l'utilizzo della lingua religiosa indiana per antonomasia: il [[sanscrito vedico]]. Questo in quanto tale lingua poteva essere compresa solamente da individui appartenenti alle classi più elevate. Predicando nel territorio del [[Magadha]] è molto probabile che egli si esprimesse in ''[[Magadhi]]'' o antico ''[[Magadhi]]''. Ciò non toglie che i suoi discepoli itineranti abbiano utilizzato, di volta in volta, le lingue popolari ([[pracritiche]]) delle varie regioni che visitavano durante le predicazioni. Di tale linguaggio, il ''[[Magadhi]]'', abbiamo alcune tracce grazie agli editti di [[Ashoka]] pubblicati su pietra e rinvenuti in questa area. È noto infatti che [[Ashoka]] pubblicasse i propri editti lungo tutto l'impero [[Maurya]] da lui governato. Sono stati rinvenuti editti, nell'area del [[Panjab]], pubblicati in ''[[Kharoṣṭhī]]'' (conosciuto anche come ''[[Gāndhārī]]'') una lingua sinistrorsa di origine [[Aramaica]], altri sono scritti in [[Greco]] o anche in [[Aramaico]], ma la maggior parte degli editti di [[Asoka]] sono in [[medio-indiano]] (o ''pracritico'' di cui il ''[[Magadhi]]'' fa parte) in caratteri ''[[Brahmi]]'', un sistema destrorso origine del ''[[Devangari]]''. Tali editti, tuttavia va ricordato, sono successivi già di due secoli alla morte del [[Buddha Shakaymuni]]. A tutto questo va aggiunto che spesso nello stessa regione i dialetti marcavano l'origine sociale degli interlocutori, così re, governatori e brahmani parlavano il ''[[Sanscrito vedico]]'', regine, monache e cortigiane parlavano il ''[[Shauraseni]]'', mercanti e artigiani il ''[[Magadhi]]'', mentre il popolo "basso" utilizzava il ''[[Paisachi]]''. <ref>Cfr. Kogen Mizuno. ''Buddhist Sutras, Origin, Development, Transmission''. Tokyo, Kosei, 1995, pag. 26.</ref>
È molto probabile che la lingua utilizzata dal [[Buddha Shakyamuni]] fosse una lingua facilmente comprensibile per l'uditorio dei suoi sermoni che, facendo riferimento ad una dottrina interclassista, non poteva consistere solo di persone della casta dei [[brahmana]] o degli [[kshatrya]] ma appartenere ad ogni ceto sociale. Ciò si evince da alcune parti degli ''[[Āgama-Nikāya]]'' dove il Buddha sconsiglia, se non proibisce espressamente, l'utilizzo della lingua religiosa indiana per antonomasia: il [[sanscrito vedico]]. Questo in quanto tale lingua poteva essere compresa solamente da individui appartenenti alle classi più elevate. Predicando nel territorio del [[Magadha]] è molto probabile che egli si esprimesse in ''[[magadhi]]'' o antico ''[[magadhi]]''. Ciò non toglie che i suoi discepoli itineranti abbiano utilizzato, di volta in volta, le lingue popolari ([[pracritiche]]) delle varie regioni che visitavano durante le predicazioni. Di tale linguaggio, il ''[[magadhi]]'', abbiamo alcune tracce grazie agli editti di [[Aśoka]] pubblicati su pietra e rinvenuti in questa area. È noto infatti che [[Aśoka]] pubblicasse i propri editti lungo tutto l'impero [[Maurya]] da lui governato. Sono stati rinvenuti editti, nell'area del [[Panjab]], pubblicati in ''[[kharoṣṭhī]]'' (conosciuto anche come ''[[gāndhārī]]'') una lingua sinistrorsa di origine [[aramaica]], altri sono scritti in [[greco]] o anche in [[aramaico]], ma la maggior parte degli editti di [[Aśoka]] sono in [[medio-indiano]] (o ''pracritico'' di cui il ''magadhi'' fa parte) in caratteri ''[[brahmi]]'', un sistema destrorso origine del ''[[devanāgarī]]''. Tali editti, tuttavia va ricordato, sono successivi già di due secoli alla morte del [[Buddha Shakaymuni]]. A tutto questo va aggiunto che spesso nello stessa regione i dialetti marcavano l'origine sociale degli interlocutori, così re, governatori e brahmani parlavano il ''[[sanscrito vedico]]'', regine, monache e cortigiane parlavano il ''[[shauraseni]]'', mercanti e artigiani il ''magadhi'', mentre il popolo "basso" utilizzava il ''[[paisachi]]''<ref>K. Mizuno, pag. 26.</ref>.


== Note ==
== Note ==
<references/>
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==Bibliografia==
* H. Bechert. ''The Language of the Earliest Buddhist Tradition''. Vandenhoeck and Ruprecht. Gottingen, 1980
* L. O. Gomez. ''Language: Buddhist views of language'', in: Eliade M. (ed.). ''Encyclopaedia of Religion''. Macmillan. New York, 1987
* O. von Hiniiber. ''Pali as an artificial language''. Indologia Taurinensia, 1982
* K. R. Norman. ''Pali Literature''. Harrossowitz, Wiesbaden, 1982
* Kogen Mizuno. ''Buddhist Sutras, Origin, Development, Transmission''. Kosei. Tokyo, 1995
* Dipak Kumar Barua. ''An Analytical Study of Four Nikāyas''. Munshiram Manoharlal Publishers Pvt. Ltd. Calcutta, 1971, sec. ed. 2003. ISBN 81-215-1067-8


[[Categoria: Buddhismo]]
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Versione delle 16:15, 7 gen 2009

"Orma del Buddha con la Ruota del Dharma" (I secolo e.v., Gandhāra). La Ruota del Dharma sulle piante dei piedi (Cakrāṅkita-hasta-pāda-tala) è uno dei Trentadue segni maggiori di un Buddha (Dvatrimsadvaralaksana).
Nei primi secoli, le comunità buddhiste non rappresentavano con immagini il Buddha, ma solo per mezzo di impronte di piedi o con un trono vuoto.

Il termine sanscrito Buddhadharma (बुद्धधर्म), indica, in India, l'insegnamento predicato dal Buddha Shakyamuni così da distinguerlo da quello di altri maestri indiani e dal Sanātanadharma (सनातनधर्म) ovvero l'insegnamento proveniente dalla letteratura vedica che, secondo le dottrine di origine vedica, non essendo stato pronunciato da alcun maestro non può che esserci sempre stato ed essere quindi sanātana (eterno). In un significato più allargato, Buddhadharma indica il Buddhismo con i suoi progressivi e contraddittori sviluppi.

Ruota del Dharma (Dharmacakra), simbolo per eccellenza della religione buddhista. Gli otto raggi rappresentano il nobile Ottuplice sentiero (sans. Ārya 'ṣṭāṅga mārgaḥ).

Infatti, come ricorda Mario Piantelli, non è possibile parlare di "un" Buddhismo quanto piuttosto di un "fascio di Buddhismi". [1] Il tema, oggetto di numerose ricerche, è cosa di questo fascio di Buddhismi possa essere ascritto alla figura storica del Buddha Shakyamuni. Ovvero quali fossero le caratteristiche del Buddhismo delle origini. Un tema molto disagevole da trattare in quanto i testi scritti più antichi su cui tale ricerca può basarsi risalgono a poco prima l'inizio della nostra Era, successivi quindi, e di diversi secoli, alla morte del suo fondatore, il Buddha Shakyamuni. È del tutto impossibile avere la contezza di quale fosse il suo effettivo insegnamento e qualsiasi ricerca possa essere condotta su tale argomento deve ricordarsi i limiti stessi da cui essa procede. Ciò premesso, alcune considerazioni possono essere fatte. È certo, ad esempio, che prima della loro messa per iscritto i sermoni del Buddha Shakyamuni venivano recitati oralmente e quindi trasmessi da monaci (bhikkhu) denominati bāṇaka. È certo anche che vi siano stati dei Concili buddhisti in cui questi testi venivano recitati ma la cui ortodossia fu presto messa in discussione, producendo delle divisioni dottrinali (sul Dharma) e disciplinari (sul Vinaya) nel sangha buddhista. Ma la stesura di un primo vero e proprio Canone buddhista, andato perduto, può essere ascritta al periodo di Aśoka. Occorre infatti ricordare che, a parte le testimonianze archeologiche indirette, i Canoni buddhisti scritti di cui disponiamo edizioni integrali o almeno non frammentarie appartengono tutti alla nostra era: il Canone pāli è in una edizione risalente al I sec. EV e poi riedito nel V, il Canone cinese è la traduzione, in cinese, operata nei primi secoli della nostra era a partire da testi sanscriti, mentre le traduzioni in tibetano, sempre dal sanscrito, del Canone tibetano sono decisamente più tarde. Prima di passare in rassegna i possibili più antichi raggruppamenti testuali del primo, possibile, Canone buddhista e i relativi insegnamenti riportati successivamente negli Āgama-Nikāya, e forse persino nei più antichi Prajñāpāramitā Sūtra, fonte di intepretazione e di divisione dottrinale nel Buddhismo dei Nikāya e nel Buddhismo Mahāyāna, occorre affrontare il tema delle lingue usate nelle più antiche predicazioni e nella stesura orale dei primi insegnamenti buddhisti [2].

La lingua di predicazione del primo Buddhadharma

È molto probabile che la lingua utilizzata dal Buddha Shakyamuni fosse una lingua facilmente comprensibile per l'uditorio dei suoi sermoni che, facendo riferimento ad una dottrina interclassista, non poteva consistere solo di persone della casta dei brahmana o degli kshatrya ma appartenere ad ogni ceto sociale. Ciò si evince da alcune parti degli Āgama-Nikāya dove il Buddha sconsiglia, se non proibisce espressamente, l'utilizzo della lingua religiosa indiana per antonomasia: il sanscrito vedico. Questo in quanto tale lingua poteva essere compresa solamente da individui appartenenti alle classi più elevate. Predicando nel territorio del Magadha è molto probabile che egli si esprimesse in magadhi o antico magadhi. Ciò non toglie che i suoi discepoli itineranti abbiano utilizzato, di volta in volta, le lingue popolari (pracritiche) delle varie regioni che visitavano durante le predicazioni. Di tale linguaggio, il magadhi, abbiamo alcune tracce grazie agli editti di Aśoka pubblicati su pietra e rinvenuti in questa area. È noto infatti che Aśoka pubblicasse i propri editti lungo tutto l'impero Maurya da lui governato. Sono stati rinvenuti editti, nell'area del Panjab, pubblicati in kharoṣṭhī (conosciuto anche come gāndhārī) una lingua sinistrorsa di origine aramaica, altri sono scritti in greco o anche in aramaico, ma la maggior parte degli editti di Aśoka sono in medio-indiano (o pracritico di cui il magadhi fa parte) in caratteri brahmi, un sistema destrorso origine del devanāgarī. Tali editti, tuttavia va ricordato, sono successivi già di due secoli alla morte del Buddha Shakaymuni. A tutto questo va aggiunto che spesso nello stessa regione i dialetti marcavano l'origine sociale degli interlocutori, così re, governatori e brahmani parlavano il sanscrito vedico, regine, monache e cortigiane parlavano il shauraseni, mercanti e artigiani il magadhi, mentre il popolo "basso" utilizzava il paisachi[3].

Note

  1. ^ Mario Piantelli. Il Buddhismo indiano in Giovanni Filoramo (a cura di), Buddhismo. Bari, Laterza, 2001, pag. 5
  2. ^ Per un approfondimento sul tema vedi: H. Bechert; L. O. Gomez, Eliade M., Vol. 8, pagg. 446-51; O. von Hiniiber, 10, pagg. 133-40; K. R. Norman
  3. ^ K. Mizuno, pag. 26.

Bibliografia

  • H. Bechert. The Language of the Earliest Buddhist Tradition. Vandenhoeck and Ruprecht. Gottingen, 1980
  • L. O. Gomez. Language: Buddhist views of language, in: Eliade M. (ed.). Encyclopaedia of Religion. Macmillan. New York, 1987
  • O. von Hiniiber. Pali as an artificial language. Indologia Taurinensia, 1982
  • K. R. Norman. Pali Literature. Harrossowitz, Wiesbaden, 1982
  • Kogen Mizuno. Buddhist Sutras, Origin, Development, Transmission. Kosei. Tokyo, 1995
  • Dipak Kumar Barua. An Analytical Study of Four Nikāyas. Munshiram Manoharlal Publishers Pvt. Ltd. Calcutta, 1971, sec. ed. 2003. ISBN 81-215-1067-8
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