Bambini dell'Olocausto: differenze tra le versioni

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Nel 1938-39, circa 10.000 bambini ebrei (anche molti piccoli d'età) sopravvissero all'Olocausto perché giunsero in Inghilterra da soli come rifugiati, prima dello scoppio della guerra, in un viaggio che nella maggior parte dei casi segnò la separazione definitiva dalle loro famiglie e dal loro paese natale. Tra coloro che da bambini fecero esperienza del [[Kindertransport]] ci sono personaggi famosi come il regista [[Karel Reisz]], gli artisti [[Eva Hesse]] e [[Gustav Metzger]], i fisici e premi Nobel [[Arno Penzias]] e [[Walter Kohn]]. Pochi di loro ritroveranno i loro genitori e familiari al termine della guerra.<ref>Mark Jonathan Harris and Deborah Oppenheimer, ''Into the Arms of Strangers: Stories of the Kindertransport''. London: Bloomsbury, 2000.</ref> Gruppi numerosi di bambini non accompagnati giunsero anche in Francia, Belgio e Olanda, dove furono ospitati in istituti, orfanotrofi o presso famiglia affidatarie.
Nel 1938-39, circa 10.000 bambini ebrei (anche molti piccoli d'età) sopravvissero all'Olocausto perché giunsero in Inghilterra da soli come rifugiati, prima dello scoppio della guerra, in un viaggio che nella maggior parte dei casi segnò la separazione definitiva dalle loro famiglie e dal loro paese natale. Tra coloro che da bambini fecero esperienza del [[Kindertransport]] ci sono personaggi famosi come il regista [[Karel Reisz]], gli artisti [[Eva Hesse]] e [[Gustav Metzger]], i fisici e premi Nobel [[Arno Penzias]] e [[Walter Kohn]]. Pochi di loro ritroveranno i loro genitori e familiari al termine della guerra.<ref>Mark Jonathan Harris and Deborah Oppenheimer, ''Into the Arms of Strangers: Stories of the Kindertransport''. London: Bloomsbury, 2000.</ref> Gruppi numerosi di bambini non accompagnati giunsero anche in Francia, Belgio e Olanda, dove furono ospitati in istituti, orfanotrofi o presso famiglia affidatarie.

Tra i 963 profughi ebrei che nell'estate del 1939 lasciarono il porto di Amburgo a bordo della [[St. Louis (transatlantico)|St. Louis]] con la speranza di sbarcare a Cuba (e di raggiungere quindi gli Stati Uniti) c'erano anche circa 150 bambini con le loro famiglie. Se anche nessuno di loro dovette rientrare in Germania, solo per i 5 che sbarcarono a Cuba e per i 36 che furono accolti in Inghilterra ciò significò la fine delle persecuzioni. La maggior parte di quanti furono accolti in Belgio (34), Olanda (31) e Francia (39) si ritrovarono da lì a poco sotto occupazione nazista: 24 di loro periranno ad Auschwitz o Sobibor, otto sopravviveranno alle deportazioni, per gli altri furono anni difficili trascorsi in clandestinità, spesso separati dai loro stessi genitori.


Il flusso dei rifugiati non si interruppe del tutto neppure durante la guerra. 9.342 bambini ebrei giunsero in Palestina tra il 1939 e il 1945.<ref>"[https://www.yadvashem.org/odot_pdf/Microsoft%20Word%20-%206377.pdf Youth Aliyah]", [[Yad Vashem]].</ref> Tra di essi vi furono anche i cosiddetti [[bambini di Teheran]], un gruppo di 861 bambini ebrei polacchi rimasti orfani, i quali rifugiatisi in Unione Sovietica furono radunati nel 1942 in un orfanotrofio a [[Teheran]] in Iran per giungere quindi l'anno successivo in Palestina.<ref>"[https://www.ushmm.org/wlc/en/article.php?ModuleId=10007498 Tehran Children]", ''Holocaust Encyclopedia''.</ref> Oltre che in Unione Sovietica, molti rifugiati ebrei si diressero verso i paesi neutrali: [[Svezia]], [[Svizzera]] e [[Spagna]].
Il flusso dei rifugiati non si interruppe del tutto neppure durante la guerra. 9.342 bambini ebrei giunsero in Palestina tra il 1939 e il 1945.<ref>"[https://www.yadvashem.org/odot_pdf/Microsoft%20Word%20-%206377.pdf Youth Aliyah]", [[Yad Vashem]].</ref> Tra di essi vi furono anche i cosiddetti [[bambini di Teheran]], un gruppo di 861 bambini ebrei polacchi rimasti orfani, i quali rifugiatisi in Unione Sovietica furono radunati nel 1942 in un orfanotrofio a [[Teheran]] in Iran per giungere quindi l'anno successivo in Palestina.<ref>"[https://www.ushmm.org/wlc/en/article.php?ModuleId=10007498 Tehran Children]", ''Holocaust Encyclopedia''.</ref> Oltre che in Unione Sovietica, molti rifugiati ebrei si diressero verso i paesi neutrali: [[Svezia]], [[Svizzera]] e [[Spagna]].

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Pericolosi nemici del Terzo Reich (1943) di Arthur Szyk
Rastrellamento di donne e bambini dal ghetto di Varsavia. A destra con il mitra in mano è Josef Blösche.
Bambini del ghetto di Łódź avviati al campo di sterminio di Chełmno

I bambini dell'Olocausto hanno rappresentato il segmento più vulnerabile tra i gruppi che furono colpiti dalle politiche naziste di discriminazione, persecuzione razziale e genocidio, con un altissimo numero di vittime. La stragrande maggioranza di loro (tra un milione e un milione e mezzo) furono ebrei e a loro ci si riferisce specificamente e più propriamente come bambini della Shoah. Tra le vittime dell'Olocausto si annoverano anche numerosissimi bambini non ebrei (tra il 40% e il 50% dei 200.-250.000 "zingari" uccisi nell'Olocausto, oltre a svariate migliaia di polacchi, russi, serbi, disabili, figli di oppositori politici, vittime di rappresaglie, ecc.).

I bambini che furono oggetto di persecuzione e sopravvissero all'Olocausto, nei ghetti e nei campi di concentramento o nella clandestinità o attraverso la fuga e l'emigrazione forzata, passarono tutti attraverso esperienze molto dure di privazioni personali e di separazione o perdita delle loro famiglie. Nel dopoguerra molti di essi hanno svolto un ruolo importante di testimoni nei processi e di fronte all'opinione pubblica.

Le leggi razziali

Lo stesso argomento in dettaglio: Leggi razziali naziste e Leggi razziali fasciste.

I bambini pagarono subito un duro prezzo per le politiche discriminatorie messe in atto già a partire dal 1933 nella Germania nazista e quindi dal 1938 in Italia con la promulgazione delle leggi razziali fasciste.[1] Con la seconda guerra mondiale tali misure furono estese a buona parte dell'Europa continentale.

I bambini ebrei furono espulsi dalle scuole che frequentavano, dalle attività sportive e ricreative per la gioventù, impediti ad avere una vita sociale "normale", privati del futuro per le restrizioni imposte sull'istruzione e sull'accesso alle professioni.

Nel momento cruciale della crescita e della costruzione della propria identità, con le leggi razziali venne improvvisamente la consapevolezza di essere "diversi", soggetti a pregiudizi ed ostilità che fino ad allora essi non avevano conosciuto in modo così diretto. Sul piano personale, più ancora delle difficoltà economiche, pesarono le limitazioni imposte ai rapporti sociali e l'esperienza dell'esclusione, assieme all'indifferenza e alla mancanza di solidarietà da parte di insegnanti e amici.[2]

Molti si trovarono a dover lasciare le loro case e i loro affetti ed emigrare in altri paesi, attraverso modalità che spesso comportarono la separazione (temporanea o permanente) dai propri genitori e traumatiche esperienze di viaggio.

Lo sterminio

Lo stesso argomento in dettaglio: Olocausto e Vittime dell'Olocausto.
Anna Frank, morta nei campi di concentramento, è uno dei simboli più noti dell'Olocausto a livello internazionale

Circa un milione e mezzo di bambini e adolescenti perirono nell'Olocausto.[3] Se nei territori occupati dai nazisti trovarono la morte i due terzi degli ebrei residenti, questa percentuale fu di gran lunga superiore tra i bambini (raggiungendo il 90%). Lievemente maggiori furono le possibilità di sopravvivenza tra gli adolescenti, utilizzati come forza lavoro.[4] Agli occhi dei nazisti i bambini rappresentavano solo delle bocche inutili da sfamare, al contrario degli adulti il cui lavoro coatto poteva essere sfruttato almeno per un certo periodo per le esigenze belliche della Germania.

L'uccisione dei bambini fu coscientemente perseguita come la migliore garanzia che le "razze" considerate "inferiori" non avessero un futuro.[4] L'unicità dell'Olocausto veniva rilevata già nel 1942 dallo storico Emanuel Ringelblum, dall'interno del ghetto di Varsavia:

"Anche nei tempi più barbari, una scintilla umana brillava anche nel cuore più crudele e i bambini furono risparmiati. Ma la bestia hitleriana è molto diversa. Essa divora i più cari a noi, quelli che suscitano la massima compassione, i nostri figli innocenti."[5]

Lo sterminio fu così sistematicamente condotto, che del milione di bambini ebrei che vivevano in Polonia, alla fine della guerra ne rimarranno solo 5.000.[6] Dei 776 bambini ebrei italiani deportati ad Auschwitz ne sono sopravvissuti 25.[7] Degli oltre 200 di età inferiore ai 14 anni, che furono deportati dal ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 non ne è tornato nessuno.[8]

Programmi di eutanasia

Lo stesso argomento in dettaglio: Aktion T4 ed Eutanasia su minori nella Germania nazista.

I primi bambini ad essere vittime dell'Olocausto furono i minori disabili (senza alcuna distinzione tra "ariani e "non-ariani"), i quali furono eliminati in Aktion T4, il programma di eutanasia del Terzo Reich volto a forgiare la "razza ariana", purificandola da ogni debolezza genetica. Tutti coloro che avevano un qualche malattia ereditaria (in seguito conosciuta come malattia genetica) o che erano gravemente malati fisici o mentali (vedi disabilità) furono classificati come esempi di "vita indegna di essere vissuta" (lebensunwertes Leben). Già nel 1929 Adolf Hitler aveva affermato di fronte al congresso del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori svoltosi a Norimberga che "la rimozione dei bambini più deboli significava un aumento del potere della nazione e non un suo indebolimento".[9].

Fu nei programmi di eutanasia che si sperimentarono per la prima volta quei metodi di sterminio di massa (come la gassazione) che furono poi applicati su larga scala nei confronti degli ebrei e altri gruppi ritenuti razzialmente inferiori o socialmente indesiderabili. L'ambiguo confine tra malattia mentale e "disattamento" sociale portava ad allargare il numero di quanti potessero essere considerati suscettibili di "rimozione". Tra il 1939 e il 1945, furono 5000-7000 i bambini soppressi nelle cliniche e nei riformatori tedeschi perché affetti da malattie genetiche o mentali o, come nel caso di Ernst Lossa, semplicemente perché ritenuti socialmente e "razzialmente" "disadattati" e irriformabili.[10]

Vita e morte nei ghetti

Bambini nel ghetto di Varsavia nel 1941

Nei ghetti in cui la popolazione ebraica fu progressivamente confinata dai nazisti dopo l'inizio della seconda guerra mondiale, i bambini (unitamente agli anziani) furono i primi a soccombere, a causa della fame, delle malattie e delle durissime condizioni di vita.[11] Le immagini giunteci dai ghetti della Polonia ci mostrano le strade piene di bambini denutriti, malati o morenti, una realtà che i Diari dell'Olocausto scritti da bambini nei ghetti esprimono in maniera drammatica. Fino all'ultimo i genitori e gli educatori cercarono di garantire ai bambini un'apparenza di normalità, attraverso l'organizzazione di attività scolastiche, culturali e ricreative. Ogni tentativo da parte delle autorità ebraiche di autogoverno, di organizzazioni politiche e filantropiche e di singoli individui fu però presto sopraffatto di fronte alle tragiche dimensioni dei problemi e alla mancanza di cibo e di risorse. E quando cominciarono le deportazioni i bambini furono i primi a partire per i campi di sterminio, a cominciare dai numerosi bambini ospitati negli orfanotrofi. Nel ghetto di Lublino essi furono uccisi a colpi di mitragliatrice e sepolti in una fossa comune già nell'aprile 1942.[12] Anche i bambini dell'orfanotrofio di Varsavia furono nell'agosto 1942 tra le prime vittime della liquidazione del ghetto con uno speciale trasporto al Treblinka; il direttore, il famoso pedagogo Janusz Korczak non volle abbandonarli e condivise con loro lo stesso destino di morte.[13] Lo stesso destino fu riservato agli orfani del ghetto di Cracovia inviati il 28 ottobre 1942 a morire al campo di sterminio di Bełżec.[14] Presto non si fece alcuna differenza tra orfani o meno. Emblematico fra tutti è il caso del ghetto di Łódź dove nel settembre 1942 la (temporanea) sopravvivenza degli adulti fu garantita a condizione del sacrificio di tutti i bambini di età inferiore ai 10 anni e degli anziani.[15]

Anche per i bambini che in qualche modo riuscissero almeno temporaneamente a sfuggire ai rastrellamenti e alle deportazioni, ciò significava il più delle volte trovarsi in una condizione disperata, abbandonati a se stessi, senza più il supporto di familiari o amici. Sono i sentimenti che il quattordicenne Abram Bajler esprime in un cartolina postale che il 24 aprile 1942 riesce ad inviare dal ghetto di Zamość rispondendo a chi gli chiedeva notizie di un suo zio.

Zamość, 24 aprile 1942. Mio zio non è più a Zamość. Sono già passate due settimane da quando ha lasciato la città insieme al resto della nostra famiglia. Per ora non sappiamo dove siano. Sono stato lasciato con mio fratello minore perché all'epoca eravamo al lavoro. Provate a immaginare la nostra situazione con me stesso, un ragazzo di 14 anni lasciato solo senza cure o supervisione, e reso responsabile del benessere del mio fratellino; ma in qualche modo ci riusciamo, perché non abbiamo scelta. Dobbiamo accettare ciò che ci viene dato.[16]
Poster per la rappresentazione di Brundibar a Terezín

L'accanimento dei nazisti contro i bambini non si allentò neppure quando fu chiaro che la guerra era perduta. A Theresienstadt (Terezín), il "ghetto modello" a lungo usato dai nazisti a scopo propagandistico, per qualche tempo i bambini poterono godere di condizioni di vita migliori.[17] Fu tollerato che essi frequentassero programmi scolastici, dove i loro insegnanti (tra cui alcuni dei più celebri intellettuali, musicisti e artisti ebrei dell'epoca) li incoraggiarono a praticare le arti e la musica.[18] Nel 1943-44 Friedl Dicker-Brandeis diresse un programma d'arte per bambini, i cui oltre 4000 disegni sono oggi esposti all'ammirazione dei visitatori alla Sinagoga Pinkas nel Quartiere-Museo ebraico di Praga.[19] Il 23 settembre 1943 i bambini di Terezín misero in scena l'opera Brundibar di Hans Krása, di cui fu protagonista il tredicenne Honza Treichlinger; nei mesi successivi l'opera conobbe un totale di ben 55 repliche.[20] A 14 anni Petr Ginz fondò e diresse dal 1942 al 1944 una rivista autogestita per bambini, Vadem, che è una delle più straordinarie produzioni letterarie di Terezín.[17] Con tutto questo Terezín era e rimase sempre agli occhi dei nazisti solo un luogo di soggiorno temporaneo e di transito verso i campi di sterminio.[21] La percentuale di mortalità tra i 15.000 bambini di Terezín non fu inferiore che altrove: ben oltre il 90% di essi sotto i 16 anni perì nell'Olocausto, inclusi la maggior parte degli autori dei disegni, degli interpreti dell'opera Brundibar e dei lettori e collaboratori di Vadem. Essi continuarono ad affollare gli ultimi treni della morte in partenza per Auschwitz nel settembre-ottobre 1944.[22]

Le fucilazioni di massa

Uccisione di donne e bambini a Mizoch, in Ucraina
A Zboriv, in Ucraina, un ragazzino viene fatto sostare e fotografato davanti ai corpi dei propri familiari prima di essere egli stesso ucciso
Lo stesso argomento in dettaglio: Einsatzgruppen.

A partire dal giugno 1941 con l'invasione tedesca dell'URSS (Operazione Barbarossa) cominciò nei territori occupati lo sterminio sistematico della popolazione ebraica, inclusi donne e bambini, attraverso pogroms e fucilazioni di massa ad opera di reparti speciali delle SS (Einsatzgruppen).[23] Talora intere famiglie erano uccise sul posto all'arrivo delle truppe SS. In altri casi gli abitanti di un villaggio era rinchiusi in sinagoghe o edifici poi dati alle fiamme o fatti saltare in aria con tutti i loro occupanti. Più frequentemente le vittime, provenienti dai tanti ghetti creati per concentrare la popolazione ebraica, erano trasportate a gruppi in luoghi isolati, spogliate di ogni bene, denudate, condotte in una fossa comune e lì uccise a mitragliate o con un colpo di pistola alla nuca.

Decine e decine di migliaia di bambini dovettero subire questa sorte, da soli o in compagnia delle loro madri, nonni, fratelli e sorelle. In numerosi casi le vittime erano obbligate a sdraiarsi sullo strato di cadaveri di coloro che erano già stati uccisi prima di essere a loro volta colpiti. I neonati venivano spesso lanciati in aria e usati come bersaglio per i colpi dei carnefici con la giustificazione che le tenere carni degli infanti non erano in grado di fermare una pallottola che avrebbe potuto causare pericolosi rimbalzi sul terreno, o semplicemente sepolti vivi per risparmiare munizioni.

Così accadde in centinaia di siti in tutta l'Europa dell'Est nei territori occupati dell'Unione Sovietica. Alcuni luoghi in particolare videro lo sterminio sistematico e la sepoltura in fosse comuni di decine e decine di migliaia di persone, come Babij Jar e Gurka Połonka in Ucraina, Ponary in Lituania, Bronna Góra in Bielorussa, Liepāja e Rumbula in Lettonia. Essendo gli eccidi riservati in primo luogo agli inabili al lavoro coatto, i bambini, assieme agli anziani e alle madri, ne furono le vittime principali.

Alla fine le autorità naziste giunsero alla conclusione che tali metodi di sterminio producessero troppo stress sul personale SS e si risolsero a cercare altre vie, più rapide ed impersonali, che non imponessero ai carnefici di guardare negli occhi delle loro vittime, specie dei più piccoli e inermi.[24] Anche quando si mise in moto la macchina dei campi di sterminio, gruppi di bambini, soprattutto orfani, continuarono comunque ad essere uccisi in fucilazioni sommarie, assieme ai malati e agli anziani non autosufficienti, per risparmiare sulle spese di trasporto.

Nei campi di sterminio

Lo stesso argomento in dettaglio: Campo di sterminio e Bambini di Auschwitz.

Dal dicembre 1941 lo sterminio procedette in appositi campi apertisi allo scopo (Chełmno, Bełżec, Sobibór, Treblinka, Auschwitz-Birkenau, cui occasionalmente si affiancò anche Majdanek), dove ad essere usato fu principalmente lo strumento della gassazione.[25]

Bambini ebrei ungheresi con le loro madri appena giunti a Birkenau prima di essere avviati alle camere a gas
In cammino verso le camere a gas

I bambini ebrei (e rom) furono condotti nei campi per non altra ragione se non per morire. Troppo piccoli per lavorare, non erano di alcuna utilità per la macchina bellica nazista, anche laddove (come a Majdanek o Auschwitz-Birkenau) si operava di regola all'arrivo una selezione per il lavoro coatto. Come confermato da Rudolf Höß, comandante di Auschwitz, nella sua deposizione di fronte al Tribunale di Norimberga nel 1946, le modalità della selezione era tali da non lasciare alcun scampo ai più piccoli:

«Il modo in cui avveniva la selezione era la seguente: i 2 dottori che avevamo ad Auschwitz esaminavano i prigionieri che arrivavano con il treno, li facevano camminare di fronte a loro e prendevano subito una decisione sul loro destino. Chi veniva ritenuto abile al lavoro veniva inviato al campo, gli altri direttamente alle camere a gas. I bambini più piccoli venivano sterminati perché non potevano essere adibiti ad alcun lavoro».[26]

Il processo di selezione è documentato in una serie di fotografie scattate ad Auschwitz-Birkenau da un militare SS nel maggio-giugno 1944 all'arrivo di un trasporto di ebrei ungheresi. Le foto (conservate nel cosiddetto Auschwitz Album) mostrano numerosi bambini che con le loro madri sono separati dalla persone abili al lavoro e quindi vengono fatti incamminare verso le camere a gas.[27] Stessa sorte fu riservata ai bambini rom; ne morirono nei campi o in esecuzioni sommarie tra il 40% e il 50% del totale delle 200.-250.000, vittime del "Porajmos" (l'"Olocausto degli zingari").[28]

Anche tra le poche migliaia di adolescenti che per il loro precoce sviluppo poterono mentire sulla loro età e superare le selezioni (ad Auschwitz furono 6.700 sui 216.000 che vi arrivarono) e tra i pochissimi bambini occasionalmente scelti con mansioni di tuttofare, le percentuali di sopravvivenza furono bassissime. Nei campi bambini e adulti erano soggetti alle stesse regole e allo stesso trattamento. In una famosa pagina de La notte Elie Wiesel ricorda di un altro bambino, ancora più piccolo di lui, torturato e impiccato pubblicamente con due adulti con l'accusa di sabotaggio.[29] A 14 anni Franco Cetrelli viene fucilato dalle SS assieme ad altri compagni al campo di concentramento di Mauthausen per rappresaglia ad un tentativo di rivolta.[30]

Numerosi furono i bambini (ebrei, rom, e polacchi) che perirono dopo essere stati usati come cavie viventi per esperimenti medici, ad Auschwitz-Birkenau ed altrove. Ricorda Primo Levi:

"I bambini erano a Birkenau come uccelli di passo: dopo pochi giorni, erano trasferiti al Block delle esperienze, o direttamente alle camere a gas".[31]

Primo Levi si riferisce qui specificamente ai quasi 3.000 bambini di Mengele che occupavano a Birkenau una speciale baracca (la numero 10), dove numerosi bambini (specie gemelli) erano selezionati come "animali da laboratorio" per le sperimentazioni (le "esperienze") del dott. Josef Mengele. Talora Mengele metteva a disposizione le proprie "cavie" anche per altri laboratori di ricerca come nel caso dei 20 bambini di Bullenhuser Damm inviati al campo di concentramento di Neuengamme presso Amburgo per essere sottoposti agli esperimenti sulla tubercolosi del dottor Kurt Heissmeyer. Tra di essi trovò la morte anche il piccolo Sergio De Simone.[32] Solo 200 dei bambini di Mengele erano ancora vivi nel gennaio 1945 quando il campo di Auschwitz-Birkenau fu liberato dalle truppe sovietiche, tra cui anche le piccole Andra e Tatiana Bucci.[33]

Pulizia etnica, rappresaglie, campi di concentramento per bambini

File:Children in Sisak concentration camp.jpg
Il campo di concentramento per bambini di Sisak, in Croazia

La mortalità fu elevatissima anche tra le migliaia e migliaia di bambini soggetti alle politiche di pulizia etnica: bambini polacchi nei territori della Polonia annessi alla Germania ed inviati ad Auschwitz; bambini serbi nel campo di concentramento di Jasenovac in Croazia; bambini slavi nei campi di concentramento italiani di Arbe e Gonars.

In Polonia e in Croazia si crearono anche speciali campi di concentramento riservati esclusivamente a bambini, orfani o sottratti alle loro famiglie. Il regime di vita in questi campi fu durissimo e numerose furono le vittime. In Polonia migliaia di bambini polacchi non-ebrei furono rinchiusi nel campo di concentramento di Potulice o nel campo di concentramento per bambini polacchi di Łódź (Kinder-KZ Litzmannstadt) e sottoposti a lavoro coatto o a programmi di germanizzazione.[34] In Croazia stessa sorte fu riservata a migliaia di bambini serbi nel campo di concentramento per bambini di Sisak (dove furono rinchiusi anche bambini ebrei e rom) e in quello di Jastrebarsko.[35]

Bambini di varia nazionalità morirono nei campi di concentramento dopo esservi stati deportati con le loro famiglie come "politici" o furono oggetto privilegiato di rappresaglie e stragi. Il caso più famoso è quello dei bambini del villaggio di Lidice in Cecoslovacchia, raso al suolo nel giugno 1942 come rappresaglia per l'uccisione del governatore nazista Reinhard Heydrich ad opera della resistenza. I 105 bambini del villaggio furono deportati nel ghetto di Łódź. 23 di loro furono selezionati per essere dati in adozione a famiglie "ariane" tedesche nell'ambito del Progetto Lebensborn. I rimanenti 82 furono assassinati nel campo di sterminio di Chełmno.[36] Anche in Italia numerosi bambini furono uccisi in stragi e rappresaglie, da Marzabotto a Stazzema. Tra le vittime dell'eccidio delle Fosse Ardeatine vi furono anche due quindicenni: Duilio Cibei (aderente al Partito d'Azione) e Michele Di Veroli (ebreo romano).[37]

In aiuto dei bambini

Le testimonianze dei bambini sopravvissuti sono piene di ricordi di violenze e atrocità di cui i bambini furono vittime da parte delle SS, delle forze di polizia e dei loro collaboratori. Anche la popolazione locale si rese talora responsabile di atti efferati, spesso facendosi attivamente complice nelle operazioni di cattura e uccisione, o al più rimanendo indifferente di fronte alla sorte dei più piccoli. Furono però numerosi anche gli atti individuali di generosità di persone che misero a rischio le loro vite per salvare bambini dalle deportazioni e dallo sterminio o li aiutarono a sopravvivere nei ghetti e nei campi di concentramento.[38]

Le operazioni di salvataggio di più ampia scala, come quelle portate a termine da Raoul Wallenberg e Giorgio Perlasca a Budapest, da Oskar Schindler in Polonia, dalla resistenza in Danimarca o dalla DELASEM in Italia, coinvolsero tutte un largo numero di famiglie con bambini. Alcuni individui in particolare, ebrei e non-ebrei, fecero della salvezza dei bambini ebrei lo scopo principale della loro vita. Già prima della scoppio della seconda guerra mondiale Nicholas Winton in Inghilterra, Recha Freier in Palestina e i coniugi Gilbert e Eleanor Kraus negli Stati Uniti si adoperarono con successo perché gruppi significativi di bambini ebrei potessero essere accolti come rifugiati nei loro paesi. Altri come Irena Sendler in Polonia, Johan van Hulst in Olanda e Andrée Salomon e Lois Gunden in Francia furono a capo di organizzazioni che negli anni più duri dell'Olocausto sottrassero centinaia di bambini alla deportazione sistemandoli in luoghi di rifugio e accoglienza. Nei ghetti e nei campi di internamenti i bambini trovarono persone che si adoperarono fino all'ultimo per dare loro un'educazione, assistenza o una parvenza di vita normale, da Janusz Korczak e Stefania Wilczyńska, direttori dell'orfanotrofio di Varsavia, agli educatori che a Theresienstadt li coinvolsero in un'incredibile serie di progetti culturali, come Fredy Hirsch, Friedl Dicker-Brandeis, Hans Krása, František Zelenka e Camilla Rosenbaum. Persino nei campi di concentramento e stermino non mancarono episodi di solidarietà che in taluni casi come a Bergen-Belsen (grazie a Luba Tryszynska o Yehoshua Birnbaum) e a Buchenwald (grazie a Antonín Kalina) risultarono nella sopravvivenza di centinaia di essi.

Se migliaia di bambini ebrei persero la vita per la complicità, le delazioni e l'indifferenza di molti adulti, migliaia di loro non sarebbero sopravvissuti all'Olocausto senza l'aiuto generosamente ricevuto da parte di persone spesso a loro completamente estranee.

I sopravvissuti

Rifugiati

Lo stesso argomento in dettaglio: Kindertransport e Bambini di Teheran.
Gruppo di bambini ebrei tedeschi al loro arrivo in Inghilterra nel dicembre 1938

Con l'ascesa al potere di Hitler, le leggi razziali e soprattutto dopo le violenze della notte dei cristalli (9-10 novembre 1938), molte famiglie di ebrei decisero di emigrare dai territori del Terzo Reich. Le opzioni tuttavia erano limitate, dovute alle ferree leggi e quote che regolavano i flussi migratori. Molti cercarono rifugio in paesi limitrofi, come la Polonia, i Paesi Bassi, il Belgio, la Francia, l'Italia, soltanto per trovarsi poi nuovamente sotto il regime nazista nel corso della seconda guerra mondiale. Le mete più ambite e sicure ma anche quelle più difficili da ottenere restavano l'Inghilterra, gli Stati Uniti e la Palestina, ma all'occasione ci si trasferì anche in Sud America, Africa o in Cina. Quando alla fine del 1938 la situazione ormai apparve disperata, le famiglie si risolsero anche a far partire i loro figli da soli, pur di garantire loro un futuro.

Fin dal 1933 l'organizzazione sionistica Youth Aliya, fondata e diretta da Recha Freier,[39] si prodigò per far emigrare bambini ebrei dalla Germania. Furono 5.012 i bambini (soprattutto adolescenti) che giunsero in Palestina prima della guerra.[39]

Nel 1938-39, circa 10.000 bambini ebrei (anche molti piccoli d'età) sopravvissero all'Olocausto perché giunsero in Inghilterra da soli come rifugiati, prima dello scoppio della guerra, in un viaggio che nella maggior parte dei casi segnò la separazione definitiva dalle loro famiglie e dal loro paese natale. Tra coloro che da bambini fecero esperienza del Kindertransport ci sono personaggi famosi come il regista Karel Reisz, gli artisti Eva Hesse e Gustav Metzger, i fisici e premi Nobel Arno Penzias e Walter Kohn. Pochi di loro ritroveranno i loro genitori e familiari al termine della guerra.[40] Gruppi numerosi di bambini non accompagnati giunsero anche in Francia, Belgio e Olanda, dove furono ospitati in istituti, orfanotrofi o presso famiglia affidatarie.

Tra i 963 profughi ebrei che nell'estate del 1939 lasciarono il porto di Amburgo a bordo della St. Louis con la speranza di sbarcare a Cuba (e di raggiungere quindi gli Stati Uniti) c'erano anche circa 150 bambini con le loro famiglie. Se anche nessuno di loro dovette rientrare in Germania, solo per i 5 che sbarcarono a Cuba e per i 36 che furono accolti in Inghilterra ciò significò la fine delle persecuzioni. La maggior parte di quanti furono accolti in Belgio (34), Olanda (31) e Francia (39) si ritrovarono da lì a poco sotto occupazione nazista: 24 di loro periranno ad Auschwitz o Sobibor, otto sopravviveranno alle deportazioni, per gli altri furono anni difficili trascorsi in clandestinità, spesso separati dai loro stessi genitori.

Il flusso dei rifugiati non si interruppe del tutto neppure durante la guerra. 9.342 bambini ebrei giunsero in Palestina tra il 1939 e il 1945.[41] Tra di essi vi furono anche i cosiddetti bambini di Teheran, un gruppo di 861 bambini ebrei polacchi rimasti orfani, i quali rifugiatisi in Unione Sovietica furono radunati nel 1942 in un orfanotrofio a Teheran in Iran per giungere quindi l'anno successivo in Palestina.[42] Oltre che in Unione Sovietica, molti rifugiati ebrei si diressero verso i paesi neutrali: Svezia, Svizzera e Spagna.

In Svezia giunsero migliaia di bambini ebrei provenienti dalla Norvegia ma soprattutto dalla Danimarca, quando nell'ottobre 1943 la quasi totalità degli 8000 ebrei danesi vi furono segretamente trasferiti per sfuggire alle deportazioni.[43] In Svezia essi poterono vivere con i loro familiari e con loro tornare in patria alla fine del conflitto.

Anche la Svizzera fu luogo di rifugio per migliaia di bambini ebrei che vi giunsero legalmente o clandestinamente con le loro famiglie dai paesi confinanti. Nonostante le molte restrizioni (e i numerosi respingimenti e controlli alle frontiere) furono 21.000 gli ebrei accolti nel territorio elvetico durante la guerra.[44] In Svizzera giunsero anche tre trasporti di ebrei, sottratti ai campi di concentramento per speciali accordi con le autorità naziste, sostanzialmente in cambio di denaro. I circa 1.670 ebrei ungheresi del treno di Kastner arrivarono in Svizzera dal campo di concentramento di Bergen-Belsen in due gruppi, uno nell'agosto e uno nel dicembre 1944 (tra loro c'erano almeno 270 bambini, incluso Ladislaus Löb). Un terzo treno portò in Svizzera il 5 febbraio 1945 un gruppo di 1.210 ebrei proveniente dal campo di concentramento di Theresienstadt (anche tra di loro vi era un centinaio di bambini).[45]

Nonostante le moltissime restrizioni, migliaia di ebrei attraversarono il confine francese con la Spagna e vi trovarono rifugio o temporanea accoglienza verso altri paesi. I rifugiati ebrei (tra cui moltissime famiglie con bambini) furono 20/30.000 nei primi anni di guerra, quando la Francia fu occupata dai nazisti, cui ne seguirono altri 7.500 tra l'estate del 1942 e l'autunno del 1944.[46] Per alcune centinaia di bambini ebrei tedeschi e austriaci profughi in Francia ed affidati alla cure dello "U.S. Committee for the Care of European Children", la Spagna fu paese di passaggio per il Portogallo da dove nell'estate del 1941 essi poterono imbarcarsi per gli Stati Uniti.[47]

Bambini nascosti in clandestinità

François Englert, premio Nobel per la Fisica 2013, trascorse la sua infanzia nascosto, sotto falsa identità, presso famiglie o orfanotrofi in Belgio

Nelle zone di occupazione tedesca, migliaia di bambini sopravvissero vivendo in clandestinità, con falsa identità, o nascosti in luoghi di rifugio, talora con i propri genitori, spesso separati dalle loro famiglie.[48]

Coscienti del fatto che i bambini rappresentavano il futuro ed erano per questo oggetto di particolare accanimento da parte nazista, le forze di resistenza (ebraica e non) dedicarono speciale attenzione al loro salvataggio, riuscendo in taluni casi anche a conseguire alcuni successi importanti come nel caso dei ragazzi di Villa Emma (Nonantola) in Italia,[49] o di quelli ospitati a Le Chambon-sur-Lignon in Francia.[50] Moltissimi furono i bambini (anche in Italia) accolti singolarmente in istituti religiosi cristiani o da famiglie di amici o anche di estranei che generosamente, rischiando la loro stessa vita, li protessero fino alla fine della guerra.[51]

Una categoria particolare è rappresentato da coloro che, come Jack Kuper, Meir Brand o Yoram Fridman, sopravvissero come ragazzi di strada, abbandonati a se stessi, senza degli adulti o un'organizzazione che si prendessero specificamente cura di loro, trovando amici e nemici nel loro cammino, vivendo di ogni sorta di espedienti.

Non per tutti i bambini fu una storia a lieto fine. Molti, come Anna Frank furono scoperti e avviati ai campi di sterminio, altri furono uccisi sul posto o si suicidarono per evitare la cattura (come Jerzy Feliks Urman). Per altri ancora, il prezzo pagato per la sopravvivenza fu molto alto. Benché i casi di abuso siano stati rari, le condizioni di rifugio furono spesso molto dure dal punto di vista fisico e psicologico per la paura continua di essere scoperti e la continua necessità di reprimere la propria identità e lo sforzo continuo di apparire e di comportarsi diversamente da come si era stati educati.[52] Per vincere la solitudine e l'assenza di una vita sociale normale alcuni bambini affidarono ai diari le loro emozioni. I Diari dell'Olocausto scritti da bambini sono tra le testimonianze più toccanti del periodo.[53]

Per coloro che sopravvissero, il ritorno alla normalità non fu semplice. La maggior parte di essi si ritrovarono orfani, spesso completamente soli, confusi, senza una chiara nozione della propria identità che per anni avevano dovuto tenere nascosta. Per altri l'abbandono dei genitori adottivi e il reinserimento nella famiglia d'origine fu un passo altrettanto traumatico. Per alcuni bambini ebrei affidati a istituti religiosi cattolici e battezzati si aprì anche una battaglia legale per la loro identificazione e "restituzione", battaglia che divise i vertici stessi della gerarchia cattolica.[54]

Tra i partigiani

Franco Cesana
Lo stesso argomento in dettaglio: Resistenza ebraica.

Molti bambini sopravvissero, in varie parti dell'Europa, protetti dai partigiani, in zone da essi controllate. Due unità partigiane in Bielorussia, quelle guidate rispettivamente dai Fratelli Bielski e da Shalom Zorin, si distinsero in particolare per aver stabilito nella foresta dei campi dove erano accolte anche famiglie ebree con donne, anziani e bambini.[55]

Per un bambino, specie se ebreo, non era semplice unirsi alle unità partigiane combattenti. La maggior parte delle unità partigiane non accettava bambini o civili inermi, ed episodi di antisemitismo non furono infrequenti anche in alcune formazioni partigiane dell'Est europeo. Tra i 20/30.000 ebrei che combatterono come partigiani in tutta Europa vi furono tuttavia molti adolescenti (ed anche un numero significativo di bambini più piccoli, soprattutto orfani). Diventare partigiani significava prendere parte direttamente alle azioni di guerriglia, spionaggio e sabotaggio condotte dal proprio gruppo ed essere sottoposti senza alcuno sconto alla brutalità della lotta.[56] È il caso di Nathan Schacht, sopravvissuto per 18 mesi (a 12-13 anni d'età) con i partigiani nella foresta in Ucraina, o di Marek Herman che giunto orfano dalla Polonia si unisce in Italia alla resistenza nel Canavese, o del dodicenne Franco Cesana, il più giovane partigiano caduto in un'azione di combattimento nella Resistenza italiana.

Sopravvissuti nei ghetti e nei campi di concentramento

Bambini liberati ad Auschwitz
Bambini liberati a Dachau

La sopravvivenza dei bambini nei ghetti o nei campi fu sempre legata a circostante eccezionali, che, ritardandone l'uccisione o la morte per stenti, in casi limitati permisero loro di rimanere in vita fino alla liberazione.

Nei ghetti, la loro sopravvivenza fu almeno in parte conseguenza della loro voglia di vivere e della loro adattabilità al contrabbando del cibo, al nascondimento e alla fuga. Con la liquidazione dei grandi ghetti (con la parziale eccezione di Terezin), i bambini ne furono comunque le prime vittime se non coloro che riuscirono a nascondersi e fuggire, cosa ovviamente impossibile ai più piccoli.[57]

Nei campi di concentramento e di sterminio, i più robusti si fecero passare per adulti per sfuggire alle selezioni, quando esse venivano compiute. Altri, ufficialmente troppo piccoli per essere considerati abili al lavoro, furono comunque impiegati da ufficiali SS o Kapò come attendenti personali con mansioni di tuttofare, soggetti a umiliazioni e abusi di ogni tipo.[58] Spesso la loro sopravvivenza fu legata all'aiuto e alla protezione personale offerta da altri prigionieri o compagni più grandi. A Auschwitz Luigi Ferri fu salvato per l'intervento dal medico ebreo Otto Wolken che lo "adottò" come figlio per tutta la sua permanenza al campo, mentre Piero Terracina e Sami Modiano trovarono forza e sostegno reciproco in un'amicizia fraterna.[59] La solidarietà del campo protesse i 904 bambini di Buchenwald tra cui erano gli ebrei Elie Wiesel e Yisrael Meir Lau,[60] e l'afro-tedesco Gert Schramm.[61] Marcello Martini, a 14 anni, il più giovane tra i deportati politici italiani, sopravvisse al lavoro coatto a Mauthausen e in altri campi e a una marcia della morte di 230 km.[62] Per tutti la liberazione venne dopo durissime esperienze e indicibile sofferenze.

A Theresienstadt, a Bergen-Belsen ed anche ad Auschwitz sopravvissero per periodi di mesi o anche anni gruppi cospicui di bambini perché appartenenti a gruppi speciali: figli di matrimoni misti, figli di ebrei prigionieri di guerra e quindi protetti dalla "convenzione di Ginevra", membri di famiglie con passaporti stranieri, famiglie selezionati per possibili scambi di prigionieri, ecc. Per loro si organizzarono talora anche delle speciali baracche. Non sempre l'essere selezionati all'interno di questi gruppi mise questi bambini al sicuro dallo sterminio (i bambini dei campi per famiglie di Auschwitz finirono questi tutti alle camere a gas), ma il ritardo con il quale fu decretata la loro esecuzione talora aumentò le loro chance di sopravvivenza.

Taluni bambini sopravvissero perché tenuti in vita (temporaneamente) come cavie in programmi di sperimentazione medica (come nella famosa "baracca dei gemelli" del dott. Joseph Mengele ad Auschwitz dove furono rinchiuse anche le piccole Andra e Tatiana Bucci). In altri casi di bambini specie polacchi o russi (classificati come aventi caratteristiche predominanti "ariane"), essi furono risparmiati per essere adottati da genitori tedeschi nell'ambito del Progetto Lebensborn.[63]

I nuclei più consistenti di bambini in vita nei campi di concentramento nazisti furono ritrovati al momento della liberazione a Terezín (circa 1.600 Bambini di Terezín), Buchenwald (circa 1000 Bambini di Buchenwald), Auschwitz-Birkenau (circa 700 Bambini di Auschwitz) e Bergen-Belsen (circa 500 Bambini di Bergen-Belsen). Negli ultimi mesi di guerra Terezín, Buchenwald e Bergen-Belsen erano diventati anche terminali e campi di raccolta dei numerosi bambini trasferiti in Germania dai campi di concentramento della Polonia con le marce della morte.

I testimoni

Lo stesso argomento in dettaglio: Libri di memorie sull'Olocausto e Superstiti dell'Olocausto.
Szymon Srebrnik, uno dei primi bambini dell'Olocausto a testimoniare nei processi del dopoguerra
Elie Wiesel, premio Nobel per la pace, uno dei più famosi "bambini dell'Olocausto" ad essere divenuti scrittori e testimoni

Alcuni bambini e adolescenti si trovarono subito proiettati nel ruolo pubblico di testimoni già nel corso della seconda guerra mondiale, come i 73 bambini di Teheran provenienti dalla Polonia, la cui testimonianza fu raccolta in Israele nel 1943,[64] o Mary Berg giunta negli Stati Uniti dal ghetto di Varsavia per uno scambio di prigionieri nel marzo 1944. Anche in Polonia, nei mesi successivi alla liberazione dei campi, bambini come Szymon Srebrnik o Luigi Ferri furono chiamati formalmente nel 1945 a testimoniare di fronte alla prime commissioni di inchiesta sui crimini nazisti. Altri, come Thomas Geve e Michal Kraus, fissarono i loro ricordi in disegni e illustrazioni annotate. Una ventina sono i racconti di bambini e adolescenti tra i 10 e i 19 anni che si possono ascoltare in registrazione tra le 130 interviste di sopravvissuti effettuate dallo psicologo David P. Boder nel 1946.[65] Alcuni bambini (come Joseph Schleifstein, sopravvissuto a Buchenwald) furono intervistati da giornalisti o alla radio (come Hetty Verolme, sopravvissuta a Bergen-Belsen). Sono queste le uniche voci di bambini che si siano conservate dai tempi dell'Olocausto.

Cessata la lotta quotidiana per la sopravvivenza, per i bambini superstiti cominciò la faticosa e lunga ricerca dei familiari o venne la realizzazione di essere rimasti soli. Per molti ci vollero mesi di ospedale e di cure per riprendere le forze. Il riadattamento fu in ogni caso complesso. Se per gli adulti significava il ritorno ad una vita "normale", di essa la maggior parte dei bambini cresciuti nei ghetti o nei campi non aveva alcuna esperienza.[66]

Nell'immediato dopoguerra l'opinione pubblica mondiale guardò con sgomento e compassione ai bambini dell'Olocausto. Vi si dedicarono film di successo come Unzere Kinder (Polonia, 1948) e Odissea tragica (USA, 1948). Le organizzazione umanitarie si mobilitarono per soddisfare i loro bisogni immediati, offrire loro un alloggio e un'educazione, ricongiungerli se possible ai loro genitori o parenti. Per i numerosi orfani le organizzazioni sioniste organizzarono centri di accoglienza per prepararli all'emigrazione in Israele, come la colonia di Sciesopoli in Italia per i circa 800 bambini di Selvino.[67] L'idea era che si dovesse creare per loro un ambiente tale da far loro dimenticare il prima possibile le traumatiche esperienze vissute. Il Diario di Anna Frank commosse il mondo e la bambina di Amsterdam divenne il simbolo dell'Olocausto, ma la specificità dell'esperienza dei bambini sopravvissuti venne scarsamente riconosciuta e approfondita.[68] Molti di loro ricorderanno di non aver trovato in quegli anni orecchie disposte ad ascoltarli. Così fu per Liliana Segre di ritorno da Auschwitz:

"Era molto difficile per i miei parenti convivere con un animale ferito come ero io: una ragazzina reduce dall'inferno, dalla quale si pretendeva docilità e rassegnazione. Imparai ben presto a tenere per me i miei ricordi tragici e la mia profonda tristezza. Nessuno mi capiva, ero io che dovevo adeguarmi ad un mondo che voleva dimenticare gli eventi dolorosi appena passati, che voleva ricominciare, avido di divertimenti e spensieratezza."[69]

L'interesse per l'esperienza dei bambini si riaccese a partire dagli anni ottanta. Fu una corsa contro il tempo per raccogliere quante più testimonianze possibili e (anche solo per ragioni anagrafiche) la maggioranza dei testimoni ancora in vita erano bambini o adolescenti al tempo dell'Olocausto. Si cominciò anche a studiare la specificità dell'esperienza dei bambini nell'Olocausto che si sviluppa come un campo autonomo di studio.

A questa crescita di interesse i bambini dell'Olocausto reagirono in modo diverso. Molti trovano nel ruolo pubblico di testimoni una ragione di vita e di riscatto e una liberazione dai propri traumi, tenuti lungamente repressi. Si moltiplicarono i Libri di memorie sull'Olocausto scritti da persone che al tempo erano bambini. Altri mantennero un profilo più sfumato, lontano dai riflettori, consegnando la loro testimonianza a studiosi e istituti di ricerca specializzati. Altri ancora come Mary Berg o Luigi Ferri (che pure avevano avuto un ruolo pubblico importante nell'immediato dopoguerra) si resero irreperibili ad ogni ulteriore coinvolgimento, ritenendo di aver ormai chiuso completamente i conti con il proprio passato.

I bambini dell'Olocausto in Italia

Le sorelle Andra e Tatiana Bucci assieme al cugino Sergio De Simone

L'interesse sui bambini italiani dell'Olocausto all'inizio si concentrò quasi esclusivamente sui deportati ad Auschwitz e sui pochi sopravvissuti. Già nell'aprile 1945 Luigi Ferri testimoniò (in tedesco) davanti ad una Commissione d'inchiesta sui crimini nazisti a Cracovia. In Italia la prima a far sentire la sua voce fu Arianna Szörényi con un articolo comparso sull'Unità dell'11 marzo 1976, in occasione del processo per i crimini alla Risiera di San Sabba. Numerosi furono poi coloro che da anziani fecero da testimoni nelle scuole e nei mezzi di informazione (da Piero Terracina a Sami Modiano, Liliana Segre, Hanna Kugler Weiss, Alberto Sed, e altri). Tra le vittime il caso che ha ricevuto maggior attenzione è quello di Sergio De Simone, morto ad Amburgo dopo essere stato usato con altri 19 bambini di varia nazionalità come cavia per esperimenti sulla tubercolosi.[32]

Gradualmente l'interesse si estese anche a tutti i bambini che in Italia soffrirono le conseguenze dell'Olocausto.

(a) In primo luogo vanno considerati le migliaia di bambini ebrei che nel 1938 in Italia furono colpiti dalle leggi razziali fasciste, venendo traumaticamente esclusi dalla scuola, dallo sport, dalla vita sociale. Molti di essi lasceranno l'Italia con le loro famiglie come rifugiati prima dello scoppio della guerra.

(b) Negli primi tre anni di guerra, tra il 1940 e il 1943, centinaia di bambini ebrei, figli di rifugiati o antifascisti, vissero al confino o furono rinchiusi in campi di internamento come Ferramonti.[70] Talora essi erano parte di gruppi organizzati di profughi, come coloro che nel maggio 1940 da Trieste si erano recati a Bengasi nella speranza di un passaggio per la Palestina o i passeggeri della nave Pentcho partita da Bratislava e naufragata vicino a Rodi nell'ottobre 1940. Non tutti i bambini rifugiati arrivarono in Italia accompagnati da familiari, molti vi giunsero ormai orfani, come i bambini di Nonantola sfuggiti agli eccidi nei Balcani nel 1942.

(c) Dopo l'8 settembre 1943 tutti i bambini ebrei che si trovarono nei territori sotto occupazione tedesca per evitare le deportazioni dovettero vivere in clandestinità o affrontare la fuga in Svizzera, spesso separati dalle loro famiglie. Alcuni furono vittime di eccidi come l'Olocausto del Lago Maggiore o l'eccidio delle Fosse Ardeatine. Oltre ai deportati ad Auschwitz, molti furono i bambini di origine italo-libica che furono trasferiti a Bergen-Belsen. Tutti gli ebrei italiani che furono bambini in quegli anni e sopravvissero alla guerra sono in una forma o nell'altra superstiti dell'Olocausto.

Tra le prime persone che nelle loro memorie attirarono l'attenzione sulla loro esperienza di bambini sopravvissuti alla Shoah italiana ci sono Emanuele Pacifici, Lia Levi, Aldo Zargani, e altri. Nel 2013 lo storico Bruno Maida pubblicò uno studio generale sulla Shoah dei bambini in Italia, che per la prima volta analizzò il fenomeno nella sua globalità.[71]

Franco Centro

Dopo l'8 settembre 1943, l'Olocausto in Italia non interessò soltanto i bambini ebrei ma anche un largo numero di bambini non ebrei perseguitati per motivi politici in quanto direttamente o indirettamente coinvolti nella lotta di liberazione. Molti bambini e adolescenti - tra cui anche ebrei - si unirono giovanissimi alle formazioni partigiane o ai movimenti clandestini di resistenza.[72] Alcuni di loro caddero in azioni di combattimento: Gennaro Capuozzo e Filippo Illuminato durante le Quattro giornate di Napoli; Ugo Forno a Roma; Franco Cesana e Luciano Domenico nel Nord-Italia.[73] Altri pagarono il loro impegno con la vita o la deportazione: Duilio Cibei, vittima a 15 anni dell'Eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma; Franco Centro, Beniamino Cobianchi, e Roberto Di Ferro, fucilati; Marcello Martini e Franco Cetrelli, deportati al campo di concentramento di Mauthausen. Oltre 1.500 bambini furono vittime di stragi e rappresaglie: 130 nell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, più di 200 nella strage di Marzabotto, gli altri nei numerosi eccidi cosiddetti "minori".[74] Bambini furono anche molti dei pochi testimoni diretti di quelle stragi, come Leopolda Bartolucci a Sant'Anna di Stazzema.

Se i bambini italiani superstiti dell'Olocausto poterono generalmente trovare una famiglia, parenti o amici che li accogliessero, nell'immediato dopoguerra l'Italia divenne un importante luogo di transito per centinaia di bambini ebrei rimasti orfani e completamente soli, che dai paesi dell'Est europeo cercavano di raggiungere la Palestina. Le organizzazioni ebraiche istituirono delle colonie, dove essi potessero essere raccolti e preparati per l'emigrazione. Il nucleo più importante fu quello degli 800 bambini di Selvino radunati dalla Brigata ebraica nell'ex-colonia di Sciesopoli a Selvino nel bergamasco.[75]

Vittime e superstiti

Lo stesso argomento in dettaglio: Vittime dell'Olocausto e Superstiti dell'Olocausto.
Israel Meir Lau (8 anni), sopravvissuto al campo di concentramento di Buchenwald

Associazioni ebraiche e istituti di ricerca (come Yad Vashem a Gerusalemme o lo United States Holocaust Memorial Museum a Washington, e in Italia il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) hanno fatto enormi sforzi per dare un nome e un volto a tutti i bambini dell'Olocausto e preservarne la memoria individuale, oltre che la storia collettiva. I loro nomi (anche di quelli italiani) sono oggi reperibili in numerose pubblicazioni.[76]

I casi di alcuni bambini e adolescenti sono diventati familiari all'opinione pubblica o sono ritenuti di particolare interesse per la ricerca scientifica a causa dell'eccezionalità di alcune vicende individuali all'epoca dell'Olocausto (ad esempio, in quanto autori di diari o perché soggetti a particolari esperienze) o per quello che essi sono diventati da adulti (nella loro carriera professionale o come autori di importanti libri di memorie o per il loro impegno pubblico come testimoni). Tra i più famosi bambini dell'Olocausto ci sono vittime come Anna Frank e Petr Ginz, e sopravvissuti come il regista Roman Polański, scrittori, artisti, scienziati e 5 premi Nobel (François Englert, Roald Hoffmann, Daniel Kahneman, Imre Kertész, e Elie Wiesel).

Vittime

Sopravvissuti

La Memoria

Il Memoriale dei bambini – Vittime dell'Olocausto al cimitero ebraico di Varsavia
Monumento ai bambini dei Kindertransport
Monumento ai bambini dell'Olocausto a Ramat HaSharon
Mosaico di nomi di Yad Vashem dedicato ai 1.500.000 bambini dell'Olocausto. I nomi riportati sono solo quelli riferiti a bambini di età pari o inferiore a 12 anni
Il memoriale che ad Amburgo ricorda Sergio De Simone e gli altri bambini uccisi a Bullenhuser Damm
Uno dei murales che a Łódź ricordano le migliaia di bambini deportati dal ghetto

Esistono diversi monumenti costruiti specificatamente in memoria dei bambini vittime dell'Olocausto. I più noti sono quelli a Yad Vashem a Gerusalemme e al cimitero ebraico di Varsavia. Il memoriale a Yad Vashen, su progetto di Moshe Safdie, è una stanza sotterranea dove nel buio completo la luce di una candela brilla riflessa all'infinito da molteplici specchi; è stato donato da Abe e Edita Spiegel, che ad Auschwitz persero il figlio Uziel, di due anni.[77] Nel cimitero di Varsavia il Memoriale dei bambini – Vittime dell'Olocausto è addossato ad una parete di mattoni sormontata da filo spinato che riproduce il muro del ghetto di Varsavia.

Una mostra permanente è allestita nella baracca 53 dell'ex-campo di concentramento di Majdanek. Ideata nel 2003 da Tomasz Pietrasiewicz, la mostra illustra la vita e la morte dei Bambini dell'Olocausto attraverso l'esperienza di quattro bambini che furono presenti al campo: due bambini ebrei, Halina Birenbaum e Henio Zytomirski; un bambino bielorusso, Piotr Kiryszczenko; e una bambina polacca, Janina Buczek.[78]

Memoriali ai bambini dell'Olocausto si trovano anche a Ramat HaSharon (Israele), a Whitwell (Tennessee), a Charlotte (North Carolina), Great Neck (New York), e in altre località degli Stati Uniti.

Alcuni monumenti sono dedicati a gruppi particolari di bambini.

Una serie di sculture in bronzo a grandezza naturale rappresentanti i bambini del Kindertransport sono stati collocati lungo la rotta dei treni presso le stazioni ferroviarie di Londra Liverpool Street (2006), Berlino Friedrichstraße (2008), Vienna Ovest (2008), Danzica Centrale (2009), Hoek van Holland-Rotterdam (2011) e di Amburgo Dammtor (2015). Le sculture sono opera dell'artista israeliano Frank Meisler, originario di Danzica e cresciuto in Inghilterra, egli stesso salvatosi grazie al Kindertransport.

Monumenti dedicati a Janusz Korczak e ai bambini dell'orfanotrofio del ghetto di Varsavia si trovano a Yad Vashem e al Cimitero ebraico di Varsavia. Monumenti ricordano a Łódź in Polonia i bambini del ghetto, a Idice in Cecoslovacchia i bambini vittime della rappresaglia nazista, e ad Amburgo i 20 bambini uccisi alla scuola di Bullenhuser Damm, tra cui Sergio De Simone.

Ricerca storica

Già negli anni dell'Olocausto compaiono scritti che denunciano specificamente le sofferenze arrecate ai bambini dalle persecuzioni naziste:

  • Violet Bonham Carter, Child Victims of the New Germany: A Protest, London: McCorquodale, 1934.
  • Isaac Chomski, Children in Exile, [New York City] : [American Jewish Committee], 1941.
  • Gerold Frank, "Refugee Children of Europe", in Must Allied Indifference Match Nazi Crime?: A Plea for the Rescue of Europe's Remaining Jews, New York: Published by the Nation Associates, 1944.
  • American Jewish Joint Distribution Committee, ed., Jewish Children in Liberated Europe: Their Needs and the J.D.C. Child Care Work, New York, 1946.
  • Yivo Institute for Jewish Research, ed., Jewish Children in Europe after World War II, New York: YIVO, 1948.

Nel 1947 compaiono tre importanti raccolte di testimonianze di bambini sopravvissuti alle persecuzioni (la pubblicazione in ebraico, polacco e yiddish ne limita tuttavia la circolazione e l'impatto sull'opinione pubblica mondiale):

  • Benjamin Tennebaum, ed., Ehad me-ir u shenayim mi-mishpahah: Mivhar m’elef autobigrafiot shel yaldei Yisrael b’Polin [One of a City and Two of a Family: A Selection from a Thousand Autobiographies of Jewish Children in Poland] (Merhavyah, Israel: Sifriat Poalim, 1947) <ebraico>;
  • Maria Hochberg-Marianskwa and Noe Grüss, eds. Dzieci Oskarzaja (Cracow-Łódź-Warsaw: Central Jewish Historical Commission in Poland, 1947) <polacco>. English tr. The Children Accuse (London: Vallentine-Mitchell, 1996);
  • Noe Grüss (Noah Gris), ed. Kinder-martirologye: zamlung fun dokumentn [Children’s Martyrdom: A Document Collection] (Buenos Aires [Argentina]: Tsentral-farband fun Poylishe Yidn in Argentine, 1947) <yiddish>

Si pubblicano i primi diari di bambini dell'Olocausto: Mary Berg (1945), Anna Frank (1946), Éva Heyman (1948), Dawid Rubinowicz (1960), Klaus Seckel (1961), Moshe Flinker (1965), Yitskhok Rudashevski (1973); e i primi racconti autobiografici di memorie: Elie Wiesel (1956), Edith Bruck (1959), Thomas Geve (1958), Jack Kuper (1967), Beni Virtzberg (1967), Joseph Joffo (1973), Imre Kertész (1975), Samuel Pisar (1979); o testimonianze che hanno al centro vicende di bambini, nelle opere di Lena Küchler-Silberman (1948), Bruno Apitz (1958) o Donald A. Lowrie (1963). Tra questi scritti soprattutto il Diario di Anna Frank, La notte di Elie Wiesel e Nudo tra i lupi di Bruno Apitz hanno un enorme impatto mediatico a livello globale.

Soltanto a partire dagli anni ottanta tuttavia la ricerca sui bambini dell'Olocausto è diventata un importante campo si specializzazione negli studi sull'Olocausto. Il tema è trattato in numerose pubblicazioni e documentari. Molti musei dell'Olocausto vi dedicano una sezione speciale.

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  • 2004 - Center for Advanced Holocaust Studies. Children and the Holocaust: Symposium. Washington: U.S. Holocaust Memorial Museum.
  • 2004 - Institute of Tolerance / State Archived in Łódź. The Children of the Lodz Ghetto. Łódź: Bilbo.
  • 2004 - Sara Valentina Di Palma. Bambini e adolescenti nella Shoah: storia e memoria della persecuzione in Italia. Milano: Unicopli.
  • 2005 - Lynn Nicholas. Cruel World: The Children of Europe in the Nazi Web. New York: Knopf.
  • 2006 - Martin Ira Glassner and Rober Krell. And Life Is Changed Forever: Holocaust Childhoods Remembered. Detroit: Wayne State University.
  • 2006 - Nicholas Stargardt. Witnesses of War: Children's Lives under the Nazis. New York: Knopf.
  • 2007 - Robert Krell. Child Holocaust Survivors: Memories and Reflections. Victoria: Trafford.
  • 2007 - Lynn H. Nicholas. Bambini in guerra: i bambini europei nella rete nazista, Milano: Garzanti, 2007.
  • 2008 - Suzanne Vromen. Hidden Children of the Holocaust: Belgian Nuns and their Daring Rescue of Young Jews from the Nazis. Oxford, and New York: Oxford University Press.
  • 2011 - Patricia Heberer. Children during the Holocaust. AltaMira Press.
  • 2011 - Stephanie Fitzgerald. Children of the Holocaust.
  • 2012 - Umberto Gentiloni e Stefano Palermo (a cura di). 16.10.1943 Li hanno portati via. Roma: Fandango Libri.
  • 2013 - Bruno Maida. La Shoah dei bambini: la persecuzione dell'infanzia ebraica in Italia, 1938-1945. Torino: Einaudi.
  • 2014 - Steven Pressman. 50 Children: One Ordinary American Couple's Extraordinary Rescue Mission into the Heart of Nazi Germany. New York, NY: Harper.
  • 2016 - Simone Gigliotti and Monica Tempian, eds. The Young Victims of the Nazi Regime: Migration, the Holocaust and Postwar Displacement. London and New York: Bloomsbury Academic.
  • 2016 - Tilar J. Mazzeo. Irena's Children: The Extraordinary Story of the Woman Who Saved 2,500 Children from the Warsaw Ghetto. New York, NY: Gallery Books.
  • 2017 - Anne Nelson. Suzanne's Children: A Daring Rescue in Nazi Paris New York, NY: Simon & Schuster.
  • 2018 - Beth B. Cohen. Child Survivors of the Holocaust: The Youngest Remnant and the American Experience. New Brunswick, NJ: Rutgers University Press.
  • 2019 - Samantha Bell. Children in the Holocaust. Lake Elmo, MN: Focus Readers.
  • 2019 - Mikhal Dekel. Tehran Children: A Holocaust Refugee Odyssey. New York: W. W. Norton & Company

Documentari

Museografia

  • Yad Vashem
  • United States Holocaust Memorial Museum
  • Museum of Tolerance, LA

Filmografia

Lo stesso argomento in dettaglio: Film sull'Olocausto.

I figli dei superstiti dell'Olocausto

Un particolare sottocampo, che si è recentemente sviluppato, riguarda l'esperienza dei bambini figli di sopravvissuti (o anche di carnefici) dell'Olocausto, l'impatto traumatico che tali eventi hanno avuto sulla loro crescita e formazione.[79]

Bibliografia

  • Epstein, Helen. Children of the Holocaust: Conversations with Sons and Daughters of the Survivors. New York: G.P. Putnam, 1979.
  • Living After the Holocaust: Reflections by Children of Survivors in America. New York: Bloch Publishing, 1979.
  • Bergmann, Martin S., and Milton E. Jucovy, editors. Generations of the Holocaust. New York: Columbia University Press, 1990.
  • Wardi, Dina. Nośʾe ha-ḥotam. Jerusalem: Keter, 1990 (ed. it. Le candele della memoria. I figli dei sopravvissuti dell'Olocausto: traumi, angosce, terapia, trad. di Emanuele Beeri e Tania Gargiulo, Firenze: Sansoni, 1993; rist. Milano: Pgreco, 2013).
  • Wiseman, Hadas, and Jacques P. Barber. Echoes of the Trauma: Relational Themes and Emotions in Children of Holocaust Survivors. Cambridge: Cambridge University Press, 2008.
  • Sara Valentina Di Palma, I bambini della Shoah, in Storia della Shoah - Eredità e rappresentazioni della Shoah, 8° volume, pp. 69-99, in Corriere della sera inchieste, Milano, UTET e Corsera, 2019, ISSN 2038-0852 (WC · ACNP).

Documentari

Note

  1. ^ Bruno Maida (a cura di). 1938. I bambini e le leggi razziali in Italia. Firenze: Giuntina, 1999.
  2. ^ 1938: i bambini e le leggi razziali in Italia. Alcune testimonianze.
  3. ^ Patricia Heberer, Children during the Holocaust. AltaMira Press, 2011.
  4. ^ a b I bambini durante l'Olocausto, Enciclopedia dell'Olocausto.
  5. ^ Citato in Peter Fritzsche, An Iron Wind: Europe Under Hitler. Basic Books, 2016, p.219.
  6. ^ "Plight of Jewish Children", Holocaust Encyclopedia.
  7. ^ Bruno Maida, La Shoah dei bambini, Torino: Einaudi, 2013, p.25.
  8. ^ Il più giovane tra i soli 16 sopravvissuti degli oltre 1000 deportati fu un adolescente, Enzo Camerino, che al momento della deportazione aveva 14 anni ma che dimostrando più della sua età riuscì a superare la selezione. Per i più piccoli non vi fu scampo. Umberto Gentiloni e Stefano Palermo (a cura di), 16.10.1943 Li hanno portati via, Roma: Fandango Libri, 2012.
  9. ^ Völkischer Beobachter, Bavarian edition dated 7 August 1929. In: Enzyklopädie des Nationalsozialismus, edited by Wolfgang Benz, Hermann Graml and Hermann Weiß, Digitale Bibliothek, Vol. 25, p. 578, Directmedia, Berlin 1999
  10. ^ Michael Burleigh, Death and Deliverance: Euthanasia in Germany, 1900-1945, Cambridge: Cambridge University Press, 1994.
  11. ^ "Ghettos", Holocaust Encyclopedia.
  12. ^ Maria Hochberg-Mariańska and Noe Grüs, eds., The Children Accuse, tr. Bill Johnston (London: Vallentine Mitchell, 1996), pp. 264-65.
  13. ^ Dario Arkel, Ascoltare la luce, vita e pedagogia di Janusz Korczak, Segrate, Atì editore, 2009.
  14. ^ Hochberg-Mariańska and Grüs, eds., The Children Accuse, pp. 240-46.
  15. ^ Institute of Tolerance / State Archived in Lodz. The Children of the Lodz Ghetto. Lodz: Bilbo, 2004.
  16. ^ Holocaust Research Project.org
  17. ^ a b Benjamin Murmelstein, Terezin, il ghetto-modello di Eichmann, Cappelli (oggi Editrice La Scuola di Brescia), Bologna 1961; riedizione Editrice La Scuola 2013, ISBN 978-88-350-3367-7.
  18. ^ "Theresienstadt: Cultural Life", Holocaust Encyclopedia.
  19. ^ L’arte di Terezín per la memoria della Shoah.
  20. ^ Joza Karas, Musica a Terezín, 1941-1945. Genova: Il nuovo Melangolo, 2011.
  21. ^ "Theresienstadt", Holocaust Encyclopedia.
  22. ^ Matteo Corradini, La repubblica delle farfalle - Il romanzo dei ragazzi di Terezin, Rizzoli, Milano 2013, ISBN 978-88-17-06385-2
  23. ^ Il'ja Ehrenburg e Vasilij Grossman, Il libro nero - Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945. Mondadori Oscar Storia, 2001. ISBN 8804486562
  24. ^ An Introduction to the Einsatzgruppen.
  25. ^ Saul Friedländer, La Germania nazista e gli ebrei, vol. 2. Gli anni dello sterminio, 1939-1945, Milano: Garzanti, 2009, ISBN 978-88-11-68054-3.
  26. ^ Rudolf Franz Ferdinand Hoess, "Affidavit, 5 April 1946," in Trial of the Major War Criminals Before the International Tribunal, Nuremberg, 14 November 19451 October 1946 (Nuremberg: Secretariat of the International Military Tribunal, 1949), Doc. 3868PS, vol. 33, 27579. Modern History Sourcebook (testo online).
  27. ^ Auschwitz Album.
  28. ^ Mirella Karpati, L'Olocausto degli zingari.
  29. ^ Elie Wiesel, La notte (trad. di Daniel Vogelmann), Firenze: Giuntina, 1980.
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  31. ^ Primo Levi, La tregua, Torino: Einaudi, 2000 (prima ed. 1958), p. 168.
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  33. ^ Titti Marrone, Meglio non sapere (Bari: Laterza, 2003).
  34. ^ Holocaust Teacher Resource Center.
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  38. ^ (EN) Rescuers (USHMM), su ushmm.org..
  39. ^ a b Youth Aliya.
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  51. ^ Mordecai Paldiel, The Path of the Righteous: Gentile Rescuers of Jews During the Holocaust, KTAV Publishing House, Inc., ISBN 0-88125-376-6; Israel Gutman, Liliana Picciotto, Bracha Rivlin, I Giusti d'Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei. 1943-1945, Mondadori, ISBN 88-04-55127-5.
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  54. ^ "Pio XII a Roncalli: non restituite i bimbi ebrei", Corriere della Sera (28 dicembre 2004).
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  58. ^ Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida. Il futuro spezzato: i nazisti contro i bambini, pp. 79-124.
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  61. ^ John Kantara, "A Black German Survivor of the Holocaust", Die Zeit (4 giugno 2009).
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  64. ^ Henryk Grynberg, Children of Zion: The Path of Agony of the Tehran Children, Evanston: Northwestern University Press, 1998 (originariamente pubblicato in polacco nel 1994).
  65. ^ Voices of the Holocaust. Questo è l'elenco completo dei 20 bambini e adolescenti intervistati da Boder nel 1946: János Deutsch, Kalman Eisenberg, Esther Freilich, Alexander Gertner, Ludwig Hamburger, Adolph Heisler, Mendel Herskovitz, David Hirsch, Samuel Isakovitch, Jean Kahn, Jurek Kestenberg, Abraham Kimmelmann, Dina Linik, Raisel Meltzak, Marko Moskovitz, Wolf Nehrich, Nathan Schacht, Gert Silberbart, Israel Unikowski, e Edith Zierer.
  66. ^ Judith S. Kestenberg, and Ira Brenner. The Last Witness: The Child Survivor of the Holocaust. Washington, DC: American Psychiatric Press, 1996.
  67. ^ Aharon Megged, "Il viaggio verso la terra promessa. La storia dei bambini di Selvino", Milano, Mazzotta, 1997
  68. ^ Aaron Hass. The Aftermath: Living with the Holocaust. New York: Cambridge University Press, 1995.
  69. ^ Liliana Segre, "Un’infanzia perduta", in Voci dalla Shoah testimonianze per non dimenticare, Firenze: La Nuova Italia Editrice, 1996, p. 63.
  70. ^ Ebrei stranieri internati in Italia durante il periodo bellico.
  71. ^ Bruno Maida, La Shoah dei bambini: la persecuzione dell'infanzia ebraica in Italia, 1938-1945. Torino: Einaudi, 2013.
  72. ^ "Donne e uomini della Resistenza", ANPI.
  73. ^ Cesana Franco detto Balilla.
  74. ^ Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia.
  75. ^ Aharon Megged, "Il viaggio verso la terra promessa. La storia dei bambini di Selvino", Milano, Mazzotta, 1997.
  76. ^ Liliana Picciotto Fargion, Il libro della memoria: gli ebrei deportati dall'Italia, 1943-1945. Milano: Mursia, 2011; Umberto Gentiloni e Stefano Palermo (a cura di). 16.10.1943 Li hanno portati via. Roma: Fandango Libri, 2012.
  77. ^ Yad Vashem: Remember the Children.
  78. ^ "The Primer" Exhibition: Children in Majdanek, CampTeatrNN.pl.
  79. ^ "Psychological Trauma and the Holocaust", Holocaust Encyclopedia.

Voci correlate

Collegamenti esterni